Discorsi 2005-13 29122

35° INCONTRO EUROPEO DEI GIOVANI DI TAIZÉ Piazza San Pietro Sabato, 29 dicembre 2012

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Grazie, caro Fratello Alois, per le Sue parole calorose e piene di affetto. Cari giovani, cari pellegrini della fiducia, benvenuti a Roma!


Siete venuti molto numerosi, da tutta l’Europa e anche da altri continenti, per pregare presso le tombe dei santi Apostoli Pietro e Paolo. In questa città, infatti, entrambi hanno versato il loro sangue per Cristo. La fede che animava questi due grandi Apostoli di Gesù è anche quella che vi ha messi in cammino. Durante l’anno che sta per iniziare, voi vi proponete di liberare le sorgenti della fiducia in Dio per viverne nel quotidiano. Mi rallegro che voi incontriate in tal modo l’intenzione dell’Anno della fede iniziato nel mese di ottobre.

E’ la quarta volta che tenete un Incontro europeo a Roma. In questa occasione, vorrei ripetere le parole che il mio predecessore il Beato Giovanni Paolo II aveva detto ai giovani durante il vostro terzo Incontro a Roma: «Il Papa si sente profondamente impegnato con voi in questo pellegrinaggio di fiducia sulla terra … Anch’io sono chiamato ad essere un pellegrino di fiducia in nome di Cristo» (30 dicembre 1987).

Poco più di 70 anni fa, Fratel Roger ha dato vita alla comunità di Taizé. Questa continua a veder venire a sé migliaia di giovani di tutto il mondo, alla ricerca di un senso per la loro vita, i Fratelli li accolgono nella loro preghiera e offrono ad essi l’occasione di fare l’esperienza di una relazione personale con Dio. Per sostenere questi giovani nel loro cammino verso Cristo, Fratel Roger ebbe l’idea di cominciare un «pellegrinaggio di fiducia sulla terra».

Testimone instancabile del Vangelo della pace e della riconciliazione, animato dal fuoco di un ecumenismo della santità, Fratel Roger ha incoraggiato tutti coloro che passano per Taizé a diventare dei cercatori di comunione. Lo dissi all’indomani della sua morte: «Dovremmo ascoltare dal di dentro il suo ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza verso un ecumenismo veramente interiorizzato e spiritualizzato». Sulle sue orme, siate tutti portatori di questo messaggio di unità. Vi assicuro dell’impegno irrevocabile della Chiesa cattolica a proseguire la ricerca di vie di riconciliazione per giungere all’unità visibile dei cristiani. E questa sera vorrei salutare con affetto tutto particolare quanti tra voi sono ortodossi o protestanti.

Oggi, Cristo vi pone la domanda che rivolse ai suoi discepoli: «Chi sono io per voi?». A tale domanda, Pietro, presso la cui tomba noi ci troviamo in questo momento, rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (
Mt 16,15-16). E tutta la sua vita divenne una risposta concreta a questa domanda. Cristo desidera ricevere anche da ciascuno di voi una risposta che venga non dalla costrizione né dalla paura, ma dalla vostra libertà profonda. Rispondendo a tale domanda la vostra vita troverà il suo senso più forte. Il testo della Lettera di San Giovanni che abbiamo appena ascoltato ci fa capire con grande semplicità in modo sintetico come dare una risposta: «Che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri» (3,23). Avere fede e amare Dio e gli altri! Che cosa c’è di più esaltante? Che cosa di più bello?

Durante questi giorni a Roma, possiate lasciar crescere nei vostri cuori questo sì a Cristo, approfittando specialmente dei lunghi tempi di silenzio che occupano un posto centrale nelle vostre preghiere comunitarie, dopo l’ascolto della Parola di Dio. Questa Parola, dice la Seconda Lettera di Pietro, è «come una lampada che brilla in un luogo oscuro», che voi fate bene a guardare «finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino» (1,19). Voi l’avete capito: se la stella del mattino deve sorgere nei vostri cuori è perché non sempre vi è presente. A volte il male e la sofferenza degli innocenti creano in voi il dubbio e il turbamento. E il sì a Cristo può diventare difficile. Ma questo dubbio non fa di voi dei non credenti! Gesù non ha respinto l’uomo del Vangelo che gridò: «Credo; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24).

Perché in questo combattimento voi non perdiate la fiducia, Dio non vi lascia soli e isolati. Egli dà a tutti noi la gioia e il conforto della comunione della Chiesa. Durante il vostro soggiorno a Roma, grazie specialmente all’accoglienza generosa di tante parrocchie e comunità religiose, voi fate una nuova esperienza di Chiesa. Tornando a casa, nei vostri diversi Paesi, vi invito a scoprire che Dio vi fa corresponsabili della sua Chiesa, in tutta la varietà delle vocazioni. Questa comunione che è il Corpo di Cristo ha bisogno di voi e voi avete in esso tutto il vostro posto. A partire dai vostri doni, da ciò che è specifico di ognuno di voi, lo Spirito Santo plasma e fa vivere questo mistero di comunione che è la Chiesa, al fine di trasmettere la buona novella del Vangelo al mondo di oggi.

Con il silenzio, il canto occupa un posto importante nelle vostre preghiere comunitarie. I canti di Taizé riempiono in questi giorni le basiliche di Roma. Il canto è un sostegno e un’espressione incomparabile della preghiera. Cantando Cristo, voi vi aprite anche al mistero della sua speranza. Non abbiate paura di precedere l’aurora per lodare Dio. Non sarete delusi.

Cari giovani amici, Cristo non vi toglie dal mondo. Vi manda là dove la luce manca, perché la portiate ad altri. Sì, siete tutti chiamati ad essere delle piccole luci per quanti vi circondano. Con la vostra attenzione a una più equa ripartizione dei beni della terra, con l’impegno per la giustizia e per una nuova solidarietà umana, voi aiuterete quanti sono intorno a voi a comprendere meglio come il Vangelo ci conduca al tempo stesso verso Dio e verso gli altri. Così, con la vostra fede, contribuirete a far sorgere la fiducia sulla terra.

Siate pieni di speranza. Dio vi benedica, con i vostri familiari e amici!







IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI DEGLI ECC.MI MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE Sala Regia Lunedì, 7 gennaio 2013

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Eccellenze, Signore e Signori,

Sono lieto di accogliervi come all’inizio di ogni nuovo anno, distinti Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per rivolgervi un personale saluto e augurio; lo estendo volentieri alle care Nazioni che rappresentate e ad esse assicuro il mio costante ricordo e la mia preghiera. Sono particolarmente grato al Decano, Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, e al Vice-Decano, Ambasciatore Jean-Claude Michel, per le deferenti parole che mi hanno rivolto a nome di tutti Voi. In modo speciale desidero, poi, salutare quanti prendono parte per la prima volta a questo incontro. La vostra presenza è un segno significativo e apprezzato dei proficui rapporti che, in tutto il mondo, la Chiesa cattolica intrattiene con le Autorità civili. Si tratta di un dialogo che ha a cuore il bene integrale, spirituale e materiale, di ogni uomo, e mira a promuoverne ovunque la dignità trascendente. Come ho ricordato nell’Allocuzione dell’ultimo Concistoro Ordinario Pubblico per la Creazione di nuovi Cardinali, «la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia cioè tutto l’universo» e con esso ogni popolo, ogni cultura e tradizione. Tale “orientamento” non rappresenta un’ingerenza nella vita delle diverse società, ma serve piuttosto a illuminare la coscienza retta dei loro cittadini e ad invitarli a lavorare per il bene di ogni persona e per il progresso del genere umano. E’ in questa prospettiva, e per favorire una proficua collaborazione tra la Chiesa e lo Stato al servizio del bene comune, che l’anno scorso la Santa Sede ha firmato Accordi bilaterali con il Burundi e con la Guinea Equatoriale e ha ratificato quello con il Montenegro; con lo stesso animo partecipa ai lavori di varie Organizzazioni ed Enti internazionali. Al riguardo, sono lieto che, nello scorso mese di dicembre, sia stata accolta la sua richiesta di diventare Osservatore Extra-Regionale nel Sistema di Integrazione Centroamericana, anche in ragione del contributo che la Chiesa cattolica offre in vari settori delle società di tale Regione. Le visite di diversi Capi di Stato e di Governo che ho ricevuto nel corso dell’anno passato, come pure gli indimenticabili Viaggi apostolici che ho compiuto in Messico, a Cuba e in Libano, sono state occasioni privilegiate per riaffermare l’impegno civico dei cristiani di quei Paesi, come pure per promuovere la dignità della persona umana e i fondamenti della pace.

In questa sede, mi è pure caro menzionare il prezioso lavoro svolto dai Rappresentanti Pontifici nel costante dialogo con i Vostri Governi. In particolare desidero ricordare l’apprezzamento goduto da S.E. Mons. Ambrose Madtha, il Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio che è tragicamente perito un mese fa in un incidente stradale, insieme all’autista che lo accompagnava.

Signore e Signori Ambasciatori,

Il Vangelo di Luca racconta che, nella notte di Natale, i pastori odono i cori angelici che glorificano Dio e annunciano la pace sull’umanità. L’Evangelista sottolinea così la stretta relazione fra Dio e l’anelito profondo dell’uomo di ogni tempo a conoscere la verità, a praticare la giustizia e a vivere nella pace (cfr Giovanni XXIII, Pacem in terris , AAS 55 [1963], 257). Oggi si è indotti talvolta a pensare che la verità, la giustizia e la pace siano utopie e che esse si escludano mutuamente. Conoscere la verità sembra impossibile e gli sforzi per affermarla appaiono sfociare spesso nella violenza. D’altra parte, secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i Popoli, o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In tal caso come si può evitare che la violenza, dichiarata o nascosta, diventi la regola ultima dei rapporti umani? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace.

Alle manifestazioni contemporanee dell’oblio di Dio si possono associare quelle dovute all’ignoranza del suo vero volto, che è la causa di un pernicioso fanatismo di matrice religiosa, che anche nel 2012 ha mietuto vittime in alcuni Paesi qui rappresentati. Come ho avuto modo di dire, si tratta di una falsificazione della religione stessa, la quale, invece, mira a riconciliare l’uomo con Dio, a illuminare e purificare le coscienze e a rendere chiaro che ogni uomo è immagine del Creatore. Se, dunque, la glorificazione di Dio e la pace sulla terra sono fra loro strettamente congiunte, appare evidente che la pace è, ad un tempo, dono di Dio e compito dell’uomo, perché esige la sua risposta libera e consapevole.

Per tale ragione ho voluto intitolare l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: Beati gli operatori di pace. E’ anzitutto alle Autorità civili e politiche che incombe la grave responsabilità di operare per la pace. Esse per prime sono chiamate a risolvere i numerosi conflitti che continuano a insanguinare l’umanità, a cominciare da quella Regione privilegiata nel disegno di Dio, che è il Medio Oriente. Penso anzitutto alla Siria, dilaniata da continui massacri e teatro d’immani sofferenze fra la popolazione civile. Rinnovo il mio appello affinché le armi siano deposte e quanto prima prevalga un dialogo costruttivo per porre fine a un conflitto che, se perdura, non vedrà vincitori, ma solo sconfitti, lasciando dietro di sé soltanto una distesa di rovine. Permettetemi, Signore e Signori Ambasciatori, di domandarvi di continuare a sensibilizzare le vostre Autorità, affinché siano forniti con urgenza gli aiuti indispensabili per far fronte alla grave situazione umanitaria. Guardo poi con viva attenzione alla Terra Santa. In seguito al riconoscimento della Palestina quale Stato Osservatore non Membro delle Nazioni Unite, rinnovo l’auspicio che, con il sostegno della comunità internazionale, Israeliani e Palestinesi s’impegnino per una pacifica convivenza nell’ambito di due Stati sovrani, dove il rispetto della giustizia e delle legittime aspirazioni dei due Popoli sia tutelato e garantito. Gerusalemme, diventa ciò che il Tuo nome significa! Città della pace e non della divisione; profezia del Regno di Dio e non messaggio d’instabilità e di contrapposizione!

Rivolgendo poi il pensiero alla cara popolazione irachena, auguro che essa percorra la via della riconciliazione, per giungere alla desiderata stabilità.

In Libano – dove, nello scorso mese di settembre, ho incontrato le sue diverse realtà costitutive - la pluralità delle tradizioni religiose sia una vera ricchezza per il Paese, come pure per tutta la Regione, e i cristiani offrano una testimonianza efficace per la costruzione di un futuro di pace con tutti gli uomini di buona volontà.

Anche in Nord Africa è prioritaria la collaborazione di tutte le componenti della società e a ciascuna deve essere garantita piena cittadinanza, la libertà di professare pubblicamente la propria religione e la possibilità di contribuire al bene comune. A tutti gli Egiziani assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera, in questo periodo in cui si formano nuove istituzioni.

Volgendo lo sguardo all’Africa sub-sahariana, incoraggio gli sforzi per costruire la pace, soprattutto dove rimangono aperte le ferite delle guerre e pesano gravi conseguenze umanitarie. Penso in modo particolare alla Regione del Corno d’Africa, come pure all’Est della Repubblica Democratica del Congo, dove le violenze si sono riacutizzate, obbligando numerose persone ad abbandonare le proprie case, le proprie famiglie e i propri contesti di vita. In pari tempo, non posso ignorare le altre minacce che si affacciano all’orizzonte. A intervalli regolari la Nigeria è teatro di attentati terroristici che mietono vittime, soprattutto tra i fedeli cristiani riuniti in preghiera, quasi che l’odio volesse trasformare dei templi di preghiera e di pace in altrettanti centri di paura e di divisione. Ho provato una grande tristezza nell’apprendere che, perfino nel giorno in cui noi celebriamo il Natale, dei cristiani sono stati uccisi barbaramente. Anche il Mali è dilaniato dalla violenza ed è segnato da una profonda crisi istituzionale e sociale, che deve suscitare un efficace interessamento da parte della comunità internazionale. Nella Repubblica Centrafricana, auspico che i colloqui annunciati per i prossimi giorni riportino la stabilità e risparmino alla popolazione di rivivere gli orrori della guerra civile.

Sempre di nuovo la costruzione della pace passa per la tutela dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali. Tale impegno, seppure con modalità e intensità diverse, interpella tutti i Paesi e deve costantemente essere ispirato dalla dignità trascendente della persona umana e dai principi iscritti nella sua natura. Fra questi figura in primo piano il rispetto della vita umana, in ogni sua fase. Mi sono pertanto rallegrato che una Risoluzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, nel gennaio dello scorso anno, abbia chiesto la proibizione dell’eutanasia, intesa come uccisione volontaria, per atto o omissione, di un essere umano in condizioni di dipendenza. Allo stesso tempo, constato con tristezza che, in diversi Paesi, anche di tradizione cristiana, si è lavorato per introdurre o ampliare legislazioni che depenalizzano o liberalizzano l’aborto. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale. Nell’affermare ciò la Chiesa cattolica non intende mancare di comprensione e di benevolenza, anche verso la madre. Si tratta, piuttosto, di vigilare affinché la legge non giunga ad alterare ingiustamente l’equilibrio fra l’eguale diritto alla vita della madre e del figlio non nato. In questo campo, la recente decisione della Corte Interamericana dei Diritti Umani relativa alla fecondazione in vitro, che ridefinisce arbitrariamente il momento del concepimento e indebolisce la difesa della vita prenatale, è ugualmente fonte di preoccupazione.

Purtroppo, soprattutto nell’Occidente, vi sono numerosi equivoci sul significato dei diritti umani e dei doveri ad essi correlati. Non di rado i diritti sono confusi con esacerbate manifestazioni di autonomia della persona, che diventa autoreferenziale, non più aperta all’incontro con Dio e con gli altri, ma ripiegata su se stessa nel tentativo di soddisfare i propri bisogni. Per essere autentica, la difesa dei diritti deve, al contrario, considerare l’uomo nella sua integralità personale e comunitaria.

Proseguendo nella nostra riflessione, vale la pena di sottolineare come l’educazione sia un’altra via privilegiata per la costruzione della pace. Ce lo insegna, fra l’altro, l’odierna crisi economica e finanziaria. Essa si è sviluppata perché troppo spesso è stato assolutizzato il profitto, a scapito del lavoro, e ci si è avventurati senza freni sulle strade dell’economia finanziaria, piuttosto che di quella reale. Occorre dunque recuperare il senso del lavoro e di un profitto ad esso proporzionato. A tal fine, giova educare a resistere alle tentazioni degli interessi particolari e a breve termine, per orientarsi piuttosto in direzione del bene comune. Inoltre, è urgente formare i leaders, che, in futuro, guideranno le istituzioni pubbliche nazionali ed internazionali (cfr Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2012, 6). Anche l’Unione Europea ha bisogno di Rappresentanti lungimiranti e qualificati, per compiere le scelte difficili che sono necessarie per risanare la sua economia e porre basi solide per il suo sviluppo. Da soli alcuni Paesi andranno forse più veloci, ma, insieme, tutti andranno certamente più lontano! Se preoccupa l’indice differenziale tra i tassi finanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti differenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri. Si tratta, insomma, di non rassegnarsi allo “spread del benessere sociale”, mentre si combatte quello della finanza.

Investire nell’educazione nei Paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina significa aiutarli a vincere la povertà e le malattie, come pure a realizzare sistemi di diritto equi e rispettosi della dignità umana. E’ chiaro che, per affermare la giustizia, non bastano buoni modelli economici, per quanto essi siano necessari. La giustizia si realizza soltanto se ci sono persone giuste! Costruire la pace significa pertanto educare gli individui a combattere la corruzione, la criminalità, la produzione ed il traffico della droga, nonché ad evitare divisioni e tensioni, che rischiano di sfibrare la società, ostacolandone lo sviluppo e la pacifica convivenza.

Continuando la nostra odierna conversazione, vorrei aggiungere che la pace sociale è messa in pericolo anche da alcuni attentati alla libertà religiosa: talvolta si tratta di marginalizzazioni della religione nella vita sociale; in altri casi di intolleranza, o persino di violenza nei confronti di persone, di simboli identitari e di istituzioni religiose. Capita anche che ai credenti - e ai cristiani in modo particolare - sia impedito di contribuire al bene comune con le loro istituzioni educative ed assistenziali. Per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa è poi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà tocca dei principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella dignità stessa della persona umana. Essi sono come i “muri portanti” di ogni società che voglia essere veramente libera e democratica. Pertanto, vietare l’obiezione di coscienza individuale ed istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, paradossalmente aprirebbe invece le porte proprio all’intolleranza e al livellamento forzato.

Inoltre, in un mondo dai confini sempre più aperti, costruire la pace mediante il dialogo non è una scelta, ma una necessità! In questa prospettiva la Dichiarazione congiunta tra il Presidente della Conferenza Episcopale Polacca e il Patriarca di Mosca, firmata nello scorso mese di agosto, è un segno forte dato dai credenti per favorire i rapporti fra il Popolo russo e il Popolo polacco. Parimenti, desidero menzionare l’accordo di pace recentemente raggiunto nelle Filippine e, in modo particolare, sottolineare il ruolo del dialogo tra le religioni per una convivenza pacifica nella regione di Mindanao.

Eccellenze, Signore e Signori,

al termine dell’Enciclica Pacem in terris, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario, il mio Predecessore Beato Giovanni XXIII, ricordava che la pace rimane «solo suono di parole» se non è vivificata e integrata dalla carità (AAS 55 [1963], 303). Dunque, quest’ultima è al cuore dell’azione diplomatica della Santa Sede e, prima ancora, della sollecitudine del Successore di Pietro e di tutta la Chiesa cattolica. La carità non sostituisce la giustizia negata, ma d’altra parte la giustizia non supplisce la carità rifiutata. La Chiesa pratica quotidianamente la carità nelle opere assistenziali, quali ospedali e dispensari, ed educative, quali orfanotrofi, scuole, collegi, università, nonché con l’assistenza fornita alle popolazioni in difficoltà, specialmente durante e dopo i conflitti. In nome della carità la Chiesa vuol’essere vicina anche a quanti soffrono a causa delle calamità naturali. Penso alle vittime delle inondazioni nel Sud-Est asiatico e dell’uragano che ha colpito la costa orientale degli Stati Uniti d’America. Penso anche a coloro che hanno subito il forte terremoto, che ha devastato alcune Regioni dell’Italia settentrionale. Come sapete, ho voluto recarmi personalmente in questi luoghi, dove ho potuto constatare l’ardente desiderio con cui s’intende ricostruire ciò che è andato distrutto. Auspico che, in questo momento della sua storia, tale spirito di tenacia e di impegno condiviso animi tutta la diletta Nazione italiana.

Concludendo il nostro incontro, vorrei ricordare che al termine del Concilio Vaticano II – inaugurato proprio cinquant’anni or sono – il Venerabile Papa Paolo VI indirizzò alcuni Messaggi che sono sempre di attualità, uno dei quali destinato a tutti i Governanti. Li esortò in questi termini: «Tocca a voi essere sulla terra i promotori dell’ordine e della pace tra gli uomini. Ma non lo dimenticate: è Dio (…) il grande artefice dell’ordine e della pace sulla terra» (Messaggio ai Governanti, 8 dicembre 1965, 3). Oggi faccio mie queste considerazioni, nel formulare a Voi, Signore e Signori Ambasciatori e distinti Membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie e ai Vostri Collaboratori, i più fervidi auguri per il Nuovo Anno. Grazie!


AL CORPO DELLA GENDARMERIA VATICANA Sala Clementina Venerdì, 11 gennaio 2013

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Signor Comandante,
Cari Dirigenti, Commissari e Ispettori,
Cari Gendarmi e Vigili del Fuoco!

Sono molto lieto di accogliervi oggi nel Palazzo Apostolico e di dedicare questo momento a tutti voi, che quotidianamente siete al servizio del Successore di Pietro, offrendo con encomiabile disponibilità la vostra preziosa opera diurna e notturna nello Stato della Città del Vaticano. Vi saluto con viva cordialità, ad iniziare dal Comandante dott. Domenico Giani, che ringrazio per le parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti, delineando gli intendimenti che orientano il vostro impegno. Rivolgo il mio grato pensiero al Cardinale Giuseppe Bertello e al Vescovo Mons. Giuseppe Sciacca, rispettivamente Presidente e Segretario Generale del Governatorato, che non lasciano mancare al Corpo della Gendarmeria e a quello dei Vigili del Fuoco il necessario sostegno. Saluto cordialmente il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, ringraziandolo per la sua presenza a questo incontro. Una parola di apprezzamento dirigo anche a padre Gioele Schiavella e a don Sergio Pellini, per il loro ministero in favore della crescita spirituale dell’intero Corpo della Gendarmeria.

Un saluto quanto mai affettuoso ad ognuno di voi, cari Gendarmi! Questa circostanza mi offre l’opportunità di esprimervi con intensità di sentimenti la mia stima, il mio vivo incoraggiamento e soprattutto la mia profonda riconoscenza per il generoso lavoro che svolgete con discrezione, competenza ed efficienza e non senza sacrificio. Quasi ogni giorno ho l’opportunità di incontrare qualcuno di voi nei vari posti di servizio e di constatare di persona la vostra professionalità nel collaborare a garantire la sorveglianza al Papa, come anche il necessario ordine e la sicurezza di quanti risiedono nello Stato o di coloro che prendono parte alle celebrazioni e agli incontri che si svolgono in Vaticano.

Il Corpo della Gendarmeria è chiamato a svolgere, fra i diversi compiti, quello di accogliere con cortesia e con gentilezza i pellegrini e i visitatori del Vaticano, che giungono da Roma, dall’Italia e da ogni parte del mondo. Quest’opera di vigilanza e di controllo, che voi svolgete con diligenza e sollecitudine, è certamente considerevole e delicata: essa richiede a volte non poca pazienza, perseveranza e disponibilità all’ascolto. Si tratta di un servizio quanto mai utile al tranquillo e sicuro svolgimento della vita quotidiana e delle manifestazioni religiose della Città del Vaticano.

In ogni pellegrino o visitatore, sappiate vedere il volto di un fratello che Dio pone sulla vostra strada; pertanto accoglietelo con gentilezza e aiutatelo, sentendolo parte della grande famiglia umana. Come ho scritto nel Messaggio per la recente celebrazione della Giornata Mondiale della Pace: «La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un “noi” comunitario ... La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui» (n.3).

La vostra attività sarà tanto più efficace per la Santa Sede e arricchente per voi, quanto più si potrà svolgere in un contesto di serenità e di armonia. A tale proposito, è necessario che i Gendarmi che garantiscono da lungo tempo il loro servizio in seno al Corpo e i responsabili del Comando, favoriscano sempre più rapporti di fiducia in grado di sostenere e di incoraggiare tutti i membri della Gendarmeria Vaticana, anche nei momenti difficili.

Cari amici Gendarmi e Vigili del Fuoco, la vostra peculiare presenza nel cuore della cristianità, dove folle di fedeli giungono senza sosta per incontrare il Successore di Pietro e per visitare le tombe degli Apostoli, susciti sempre più in ciascuno di voi il proposito di intensificare la dimensione spirituale della vita, come pure l’impegno ad approfondire la vostra fede cristiana, testimoniandola coraggiosamente in ogni ambiente con una coerente condotta di vita. A tale scopo, vi è di aiuto l’Anno della fede che stiamo celebrando: esso costituisce un’occasione privilegiata per riscoprire quanta gioia c’è nel credere e nel comunicare agli altri che l’incontro salvifico e liberante con Dio realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore.

Nei giorni scorsi la liturgia ci ha invitato a contemplare Gesù che si è fatto uomo ed è venuto tra noi. Egli è la luce che illumina e dà senso alla nostra esistenza; è il Redentore che reca al mondo la pace. Contempliamo la Vergine Santissima mentre lo tiene tra le braccia, quale madre premurosa, per donarlo a tutti gli uomini, e accogliamolo con fiducia e gioia! Come Maria, anche noi guardiamo con attenzione e custodiamo nel cuore le grandi cose che Dio compie ogni giorno nella storia. Impareremo così a riconoscere, nella trama della vita quotidiana, l’intervento costante della divina Provvidenza, che tutto guida con saggezza e amore.

Cari amici, rinnovo a tutti voi il grazie più sincero e affettuoso per la vostra collaborazione; possa questo vostro generoso e apprezzato servizio essere abbondantemente ricompensato dal Signore. A Lui rivolgo la mia preghiera, affinché vi aiuti a svolgere la vostra professione, fedeli sempre a quegli ideali che essa richiede. Più saldi sono i principi morali che vi ispirano, più autorevoli saranno i vostri interventi. Continuate ad agire sempre con tale spirito. Vi proteggano e sostengano nelle giuste aspirazioni che nutrite i vostri celesti patroni, l’Arcangelo San Michele e Santa Barbara; vi sia di conforto e di incoraggiamento la mia costante benevolenza; e vi accompagni la speciale Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi e alle vostre famiglie.







SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI DIRIGENTI E AL PERSONALE DELL'ISPETTORATO DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO Sala Clementina Lunedì, 14 gennaio 2013

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Illustri Signori,
Cari Funzionari e Agenti!

Sono molto lieto di rinnovare questo incontro ormai tradizionale, per il vicendevole scambio di auguri all’inizio del nuovo anno. Il mio saluto e i miei auguri vanno anzitutto al dottor Enrico Avola, nominato da poco Dirigente Generale, che ringrazio per le parole che mi ha poc’anzi rivolto, come pure al Prefetto Salvatore Festa. Con uguale affetto, saluto gli altri componenti e collaboratori dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano.

Desidero prima di tutto esprimere il sentimento della mia riconoscenza per il servizio che svolgete con dedizione e riconosciuta professionalità in Piazza San Pietro e nella zona adiacente al Vaticano per la necessaria tutela dell’ordine pubblico. In particolare, penso alla vostra opera durante le manifestazioni dei fedeli e dei pellegrini, che giungono da tutto il mondo per incontrare il Successore di Pietro e per visitare la tomba del Principe degli Apostoli, come pure per pregare su quelle dei miei venerati Predecessori, in particolare del beato Giovanni Paolo II.

Il vostro impegno si estende anche in occasione delle mie visite pastorali in Roma e nei miei viaggi apostolici in Italia. In questa circostanza intendo manifestare ancora una volta la mia stima e sottolineare il mio sentito apprezzamento per il modo e lo spirito che animano il vostro servizio, vigile e qualificato. Uno stile che, mentre fa onore alla vostra identità di funzionari dello Stato Italiano e di membri della Chiesa, attesta altresì le buone relazioni che esistono fra l’Italia e la Sede Apostolica.

Ho ascoltato con interesse le parole del vostro Dirigente, il quale, a nome di voi tutti, ha voluto rendersi interprete dei sentimenti, degli ideali, dei propositi che ispirano la vostra vita e il vostro comportamento nell’impegno quotidiano. Auspico di cuore che la vostra fatica, compiuta non di rado con sacrificio e rischi, sia sempre animata da una salda fede cristiana, che è indubbiamente il più prezioso tesoro e valore spirituale, che le vostre famiglie vi hanno affidato e che voi siete chiamati a trasmetterete ai vostri figli. L’Anno della fede, che la Chiesa intera sta vivendo, è un’opportunità anche per voi di riandare al messaggio del Vangelo e farlo entrare in modo più profondo nelle vostre coscienze e nella vita quotidiana, testimoniando coraggiosamente l’amore di Dio in ogni ambiente, anche in quello del vostro lavoro.

Nel Messaggio in occasione della recente Giornata Mondiale della Pace, ho sottolineato come «le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata» (n. 1). Sia la vostra presenza, cari amici, una garanzia sempre più valida di quel buon ordine e di quella tranquillità, che sono fondamentali per costruire una vita sociale pacifica e composta, e che, oltre a esserci insegnati dal messaggio evangelico, sono segno di autentica civiltà.

Con questi auspici, desidero porgere i miei auguri per il nuovo anno anche ai vostri familiari, che raccomando tutti alla materna protezione della Vergine Santissima, affinché interceda presso il suo Figlio divino per ottenervi prosperità, pace, concordia e per custodirvi da ogni pericolo. Vi accompagni anche la Benedizione Apostolica che di cuore imparto a tutti voi.



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