Discorsi 2005-13 60412

VIA CRUCIS AL COLOSSEO Venerdì Santo, 6 aprile 2012

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Cari fratelli e sorelle,

abbiamo rievocato, nella meditazione, nella preghiera e nel canto, il cammino di Gesù sulla via della Croce: una via che sembrava senza uscita e che invece ha cambiato la vita e la storia dell’uomo, ha aperto il passaggio verso i «cieli nuovi e la nuova terra» (cfr
Ap 21,1). Specialmente in questo giorno del Venerdì Santo, la Chiesa celebra, con intima adesione spirituale, la memoria della morte in croce del Figlio di Dio, e nella sua Croce vede l’albero della vita, fecondo di una nuova speranza.

L’esperienza della sofferenza segna l’umanità, segna anche la famiglia; quante volte il cammino si fa faticoso e difficile! Incomprensioni, divisioni, preoccupazione per il futuro dei figli, malattie, disagi di vario genere. In questo nostro tempo, poi, la situazione di molte famiglie è aggravata dalla precarietà del lavoro e dalle altre conseguenze negative provocate dalla crisi economica. Il cammino della Via Crucis, che abbiamo spiritualmente ripercorso questa sera, è un invito per tutti noi, e specialmente per le famiglie, a contemplare Cristo crocifisso per avere la forza di andare oltre le difficoltà. La Croce di Gesù è il segno supremo dell’amore di Dio per ogni uomo, è la risposta sovrabbondante al bisogno che ha ogni persona di essere amata. Quando siamo nella prova, quando le nostre famiglie si trovano ad affrontare il dolore, la tribolazione, guardiamo alla Croce di Cristo: lì troviamo il coraggio per continuare a camminare; lì possiamo ripetere, con ferma speranza, le parole di san Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35 Rm 8,37).

Nelle afflizioni e nelle difficoltà non siamo soli; la famiglia non è sola: Gesù è presente con il suo amore, la sostiene con la sua grazia e le dona l’energia per andare avanti. Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci quando gli sbandamenti umani e le difficoltà rischiano di ferire l’unità della nostra vita e della famiglia. Il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo incoraggia a camminare con speranza: la stagione del dolore e della prova, se vissuta con Cristo, con fede in Lui, racchiude già la luce della risurrezione, la vita nuova del mondo risorto, la pasqua di ogni uomo che crede alla sua Parola.

In quell’Uomo crocifisso, che è il Figlio di Dio, anche la stessa morte acquista nuovo significato e orientamento, è riscattata e vinta, è il passaggio verso la nuova vita: «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Jn 12,24). Affidiamoci alla Madre di Cristo. Lei che ha accompagnato il suo Figlio sulla via dolorosa, Lei che stava sotto la Croce nell’ora della sua morte, Lei che ha incoraggiato la Chiesa al suo nascere perché viva alla presenza del Signore, conduca i nostri cuori, i cuori di tutte le famiglie attraverso il vasto mysterium passionis verso il mysterium paschale, verso quella luce che prorompe dalla Risurrezione di Cristo e mostra la definitiva vittoria dell’amore, della gioia, della vita, sul male, sulla sofferenza, sulla morte. Amen



85° GENETLIACO DEL SANTO PADRE - ALLA DELEGAZIONE DELLA BAVIERA Sala Clementina Lunedì, 16 aprile 2012

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Caro Signor Ministro Presidente,
Eminenza,
cari fratelli nell’episcopato,
cari amici!

Mi dispenserete dal richiamare tutti i nomi ed i titoli uno ad uno – sarebbe troppo lungo... Ma vi assicuro che ho letto due volte la lista degli invitati, di coloro che sono venuti, e l’ho letta con il cuore. Nel farlo, ho salutato, tra me e me, ciascuno di voi singolarmente: nessuno è presente in forma anonima. Dentro di me vi ho visti tutti e sono felice ora di potervi salutare qui. Con ciascuno di voi ho avuto un colloquio – benvenuti a voi tutti!

Cosa dire in questa occasione? Il mio sentimento va al di là delle parole e quindi devo proporre, a modo di ringraziamento, quello che non posso esprimere pienamente. Però, ci tengo a ringraziare di vero cuore Lei, Signor Ministro Presidente, per le Sue parole: Lei ha fatto parlare il cuore della Baviera, un cuore cristiano, cattolico, e così facendo mi ha commosso e, allo stesso tempo, ha riportato al presente tutto quello che è stato importante nella mia vita. Non di meno desidero ringraziare Lei, Signor Cardinale, per le Sue care parole, come Pastore della diocesi dalla quale provengo e alla quale appartengo come sacerdote, nella quale sono cresciuto e alla quale interiormente sempre appartengo, ricordando al contempo l’aspetto cristiano, la nostra fede nella sua bellezza e grandezza.

Caro Signor Ministro Presidente, Lei ha raccolto qui una sorta di immagine speculare della geografia interiore ed esteriore della mia vita; della geografia esteriore, che però è sempre anche interiore, e che parte da Marktl am Inn passando per Tittmoning fino ad Aschau, poi a Hufschlag e Traunstein fino a Pentling e quindi a Ratisbona… In tutte queste tappe, che qui sono presenti, c’è sempre un pezzetto della mia vita, una parte in cui sono vissuto, ho lottato e che ha contribuito a farmi diventare come sono e come ora mi trovo di fronte a voi, e come, un giorno, dovrò presentarmi al Signore. Poi, tutti gli ambiti della vita della Baviera: la Chiesa viva del nostro Paese è presente – ne ringrazio i Vescovi bavaresi. C’è anche, grazie a Dio, la dimensione ecumenica, con il vescovo della Chiesa evangelica di Monaco di Baviera… Questo mi ricorda la grande amicizia che mi aveva legato al vescovo Hanselmann, che è uno dei tesori dei miei ricordi e che mi testimoniano come si va avanti. Allo stesso modo, ricordo la comunità ebraica con il dott. Lamm e il dott. Snopkowski: anche con loro erano nate amicizie cordiali, che mi avevano interiormente avvicinato alla parte ebraica del nostro popolo e al popolo ebraico come tale, e che sono presenti in me in forza del ricordo. Poi ci sono i media, che portano nel mondo quello che facciamo e quello che diciamo… a volte dobbiamo aggiustarlo un po’, ma cosa saremmo senza il loro servizio? E poi, Lei ha presentato la Baviera viva, caro Signor Ministro Presidente, nei bambini, nei quali riconosciamo che la Baviera continua ad essere fedele a se stessa e che proprio perché rimane fedele a se stessa rimane giovane e progredisce. E a questo si aggiunge la musica che ho potuto ascoltare, che mi ricorda mio padre, il quale sulla cetra [Zither] suonava “Gott grüße Dich”: ecco tornati i suoni della mia infanzia, che però è anche un suono del presente e del futuro – “Gott grüße Dich”…

Il cuore ricolmo richiederebbe tante parole, ma allo stesso tempo mi limita perché sarebbe troppo grande quello che avrei da dire. Alla fine, però, tutto si riassume nell’unica parola con la quale vorrei chiudere: “Vergelt’s Gott!” – Dio ve ne renda merito.




CONCERTO OFFERTO DAL GEWANDHAUS DI LIPSIA IN OCCASIONE DELL'85° COMPLEANNO Aula Paolo VI Venerdì, 20 aprile 2012

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[Con questa splendida esecuzione della Sinfonia N. 2 «Lobgesang» di Felix Mendelssohn Bartholdy avete fatto un dono prezioso a me, in occasione del mio compleanno, nonché a tutti i presenti. Infatti, questa Sinfonia è un grande inno di lode a Dio, una preghiera con cui abbiamo lodato e ringraziato il Signore per i suoi doni. Anzitutto però vorrei ringraziare coloro che hanno reso possibile questo momento. In primo luogo, la Gewandhausorchester, che di per sé non ha bisogno di essere presentata: si tratta di una delle più antiche orchestre del mondo, con una tradizione di eccellente qualità esecutiva e di fama indiscussa. Un cordiale ringraziamento agli ottimi Cori e Solisti, ma in modo del tutto particolare al Maestro Riccardo Chailly per l’intensa interpretazione. La gratitudine si estende al Ministro Presidente e ai Rappresentanti dello Stato Libero di Sassonia, al Sindaco e alla Delegazione della Città di Lipsia, alle Autorità ecclesiastiche, come pure ai Responsabili del Gewandhaus e a tutti coloro che sono venuti dalla Germania.]

Mendelssohn, Sinfonia «Lobgesang», Gewandhaus: tre elementi legati non solo questa sera, ma fin dagli inizi. La grande Sinfonia per coro, soli e orchestra, infatti, che abbiamo ascoltato fu composta da Mendelssohn per celebrare il IV Centenario dell’invenzione della stampa e fu eseguita per la prima volta nella Thomaskirche di Lipsia, la chiesa di Johann Sebastian Bach, il 25 giugno 1840, proprio dall’Orchestra del Gewandhaus; sul podio c’era lo stesso Mendelssohn, che per anni fu direttore di questa antica e prestigiosa orchestra.

Questa composizione è costituita da tre movimenti per sola orchestra senza soluzione di continuità e poi da una sorta di cantata con solisti e coro. In una lettera all’amico Karl Klingemann, lo stesso Mendelssohn spiegava che in questa Sinfonia «prima lodano gli strumenti nel modo loro congeniale, quindi il coro e le singole voci». L’arte come lode a Dio, Bellezza suprema, sta alla base del modo di comporre di Mendelssohn e questo non solo per quanto riguarda la musica liturgica o sacra, ma l’intera sua produzione. Come riferisce Julius Schubring, per lui la musica sacra come tale non stava un gradino più in alto dell’altra; ognuna alla sua maniera doveva servire ad onorare Dio. E il motto che Mendelssohn scrisse sulla partitura della Sinfonia «Lobgesang» suona così: «Io vorrei vedere tutte le arti, in particolare la musica, al servizio di Colui che le ha date e create». Il mondo etico-religioso del nostro autore non era staccato dalla sua concezione dell’arte, anzi ne era parte integrante: «Kunst und Leben sind nicht zweierlei», Arte e vita non sono due cose distinte, ma un tutt’uno, scriveva. Una profonda unità di vita che trova l’elemento unificante nella fede, che caratterizzò tutta l’esistenza di Mendelssohn e ne guidò le scelte. Nelle sue lettere cogliamo questo filo conduttore. All’amico Schirmer il 9 gennaio 1841, riferendosi alla famiglia, diceva: «Certo non mancano talvolta preoccupazioni e giorni seri… e tuttavia non si può fare nient’altro che pregare fervidamente Dio di mantenere la salute e la felicità che ha dato»; e il 17 gennaio 1843 a Klingemann scriveva: «ogni giorno non posso fare nient’altro che ringraziare Dio in ginocchio per ogni bene che mi dà». Una fede, quindi, solida, convinta, nutrita in modo profondo dalla Sacra Scrittura, come mostrano, tra l’altro, i due Oratori Paulus ed Elias, e la Sinfonia che abbiamo ascoltato, piena di riferimenti biblici soprattutto dei Salmi e di san Paolo. E’ difficile per me richiamare qualcuno degli intensi momenti che abbiamo vissuto questa sera; vorrei solo ricordare il meraviglioso duetto tra i soprani e il coro sulle parole «Ich harrete des Herrn, und er neigte sich zu mir und hörte mein Fleh’n», tratto dal Salmo 40: «Ho sperato nel Signore e Lui si è chinato su di me e ha dato ascolto al mio grido»; è il canto di chi pone in Dio tutta la sua speranza e sa con certezza di non rimanere deluso.



[Un rinnovato grazie all’Orchestra e al Coro del Gewandhaus, al Coro del Mitteldeutscher Rundfunk MDR, ai Solisti e al Direttore, come pure alle Autorità dello Stato Libero di Sassonia e della Città di Lipsia per l’esecuzione di questa «opera luminosa» – come la chiamò Robert Schumann –, che ha permesso a tutti noi di lodare Dio e io ho potuto ringraziare, in modo particolare, ancora una volta Dio per gli anni di vita e di ministero.]

Vorrei concludere con le parole che Robert Schumann scrisse nella rivista Neue Zeitschrift für Musik dopo aver assistito alla prima esecuzione della Sinfonia che abbiamo ascoltato e che vogliono essere un invito su cui riflettere: «Lasciate che noi, come suona il testo così splendidamente musicato dal Maestro, sempre più “abbandoniamo le opere dell’oscurità e impugniamo le armi della luce”». Grazie a tutti e buona sera!



SALUTO AI MEMBRI DELLA PAPAL FOUNDATION Sala Clementina Sabato, 21 aprile 2012

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Cari Amici,

Con piacere vi saluto, membri della Papal Foundation, in occasione del vostro pellegrinaggio annuale a Roma. Possa la vostra visita alle tombe degli apostoli e martiri rafforzare il vostro amore per il Signore crocifisso e risorto e il vostro impegno al servizio della sua Chiesa. Sono lieto di avere questa occasione per ringraziarvi personalmente per il vostro sostegno a una grande varietà di apostolati vicini al cuore del Successore di Pietro.

Nei prossimi mesi avrò l’onore di canonizzare due nuovi santi del Nord America. La beata Kateri Tekakwitha e la beata madre Marianne Cope sono fulgidi esempi di santità e di carità eroica, ma ci ricordano anche il ruolo storico svolto dalle donne nell’edificazione della Chiesa in America. Attraverso il loro esempio e la loro intercessione, possiate tutti voi essere rafforzati nella ricerca di santità e nei vostri sforzi per contribuire alla crescita del Regno di Dio nel cuore delle persone oggi. Attraverso il lavoro della Papal Foundation aiutate a sostenere la missione evangelizzatrice della Chiesa, a promuovere l’educazione e lo sviluppo integrale dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nei Paesi più poveri, e a favorire l’impegno missionario di tante diocesi e congregazioni religiose in tutto il mondo.

In questi giorni chiedo la vostra costante preghiera per i bisogni della Chiesa universale e in particolare per la libertà dei cristiani di proclamare il Vangelo e di portarne la luce nelle questioni morali urgenti del presente. Con grande affetto affido voi e le vostre famiglie all’amorevole intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, come pegno di gioia e di pace nel Signore Risorto.




VISITA ALL'UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, Giovedì, 3 maggio 2012

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IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELL'ISTITUZIONE DELLA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA "AGOSTINO GEMELLI"


Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Onorevole Signor Presidente della Camera e Signori Ministri,
illustre Pro-Rettore, distinte Autorità, Docenti, Medici,
distinto Personale sanitario e universitario,
cari studenti e cari pazienti!

Con particolare gioia vi incontro oggi per celebrare i 50 anni di fondazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia del Policlinico “Agostino Gemelli”. Ringrazio il Presidente dell’Istituto Toniolo, Cardinale Angelo Scola e il Pro-Rettore, Prof. Franco Anelli, per le cortesi parole che mi hanno rivolto. Saluto il Signor Presidente della Camera, Onorevole Gianfranco Fini, i Signori Ministri, Onorevoli Lorenzo Ornaghi e Renato Balduzzi, le numerose Autorità, come pure i Docenti, i Medici, il Personale e gli Studenti del Policlinico e dell’Università Cattolica. Un pensiero speciale a voi, cari pazienti.

In questa circostanza vorrei offrire qualche riflessione. Il nostro è un tempo in cui le scienze sperimentali hanno trasformato la visione del mondo e la stessa auto comprensione dell’uomo. Le molteplici scoperte, le tecnologie innovative che si susseguono a ritmo incalzante, sono ragione di motivato orgoglio, ma spesso non sono prive di inquietanti risvolti. Sullo sfondo, infatti, del diffuso ottimismo del sapere scientifico si protende l’ombra di una crisi del pensiero. Ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini, l’uomo del nostro tempo vive spesso condizionato da riduzionismo e relativismo, che conducono a smarrire il significato delle cose; quasi abbagliato dall’efficacia tecnica, dimentica l’orizzonte fondamentale della domanda di senso, relegando così all’irrilevanza la dimensione trascendente. Su questo sfondo, il pensiero diventa debole e acquista terreno anche un impoverimento etico, che annebbia i riferimenti normativi di valore. Quella che è stata la feconda radice europea di cultura e di progresso sembra dimenticata. In essa, la ricerca dell’assoluto - il quaerere Deum - comprendeva l’esigenza di approfondire le scienze profane, l’intero mondo del sapere (cfr Discorso al Collège des Bernardins di Parigi, 12 settembre 2008). La ricerca scientifica e la domanda di senso, infatti, pur nella specifica fisionomia epistemologica e metodologica, zampillano da un’unica sorgente, quel Logos che presiede all’opera della creazione e guida l’intelligenza della storia. Una mentalità fondamentalmente tecnopratica genera un rischioso squilibrio tra ciò che è possibile tecnicamente e ciò che è moralmente buono, con imprevedibili conseguenze.

E’ importante allora che la cultura riscopra il vigore del significato e il dinamismo della trascendenza, in una parola, apra con decisione l’orizzonte del quaerere Deum. Viene in mente la celebre frase agostiniana «Ci hai creati per te [Signore], e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Le Confessioni, I, 1). Si può dire che lo stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che abita il cuore umano: in fondo, l'uomo di scienza tende, anche inconsciamente, a raggiungere quella verità che può dare senso alla vita. Ma per quanto sia appassionata e tenace la ricerca umana, essa non è capace con le proprie forze di approdo sicuro, perché «l’uomo non è in grado di chiarire completamente la strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne... Dio deve prendere l’iniziativa di venire incontro e di rivolgerSi all’uomo» (J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Roma 2005, 124). Per restituire alla ragione la sua nativa, integrale dimensione bisogna allora riscoprire il luogo sorgivo che la ricerca scientifica condivide con la ricerca di fede, fides quaerens intellectum, secondo l’intuizione anselmiana. Scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell’intelligenza del reale. Ma, paradossalmente, proprio la cultura positivista, escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico, determina il declino del pensiero e l’indebolimento della capacità di intelligenza del reale. Ma il quaerere Deum dell’uomo si perderebbe in un groviglio di strade se non gli venisse incontro una via di illuminazione e di sicuro orientamento, che è quella di Dio stesso che si fa vicino all’uomo con immenso amore: “In Gesù Cristo Dio non solo parla all’uomo, ma lo cerca.... E’ una ricerca che nasce nell’intimo di Dio e ha il suo punto culminante nell’incarnazione del Verbo” (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente
TMA 7).

Religione del Logos, il Cristianesimo non relega la fede nell’ambito dell’irrazionale, ma attribuisce l’origine e il senso della realtà alla Ragione creatrice, che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore e che invita a percorrere la strada del quaerere Deum: «Io sono la via, la verità, la vita». Commenta qui san Tommaso d’Aquino: “Il punto di arrivo di questa via infatti è il fine del desiderio umano. Ora l’uomo desidera due cose principalmente: in primo luogo quella conoscenza della verità che è propria della sua natura. In secondo luogo la permanenza nell’essere, proprietà questa comune a tutte le cose. In Cristo si trova l’una e l’altra... Se dunque cerchi per dove passare, accogli Cristo perché egli è la via» (Esposizioni su Giovanni, cap. 14, lectio 2). Il Vangelo della vita illumina allora il cammino arduo dell’uomo, e davanti alla tentazione dell’autonomia assoluta, ricorda che «la vita dell’uomo proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae EV 39). Ed è proprio percorrendo il sentiero della fede che l’uomo è messo in grado di scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte, che attraversano la sua esistenza, una possibilità autentica di bene e di vita. Nella Croce di Cristo riconosce l’Albero della vita, rivelazione dell’amore appassionato di Dio per l'uomo. La cura di coloro che soffrono è allora incontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedizione dell’intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte.

Vissuta nella sua integralità, la ricerca è illuminata da scienza e fede, e da queste due «ali» trae impulso e slancio, senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite. In tal modo la ricerca di Dio diventa feconda per l’intelligenza, fermento di cultura, promotrice di vero umanesimo, ricerca che non si arresta alla superficie. Cari amici, lasciatevi sempre guidare dalla sapienza che viene dall’alto, da un sapere illuminato dalla fede, ricordando che la sapienza esige la passione e la fatica della ricerca.

Si inserisce qui il compito insostituibile dell’Università Cattolica, luogo in cui la relazione educativa è posta a servizio della persona nella costruzione di una qualificata competenza scientifica, radicata in un patrimonio di saperi che il volgere delle generazioni ha distillato in sapienza di vita; luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente il Volto stesso di Cristo: «l’avete fatto a me» (Mt 25,40). L’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel lavoro quotidiano di ricerca, di insegnamento e di studio, vive in questa traditio che esprime il proprio potenziale di innovazione: nessun progresso, tantomeno sul piano culturale, si nutre di mera ripetizione, ma esige un sempre nuovo inizio. Richiede inoltre quella disponibilità al confronto e al dialogo che apre l’intelligenza e testimonia la ricca fecondità del patrimonio della fede. Si dà forma così a una solida struttura di personalità, dove l’identità cristiana penetra il vissuto quotidiano e si esprime dall’interno di una professionalità eccellente.

L’Università Cattolica, che ha con la sede di Pietro un particolare rapporto, è chiamata oggi ad essere istituzione esemplare che non restringe l’apprendimento alla funzionalità di un esito economico, ma allarga il respiro su progettualità in cui il dono dell’intelligenza investiga e sviluppa i doni del mondo creato, superando una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza, perché «l'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza» (Caritas in veritate ). Proprio questa coniugazione di ricerca scientifica e servizio incondizionato alla vita delinea la fisionomia cattolica della Facoltà di Medicina e Chirurgia «Agostino Gemelli», perché la prospettiva della fede è interiore – non sovrapposta, né giustapposta - alla ricerca acuta e tenace del sapere.

Una Facoltà cattolica di Medicina è luogo dove l’umanesimo trascendente non è slogan retorico, ma regola vissuta della dedizione quotidiana. Sognando una Facoltà di Medicina e Chirurgia autenticamente cattolica, Padre Gemelli - e con lui tanti altri, come il Prof. Brasca -, riportava al centro dell’attenzione la persona umana nella sua fragilità e nella sua grandezza, nelle sempre nuove risorse di una ricerca appassionata e nella non minore consapevolezza del limite e del mistero della vita. Per questo avete voluto istituire un nuovo Centro di Ateneo per la vita, che sostenga altre realtà già esistenti quali, ad esempio, l’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI. Incoraggio, quindi, l’attenzione alla vita in tutte le sue fasi.

Vorrei rivolgermi ora, in particolare, a tutti i pazienti presenti qui al «Gemelli», assicurare loro la mia preghiera e il mio affetto e dire loro che qui saranno sempre seguiti con amore, perché nel loro volto si riflette quello del Cristo sofferente.

E’ proprio l’amore di Dio, che risplende in Cristo, a rendere acuto e penetrante lo sguardo della ricerca e a cogliere ciò che nessuna indagine è in grado di cogliere. L’aveva ben presente il beato Giuseppe Toniolo, che affermava come è della natura dell’uomo leggere negli altri l’immagine di Dio amore e nel creato la sua impronta. Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l’amore garantisce l’umanità della ricerca. Grazie per l'attenzione.



PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI DEGLI ECC.MI AMBASCIATORI DI ETIOPIA, MALAYSIA, IRLANDA, FIJI, ARMENIA Sala Clementina Venerdì, 4 maggio 2012

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Signora e Signori Ambasciatori,

È con gioia che vi ricevo questa mattina per la presentazione delle Lettere che vi accreditano come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi presso la Santa Sede: la Repubblica federale democratica d’Etiopia, la Malesia, l’Irlanda, la Repubblica delle isole Figi e l’Armenia. Mi avete appena rivolto parole cordiali da parte dei vostri Capi di Stato e vi ringrazio per questo. Vi sarei grato se voleste trasmettere loro i miei deferenti saluti e i miei voti rispettosi per le loro persone e per l’alta missione che svolgono al servizio del loro Paese e del loro popolo. Desidero altresì salutare per mezzo di voi tutte le Autorità civili e religiose delle vostre nazioni, come pure tutti i vostri concittadini. I miei pensieri si volgono anche naturalmente alle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi, per assicurarle della mia preghiera.

Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, in un certo senso, ha reso il nostro pianeta più piccolo. La possibilità di conoscere quasi immediatamente gli eventi che hanno luogo in tutto il mondo, come pure i bisogni dei popoli e delle persone, è un appello pressante a essere loro vicini nelle gioie e nelle difficoltà. Il constatare la grande sofferenza provocata nel mondo dalla povertà e dalla miseria, sia materiali sia spirituali, invita a una nuova mobilitazione per far fronte, nella giustizia e nella solidarietà, a tutto ciò che minaccia l’uomo, la società e il suo ambiente.

L’esodo verso le città, i conflitti armati, le carestie e le pandemie, che colpiscono tante popolazioni, accrescono in modo drammatico la povertà che assume oggi nuove forme. La crisi economica mondiale conduce un numero sempre più grande di famiglie a una situazione di crescente precarietà. Mentre la creazione e il moltiplicarsi dei bisogni hanno fatto credere alla possibilità illimitata di godimenti e di consumo, in mancanza dei mezzi necessari per soddisfarli, sono apparsi sentimenti di frustrazione. La solitudine dovuta all’esclusione è aumentata. E quando la miseria coesiste con la grande ricchezza, nasce una sensazione d’ingiustizia che può divenire fonte di rivolta. È dunque opportuno che gli Stati vigilino affinché le politiche sociali non accrescano le disuguaglianze e permettano a ognuno di vivere in modo dignitoso.

A tal fine, considerare le persone da aiutare prima della mancanza da colmare, significa ridare loro il ruolo di protagonista sociale, e permettere loro di prendere in mano il proprio futuro, per occupare il posto che spetta loro nella società. Di fatto, «l’uomo vale più per quello che “è” che per quello che “ha”» (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes
GS 35). Lo sviluppo al quale ogni nazione aspira deve riguardare ciascuna persona nella sua integrità, e non solo la crescita economica. Questa convinzione deve divenire efficace volontà di azione. Esperienze come il micro-credito, e iniziative per creare collaborazioni eque, mostrano che è possibile armonizzare gli obiettivi economici con il legame sociale, la gestione democratica e il rispetto della natura. È bene anche, per esempio, ripristinandone la nobiltà, promuovere il lavoro manuale e favorire un’agricoltura che sia prima di tutto al servizio degli abitanti. Là si può trovare un aiuto vero che, messo in atto a livello locale, nazionale e internazionale, tenga conto dell’unicità, del valore e del bene integrale di ogni persona. La qualità delle relazioni umane e la condivisione delle risorse sono alla base della società, permettendo a ognuno di trovarvi il proprio posto e di viverci dignitosamente, secondo le proprie aspirazioni.

Per rafforzare la base umana della realtà socio-politica occorre prestare attenzione a un’altra forma di miseria: quella della perdita di riferimento ai valori spirituali, a Dio. Questo vuoto rende più difficile il discernimento del bene e del male, e anche il superamento degli interessi personali in vista del bene comune. Rende agevole l’adesione a correnti di pensiero alla moda, eludendo lo sforzo necessario di riflessione e di critica. E molti giovani alla ricerca di un ideale, si volgono verso paradisi artificiali che li distruggono. Le dipendenze, il consumismo e il materialismo, il benessere non colmano il cuore dell’uomo fatto per l’infinito. Poiché la povertà più grande è la mancanza di amore. Nella disperazione, la compassione e l’ascolto disinteressato sono un conforto. Anche se privi di grandi risorse materiali, è possibile essere felici. Vivere semplicemente in armonia con ciò in cui si crede deve restare possibile, e deve diventarlo sempre più. Incoraggio tutti gli sforzi realizzati, in particolare nelle famiglie. L’educazione deve inoltre risvegliare alla dimensione spirituale poiché «l’essere umano si sviluppa quando cresce nello spirito» (Caritas in veritate ). Una tale educazione permette di tessere e di rafforzare legami più autentici in quanto opera a favore di una società più fraterna che essa stessa contribuisce a costruire.

Gli Stati hanno il dovere di dare valore al loro patrimonio culturale e religioso che contribuisce alla valorizzazione di una nazione, e di consentirne l’accesso a tutti, poiché familiarizzando con la storia, ognuno è portato a scoprire le radici della propria esistenza. La religione permette di riconoscere nell’altro un fratello in umanità. Dare a chiunque la possibilità di conoscere Dio, e ciò in piena libertà, significa aiutarlo a forgiarsi una personalità forte interiormente, che lo renderà capace di testimoniare il bene e di compierlo anche quando gli costerà farlo. «La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso» (Caritas in veritate ). In tal modo si potrà edificare una società dove la sobrietà e la fraternità vissute faranno arretrare la miseria, e avranno la meglio sull’indifferenza e sull’egoismo, sul profitto e sullo spreco, e soprattutto sull’esclusione.

Mentre iniziate la vostra missione presso la Santa Sede, tengo ad assicurarvi, Eccellenze, che troverete sempre presso i miei collaboratori un’attenzione cortese e l’aiuto di cui potrete aver bisogno. Su di voi, sulle vostre famiglie, sui membri delle vostre Missioni diplomatiche e su tutte le nazioni che rappresentate, invoco l’abbondanza delle benedizioni divine.




AI PRESULI DELLA CONFERENZA DEI VESCOVI CATTOLICI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA (REGIONE XIII), IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sabato, 5 maggio 2012

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Cari Fratelli Vescovi,

Saluto tutti voi con affetto nel Signore e vi porgo i miei oranti auguri per un pellegrinaggio ad limina Apostolorum colmo di grazia. Durante i nostri incontri ho riflettuto con voi e con i vostri Fratelli Vescovi sulle sfide intellettuali e culturali della nuova evangelizzazione nel contesto della società americana contemporanea. Oggi desidero affrontare la questione dell’educazione religiosa e della formazione nella fede della prossima generazione di cattolici nel vostro Paese.

Prima di ogni altra cosa, desidero esprimere apprezzamento per i grandi progressi compiuti negli ultimi anni nel migliorare la catechesi, rivedere i testi e renderli conformi al Catechismo della Chiesa cattolica. Sono stati inoltre compiuti sforzi importanti per preservare il grande patrimonio delle scuole, primaria e secondaria, cattoliche americane, che sono state profondamente condizionate dai cambiamenti demografici e dall’aumento dei costi, pur assicurando che l’educazione fornita rimanga alla portata di tutte le famiglie, qualunque sia la loro situazione finanziaria. Come è stato spesso osservato durante i nostri incontri, queste scuole continuano a essere una risorsa fondamentale per la nuova evangelizzazione, e l’importante contributo che danno alla società americana in generale dovrebbe essere più apprezzato e sostenuto con maggiore generosità.

A livello dell’educazione superiore, molti di voi hanno indicato un crescente riconoscimento, da parte dei college e delle università cattolici, del bisogno di riaffermare la loro identità distintiva nella fedeltà ai loro ideali fondanti e alla missione della Chiesa nel servizio al Vangelo. Rimane però ancora molto da fare, soprattutto in ambiti fondamentali quali la conformità al mandato stabilito dal canone 812 per quanti insegnano discipline teologiche. L’importanza di questa norma canonica, quale espressione tangibile di comunione ecclesiale e di solidarietà nell’apostolato educativo della Chiesa, diventa ancor più evidente se consideriamo la confusione creata da casi di apparente dissenso tra alcuni rappresentanti delle istituzioni cattoliche e la guida pastorale della Chiesa: simili disaccordi danneggiano la testimonianza della Chiesa e, come ha dimostrato l’esperienza, possono essere facilmente sfruttati per compromettere la sua autorità e la sua libertà.

Non è esagerato dire che fornire ai giovani una solida educazione nella fede costituisce la sfida interna più urgente che la comunità cattolica nel vostro Paese deve affrontare. Il deposito della fede è un tesoro incommensurabile che ogni generazione deve trasmettere a quella successiva, conquistando i cuori a Gesù Cristo e formando le menti nella conoscenza, nella comprensione e nell’amore per la sua Chiesa. È gratificante rendersi conto che, anche oggi, la visione cristiana, presentata nella sua ampiezza e nella sua integrità, si dimostra immensamente attraente per l’immaginazione, l’idealismo e le aspirazioni dei giovani, che hanno il diritto di conoscere la fede in tutta la sua bellezza, la sua ricchezza intellettuale e le sue esigenze radicali.

Qui vorrei semplicemente proporre alcuni punti che, ritengo, potranno rivelarsi utili al vostro discernimento nell’affrontare questa sfida.

Anzitutto, come sappiamo, il compito fondamentale di un’educazione autentica a ogni livello non è semplicemente quello di trasmettere conoscenze, per quanto ciò sia essenziale, ma anche quello di formare i cuori. Esiste il bisogno costante di bilanciare il rigore intellettuale nel comunicare in modo efficace, attraente e integrale la ricchezza della fede della Chiesa, con la formazione dei giovani nell’amore di Dio, nella pratica della morale cristiana e della vita sacramentale e, non ultimo, nel coltivare la preghiera personale e liturgica.

Ne consegue che la questione dell’identità cattolica, non ultimo a livello universitario, implichi molto di più del mero insegnamento della religione o della mera presenza di una cappellania nel campus. Troppo spesso, pare, le scuole e i college cattolici non sono riusciti a sfidare gli studenti a riappropriarsi della loro fede come parte delle stimolanti scoperte intellettuali che caratterizzano l’esperienza dell’educazione superiore. Il fatto che tanti nuovi studenti si trovino separati dalla famiglia, dalla scuola e dai sistemi di sostegno comunitari che in precedenza facilitavano la trasmissione della fede, dovrebbe spronare costantemente le istituzioni d’insegnamento cattoliche a creare reti di sostegno nuove ed efficaci. In ogni altro aspetto della loro educazione, gli studenti devono essere incoraggiati ad articolare una visione dell’armonia tra fede e ragione capace di guidare una ricerca della conoscenza e della virtù che duri per tutta la vita. Come sempre, un ruolo essenziale in questo processo viene svolto dagli insegnanti che ispirano gli altri con il loro amore evidente per Cristo, la loro testimonianza di solida devozione e il loro impegno verso quella sapientia Christiana che integra la fede e la vita, la passione intellettuale e il rispetto per lo splendore della verità, sia divina sia umana.

Di fatto, per sua stessa natura la fede esige una conversione costante e integrale alla pienezza della verità rivelata in Cristo. È lui il Logos creativo nel quale ogni cosa è stata creata e nel quale tutte le realtà «sussistono» (
Col 1,17); è il nuovo Adamo che rivela la verità ultima sull’uomo e sul mondo in cui viviamo. In un tempo di grandi cambiamenti culturali e di dislocamenti sociali non dissimile dal nostro, Agostino indicava questo collegamento intrinseco tra fede e impresa intellettuale umana ricorrendo a Platone, il quale affermava che, secondo lui, «amare la sapienza è amare Dio» (cfr. De Civitate Dei, VIII, 8). L’impegno cristiano a favore dell’apprendimento, che ha dato vita alle università medievali, si fondava su questa convinzione che l’unico Dio, come fonte di ogni verità e bontà, è anche fonte del desiderio ardente dell’intelletto di conoscere e dell’anelito della volontà di realizzarsi nell’amore.

Solo in questa luce possiamo apprezzare il particolare contributo dell’educazione cattolica, che svolge una «diakonia della verità» ispirata da una carità intellettuale consapevole del fatto che guidare gli altri verso la verità in fondo è un atto di amore (cfr. Discorso agli educatori cattolici, Washington, 17 aprile 2008). Il riconoscere, da parte della fede, la fondamentale unità di ogni conoscenza, costituisce un baluardo contro l’alienazione e la frammentazione che avviene quando l’uso della ragione è separato dalla ricerca della verità e della virtù; in tal senso, le istituzioni cattoliche hanno un ruolo specifico da svolgere nell’aiutare a superare oggi la crisi delle università. Saldamente radicato in questa visione dell’interrelazione intrinseca tra ragione e ricerca dell’eccellenza umana, ogni intellettuale cristiano, e tutte le istituzioni educative della Chiesa, devono essere convinti, e desiderosi di convincere gli altri, che nessun aspetto della realtà rimane estraneo o non sfiorato dal mistero della redenzione e dal dominio del Signore Risorto su tutto il creato.

Durante la mia visita pastorale negli Stati Uniti ho parlato della necessità per la Chiesa in America di coltivare «una “cultura” intellettuale che sia genuinamente cattolica» (Omelia nel Nationals Stadium, Washington, 17 aprile 2008). Assumere questo compito certamente comporta un rinnovamento dell’apologetica e un’enfasi sui tratti distintivi cattolici; in ultimo, però, deve essere volto a proclamare la verità liberatrice di Cristo e a stimolare un dialogo e una cooperazione più ampi nell’edificare una società sempre più saldamente radicata in un umanesimo autentico, ispirato dal Vangelo e fedele ai valori più alti dell’eredità civica e culturale americana. Nel momento presente della storia della vostra nazione, è questa la sfida e l’opportunità che attende tutta la comunità cattolica e che per prime tutte le istituzioni educative della Chiesa dovrebbero riconoscere e abbracciare.

Nel concludere queste brevi riflessioni, desidero esprimere ancora una volta la mia gratitudine, e quella di tutta la Chiesa, per il generoso impegno, spesso accompagnato dal sacrificio personale, dimostrato da tanti insegnanti e amministratori che operano nella vasta rete di scuole cattoliche nel vostro Paese. A voi, cari Fratelli, e a tutti i fedeli affidati alla vostra cura pastorale, cordialmente imparto la mia Benedizione Apostolica, come pegno di sapienza, gioia e pace nel Signore Risorto.





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