Discorsi 2005-13 25111

ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI Sala Clementina Venerdì, 25 novembre 2011

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrare tutti voi, membri e consultori del Pontificio Consiglio per i Laici, riuniti per la XXV Assemblea Plenaria. Saluto in modo particolare il Cardinale Stanislaw Rylko e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto, come pure Mons. Josef Clemens, Segretario. Un cordiale benvenuto rivolgo a tutti, in modo speciale ai fedeli laici, donne e uomini, che compongono il Dicastero. Il periodo trascorso dall’ultima Assemblea plenaria vi ha visti impegnati in varie iniziative, già menzionate da sua eminenza. Vorrei anch’io ricordare il Congresso per i fedeli laici dell’Asia e la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Sono stati momenti molto intensi di fede e di vita ecclesiale, importanti anche nella prospettiva dei grandi eventi ecclesiali che celebreremo l’anno prossimo: la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione e l’apertura dell’Anno della fede.

Il Congresso per i laici dell’Asia è stato organizzato l’anno scorso a Seoul, con l’aiuto della Chiesa in Corea, sul tema «Proclaiming Jesus Christ in Asia Today». Il vastissimo continente asiatico ospita popoli, culture e religioni diversi, di antica origine, ma l’annuncio cristiano ha raggiunto sinora soltanto una piccola minoranza, che non di rado - come lei ha detto eminenza - vive la fede in un contesto difficile, a volte anche di vera persecuzione. Il convegno ha offerto l’occasione ai fedeli laici, alle associazioni, ai movimenti e alle nuove comunità che operano in Asia, di rafforzare l’impegno e il coraggio per la missione. Questi nostri fratelli testimoniano in modo ammirevole la loro adesione a Cristo, lasciando intravedere come in Asia, grazie alla loro fede, si stiano aprendo per la Chiesa del terzo millennio vasti scenari di evangelizzazione. Apprezzo che il Pontificio Consiglio per i Laici stia organizzando un analogo Congresso per i laici dell’Africa, previsto in Camerun l’anno prossimo. Tali incontri continentali sono preziosi per dare impulso all’opera di evangelizzazione, per rafforzare l’unità e rendere sempre più saldi i legami tra Chiese particolari e Chiesa universale.

Vorrei inoltre attirare l’attenzione sull’ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Il tema, come sappiamo, era la fede: «Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (cfr
Col 2,7). E davvero ho potuto contemplare una moltitudine immensa di giovani, convenuti entusiasti da tutto il mondo per incontrare il Signore e vivere la fraternità universale. Una straordinaria cascata di luce, di gioia e di speranza ha illuminato Madrid, e non solo Madrid, ma anche la vecchia Europa e il mondo intero, riproponendo in modo chiaro l’attualità della ricerca di Dio. Nessuno è potuto rimanere indifferente, nessuno ha potuto pensare che la questione di Dio sia irrilevante per l’uomo di oggi. I giovani del mondo intero attendono con ansia di poter celebrare le Giornate Mondiali a loro dedicate, e so che già siete al lavoro per l’appuntamento a Rio de Janeiro nel 2013.

A tale proposito, mi sembra particolarmente importante aver voluto affrontare quest’anno, nell’Assemblea Plenaria, il tema di Dio: «La questione di Dio oggi». Non dovremmo mai stancarci di riproporre tale domanda, di “ricominciare da Dio”, per ridare all’uomo la totalità delle sue dimensioni, la sua piena dignità. Infatti, una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo, rinunciando a ogni riferimento al trascendente, si è dimostrata incapace di comprendere e preservare l’umano. La diffusione di questa mentalità ha generato la crisi che viviamo oggi, che è crisi di significato e di valori, prima che crisi economica e sociale. L’uomo che cerca di esistere soltanto positivisticamente, nel calcolabile e nel misurabile, alla fine rimane soffocato. In questo quadro, la questione di Dio è, in un certo senso, «la questione delle questioni». Essa ci riporta alle domande di fondo dell’uomo, alle aspirazioni di verità, di felicità e di libertà insite nel suo cuore, che cercano una realizzazione. L’uomo che risveglia in sé la domanda su Dio si apre alla speranza, ad una speranza affidabile, per cui vale la pena di affrontare la fatica del cammino nel presente (cfr Spe salvi ).

Ma come risvegliare la domanda di Dio, perché sia la questione fondamentale? Cari amici, se è vero che «all’inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona» (Deus caritas est ), la domanda su Dio è risvegliata dall’incontro con chi ha il dono della fede, con chi ha un rapporto vitale con il Signore. Dio viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l’ha incontrato. Qui il vostro ruolo di fedeli laici è particolarmente importante. Come osserva la Christifideles laici, è questa la vostra specifica vocazione: nella missione della Chiesa «…un posto particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro “indole secolare”, che li impegna, con modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale» (n. 36). Siete chiamati a offrire una testimonianza trasparente della rilevanza della questione di Dio in ogni campo del pensare e dell’agire. Nella famiglia, nel lavoro, come nella politica e nell’economia, l’uomo contemporaneo ha bisogno di vedere con i propri occhi e di toccare con mano come con Dio o senza Dio tutto cambia.

Ma la sfida di una mentalità chiusa al trascendente obbliga anche gli stessi cristiani a tornare in modo più deciso alla centralità di Dio. A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte. In realtà i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle «malattie» del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo. Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto ecclesiale. Quante volte, nonostante il definirsi cristiani, Dio di fatto non è il punto di riferimento centrale nel modo di pensare e di agire, nelle scelte fondamentali della vita. La prima risposta alla grande sfida del nostro tempo sta allora nella profonda conversione del nostro cuore, perché il Battesimo che ci ha resi luce del mondo e sale della terra possa veramente trasformarci.

Cari amici, la missione della Chiesa ha bisogno dell’apporto di tutti i suoi membri e di ciascuno, specialmente dei fedeli laici. Negli ambienti di vita in cui il Signore vi ha chiamati, siate testimoni coraggiosi del Dio di Gesù Cristo, vivendo il vostro Battesimo. Per questo vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre di tutti i popoli, e di cuore imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica. Grazie.




AL GRUPPO DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 26 novembre 2011

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Cari Fratelli Vescovi,

saluto con affetto nel Signore tutti voi e, attraverso di voi, i Vescovi degli Stati Uniti che nel corso del prossimo anno effettueranno le loro visite ad limina Apostolorum.

I nostri incontri sono i primi dopo la mia visita pastorale del 2008 nel vostro Paese che intendeva incoraggiare i cattolici d’America sulla scia dello scandalo e del disorientamento causato dalla crisi scatenata dagli abusi sessuali negli ultimi decenni. Ho voluto riconoscere personalmente la sofferenza inflitta alle vittime e gli sforzi onesti compiuti per garantire l’incolumità dei nostri bambini e per affrontare in modo appropriato e trasparente le accuse quando vengono mosse. Auspico che gli sforzi coscienziosi della Chiesa per affrontare questa realtà aiuteranno tutta la comunità a riconoscere le cause, la vera portata e le conseguenze devastanti dell’abuso sessuale e a rispondere con efficacia a questa piaga che affligge tutti i livelli della società. Per lo stesso motivo, proprio come la Chiesa si attiene giustamente a parametri precisi a questo proposito, tutte le altre istituzioni, senza eccezioni, dovrebbero attenersi agli stessi criteri.

Un secondo obiettivo, ugualmente importante, della mia visita pastorale è stato quello di esortare la Chiesa in America a riconoscere, alla luce di un panorama religioso e sociale che sta cambiando in modo clamoroso, l’urgenza e le esigenze di una nuova evangelizzazione. In continuità con questo obiettivo, nei prossimi mesi intendo sottoporre alla vostra attenzione un certo numero di riflessioni che confido troverete utili per il discernimento che siete chiamati a operare nel vostro compito di guidare la Chiesa nel futuro che Cristo sta preparando per noi.

Molti di voi hanno condiviso con me la preoccupazione per le gravi sfide a una testimonianza coerente presentate da una società sempre più secolarizzata. Tuttavia, considero significativo che vi sia anche un maggiore senso di preoccupazione da parte di molti uomini e di molte donne, indipendentemente dalle loro opinioni religiose o politiche, per il futuro delle nostre società democratiche. Osservano un crollo preoccupante delle fondamenta intellettuali, culturali e morali della vita sociale, e un senso crescente di spaesamento e di insicurezza, in particolare fra i giovani, di fronte agli ampi cambiamenti sociali. Nonostante i tentativi di tacitare la voce della Chiesa nella pubblica arena, molte persone di buona volontà continuano a guardare a essa per trarne saggezza, discernimento e sana guida nell’affrontare questa crisi di vasta portata. Il momento attuale può quindi essere visto, in termini positivi, come una esortazione a mettere in pratica la dimensione profetica del vostro ministero episcopale pronunciandovi, con umiltà ma anche con insistenza, in difesa della verità morale e offrendo una parola di speranza in grado di aprire il cuore e la mente alla verità che rende liberi.

Nello stesso tempo, la gravità delle sfide che la Chiesa in America, sotto la vostra guida, è chiamata ad affrontare nel prossimo futuro non può essere sottovalutata. Gli ostacoli alla fede e alla pratica cristiane posti da una cultura secolarizzata influenzano negativamente anche la vita dei credenti, portando a volte a quel “leggero attrito” da parte della Chiesa che avete sollevato con me durante la mia visita pastorale. Immersi in questa cultura, i credenti sono quotidianamente turbati dalle obiezioni, dalle questioni inquietanti e dal cinismo di una società che sembra aver perso le proprie radici, da un mondo in cui l’amore di Dio è divenuto freddo in così tanti cuori. L’evangelizzazione, quindi, appare non solo come un compito da intraprendere ad extra. Noi stessi siamo i primi ad avere bisogno di rievangelizzazione. Come con tutte le crisi spirituali, sia individuali sia comunitarie, sappiamo che la risposta definitiva può scaturire soltanto da un’autovalutazione rigorosa, critica e costante e da una conversione alla luce della verità della Chiesa. Solo attraverso questo rinnovamento interiore potremo discernere e soddisfare le esigenze spirituali della nostra epoca con la verità eterna del Vangelo.

Qui, non posso non esprimere il mio apprezzamento per il progresso reale che i Vescovi americani hanno fatto, individualmente e come Conferenza, nell’affrontare tali questioni e nel cooperare per elaborare una visione pastorale comune, i cui frutti si possono vedere, per esempio, nei vostri documenti recenti sulla cittadinanza dei fedeli e sull’istituzione del matrimonio. L’importanza di queste espressioni autorevoli della vostra sollecitudine comune per l’autenticità della vita e della testimonianza della Chiesa nel vostro Paese dovrebbe essere evidente a tutti.

In questi giorni, la Chiesa negli Stati Uniti sta elaborando la traduzione riveduta del Messale Romano. Sono grato dei vostri sforzi per garantire che questa nuova traduzione ispiri una catechesi permanente che evidenzi la natura autentica della liturgia e, soprattutto, il valore unico del sacrificio salvifico di Cristo per la redenzione del mondo. Un senso indebolito del significato e dell’importanza del culto cristiano può portare soltanto a un senso indebolito della vocazione specifica ed essenziale del laicato che consiste nel permeare l’ordine temporale di spirito evangelico. L’America ha un’orgogliosa tradizione di rispetto per la domenica. Questa eredità deve essere consolidata come esortazione al servizio del Regno di Dio e al rinnovamento del tessuto sociale secondo la sua verità immutabile.

Alla fine, comunque, il rinnovamento della testimonianza della Chiesa del Vangelo nel vostro Paese è legato in modo essenziale al ripristino di una visione comune e di un senso di missione da parte di tutta la comunità cattolica. So che questa è una preoccupazione vicina al vostro cuore, come rispecchiato dai vostri sforzi volti a incoraggiare la comunicazione, il dibattito e la testimonianza coerente a ogni livello della vita delle vostre chiese locali. Penso in particolare all’importanza delle università cattoliche e ai segni di un senso rinnovato della loro missione ecclesiale, come attestato da dibattiti che celebrano il decimo anniversario della Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae e da iniziative quali il simposio tenutosi di recente presso la Catholic University of America sull’attività intellettuale per la nuova evangelizzazione. I giovani hanno il diritto di ascoltare con chiarezza l’insegnamento della Chiesa e, ancora più importante, di essere inspirati dalla coerenza e dalla bellezza del messaggio cristiano cosicché a loro volta possano infondere nei coetanei un amore profondo per Cristo e per la sua Chiesa.

Cari Fratelli Vescovi, sono consapevole dei problemi numerosi, pressanti e a volte apparentemente irrisolvibili che affrontate ogni giorno nell’esercizio del vostro ministero. Con la fiducia scaturita dalla fede, e con grande affetto, vi offro queste parole di incoraggiamento e affido volentieri voi e il clero, i religiosi e i laici delle vostre Diocesi all’intercessione di Maria Immacolata, patrona degli Stati Uniti. A tutti voi imparto la mia Benedizione Apostolica quale pegno di saggezza, forza e pace nel Signore.




AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI (PER LA PASTORALE DELLA SALUTE) Sala Clementina Sabato, 26 novembre 2011

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Cari fratelli e sorelle!

è motivo di grande gioia incontrarvi in occasione della XXVI Conferenza Internazionale, organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e che ha inteso riflettere sul tema: La Pastorale sanitaria a servizio della vita alla luce del magistero del Beato Giovanni Paolo II. Mi è gradito salutare i Vescovi incaricati per la Pastorale della Salute, che per la prima volta si sono riuniti presso la Tomba dell’Apostolo Pietro per verificare i modi di un’azione collegiale in quest’ambito tanto delicato e importante della missione della Chiesa. Esprimo riconoscenza al Dicastero per il suo prezioso servizio, iniziando dal Presidente, Mons. Zygmunt Zimowski, che ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto, con le quali ha illustrato anche i lavori e le iniziative di questi giorni. Il mio saluto va anche al Segretario e al Sotto-Segretario, entrambi di recente nomina, agli Officiali e al personale, come pure ai relatori e agli esperti, ai responsabili degli Istituti di Cura, agli operatori sanitari, a tutti i presenti e a quanti hanno collaborato per la realizzazione del Convegno.

Sono certo che le vostre riflessioni hanno contribuito ad approfondire il «Vangelo della Vita», preziosa eredità del magistero del beato Giovanni Paolo II. Nel 1985, egli istituì questo Pontificio Consiglio per darne concreta testimonianza nel vasto e articolato ambito della Sanità; vent’anni or sono, stabilì la celebrazione della Giornata Mondiale del Malato; e, da ultimo, costituì la Fondazione «Il Buon Samaritano», come strumento di una nuova azione caritativa verso i malati più poveri in diversi Paesi, Fondazione per la quale faccio appello ad un rinnovato impegno per sostenerla.

Nei lunghi e intensi anni di Pontificato il beato Giovanni Paolo II ha proclamato che il servizio alla persona malata nel corpo e nello spirito costituisce un costante impegno di attenzione e di evangelizzazione per tutta la comunità ecclesiale, secondo il mandato di Gesù ai Dodici di sanare gli infermi (cfr
Lc 9,2). In particolare, nella Lettera apostolica Salvifici doloris, dell’11 febbraio 1984, il mio venerato Predecessore afferma: «La sofferenza sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti, nei quali l’uomo viene in certo senso “destinato” a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso» (n. 2). Il mistero del dolore sembra offuscare il volto di Dio, rendendolo quasi un estraneo o, addirittura, additandolo quale responsabile del soffrire umano, ma gli occhi della fede sono capaci di guardare in profondità questo mistero. Dio si è incarnato, si è fatto vicino all’uomo, anche nelle sue situazioni più difficili; non ha eliminato la sofferenza, ma nel Crocifisso risorto, nel Figlio di Dio che ha patito fino alla morte e alla morte di croce, Egli rivela che il suo amore scende anche nell’abisso più profondo dell’uomo per dargli speranza. Il Crocifisso è risorto, la morte è stata illuminata dal mattino di Pasqua: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Jn 3,16). Nel Figlio «dato» per la salvezza dell’umanità, la verità dell’amore viene, in un certo senso, provata mediante la verità della sofferenza, e la Chiesa, nata dal mistero della Redenzione nella Croce di Cristo, «è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza. In tale incontro l’uomo diventa la via della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti» (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris, 3).

Cari amici, il servizio di accompagnamento, di vicinanza e di cura ai fratelli ammalati, soli, provati spesso da ferite non solo fisiche, ma anche spirituali e morali, vi pone in una posizione privilegiata per testimoniare l’azione salvifica di Dio, il suo amore per l’uomo e per il mondo, che abbraccia anche le situazioni più dolorose e terribili. Il Volto del Salvatore morente sulla croce, del Figlio consostanziale al Padre che soffre come uomo per noi (cfr ibid., 17), ci insegna a custodire e a promuovere la vita, in qualunque stadio e in qualsiasi condizione si trovi, riconoscendo la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26-27) e chiamato alla vita eterna.

Questa visione del dolore e della sofferenza illuminata dalla morte e risurrezione di Cristo ci è stata testimoniata dal lento calvario, che ha segnato gli ultimi anni di vita del beato Giovanni Paolo II e a cui si possono applicare le parole di san Paolo: «do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). La fede ferma e sicura ha pervaso la sua debolezza fisica, rendendo la sua malattia, vissuta per amore di Dio, della Chiesa e del mondo, una concreta partecipazione al cammino di Cristo fin sul Calvario.

La sequela Christi non ha risparmiato al beato Giovanni Paolo II di prendere la propria croce ogni giorno fino alla fine, per essere come il suo unico Maestro e Signore, che dalla Croce è diventato punto di attrazione e di salvezza per l’umanità (cfr Jn 12,32 Jn 19,37) e ha manifestato la sua gloria (cfr Mc 15,39). Nell’Omelia durante la Santa Messa di Beatificazione del mio venerato Predecessore ho ricordato come «il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno» (Omelia, 1° maggio 2011).

Cari amici, facendo tesoro del testamento vissuto dal beato Giovanni Paolo II nella propria carne, auguro che anche voi, nell’esercizio del ministero pastorale e nell’attività professionale, possiate scoprire nell’albero glorioso della Croce di Cristo «il compimento e la rivelazione piena di tutto il Vangelo della vita» (Lett. enc. Evangelium vitae EV 50). Nel servizio che prestate nei diversi ambiti della pastorale della salute, possiate sperimentare che «solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama» (Lett. Enc. Deus Caritas est ).

Affido ciascuno di voi, i malati, le famiglie e tutti gli operatori sanitari alla materna protezione di Maria, e volentieri imparto di cuore a voi tutti la Benedizione Apostolica.



AL CONCERTO OFFERTO DAL GOVERNO DEL PRINCIPATO DELLE ASTURIE Aula Paolo VI Sabato, 26 novembre 2011

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinte Autorità, e cari amici!

Agradezco de corazón al Gobierno del Principado de Asturias y a la Fundación María Cristina Masaveu Peterson, con su Presidente, el Señor Fernando Masaveu, por el espléndido concierto que nos han ofrecido, y que nos ha dado la posibilidad de hacer como un viaje interior, llevados por la música, a través del folclore, los sentimientos y el corazón mismo de España. Un gracias muy especial a la Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, dirigida por el maestro Maximiano Valdés, por la magnífica ejecución con la cual nos ha transmitido también un poco del hondo y rico carácter de la población española, y particularmente asturiana. Y gracias igualmente a todos los que han hecho posible disfrutar de este momento, así como al Señor Arzobispo de Oviedo y a cuantos están aquí presentes en esta significativa ocasión.

Questa sera, per così dire, è stato trasferito in quest’Aula un “pezzo” di Spagna. Abbiamo avuto modo non solo di ascoltare musiche di alcuni tra i più celebri compositori di quella terra, come Manuel de Falla o Isaac Albeniz, ma anche del tedesco Richard Strauss e del russo Nikolai Rimsky-Korsakov, affascinati da quello che, nel libretto di sala, viene definito “more hispano”, cioè la maniera “ispanica” di essere, come pure di comporre e di interpretare la musica. Ed è proprio questo l’elemento che accomuna i pezzi così vari che abbiamo ascoltato; essi hanno una caratteristica di fondo: la capacità di comunicare musicalmente sentimenti, emozioni, anzi direi quasi il tessuto quotidiano della vita. E questo soprattutto perché chi compone “more hispano” è quasi naturalmente portato a fondere in armonia gli elementi del folclore, della canzone popolare, che vengono dal vivere di ogni giorno, con quella che chiamiamo “musica colta”. Ed è un insieme di sentimenti che ci sono stati trasmessi questa sera: la “alegría de vivir”, la gioia di vivere, il clima della festa, che traspare in composizioni come le tre Danze de ”El sombrero de tres picos” di de Falla, o la lotta contro il male descritta nella celebre “Danza ritual del fuego” dello stesso autore; la vita animata dei quartieri delle città, come in “Lavapiés”, da “Iberia” di Albéniz; il dramma di una vita che non trova pace, come quella di don Juan, che non riesce a vivere l’amore in modo autentico e, alla fine, si rende conto del vuoto della sua esistenza; il capolavoro di Strauss ha reso perfettamente il passaggio dall’euforia che anima il brano alla tristezza del vuoto espressa nel mesto finale.

Ma c’è un altro elemento che emerge costantemente nelle composizioni “more hispano” ed è quello religioso di cui è profondamente intrisa la gente della Spagna; lo aveva colto molto bene Rimsky-Korsakov, che nello splendido Capriccio Spagnolo, utilizzando canti e balli folcloristici di Spagna, include vari temi di melodie popolari religiose, come nella prima sezione del pezzo dove si riconosce un’antica invocazione asturiana con cui si chiede la protezione della Vergine Maria e di san Pietro, o il secondo movimento in cui appare un canto gitano alla Madonna. Sono le meraviglie che opera la musica, questo linguaggio universale che ci permette di superare ogni barriera e di entrare nel mondo dell’altro, di una Nazione, di una cultura, e ci permette anche di volgere la mente e il cuore verso l’Altro con la “A” maiuscola, di innalzarci, cioè, al mondo di Dio.

Gracias una vez más al Gobierno de Asturias, a la Fundación, a los profesores de la Orquesta Sinfónica del Principado de Asturias, al maestro Maximiano Valdés, a los organizadores, a los venidos de Asturias y a todos ustedes. Que la Virgen María «que brilla en la altura más bella que el sol, y es Madre y es Reina», como reza el himno a la celestial patrona de esas tierras, les proteja siempre con su maternal ternura.

Auguro a tutti un buon cammino d’Avvento e di cuore vi imparto la mia Benedizione.




AGLI STUDENTI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "SORELLA NATURA" Aula Paolo VI Lunedì, 28 novembre 2011

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Signor Cardinale,
illustri Autorità,
cari ragazzi e giovani!

E’ con grande gioia che do a tutti voi il mio benvenuto a questo incontro dedicato all’impegno per “sorella natura”, per usare il nome della Fondazione che lo ha promosso. Saluto cordialmente il Cardinale Rodríguez Maradiaga e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro e per il dono della preziosa riproduzione del Codice 338, che contiene le fonti francescane più antiche. Saluto il Presidente, Signor Roberto Leoni, come pure le Autorità e Personalità e i numerosi insegnanti e genitori. Ma soprattutto saluto voi, cari ragazzi e ragazze, cari giovani! E’ proprio per voi che ho voluto questo incontro, e vorrei dirvi che apprezzo molto la vostra scelta di essere “custodi del creato”, e che in questo avete il mio appoggio pieno.

Prima di tutto dobbiamo ricordare che la vostra Fondazione e questo stesso incontro hanno una profonda ispirazione francescana. Anche la data odierna è stata scelta per fare memoria della proclamazione di san Francesco d’Assisi quale Patrono dell’ecologia da parte del mio amato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II, nel 1979. Tutti voi sapete che san Francesco è anche Patrono d’Italia. Forse però non sapete che a dichiararlo tale fu il Papa Pio XII, nel 1939, quando lo definì “il più italiano dei santi, il più santo degli italiani”. Se dunque il santo Patrono d’Italia è anche Patrono dell’ecologia, mi pare giusto che le giovani e i giovani italiani abbiano una speciale sensibilità per “sorella natura”, e si diano da fare concretamente per la sua difesa.

Quando si studia la letteratura italiana, uno dei primi testi che si trovano nelle antologie è proprio il “Cantico di Frate Sole”, o “delle creature”, di san Francesco d’Assisi: “Altissimo, onnipotente, bon Signore…”. Questo cantico mette in luce il giusto posto da dare al Creatore, a Colui che ha chiamato all’esistenza tutta la grande sinfonia delle creature. “…tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione… Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature”. Questi versi fanno parte giustamente della vostra tradizione culturale e scolastica. Ma sono anzitutto una preghiera, che educa il cuore nel dialogo con Dio, lo educa a vedere in ogni creatura l’impronta del grande Artista celeste, come leggiamo anche nel bellissimo Salmo 19: “I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento… Senza linguaggi, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio” (v. 1.4-5). Frate Francesco, fedele alla Sacra Scrittura, ci invita a riconoscere nella natura un libro stupendo, che ci parla di Dio, della sua bellezza e della sua bontà. Pensate che il Poverello di Assisi chiedeva sempre al frate del convento incaricato dell’orto, di non coltivare tutto il terreno per gli ortaggi, ma di lasciare una parte per i fiori, anzi di curare una bella aiuola di fiori, perché le persone passando elevassero il pensiero a Dio, creatore di tanta bellezza (cfr Vita seconda di Tommaso da Celano, CXXIV, 165).

Cari amici, la Chiesa, considerando con apprezzamento le più importanti ricerche e scoperte scientifiche, non ha mai smesso di ricordare che rispettando l’impronta del Creatore in tutto il creato, si comprende meglio la nostra vera e profonda identità umana. Se vissuto bene, questo rispetto può aiutare un giovane e una giovane anche a scoprire talenti e attitudini personali, e quindi a prepararsi ad una certa professione, che cercherà sempre di svolgere nel rispetto dell’ambiente. Se infatti, nel suo lavoro, l’uomo dimentica di essere collaboratore di Dio, può fare violenza al creato e provocare danni che hanno sempre conseguenze negative anche sull’uomo, come vediamo, purtroppo, in varie occasioni. Oggi più che mai ci appare chiaro che il rispetto per l’ambiente non può dimenticare il riconoscimento del valore della persona umana e della sua inviolabilità, in ogni fase della vita e in ogni sua condizione. Il rispetto per l’essere umano e il rispetto per la natura sono un tutt’uno, ma entrambi possono crescere ed avere la loro giusta misura se rispettiamo nella creatura umana e nella natura il Creatore e la sua creazione. Su questo, cari ragazzi, sono convinto di trovare in voi degli alleati, dei veri “custodi della vita e del creato”.

E ora vorrei cogliere questa occasione per rivolgere una parola specifica anche agli insegnanti e alle Autorità qui presenti. Vorrei sottolineare la grande importanza che ha l’educazione anche in questo campo dell’ecologia. Ho accolto volentieri la proposta di questo incontro proprio perché esso coinvolge tanti giovanissimi studenti, perché ha una chiara prospettiva educativa. E’ infatti ormai evidente che non c’è un futuro buono per l’umanità sulla terra se non ci educhiamo tutti ad uno stile di vita più responsabile nei confronti del creato. E sottolineo l'importanza della parola “creato”, perché il grande e meraviglioso albero della vita non è frutto di un'evoluzione cieca e irrazionale, ma questa evoluzione riflette la volontà creatrice del Creatore e la sua bellezza e bontà. Questo stile di responsabilità si impara prima di tutto in famiglia e nella scuola. Incoraggio, pertanto, i genitori, i dirigenti scolastici e gli insegnanti a portare avanti con impegno una costante attenzione educativa e didattica con questa finalità. Inoltre, è indispensabile che questo lavoro delle famiglie e delle scuole sia sostenuto dalle istituzioni preposte, che oggi sono qui ben rappresentate.

Cari amici, affidiamo questi pensieri e queste aspirazioni alla Vergine Maria, Madre dell’intera umanità. Mentre abbiamo appena iniziato il Tempo di Avvento, Ella ci accompagni e ci guidi a riconoscere in Cristo il centro del cosmo, la luce che illumina ogni uomo e ogni creatura. E san Francesco ci insegni a cantare, con tutta la creazione, un inno di lode e di ringraziamento al Padre celeste, datore di ogni dono. Vi ringrazio di cuore per essere venuti numerosi e accompagno volentieri il vostro studio, il vostro lavoro e il vostro impegno con la mia Benedizione. Ho parlato di cantare, cantiamo insieme il Padre Nostro, la grande preghiera insegnata da Gesù a noi tutti.



ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA Sala Clementina Giovedì, 1° dicembre 2011

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nella ricorrenza di un duplice XXX anniversario: dell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, pubblicata il 22 novembre 1981 dal beato Giovanni Paolo II, e del Dicastero stesso, da lui istituito il 9 maggio precedente con il Motu Proprio Familia a Deo instituta, come segno dell’importanza da attribuire alla pastorale familiare nel mondo e, al tempo stesso, strumento efficace per aiutare a promuoverla ad ogni livello (cfr Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio
FC 73). Saluto cordialmente il Cardinale Ennio Antonelli, ringraziandolo per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro, come pure Monsignor Segretario, gli altri collaboratori e tutti voi, qui convenuti.

La nuova evangelizzazione dipende in gran parte dalla Chiesa domestica (cfr ibid., 65). Nel nostro tempo, come già in epoche passate, l’eclissi di Dio, la diffusione di ideologie contrarie alla famiglia e il degrado dell’etica sessuale appaiono collegati tra loro. E come sono in relazione l’eclissi di Dio e la crisi della famiglia, così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla famiglia cristiana. La famiglia è infatti la via della Chiesa perché è “spazio umano” dell’incontro con Cristo. I coniugi, “non solo ricevono l’amore di Cristo, diventando comunità salvata, ma sono anche chiamati a trasmettere ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando comunità salvante" (ibid., 49). La famiglia fondata sul sacramento del Matrimonio è attuazione particolare della Chiesa, comunità salvata e salvante, evangelizzata ed evangelizzante. Come la Chiesa, essa è chiamata ad accogliere, irradiare e manifestare nel mondo l’amore e la presenza di Cristo. L’accoglienza e la trasmissione dell’amore divino si attuano nella dedizione reciproca dei coniugi, nella procreazione generosa e responsabile, nella cura e nell’educazione dei figli, nel lavoro e nelle relazioni sociali, nell’attenzione ai bisognosi, nella partecipazione alle attività ecclesiali, nell’impegno civile. La famiglia cristiana, nella misura in cui, attraverso un cammino di conversione permanente sostenuto dalla grazia di Dio, riesce a vivere l’amore come comunione e servizio, come dono reciproco e apertura verso tutti, riflette nel mondo lo splendore di Cristo e la bellezza della Trinità divina. Sant’Agostino ha una celebre frase: “immo vero vides Trinitatem, si caritatem vides”, “Ebbene, sì, tu vedi la Trinità, se vedi la carità” (De Trinitate, VIII,8). E la famiglia è uno dei luoghi fondamentali in cui si vive e si educa all’amore, alla carità.

Nella scia dei miei Predecessori, anch’io ho più volte esortato gli sposi cristiani ad evangelizzare sia con la testimonianza della vita che con la partecipazione alle attività pastorali. L’ho fatto anche di recente, ad Ancona, in occasione della chiusura del Congresso Eucaristico Nazionale italiano. Là ho voluto incontrare insieme i coniugi e i sacerdoti. Infatti, i due Sacramenti detti “del servizio della comunione” (CEC 1534), Ordine Sacro e Matrimonio, vanno ricondotti all’unica sorgente eucaristica. “Entrambi questi stati di vita hanno, infatti, nell’amore di Cristo, che dona se stesso per la salvezza dell’umanità, la medesima radice; sono chiamati ad una missione comune: quella di testimoniare e rendere presente questo amore a servizio della comunità per l’edificazione del popolo di Dio. Questa prospettiva consente anzitutto di superare una visione riduttiva della famiglia, che la considera mera destinataria dell’azione pastorale. […] La famiglia è ricchezza per gli sposi, bene insostituibile per i figli, fondamento indispensabile della società, comunità vitale per il cammino della Chiesa” (Discorso ai sacerdoti e alle famiglie, 11 settembre 2011). In virtù di ciò “la famiglia è luogo privilegiato di educazione umana e cristiana e rimane, per questa finalità, la migliore alleata del ministero sacerdotale. […] Nessuna vocazione è una questione privata, tantomeno quella al matrimonio, perché il suo orizzonte è la Chiesa intera” (ibid.).

Vi sono degli ambiti in cui è particolarmente urgente il protagonismo delle famiglie cristiane in collaborazione con i sacerdoti e sotto la guida dei Vescovi: l’educazione di bambini, adolescenti e giovani all’amore, inteso come dono di sé e comunione; la preparazione dei fidanzati alla vita matrimoniale con un itinerario di fede; la formazione dei coniugi, specialmente delle coppie giovani; le esperienze associative con finalità caritative, educative e di impegno civile; la pastorale delle famiglie per le famiglie, rivolta all’intero arco della vita, valorizzando il tempo del lavoro e quello della festa.

Cari amici, ci prepariamo al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno del 2012. Sarà per me e per noi tutti una grande gioia ritrovarsi insieme, pregare e fare festa con le famiglie venute da tutto il mondo, accompagnate dai loro Pastori. Ringrazio la Chiesa Ambrosiana per il grande impegno profuso finora e per quello dei prossimi mesi. Invito le famiglie di Milano e della Lombardia ad aprire le porte delle loro case per accogliere i pellegrini che verranno da tutto il mondo. Nell’ospitalità sperimenteranno gioia ed entusiasmo: è bello fare conoscenza e amicizia, raccontarsi il vissuto di famiglia e l’esperienza di fede ad esso legata. Nella mia lettera di convocazione all’Incontro di Milano chiedevo “un adeguato percorso di preparazione ecclesiale e culturale”, perché l’evento riesca fruttuoso e coinvolga concretamente le comunità cristiane in tutto il mondo. Ringrazio quanti hanno già realizzato iniziative in tal senso e invito chi non lo ha ancora fatto ad approfittare dei prossimi mesi. Il vostro Dicastero ha provveduto a redigere un prezioso sussidio con catechesi sul tema “La famiglia: il lavoro e la festa”; ha inoltre formulato per le parrocchie, le associazioni e i movimenti una proposta di “settimana della famiglia”, e sono auspicabili altre iniziative.

Grazie ancora per la vostra visita e per il lavoro che svolgete a favore delle famiglie e a servizio del Vangelo. Mentre assicuro di ricordarvi nella preghiera, di cuore imparto a ciascuno di voi e ai vostri cari una speciale Benedizione Apostolica.



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