Discorsi 2005-13 22141

VIA CRUCIS AL COLOSSEO Palatino Venerdì Santo, 22 aprile 2011

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Cari fratelli e sorelle,

questa notte abbiamo accompagnato nella fede Gesù che percorre l’ultimo tratto del suo cammino terreno, il tratto più doloroso, quello del Calvario. Abbiamo ascoltato il clamore della folla, le parole della condanna, la derisione dei soldati, il pianto della Vergine Maria e delle donne. Ora siamo immersi nel silenzio di questa notte, nel silenzio della croce, nel silenzio della morte. E’ un silenzio che porta in sé il peso del dolore dell’uomo rifiutato, oppresso, schiacciato, il peso del peccato che ne sfigura il volto, il peso del male. Questa notte abbiamo rivissuto, nel profondo del nostro cuore, il dramma di Gesù, carico del dolore, del male, del peccato dell’uomo.

Che cosa rimane ora davanti ai nostri occhi? Rimane un Crocifisso; una Croce innalzata sul Golgota, una Croce che sembra segnare la sconfitta definitiva di Colui che aveva portato la luce a chi era immerso nel buio, di Colui che aveva parlato della forza del perdono e della misericordia, che aveva invitato a credere nell’amore infinito di Dio per ogni persona umana. Disprezzato e reietto dagli uomini, davanti a noi sta l’«uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia» (
Is 53,3).

Ma guardiamo bene quell’uomo crocifisso tra la terra e il Cielo, contempliamolo con uno sguardo più profondo, e scopriremo che la Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a Lui. La Croce ci parla dell’amore supremo di Dio e ci invita a rinnovare, oggi, la nostra fede nella potenza di questo amore, a credere che in ogni situazione della nostra vita, della storia, del mondo, Dio è capace di vincere la morte, il peccato, il male, e di donarci una vita nuova, risorta. Nella morte in croce del Figlio di Dio, c’è il germe di una nuova speranza di vita, come il chicco che muore dentro la terra.

In questa notte carica di silenzio, carica di speranza, risuona l’invito che Dio ci rivolge attraverso le parole di sant’Agostino: «Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com'è vero che io non ho ricusato d'assaporare i mali della mensa vostra... Vi ho promesso la mia vita... Come anticipo vi ho elargito la mia morte, quasi a dirvi: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita... È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vi invito, ecco… è l'amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me… è partecipare della mia vita» (cfr Discorso 231, 5).

Fissiamo il nostro sguardo su Gesù Crocifisso e chiediamo nella preghiera: Illumina, Signore, il nostro cuore, perché possiamo seguirti sul cammino della Croce, fa’ morire in noi l’«uomo vecchio», legato all’egoismo, al male, al peccato, rendici «uomini nuovi», uomini e donne santi, trasformati e animati dal tuo amore.


AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA DELLE RADIO DELL'«EUROPEAN BROADCASTING UNION» Sabato, 30 aprile 2011

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Cari amici,

sono molto lieto di dare il benvenuto a tutti voi, membri e partecipanti alla 17° Radio Assembly della European Broadcasting Union, che quest’anno è ospite della Radio Vaticana, in occasione dell’80° della sua fondazione. Saluto l’Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali. Ringrazio il Presidente della European Broadcasting Union, Jean Paul Philippot, e il Padre Federico Lombardi, Direttore Generale della Radio Vaticana, per le cortesi parole con cui hanno illustrato la natura del vostro incontro e i problemi che dovete affrontare.

Quando il mio predecessore Pio XI si rivolse a Guglielmo Marconi perché dotasse lo Stato della Città del Vaticano di una Stazione radio all’altezza della migliore tecnologia disponibile a quel tempo, dimostrò di aver intuito con acutezza in quale direzione si stava sviluppando il mondo delle comunicazioni e quali potenzialità la radio poteva offrire per il servizio della missione della Chiesa. Effettivamente, attraverso la radio, i Papi hanno potuto trasmettere aldilà delle frontiere messaggi di grande importanza per l’umanità, come quelli giustamente famosi di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, che hanno dato voce alle aspirazioni più profonde verso la giustizia e la pace, o come quello di Giovanni XXIII al momento culminante della crisi fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1962. Ancora attraverso la radio Pio XII ha potuto far diffondere centinaia di migliaia di messaggi delle famiglie per i prigionieri e i dispersi durante la guerra, svolgendo un’opera umanitaria che gli guadagnò gratitudine imperitura. Attraverso la radio, inoltre, sono state a lungo sostenute le attese di credenti e di popoli soggetti a regimi oppressivi dei diritti umani e della libertà religiosa. La Santa Sede è consapevole delle potenzialità straordinarie che ha il mondo della comunicazione per il progresso e la crescita delle persone e della società. Si può dire che tutto l’insegnamento della Chiesa su questo settore, a partire dai discorsi di Pio XII, passando attraverso i documenti del Concilio Vaticano II, fino ai miei più recenti messaggi sulle nuove tecnologie digitali, è attraversato da una vena di ottimismo, di speranza e di simpatia sincera verso coloro che si impegnano in questo campo per favorire l’incontro e il dialogo, servire la comunità umana, contribuire alla crescita pacifica della società.

Naturalmente, ciascuno di voi sa che anche nello sviluppo delle comunicazioni sociali si nascondono difficoltà e rischi. Permettetemi perciò di manifestare a tutti voi il mio interesse e la mia solidarietà nell’importante opera che svolgete. Nelle società odierne sono in gioco valori basilari per il bene dell’umanità, e l’opinione pubblica, nella cui formazione il vostro lavoro ha tanta importanza, si trova spesso disorientata e divisa. Voi sapete bene quali preoccupazioni nutre la Chiesa cattolica a proposito del rispetto della vita umana, della difesa della famiglia, del riconoscimento degli autentici diritti e delle giuste aspirazioni dei popoli, degli squilibri che causano sottosviluppo e fame in tante parti del mondo, dell’accoglienza dei migranti, della disoccupazione e della sicurezza sociale, delle nuove povertà ed emarginazioni sociali, delle discriminazioni e delle violazioni della libertà religiosa, del disarmo e della ricerca di soluzione pacifica dei conflitti. A molte di tali questioni ho fatto riferimento nell’Enciclica “Caritas in veritate”. Alimentare ogni giorno una corretta ed equilibrata informazione e un approfondito dibattito per trovare le migliori soluzioni condivise su tali questioni in una società pluralistica, è compito delle radio come pure delle televisioni. E’ un compito che richiede alta onestà professionale, correttezza e rispetto, apertura alle prospettive diverse, chiarezza nell’affrontare i problemi, libertà da steccati ideologici, consapevolezza della complessità dei problemi. Si tratta di una ricerca paziente di quella “verità quotidiana” che meglio traduce i valori nella vita e meglio orienta il cammino della società, e che va cercata insieme con umiltà.

In questa ricerca la Chiesa cattolica ha un suo contributo specifico da dare, e intende darlo testimoniando la sua adesione alla verità che è Cristo, ma allo stesso tempo con apertura e spirito di dialogo. Come ho affermato nell’incontro con i qualificati rappresentanti del mondo politico e culturale britannico nella Westminster Hall di Londra nello scorso settembre, la religione non intende prevaricare nei confronti dei non credenti, ma aiutare la ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. La religione contribuisce a “purificare” la ragione, aiutandola a non cadere in distorsioni, come la manipolazione da parte dell’ideologia, o l’applicazione parziale che non tenga conto pienamente della dignità della persona umana. Allo stesso tempo, anche la religione riconosce di aver bisogno del correttivo della ragione per evitare eccessi, come l’integralismo o il settarismo. “La religione non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione”. Invito perciò anche voi, “nell’ambito delle vostre sfere di influenza, a cercare di promuovere ed incoraggiare il dialogo fra fede e ragione” nella prospettiva del servizio al bene comune nazionale.

Il vostro è un “servizio pubblico”, servizio alla gente, per aiutarla ogni giorno a conoscere e a capire meglio ciò che succede e perché succede, e a comunicare attivamente per concorrere al cammino comune della società. So bene che questo servizio incontra difficoltà, con differenti aspetti e proporzioni nei diversi Paesi. Vi possono essere la sfida della concorrenza da parte dell’emittenza commerciale; il condizionamento di una politica vissuta come spartizione del potere invece che come servizio del bene comune; la scarsezza di risorse economiche accentuata da situazioni di crisi; l’impatto degli sviluppi delle nuove tecnologie di comunicazione; la ricerca affannosa dell’audience.Ma troppo grandi e urgenti sono le sfide del mondo odierno di cui dovete occuparvi, per lasciarvi scoraggiare e arrendervi di fronte a queste difficoltà.

Vent’anni fa, nel 1991, quando il Venerabile Giovanni Paolo II, che domani avrò la gioia di proclamare Beato, riceveva la vostra Assemblea generale in Vaticano, vi incoraggiava a sviluppare la vostra mutua collaborazione, per favorire la crescita della comunità dei popoli del mondo. Oggi, penso ai processi in corso in Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente, diversi dei quali sono pure membri della vostra Associazione. Sappiamo che le nuove forme di comunicazione hanno svolto e svolgono un ruolo non secondario in questi stessi processi. Vi auguro di saper mettere i vostri contatti internazionali e le vostre attività al servizio di una riflessione e di un impegno affinché gli strumenti delle comunicazioni sociali servano al dialogo, alla pace e allo sviluppo solidale dei popoli, superando le distanze culturali, le diffidenze o le paure.

Infine, cari amici, mentre auguro a tutti voi e alla vostra Associazione un fecondo lavoro, desidero esprimere ancora la mia gratitudine per la collaborazione concreta che in molte occasioni avete dato e date al mio ministero, come nelle grandi celebrazioni del Natale e della Pasqua o in occasione dei miei viaggi. Anche per me e per la Chiesa cattolica siete dunque degli alleati e degli amici importanti nella nostra missione. In questo spirito sono lieto di invocare su tutti voi, sui vostri cari e sul vostro lavoro la Benedizione del Signore.



AI RAPPRESENTANTI DELLA "PAPAL FOUNDATION" Sala Clementina Giovedì, 5 maggio 2011

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Cari amici,

sono lieto di accogliervi, membri della Papal Foundation, in occasione della vostra visita annuale a Roma. In questo tempo pasquale, caratterizzato da gioia spirituale e da gratitudine per il dono della nostra nuova vita in Cristo, prego affinché questo pellegrinaggio sulle tombe degli apostoli e dei martiri rinnovi in tutti voi l’amore per il Signore e per la sua Chiesa.

Questo incontro mi offre la gradita opportunità di rinnovare i miei ringraziamenti per il contributo importante che la Fondazione rende alla missione della Chiesa, per mezzo della promozione di attività caritative che stanno a cuore al Papa. Sono molto grato per il vostro impegno in progetti destinati allo sviluppo umano integrale, per il vostro incoraggiamento delle attività apostoliche di diocesi e di congregazioni religiose nel mondo, per la vostra sollecitudine per l’educazione dei futuri responsabili della Chiesa e per il vostro sostegno alle attività della Santa Sede. La Papal Foundation è sorta quale strumento per dimostrare la solidarietà concreta con il Successore di Pietro nella sua sollecitudine per la Chiesa universale. Che possiate considerare il vostro operato per gli ideali della fondazione un’espressione privilegiata del vostro impegno cristiano nella Chiesa e di fronte al mondo. In tal modo, testimonierete che la Chiesa è missionaria per sua stessa natura. Infatti «A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto» (Verbum Domini, n. 91).

Cari amici, con questi sentimenti e con affetto nel Signore, affido voi e le vostre famiglie all’intercessione amorevole di Maria, Madre della Chiesa, e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di gioia e di pace pasquali.



CONCERTO OFFERTO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA GIORGIO NAPOLITANO IN OCCASIONE DEL VI ANNIVERSARIO DI PONTIFICATO Aula Paolo VI Giovedì, 5 maggio 2011

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Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Onorevoli Ministri e Autorità,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Gentili Signori e Signore!

Anche quest’anno, con la consueta e squisita cortesia, il Presidente della Repubblica Italiana, Onorevole Giorgio Napolitano, ha voluto farci vivere un momento di elevazione musicale per l’anniversario dell’inizio del mio Pontificato. Mentre La saluto con deferenza, Signor Presidente, unitamente alla Sua gentile Signora, esprimo vivo ringraziamento per questo gradito omaggio e per le cordiali parole che mi ha rivolto, manifestando anche la vicinanza del caro popolo italiano al Vescovo di Roma e ricordando l’indimenticabile momento della beatificazione di Giovanni Paolo II. Saluto anche le altre Autorità dello Stato italiano, i Signori Ambasciatori, le varie Personalità, il Comune di Roma, e tutti voi. Un particolare ringraziamento al Direttore, ai Solisti, all’Orchestra e al Coro del Teatro dell’Opera di Roma per la splendida esecuzione dei due capolavori di Antonio Vivaldi e di Gioacchino Rossini, due sommi musicisti di cui l’Italia, che celebra i 150 anni dell’unificazione politica, deve essere fiera. Un grazie anche a tutti coloro che hanno reso possibile questo evento.

“Credo”, “Amen”: sono le due parole con cui inizia e si conclude il “Credo”, la “Professione di fede” della Chiesa, che abbiamo ascoltato. Che cosa vuol dire credo? E’ una parola che ha vari significati: indica accogliere qualcosa tra le proprie convinzioni, prestare fiducia a qualcuno, essere certi. Quando, però, la diciamo nel “Credo”, essa assume un significato più profondo: è affermare con fiducia il senso vero della realtà che ci sostiene, che sostiene il mondo; significa accogliere questo senso come il solido terreno su cui possiamo stare senza timore; è sapere che il fondamento di tutto, di noi stessi, non può essere fatto da noi, ma può essere solo ricevuto. E la fede cristiana non dice “Io credo in qualcosa”, bensì “Io credo in Qualcuno”, nel Dio che si è rivelato in Gesù, in Lui percepisco il vero senso del mondo; e questo credere coinvolge tutta la persona, che è in cammino verso di Lui. La parola “Amen”, poi, che in ebraico ha la stessa radice della parola “fede”, riprende lo stesso concetto: il fiducioso poggiare sulla base solida, Dio.

E veniamo al brano di Vivaldi, grande rappresentante del Settecento veneziano. Purtroppo di lui si conosce poco la musica sacra, che racchiude tesori preziosi: ne abbiamo avuto un esempio nel brano di stasera, composto probabilmente nel 1715. Vorrei fare tre annotazioni. Anzitutto un fatto anomalo nella produzione vocale vivaldiana: l’assenza dei solisti, c’è solo il coro. In questo modo, Vivaldi vuole esprimere il “noi” della fede. Il “Credo” è il “noi” della Chiesa che canta, nello spazio e nel tempo, come comunità di credenti, la sua fede; il “mio” affermare “credo” è inserito nel “noi” della comunità. Poi vorrei rilevare i due splendidi quadri centrali: Et incarnatus est e Crucifixus.Vivaldi si sofferma, come era prassi, sul momento in cui il Dio che sembrava lontano si fa vicino, si incarna e dona se stesso sulla Croce. Qui il ripetersi delle parole, le modulazioni continue rendono il senso profondo dello stupore di fronte a questo Mistero e ci invitano alla meditazione, alla preghiera. Un’ultima osservazione. Carlo Goldoni, grande esponente del teatro veneziano, nel suo primo incontro con Vivaldi notava: “Lo trovai circondato di musica e con il Breviario in mano”. Vivaldi era sacerdote e la sua musica nasce dalla sua fede.

Il secondo capolavoro di questa sera, lo “Stabat Mater” di Gioacchino Rossini, è una grande meditazione sul mistero della morte di Gesù e sul dolore profondo di Maria. Rossini aveva concluso la fase operistica della sua carriera a soli 37 anni, nel 1829, con il Guillaume Tell. Da questo momento non scrisse più pezzi di vaste proporzioni, con due sole eccezioni, entrambe di musica sacra: lo “Stabat Mater” e la “Petite Messe Solennelle”. Quella di Rossini è una religiosità che esprime una ricca gamma di sentimenti di fronte ai misteri di Cristo, con una forte tensione emotiva. Dal grande affresco iniziale dello “Stabat Mater” dolente e affettuoso, ai brani in cui emerge la cantabilità rossiniana e italiana, ma sempre carica di tensione drammatica, fino alla doppia fuga finale con il poderoso Amen, che esprime la fermezza della fede, e l’In sempiterna saecula, che sembra voler dare il senso dell’eternità. Ma penso che due vere perle di quest’opera siano i due brani “a cappella”, l’Eja mater fons amoris e il Quando corpus morietur. Qui il Maestro torna alla lezione della grande polifonia, con un’intensità emotiva che diventa preghiera accorata: “Quando il mio corpo morirà, fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso”. Rossini a 71 anni, dopo aver composto la “Petite Messe Solennelle” scrive: “Buon Dio, eccola terminata questa povera Messa… Sai bene che sono nato per l’opera buffa! Poca scienza, un po’ di cuore, tutto qui. Sii dunque benedetto e concedimi il paradiso”. Una fede semplice e genuina.

Cari amici, spero che i brani di questa sera abbiano nutrito anche la nostra fede. Al Signor Presidente della Repubblica Italiana, ai solisti, ai complessi del teatro dell’Opera di Roma, al maestro, agli organizzatori e a tutti i presenti rinnovo la mia gratitudine e chiedo un ricordo nella preghiera per il mio ministero nella vigna del Signore. Egli continui a benedire voi e i vostri cari. Grazie.


AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DAL PONTIFICIO ATENEO SANT'ANSELMO, NEL 50° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE Sala Clementina 6 maggio 2011

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Eminenza,
Reverendo Padre Abate Primate,
Reverendo Rettore Magnifico,
Illustri Professori,
Cari Studenti,

Vi accolgo con gioia in occasione del IX Congresso Internazionale di Liturgia che celebrate nell'ambito del cinquantesimo anniversario di fondazione del Pontificio Istituto Liturgico. Saluto cordialmente ciascuno di voi, in particolare il Gran Cancelliere, l'Abate Primate dom Notker Wolf, e lo ringrazio per le cortesi espressioni che ha voluto rivolgermi a nome di tutti voi.

Il Beato Giovanni XXIII, raccogliendo le istanze del movimento liturgico che intendeva dare nuovo slancio e nuovo respiro alla preghiera della Chiesa, poco prima del Concilio Vaticano II e nel corso della sua celebrazione volle che la Facoltà dei Benedettini sull'Aventino costituisse un centro di studi e di ricerca per assicurare una solida base alla riforma liturgica conciliare. Alla vigilia del Concilio, infatti, appariva sempre più viva in campo liturgico l’urgenza di una riforma, postulata anche dalle richieste avanzate dai vari episcopati. D'altra parte, la forte esigenza pastorale che animava il movimento liturgico richiedeva che venisse favorita e suscitata una partecipazione più attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche attraverso l'uso delle lingue nazionali e che si approfondisse il tema dell'adattamento dei riti nelle varie culture, specie in terra di missione. Inoltre, si rivelava chiara fin dall'inizio la necessità di studiare in modo più approfondito il fondamento teologico della Liturgia, per evitare di cadere nel ritualismo o di favorire il soggettivismo, il protagonismo del celebrante, e affinché la riforma fosse ben giustificata nell'ambito della Rivelazione divina in continuità con la tradizione della Chiesa. Papa Giovanni XXIII, animato dalla sua saggezza e da spirito profetico, per raccogliere e rispondere a tali esigenze creò l'Istituto Liturgico, a cui volle subito attribuire l'appellativo di "Pontificio" per indicarne il peculiare legame con la Sede Apostolica.

Cari amici, il titolo scelto per il Congresso di quest’Anno Giubilare è alquanto significativo: "Il Pontificio Istituto Liturgico tra memoria e profezia". Per quanto concerne la memoria, dobbiamo constatare i frutti abbondanti suscitati dallo Spirito Santo in mezzo secolo di storia, e per questo rendiamo grazie al Datore di ogni bene, nonostante anche i malintesi e gli errori nella realizzazione concreta della riforma. Come non ricordare i pionieri, presenti all'atto della fondazione della Facoltà: dom Cipriano Vagaggini, dom Adrien Nocent, dom Salvatore Marsili e dom Burkhard Neunheuser, che, accogliendo le istanze del Pontefice fondatore, si impegnarono, specialmente dopo la promulgazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, ad approfondire "l'esercizio della missione sacerdotale di Gesù Cristo, mediante la quale con segni visibili viene significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale" (n. 7).

Appartiene alla "memoria" la vita stessa del Pontificio Istituto Liturgico, che ha offerto il suo contributo alla Chiesa impegnata nella recezione del Vaticano II, attraverso un cinquantennio di formazione liturgica accademica. Formazione offerta alla luce della celebrazione dei santi misteri, della liturgia comparata, della Parola di Dio, delle fonti liturgiche, del magistero, della storia delle istanze ecumeniche e di una solida antropologia. Grazie a questo importante lavoro formativo, un elevato numero di laureati e licenziati prestano ora il loro servizio alla Chiesa in varie parti del mondo, aiutando il Popolo santo di Dio a vivere la Liturgia come espressione della Chiesa in preghiera, come presenza di Cristo in mezzo agli uomini e come attualità costitutiva della storia della salvezza. Infatti, il Documento conciliare pone in viva luce il duplice carattere teologico ed ecclesiologico della Liturgia. La celebrazione realizza contemporaneamente un'epifania del Signore e un'epifania della Chiesa, due dimensioni che si coniugano in unità nell'assemblea liturgica, ove il Cristo attualizza il Mistero pasquale di morte e di risurrezione e il popolo dei battezzati attinge più abbondantemente alle fonti della salvezza. Nell'azione liturgica della Chiesa sussiste la presenza attiva di Cristo: ciò che ha compiuto nel suo passaggio in mezzo agli uomini, Egli continua a renderlo operante attraverso la sua personale azione sacramentale, il cui centro è costituito dall'Eucaristia.

Con il termine "profezia", lo sguardo si apre su nuovi orizzonti. La Liturgia della Chiesa va al di là della stessa "riforma conciliare" (cfr Sacrosanctum Concilium
SC 1), il cui scopo, infatti, non era principalmente quello di cambiare i riti e i testi, quanto invece quello di rinnovare la mentalità e porre al centro della vita cristiana e della pastorale la celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo. Purtroppo, forse, anche da noi Pastori ed esperti, la Liturgia è stata colta più come un oggetto da riformare che non come soggetto capace di rinnovare la vita cristiana, dal momento in cui "esiste un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della Liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa dalla Liturgia attinge la forza per la vita". A ricordarcelo è il Beato Giovanni Paolo II nella Vicesimus quintus annus, dove la liturgia è vista come il cuore pulsante di ogni attività ecclesiale. E il Servo di Dio Paolo VI, riferendosi al culto della Chiesa, con un’espressione sintetica affermava: “Dalla lex credendi passiamo alla lex orandi, e questa ci conduce alla lux operandi et vivendi” (Discorso nella cerimonia dell’offerta dei ceri, 2 febbraio 1970).

Culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme fonte da cui promana la sua virtù (cfr Sacrosanctum Concilium SC 10), la Liturgia con il suo universo celebrativo diventa così la grande educatrice al primato della fede e della grazia. La Liturgia, teste privilegiato della Tradizione vivente della Chiesa, fedele al suo nativo compito di rivelare e rendere presente nell'hodie delle vicende umane l'opus Redemptionis, vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio, lucidamente esplicitato dalla Costituzione conciliare al n. 23. Con questi due termini, i Padri conciliari hanno voluto consegnare il loro programma di riforma, in equilibrio con la grande tradizione liturgica del passato e il futuro. Non poche volte si contrappone in modo maldestro tradizione e progresso. In realtà, i due concetti si integrano: la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso. Come a dire che il fiume della tradizione porta in sé sempre la sua sorgente e tende verso la foce.

Cari amici, confido che questa Facoltà di Sacra Liturgia continui con rinnovato slancio il suo servizio alla Chiesa, nella piena fedeltà alla ricca e preziosa tradizione liturgica e alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II, secondo le linee maestre della Sacrosanctum Concilium e dei pronunciamenti del Magistero. La Liturgia cristiana è la Liturgia della promessa compiuta in Cristo, ma è anche la Liturgia della speranza, del pellegrinaggio verso la trasformazione del mondo, che avrà luogo quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1Co 15,28). Per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, in comunione con la Chiesa celeste e con i patroni San Benedetto e Sant'Anselmo, invoco su ciascuno la Benedizione Apostolica. Grazie.



ALLE NUOVE RECLUTE DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA, CON I GENITORI, IN OCCASIONE DEL GIURAMENTO Sala Clementina 6 maggio 2011

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[Signor Comandante,
Monsignor Cappellano,
Cari ufficiali e membri della Guardia Svizzera,
Care Fratelli e Sorelle!

Sono particolarmente lieto di incontrarvi in occasione di questa vostra giornata celebrativa e desidero rivolgere un cordiale saluto specialmente alle nuove reclute, che seguendo l’esempio di non pochi loro connazionali hanno scelto di dedicare alcuni anni della loro giovinezza al servizio del Successore di Pietro. La presenza dei vostri genitori parenti e amici, giunti a Roma per partecipare a questi giorni di festa, esprime non soltanto il legame di molti cattolici svizzeri alla Santa Sede, ma anche l’insegnamento, l’educazione morale e il buon esempio, mediante i quali i genitori hanno trasmesso ai figli la fede cristiana e il senso del servizio disinteressato.

La giornata odierna costituisce l’occasione per volgere uno sguardo al glorioso passato della Guardia Svizzera Pontificia. Penso in particolare all’evento - ricordato più volte perché è fondamentale nella vostra storia - del famoso “Sacco di Roma” che vide le guardie svizzere impegnate nella strenua difesa del Papa, fino a dare la vita per lui. Il ricordo di quel saccheggio terreno deve far riflettere che esiste anche la minaccia di un saccheggio più pericoloso, quello che potremmo definire spirituale. Nell’odierno contesto sociale molti giovani rischiano, infatti, di cadere in un impoverimento progressivo dell’anima, poiché inseguono ideali e prospettive di vita superficiali, che colmano solo bisogni ed esigenze materiali. Fate in modo che la vostra permanenza a Roma costituisca un tempo propizio per sfruttare al meglio le molte possibilità che questa città vi offre per dare un senso sempre più solido e profondo alla vostra vita. Essa è ricca di storia, di cultura e di fede; cogliete pertanto le opportunità che vi vengono date per ampliare il vostro orizzonte culturale, linguistico e, soprattutto, spirituale. Il periodo che trascorrerete nella “Città eterna” sarà un momento eccezionale nella vostra esistenza: vivetelo con spirito di sincera fratellanza, aiutandovi gli uni gli altri a condurre una vita esemplarmente cristiana, che corrisponda alla vostra fede e alla vostra peculiare missione nella Chiesa.]


[Quando alcuni di voi oggi giureranno di svolgere fedelmente il servizio nella Guardia Svizzera Pontificia e altri rinnoveranno questo giuramento nel loro cuore, pensate al volto luminoso di Cristo, che vi chiama ad essere autentici uomini e veri cristiani, protagonisti della vostra esistenza. La sua passione, morte e risurrezione sono un eloquente richiamo ad affrontare con consapevole maturità gli ostacoli e le sfide della vita, ben sapendo, come ci ha ricordato la Liturgia nel corso della Veglia pasquale, che il Signore risorto è "Re eterno che ha vinto le tenebre del mondo". Lui solo è la Verità, la Via e la Vita. Lui deve diventare ogni giorno di più il parametro della nostra vita e del nostro comportamento, così come Lui ha scelto la piena e totale fedeltà alla missione di salvezza affidatagli dal Padre come misura e fulcro della sua vita. Il Signore, cari giovani, cammina con voi, vi sorregge, vi incoraggia a seguirLo nella stessa fedeltà: vi auguro di cuore di sentire sempre la gioia e la consolazione della sua presenza luminosa e corroborante.

Questo incontro, mi offre l’opportunità di manifestare alle nuove reclute la mia profonda gratitudine per la scelta di mettersi, per un periodo di tempo, a disposizione del Successore di Pietro e di contribuire così a garantire l’ordine necessario e la sicurezza all’interno della Città del Vaticano. Colgo volentieri l’occasione per estendere altresì l’espressione della mia riconoscenza all’intero Corpo della Guardia Svizzera Pontificia, chiamato a svolgere, fra i diversi compiti, quello di accogliere con cortesia e con gentilezza i pellegrini e i visitatori del Vaticano. Quest’opera di sorveglianza, che voi svolgete con diligenza, amore e sollecitudine è certamente considerevole e delicata: essa richiede a volte non poca pazienza, perseveranza e disponibilità all’ascolto.]

Cari amici, il vostro servizio è quanto mai utile al tranquillo e sicuro svolgimento della vita quotidiana e delle manifestazioni spirituali e religiose della Città del Vaticano. La vostra significativa presenza nel cuore della cristianità, dove folle di fedeli giungono senza sosta per incontrare il Successore di Pietro e per visitare le tombe degli Apostoli, susciti sempre più in ciascuno di voi il proposito di intensificare la dimensione spirituale della vita, come pure l’impegno ad approfondire la vostra fede cristiana, testimoniandola gioiosamente con una coerente condotta di vita. Vi assicuro la mia fervida preghiera e di cuore imparto a ciascuno di voi ed a quanti vi fanno corona in questa singolare circostanza la Benedizione Apostolica.




VISITA PASTORALE AD AQUILEIA E VENEZIA



INCONTRO CON LA CITTADINANZA SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Piazza Capitolo - Aquileia Sabato, 7 maggio 2011

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Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia giungo a voi, figli ed eredi dell’illustre Chiesa di Aquileia, e inizio da qui la mia visita alle Chiese di queste Terre. A tutti voi, Pastori e Autorità civili, fedeli delle Diocesi del Triveneto, come pure di quelle di Slovenia, Croazia, Austria e Baviera, rivolgo il mio cordiale saluto. Ringrazio il Sindaco di Aquileia per le sue cortesi parole. I resti archeologici e le mirabili vestigia artistiche, che rendono Aquileia ovunque ben nota, mi invitano in questo momento a riandare alle origini di questa Città, che sorse nel 181 e prosperò nei secoli successivi, come canta il Vescovo poeta Paolino: “… bella, illustre, splendida di palazzi, famosa per le mura e più ancora per le innumerevoli folle dei tuoi cittadini. Tutte le città della Venezia ti erano soggette e ti avevano fatto loro capitale e metropoli, essendo tu fiorente per il tuo clero, e splendida per le chiese, che avevi dedicato a Cristo” (Poetae Latini aevi Carolini, in M.G.H., 1881, p. 142). Aquileia nacque e si sviluppò nel pieno della potenza dell’Impero, porta tra Oriente e Occidente, luogo di presidio e di scambi economici e culturali.

Ma era altra la gloria di Aquileia! Infatti, ci dice san Paolo, Dio non ha scelto ciò che è nobile e potente, ma ciò che per il mondo è debole e stolto (cfr
1Co 1,27-28). Nella lontana provincia di Siria, al tempo di Cesare Augusto, era sorto Colui che veniva a rischiarare gli uomini con la luce della Verità, Gesù, figlio di Maria, Figlio consostanziale ed eterno del Padre, rivelatore dell’intramontabile impero di Dio sugli uomini, del suo disegno di comunione per tutti i popoli; Colui che con la sua morte di croce, subita per mano dell’Impero, instaurerà il vero regno di giustizia, d’amore e di pace, dando agli uomini che lo accolgono “il potere di diventare figli di Dio” (Jn 1,12). Da Gerusalemme, attraverso la Chiesa di Alessandria, giunse anche qui il Lieto Annuncio della salvezza di Cristo. Giunse in questa Regione romana il seme della grande speranza. Quella di Aquileia divenne ben presto, nella Decima Regio dell’Impero, una Comunità di martiri, di eroici testimoni della fede nel Risorto, seme di altri discepoli e di altre comunità. La grandezza di Aquileia, allora, non fu solo di essere la nona città dell’Impero e la quarta dell’Italia, ma anche quella di essere una Chiesa viva, esemplare, capace di autentico annuncio evangelico, coraggiosamente diffuso nelle regioni circostanti e per secoli conservato e alimentato. Pertanto, io rendo omaggio a questa terra benedetta, irrorata dal sangue e dal sacrificio di tanti testimoni, e prego i santi Martiri aquileiesi di suscitare anche oggi nella Chiesa discepoli di Cristo coraggiosi e fedeli, votati solo a Lui e perciò convinti e convincenti.

La libertà di culto concessa nel IV° secolo al cristianesimo non fece altro che estendere il raggio d’azione della Chiesa di Aquileia, allargandolo oltre i naturali confini della Venetia et Histria fino alla Retia, al Norico, alle ampie Regioni danubiane, alla Pannonia, alla Savia. Andò così formandosi la provincia ecclesiastica metropolitana di Aquileia, a cui Vescovi di Chiese assai lontane offrivano la loro obbedienza, ne accoglievano la professione di fede, si stringevano ad essa nei vincoli indissolubili della comunione ecclesiale, liturgica, disciplinare e perfino architettonica. Aquileia era il cuore pulsante in questa Regione, sotto la guida dotta ed intrepida di santi Pastori, che la difesero contro il dilagare dell’arianesimo. Fra tutti, ricordo Cromazio - sul quale già mi soffermai nella Catechesi del 5 dicembre 2007 -, Vescovo premuroso ed operoso come Agostino ad Ippona, come Ambrogio a Milano, “santissimo e dottissimo fra i Vescovi”, come lo definì Girolamo. Ciò che fece grande la Chiesa che Cromazio amò e servì, fu la sua professione di fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Commentando il racconto evangelico della donna che profuma dapprima i piedi, quindi il capo di Gesù, egli afferma: “I piedi di Cristo indicano il mistero della sua incarnazione per cui si è degnato di nascere da una vergine in questi ultimi tempi; il capo, al contrario indica la gloria della sua divinità nella quale procede dal Padre prima di tutti i tempi…. Ciò significa che dobbiamo credere due cose di Cristo: che è Dio e che è uomo, Dio generato dal Padre, uomo nato da una vergine… Non possiamo essere salvati altrimenti, se non crediamo queste due cose di Cristo” (Cromazio di Aquileia, Catechesi al popolo, Città Nuova, 1989, p. 93).

Cari fratelli, figli ed eredi della gloriosa Chiesa di Aquileia, oggi sono in mezzo a voi per ammirare questa ricca e antica tradizione, ma soprattutto per confermarvi nella fede profonda dei vostri Padri: in quest’ora della storia riscoprite, difendete, professate con calore spirituale questa verità fondamentale. Solo da Cristo, infatti, l’umanità può ricevere speranza e futuro; solo da Lui può attingere il significato e la forza del perdono, della giustizia, della pace. Tenete sempre vive, con coraggio, la fede e le opere delle vostre origini! Siate nelle vostre Chiese e in seno alla società “quasi beatorum chorus”, come affermava Girolamo del clero di Aquileia, per l’unità della fede, lo studio della Parola, l’amore fraterno, l’armonia gioiosa e pluriforme della testimonianza ecclesiale. Vi invito a farvi sempre di nuovo discepoli del Vangelo, per tradurlo in fervore spirituale, chiarezza di fede, sincera carità, pronta sensibilità per i poveri: possiate plasmare la vostra vita secondo quel “sermo rusticus”, di cui ancora parlava Girolamo riferendosi alla qualità evangelica della comunità Aquileiese. Siate assidui alla “mangiatoia”, come diceva Cromazio, cioè all’altare, dove il nutrimento è Cristo stesso, Pane di vita, forza nelle persecuzioni, alimento che rincuora in ogni sfiducia e debolezza, cibo del coraggio e dell’ardore cristiano. Il ricordo della santa Madre Chiesa di Aquileia vi sorregga, vi sproni a nuovi traguardi missionari in questo travagliato periodo storico, vi renda artefici di unità e di comprensione fra i popoli delle vostre terre. Vi protegga sempre nel cammino la Vergine Maria e vi accompagni la mia Benedizione.

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[Cari fratelli e sorelle, il Signore vi benedica e vi doni pace e prosperità!]



[Saluto i fedeli di lingua tedesca. Le antiche radici cristiane delle vostre terre portino frutti abbondanti nelle vostre comunità. Dio vi benedica!]



[Saluto cordialmente tutti i fedeli sloveni! Dio benedica voi e le vostre famiglie!]



[Fratelli e sorelle croati, grazie di essere venuti! Tra un mese mi recherò a Zagabria. Dio vi benedica!]

Grazie per la vostra accoglienza, grazie per la vostra gioia. Grazie.




Discorsi 2005-13 22141