Discorsi 2005-13 7052

ALLE NUOVE RECLUTE DELLA GUARDIA SVIZZERA PONTIFICIA, CON I GENITORI, IN OCCASIONE DEL GIURAMENTO Sala Clementina Lunedì, 7 maggio 2012

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Signor Comandante,
Monsignor Cappellano,
Cari ufficiali e membri della Guardia Svizzera, Illustri Ospiti,
Cari fratelli e sorelle!

Desidero rivolgere a tutti voi un cordiale saluto. In particolare porgo il mio benvenuto alle reclute, che oggi sono circondate dai loro genitori, parenti e amici; come pure ai Rappresentanti delle Autorità svizzere, venuti per questa lieta circostanza. Voi, care Guardie, avete il privilegio di lavorare per alcuni anni nel cuore della cristianità e di vivere nella «Città Eterna». I vostri familiari, e quanti hanno voluto condividere con voi questi giorni di festa, hanno associato la loro partecipazione alla cerimonia di giuramento a un pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli. A tutti auguro di fare qui a Roma la singolare esperienza dell'universalità della Chiesa e di fortificare e approfondire la fede, soprattutto con i momenti di preghiera e con gli incontri che caratterizzano queste giornate.

Le funzioni che svolge la Guardia Svizzera costituiscono un diretto servizio al Sommo Pontefice ed alla Sede Apostolica. È pertanto motivo di vivo apprezzamento il fatto che dei giovani scelgano di consacrare alcuni anni della loro esistenza in totale disponibilità al Successore di Pietro e ai suoi collaboratori. Il vostro lavoro si colloca nel solco di una indiscussa fedeltà al Papa, che è diventata eroica in occasione del «Sacco di Roma» del 1527, quando, il 6 maggio, i vostri predecessori sacrificarono la loro vita. Il peculiare servizio della Guardia Svizzera non poteva allora e non può neanche oggi compiersi senza quelle caratteristiche che contraddistinguono ogni componente del Corpo: fermezza nella fede cattolica, fedeltà e amore verso la Chiesa di Gesù Cristo, diligenza e perseveranza nei piccoli e grandi compiti quotidiani, coraggio e umiltà, altruismo e disponibilità. Di queste virtù dev'essere colmo il vostro cuore quando prestate il servizio d'onore e di sicurezza in Vaticano.

Siate attenti gli uni agli altri, per sostenervi nel lavoro quotidiano e per edificarvi reciprocamente, e conservate lo stile di carità evangelica nei confronti delle persone che ogni giorno incontrate. Nella Sacra Scrittura il richiamo all'amore del prossimo è legato al comando di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze (cfr
Mc 12,29-31) . Per dare amore ai fratelli è necessario attingerlo alla fornace della carità divina, grazie a soste prolungate di preghiera, al costante ascolto della Parola di Dio, e ad una esistenza centrata tutta sul mistero dell'Eucaristia.

Il segreto dell'efficacia del vostro lavoro qui in Vaticano, come pure di ogni vostro progetto è, pertanto, il costante riferimento a Cristo. Questa è anche la testimonianza di non pochi vostri predecessori, che si sono contraddistinti non solo nello svolgimento del loro lavoro, ma anche nell'impegno di vita cristiana. Alcuni sono stati chiamati a seguire il Signore nella via del sacerdozio o della vita consacrata, ed hanno risposto con prontezza ed entusiasmo. Altri invece hanno coronato felicemente con il sacramento del Matrimonio la loro vocazione coniugale. Rendo grazie a Dio, fonte di ogni bene, per i diversi doni e le varie missioni che Egli vi affida, e prego perché anche voi, che iniziate il vostro servizio, possiate rispondere pienamente alla chiamata di Cristo seguendolo con fedele generosità.

Cari amici! Profittate del tempo che trascorrete qui a Roma, per crescere nell'amicizia con Cristo, per amare sempre di più la sua Chiesa e per camminare verso la meta di ogni vera vita cristiana: la santità.

Vi aiuti la Vergine Maria, che onoriamo in modo speciale nel mese di maggio, a sperimentare ogni giorno di più quella comunione profonda con Dio, che per noi credenti inizia sulla terra e sarà completa nel Cielo. Siamo infatti chiamati, come ricorda san Paolo, ad essere «concittadini dei Santi e familiari di Dio» (Ep 2,19). Con questi sentimenti, vi assicuro il mi costante ricordo nella preghiera e di cuore imparto a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica.




SALUTO AD UNA DELEGAZIONE DEL CONGRESSO EBRAICO LATINO-AMERICANO Sala dei Papi Giovedì, 10 maggio 2012

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Cari amici ebrei,

Sono molto lieto di dare il benvenuto a questa delegazione del Congresso Ebraico Latino-Americano. Il nostro incontro è particolarmente significativo, poiché voi siete il primo gruppo che rappresenta organizzazioni e comunità ebraiche in America Latina che incontro qui in Vaticano. In tutta l’America Latina, e specialmente in Argentina e in Brasile, ci sono comunità ebraiche dinamiche, che vivono insieme a una grande maggioranza di cattolici. A partire dagli anni del concilio Vaticano II, le relazioni tra ebrei e cattolici si sono rafforzate anche nella vostra regione, e ci sono diverse iniziative che continuano ad approfondire la reciproca amicizia.

Come sapete, il prossimo mese di ottobre si celebra il cinquantesimo anniversario dell’inizio del concilio Vaticano II, la cui Dichiarazione Nostra Aetate continua a essere la base e la guida dei nostri sforzi per promuovere maggiore comprensione, rispetto e cooperazione tra le nostre due comunità. Questa Dichiarazione non solo assunse una netta posizione contro ogni forma di antisemitismo, ma gettò anche le basi per una nuova valorizzazione teologica del rapporto della Chiesa con l’ebraismo, e mostrò la sua fiducia nel fatto che l’apprezzamento dell’eredità spirituale condivisa da ebrei e cristiani avrebbe portato a una comprensione e a una stima reciproca sempre più grandi (n. 4).

Nel considerare i progressi compiuti negli ultimi cinquant’anni di relazioni ebreo-cattoliche, in tutto il mondo, non possiamo fare a meno di rendere grazie all’Onnipotente per questo segno evidente della sua bontà e della sua provvidenza. Con la crescita della fiducia, il rispetto e la buona volontà, gruppi che inizialmente si relazionavano con una certa sfiducia, poco a poco sono diventati interlocutori fiduciosi e amici, persino buoni amici, capaci di far fronte insieme alla crisi e di superare i conflitti in modo positivo. Certo resta ancora molto da fare nel superamento degli ostacoli del passato, nella promozione di migliori relazioni tra le nostre due comunità, e nella risposta alle sfide che i credenti affrontano sempre più nel mondo attuale. Tuttavia è un motivo per cui rendere grazie il fatto che siamo impegnati a percorrere insieme il cammino del dialogo, della riconciliazione e della cooperazione.

Cari amici, in un mondo sempre più minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali, che sono quelli che possono garantire il rispetto della dignità umana e la pace duratura, un dialogo sincero e rispettoso tra religioni e culture è fondamentale per il futuro della nostra famiglia umana. Nutro la speranza che questa visita odierna sia fonte d’incoraggiamento e di fiducia rinnovata al momento di affrontare la sfida di costruire vincoli di amicizia e di collaborazione sempre più forti, e di rendere testimonianza profetica della forza della verità di Dio, della giustizia e dell’amore riconciliatore, per il bene di tutta l’umanità.

Con questi sentimenti, cari amici, chiedo al tre volte Santo di benedire voi e le vostre famiglie con abbondanti doni spirituali e di guidare i vostri passi lungo il cammino della pace.

Shalom elichém.



ALLA COMUNITÀ DEL PONTIFICIO COLLEGIO SPAGNOLO DI ROMA Sala Clementina Giovedì, 10 maggio 2012

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Caro signor rettore, superiori, religiose, studenti del Pontificio Collegio Spagnolo di «San Giuseppe» di Roma.

È per me motivo di gioia ricevervi nella commemorazione dei cinquant’anni della sede attuale del Pontificio Collegio Spagnolo di «San Giuseppe», e precisamente nella memoria liturgica di san Giovanni d’Ávila, patrono del clero secolare spagnolo, che prossimamente dichiarerò Dottore della Chiesa universale. Saluto il signor Cardinale Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid e Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, che ringrazio per le sue cordiali parole, come ringrazio anche i signori Arcivescovi membri del Patronato, il signor rettore, i formatori, le religiose e voi, cari studenti.

Questa ricorrenza segna una tappa importante del già lungo itinerario di questo convitto, che iniziò alla fine del diciannovesimo secolo, quando il beato Manuel Domingo y Sol, fondatore della Fraternità dei Sacerdoti Operai Diocesani, si lanciò nell’avventura di creare un collegio a Roma, con la benedizione del mio venerato predecessore, Leone XIII, e l’interesse dell’Episcopato spagnolo.

Per il vostro collegio sono passati migliaia di seminaristi e sacerdoti che hanno servito la Chiesa in Spagna con amore profondo e fedeltà alla missione. La formazione specifica dei sacerdoti è sempre una delle priorità più grandi della Chiesa. Inviati a Roma per approfondire i vostri studi sacerdotali, dovete pensare soprattutto, non tanto al vostro bene personale, quanto al vostro servizio al popolo santo di Dio, che ha bisogno di pastori che si dedichino al bel servizio della santificazione dei fedeli con grande preparazione e competenza.

Ricordatevi però che il sacerdote rinnova la sua vita e trae forza per il suo ministero dalla contemplazione della divina Parola e dal dialogo intenso con il Signore. È consapevole che non potrà condurre a Cristo i suoi fratelli, né incontrarlo nei poveri e nei malati, se non lo scopre prima nella preghiera fervente e costante. È necessario promuovere il contatto personale con Colui che poi si annuncia, celebra e comunica. È qui il fondamento della spiritualità sacerdotale, fino a giungere a essere segno trasparente e testimonianza viva del Buon Pastore. L’itinerario della formazione sacerdotale è anche una scuola di comunione missionaria: con il Successore di Pietro, con il proprio presbiterio, e sempre al servizio della Chiesa particolare e universale.

Cari sacerdoti, che la vita e la dottrina del Santo Maestro Giovanni d’Ávila illuminino e sostengano la vostra permanenza nel Pontificio Collegio Spagnolo di «San Giuseppe». La sua profonda conoscenza della Sacra Scrittura, dei santi Padri, dei concili, delle fonti liturgiche e della sana teologia, insieme con il suo amore fedele e filiale alla Chiesa, fece di lui un autentico rinnovatore, in un’epoca difficile della storia della Chiesa. Proprio per questo, fu «uno spirito lungimirante e ardente, che alla denuncia dei mali, al suggerimento di rimedi canonici, ha aggiunto una scuola d’intensa spiritualità» (Paolo VI, Omelia durante la canonizzazione di San Giovanni d’Ávila, 31 maggio 1970).

L’insegnamento centrale dell’Apostolo dell’Andalusia è il mistero di Cristo, Sacerdote e Buon Pastore, vissuto in sintonia con i sentimenti del Signore, a imitazione di san Paolo (cfr. Fil
Ph 2,5). «In questo specchio sacerdotale si deve guardare il sacerdote per conformarsi ai desideri e alla preghiera con Lui» (Trattato sul sacerdozio, n. 10). Il sacerdozio richiede essenzialmente il suo aiuto e la sua amicizia: «Questa comunicazione del Signore con il sacerdote è rapporto tra amici», dice il Santo (Ibidem, n. 9).

Animati dalle virtù e dall’esempio di san Giovanni d’Ávila, vi invito quindi a esercitare il vostro ministero presbiterale con lo stesso zelo apostolico che lo caratterizzava, con la sua stessa austerità di vita, come pure con lo stesso affetto filiale che nutriva per la santissima Vergine Maria, Madre dei sacerdoti.

Con l’affettuoso titolo di «Mater clementissima» sono stati innumerevoli gli studenti che hanno affidato a lei la loro vocazione, i loro studi, i loro desideri e progetti più nobili, come pure le loro tristezze e preoccupazioni. Non smettete d’invocarla ogni giorno, non stancatevi di ripetere il suo nome con devozione. Ascoltate san Giovanni d’Ávila, che esortava i sacerdoti a imitarla: «Guardiamoci, padri, dalla testa ai piedi, anima e corpo, e ci vedremo fatti simili alla santissima Vergine Maria, che con le sue parole portò Dio nel suo ventre... E il sacerdote lo porta con le parole della consacrazione» (Predica 1 ai sacerdoti). La Madre di Cristo è modello di quell’amore che porta a dare la vita per il Regno di Dio, senza aspettarsi nulla in cambio.

Che, sotto la protezione di Nostra Signora, la comunità del Pontificio Collegio Spagnolo di Roma possa continuare a conseguire i suoi obiettivi di approfondimento e aggiornamento degli studi ecclesiastici, nel clima di profonda comunione presbiterale e alto rigore scientifico che lo contraddistingue, al fine di realizzare, fin da ora, l’intima fraternità chiesta dal concilio Vaticano II «In virtù della comunità di ordinazione e missione» (Lumen gentium LG 28). Così si formeranno pastori che, come riflesso della vita di Dio Amore, uno e trino, serviranno i propri fratelli con rettitudine d’intenzioni e totale dedizione, promuovendo l’unità della Chiesa e il bene di tutta la società umana.

Con questi sentimenti, vi imparto una speciale Benedizione Apostolica, che con piacere estendo ai vostri familiari, alle comunità di origine e a quanti collaborano al vostro itinerario formativo durante la vostra permanenza a Roma. Grazie.



AI DIRETTORI NAZIONALI DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE Sala Clementina Venerdì, 11 maggio 2012

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Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Rivolgo a tutti voi il mio cordiale saluto, cominciando dal Signor Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ringrazio per le sue gentili espressioni e per le informazioni circa l’attività delle Pontificie Opere Missionarie. Estendo il mio grato pensiero al Segretario Mons. Savio Hon Tai-Fai, al Segretario Aggiunto Mons. Piergiuseppe Vacchelli, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, ai Direttori Nazionali e a tutti i collaboratori, come pure a chi presta il suo generoso servizio nel Dicastero. Il pensiero mio e di tutti voi va in questo momento al Padre Massimo Cenci, Sottosegretario, improvvisamente scomparso. Il Signore lo ricompensi per tutto il lavoro da lui compiuto in missione e a servizio della Santa Sede.

L’odierno incontro si svolge nel contesto dell’Assemblea annuale del Consiglio Superiore delle Pontificie Opere Missionarie, a cui è affidata la cooperazione missionaria di tutte le Chiese nel mondo.

L’evangelizzazione, che ha sempre carattere di urgenza, in questi tempi spinge la Chiesa ad operare con passo ancora più spedito per le vie del mondo, per portare ogni uomo alla conoscenza di Cristo. Solo nella Verità, infatti, che è Cristo stesso, l’umanità può scoprire il senso dell’esistenza, trovare salvezza, e crescere nella giustizia e nella pace. Ogni uomo e ogni popolo ha diritto a ricevere il Vangelo della verità. In questa prospettiva, assume particolare significato il vostro impegno a celebrare l’Anno della Fede, ormai prossimo, per rafforzare l’impegno di diffusione del Regno di Dio e di conoscenza della fede cristiana. Questo esige da parte di coloro che già hanno incontrato Gesù Cristo «un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta Fidei, 6). Le comunità cristiane «infatti hanno bisogno di riascoltare la voce dello Sposo, che le invita alla conversione, le sprona all’ardimento di cose nuove e le chiama a impegnarsi nella grande opera della nuova evangelizzazione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Europa, 23). Gesù, il Verbo incarnato, è sempre il centro dell’annuncio, il punto di riferimento per la sequela e per la stessa metodologia della missione evangelizzatrice, perché Egli è il volto umano di Dio che vuole incontrare ogni uomo e ogni donna per farli entrare in comunione con Lui, nel suo amore. Percorrere le strade del mondo per proclamare il Vangelo a tutti i popoli della terra e guidarli all’incontro con il Signore (cfr. Lett. ap. Porta Fidei, 7), esige allora che l’annunciatore abbia un rapporto personale e quotidiano con Cristo, lo conosca e lo ami profondamente.

La missione oggi ha bisogno di rinnovare la fiducia nell’azione di Dio; ha bisogno di una preghiera più intensa perché venga il suo Regno, perché sia fatta la sua volontà come in Cielo, così in terra. Occorre invocare luce e forza dallo Spirito Santo, e impegnarsi con decisione e generosità per inaugurare, in un certo senso, «una nuova epoca di annuncio del Vangelo ... perché, dopo duemila anni, una grande parte della famiglia umana ancora non riconosce Cristo, ma anche perché la situazione in cui la Chiesa e il mondo si trovano presenta particolari sfide alla fede religiosa» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Ecclesia in Asia ). Sono pertanto ben lieto di incoraggiare il progetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e delle Pontificie Opere Missionarie, in sostegno all’Anno della Fede. Tale progetto prevede una campagna mondiale, che, attraverso la preghiera del Santo Rosario, accompagni l’opera di evangelizzazione nel mondo e per tanti battezzati la riscoperta e l’approfondimento della fede.

Cari amici, voi sapete bene che l’annuncio del Vangelo non poche volte comporta difficoltà e sofferenze; la crescita del Regno di Dio nel mondo, infatti, non di rado avviene a prezzo del sangue dei suoi servi. In questa fase di cambiamenti economici, culturali e politici, dove spesso l’essere umano si sente solo, in preda all’angoscia e alla disperazione, i messaggeri del Vangelo, anche se annunciatori di speranza e di pace, continuano ad essere perseguitati come il loro Maestro e Signore. Ma, nonostante i problemi e la tragica realtà della persecuzione, la Chiesa non si scoraggia, rimane fedele al mandato del suo Signore, nella consapevolezza che «come sempre nella storia cristiana, i martiri, cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino dell'evangelo» (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio
RMi 45). Il messaggio di Cristo, oggi come ieri, non può adeguarsi alla logica di questo mondo, perché è profezia e liberazione, è seme di una umanità nuova che cresce, e solo alla fine dei tempi avrà la sua piena realizzazione.

A voi è affidato, in maniera particolare, il compito di sostenere i ministri del Vangelo, aiutandoli a «conservare la gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime» (Paolo VI, Esort. ap. Evangeli nuntiandi, 80). Vostro peculiare impegno è anche quello di tenere viva la vocazione missionaria di tutti i discepoli di Cristo, perché ciascuno, secondo il carisma ricevuto dallo Spirito Santo, possa prendere parte alla missione universale consegnata dal Risorto alla sua Chiesa. La vostra opera di animazione e formazione missionaria fa parte dell’anima della cura pastorale, perché la missio ad gentes costituisce il paradigma di tutta l’azione apostolica della Chiesa. Siate sempre più espressione visibile e concreta della comunione di persone e di mezzi tra le Chiese, che, come vasi comunicanti, vivono la stessa vocazione e tensione missionaria, e in ogni angolo della terra lavorano per seminare il Verbo di Verità in tutti i popoli e le culture. Sono certo che continuerete ad impegnarvi, affinché le Chiese locali assumano, sempre più generosamente, la loro parte di responsabilità nella missione universale della Chiesa.

Vi accompagni in questo servizio la Vergine Santissima, Regina delle Missioni, e sostenga ogni vostra fatica nel promuovere la coscienza e la collaborazione missionaria. Con questo auspicio, che tengo sempre presente nella mia preghiera, ringrazio voi e tutti quelli che cooperano alla causa dell’evangelizzazione, e di cuore imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.




CONCERTO OFFERTO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA IN OCCASIONE DEL VII ANNIVERSARIO DI PONTIFICATO Aula Paolo VI Venerdì, 11 maggio 2012

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Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Onorevoli Ministri e Autorità,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Gentili Signori e Signore!

Un vivo e deferente saluto al Presidente della Repubblica Italiana, Onorevole Giorgio Napolitano e alla Sua gentile Signora, al quale unisco il sincero ringraziamento per le cordiali parole, per i doni di un violino e di una pregevole partitura, e per questo Concerto di musica sacra di due grandi autori italiani; sono segni che manifestano, ancora una volta, il legame tra il Successore di Pietro e questa cara Nazione. Un saluto al Presidente del Consiglio, Senatore Mario Monti, e a tutte le Autorità. Un sincero ringraziamento all’Orchestra e al Coro del Teatro dell’Opera di Roma, alle due Soprano, e soprattutto al Maestro Riccardo Muti per l’intensa interpretazione ed esecuzione. La sensibilità del Maestro Muti per la musica sacra è nota, come pure l’impegno perché sia più conosciuto questo ricco repertorio che esprime in musica la fede della Chiesa. Anche per questo sono lieto di conferirgli un’onorificenza pontificia. Esprimo gratitudine al Comune di Cremona, al Centro di Musicologia Walter Stauffer e alla Fondazione Antonio Stradivari-La Triennale per aver messo a disposizione delle prime parti dell’Orchestra alcuni antichi e preziosi strumenti delle proprie collezioni.

Antonio Vivaldi è un grande esponente della tradizione musicale veneziana. Di lui chi non conosce almeno le Quattro Stagioni! Ma rimane ancora poco nota la sua produzione sacra, che occupa un posto significativo nella sua opera ed è di grande valore, soprattutto perché esprime la sua fede. Il Magnificat che abbiamo ascoltato è il canto di lode di Maria e di tutti gli umili di cuore, che riconoscono e celebrano con gioia e gratitudine l’azione di Dio nella propria vita e nella storia; di Dio che ha uno «stile» diverso da quello dell’uomo, perché si schiera dalla parte degli ultimi per dare speranza. E la musica di Vivaldi esprime la lode, l’esultanza, il ringraziamento e anche la meraviglia di fronte all’opera di Dio, con una straordinaria ricchezza di sentimenti: dal solenne corale all’inizio, in cui è tutta la Chiesa che magnifica il Signore, al brioso «Et exultavit», al bellissimo momento corale dell’«Et misericordia» sul quale si sofferma con audaci armonie, ricche di improvvise modulazioni, per invitarci a meditare sulla misericordia di Dio che è fedele e si estende per tutte le generazioni.

Con i due pezzi sacri di Giuseppe Verdi, che abbiamo ascoltato, il registro cambia: ci troviamo di fronte al dolore di Maria ai piedi della Croce: Stabat Mater dolorosa. Il grande Operista italiano, come aveva indagato ed espresso il dramma di tanti personaggi nelle sue opere, qui tratteggia quello della Vergine che guarda al Figlio sulla Croce. La musica si fa essenziale, quasi si «afferra» alle parole per esprimerne nel modo più intenso possibile il contenuto, in una grande gamma di sentimenti. Basta pensare al dolente senso di «pietà» con cui ha inizio la Sequenza, al drammatico «Pro peccatis suae gentis», al sussurrato «dum emisit spiritum», alle invocazioni corali cariche di emozione, ma anche di serenità, rivolte a Maria «fons amoris», perché possiamo partecipare al suo dolore materno e far ardere il nostro cuore di amore a Cristo, fino alla strofa finale, supplica intensa e potente a Dio che all’anima sia data la gloria del Paradiso, aspirazione ultima dell’umanità.

Anche il Te Deum è un susseguirsi di contrasti, ma l’attenzione di Verdi al testo sacro è minuziosa, così da offrirne una lettura diversa dalla tradizione. Egli non vede tanto il canto delle vittorie o delle incoronazioni, ma, come scrive, un susseguirsi di situazioni: l’esultanza iniziale - «Te Deum», «Sanctus» -, la contemplazione del Cristo incarnato, che libera e apre il Regno dei Cieli, l’invocazione all’«Judex venturus», perché abbia misericordia, e infine il grido ripetuto dal soprano e dal coro «In te, Domine speravi» con cui si chiude il brano, quasi una richiesta dello stesso Verdi di avere speranza e luce nell’ultimo tratto della vita (cfr Giuseppe Verdi, Lettera a Giovanni Tebaldini, 1° marzo 1896). Quelli che abbiamo ascoltato stasera sono gli ultimi due pezzi scritti dal Compositore, non destinati alla pubblicazione, ma scritti solo per sé; anzi, egli avrebbe voluto essere sepolto con la partitura del Te Deum.

Cari amici, mi auguro che questa sera possiamo ripetere a Dio, con fede: In te, Signore, ripongo, con gioia, la mia speranza, fa’ che ti ami come la tua Santa Madre, perché alla mia anima, al termine del cammino, sia data la gloria del Paradiso. Al Signor Presidente della Repubblica Italiana, alle soliste, ai complessi del Teatro dell’Opera di Roma, al Maestro Muti, agli organizzatori e a tutti i presenti di nuovo grazie. Il Signore benedica voi e i vostri cari. Grazie di cuore!



VISITA PASTORALE AD AREZZO, LA VERNA E SANSEPOLCRO

(13 MAGGIO 2012)


SALUTO DALLA FINESTRA DELL'EPISCOPIO DI AREZZO Domenica, 13 maggio 2012

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Cari amici,

grazie di cuore per questa bellissima presentazione della vostra grande cultura rinascimentale che ha toccato realmente il mio cuore. Chi è capace di rendere presente in modo così perfetto la cultura del passato è anche capace di aprire cultura per il futuro perché conosce l’uomo, ama l’uomo che ha la sua grandissima dignità di essere non solo uomo, ma immagine di Dio. E questa dignità dell’uomo ci obbliga ma anche ci consola e ci incoraggia: se siamo realmente immagine di Dio, siamo anche capaci di andare avanti e di superare i problemi del presente e di aprire cammini al nuovo futuro.

Grazie di cuore per tutto questo! Il Signore vi benedica!

(Benedizione)

Grazie! Indimenticabili per me questi suoni!




VISITA AL SANTUARIO DI LA VERNA Domenica, 13 maggio 2012

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La tappa prevista a La Verna è stata annullata a causa del maltempo. Si pubblica tuttavia ugualmente, qui di seguito, il discorso che era stato preparato dal Santo Padre per l'occasione.



Cari Frati Minori,
care figlie della Santa Madre Chiara,
cari fratelli e sorelle: il Signore vi dia pace!

Contemplare la Croce di Cristo! Siamo saliti pellegrini presso il Sasso Spicco della Verna dove «due anni prima della sua morte» (Celano, Vita Prima, III, 94: FF, 484) san Francesco ebbe impresse nel suo corpo le piaghe della gloriosa passione di Cristo. Il suo cammino di discepolo lo aveva portato ad una unione così profonda con il Signore da condividerne anche i segni esteriori del supremo atto di amore della Croce. Un cammino iniziato a San Damiano davanti al Crocifisso contemplato con la mente e con il cuore. La continua meditazione della Croce, in questo luogo santo, è stata via di santificazione per tanti cristiani, che, durante otto secoli, si sono qui inginocchiati a pregare, nel silenzio e nel raccoglimento.

La Croce gloriosa di Cristo riassume le sofferenze del mondo, ma è soprattutto segno tangibile dell’amore, misura della bontà di Dio verso l’uomo. In questo luogo anche noi siamo chiamati a recuperare la dimensione soprannaturale della vita, a sollevare gli occhi da ciò che è contingente, per tornare ad affidarci completamente al Signore, con cuore libero e in perfetta letizia, contemplando il Crocifisso perché ci ferisca con il suo amore.

«Altissimu, onnipotente, bon Signore, Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et omne benedictione» (Cantico di Frate Sole: FF, 263). Solo lasciandosi illuminare dalla luce dell’amore di Dio, l’uomo e la natura intera possono essere riscattati, la bellezza può finalmente riflettere lo splendore del volto di Cristo, come la luna riflette il sole. Sgorgando dalla Croce gloriosa, il Sangue del Crocifisso torna a vivificare le ossa inaridite dell’Adamo che è in noi, perché ciascuno ritrovi la gioia di incamminarsi verso la santità, di salire verso l’alto, verso Dio. Da questo luogo benedetto, mi unisco alla preghiera di tutti i francescani e le francescane della terra: «Noi ti adoriamo o Cristo e ti benediciamo qui e in tutte le chiese che sono nel mondo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo».

Rapiti dall’amore di Cristo! Non si sale a La Verna senza lasciarsi guidare dalla preghiera di san Francesco dell’absorbeat, che recita: «Rapisca, ti prego o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell’amor mio» (Preghiera “absorbeat”, 1: FF, 277). La contemplazione del Crocifisso è opera della mente, ma non riesce a librarsi in alto senza il supporto, senza la forza dell’amore. In questo stesso luogo, Fra’ Bonaventura da Bagnoregio, insigne figlio di san Francesco, progettò il suo Itinerarium mentis in Deum indicandoci la via da percorrere per avviarsi verso le vette dove incontrare Dio. Questo grande Dottore della Chiesa ci comunica la sua stessa esperienza, invitandoci alla preghiera. Anzitutto la mente va rivolta alla Passione del Signore, perché è il sacrificio della Croce che cancella il nostro peccato, una mancanza che può essere colmata solo dall’amore di Dio: «Esorto il lettore - egli scrive -, prima di tutto al gemito della preghiera per il Cristo crocifisso, il cui sangue deterge le macchie delle nostre colpe» (Itinerarium mentis in Deum, Prol. 4). Ma, per avere efficacia, la nostra orazione ha bisogno delle lacrime, cioè del coinvolgimento interiore, del nostro amore che risponda all’amore di Dio. Ed è poi necessaria quella admiratio, che san Bonaventura vede negli umili del Vangelo, capaci di stupore davanti all’opera salvifica di Cristo. Ed è proprio l’umiltà la porta di ogni virtù. Non è infatti con l’orgoglio intellettuale della ricerca chiusa in se stessa che è possibile raggiungere Dio, ma con l’umiltà, secondo una celebre espressione di san Bonaventura: «[l’uomo] non creda che gli basti la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata» (ibidem).

La contemplazione del Crocifisso ha una straordinaria efficacia, perché ci fa passare dall’ordine delle cose pensate, all’esperienza vissuta; dalla salvezza sperata, alla patria beata. San Bonaventura afferma: «Colui che guarda attentamente [il Crocifisso] … compie con lui la pasqua, cioè il passaggio» (ibid., VII, 2). Questo è il cuore dell’esperienza della Verna, dell’esperienza che qui fece il Poverello di Assisi. In questo Sacro Monte, san Francesco vive in se stesso la profonda unità tra sequela, imitatio e conformatio Christi. E così dice anche a noi che non basta dichiararsi cristiani per essere cristiani, e neppure cercare di compiere le opere del bene. Occorre conformarsi a Gesù, con un lento, progressivo impegno di trasformazione del proprio essere, a immagine del Signore, perché, per grazia divina, ogni membro del Corpo di Lui, che è la Chiesa, mostri la necessaria somiglianza con il Capo, Cristo Signore. E anche in questo cammino si parte - come ci insegnano i maestri medievali sulla scorta del grande Agostino - dalla conoscenza di se stessi, dall’umiltà di guardare con sincerità nell’intimo di sé.

Portare l’amore di Cristo! Quanti pellegrini sono saliti e salgono su questo Sacro Monte a contemplare l’Amore di Dio crocifisso e lasciarsi rapire da Lui. Quanti pellegrini sono saliti alla ricerca di Dio, che è la vera ragione per cui la Chiesa esiste: fare da ponte tra Dio e l’uomo. E qui incontrano anche voi, figli e figlie di san Francesco. Ricordate sempre che la vita consacrata ha lo specifico compito di testimoniare, con la parola e con l’esempio di una vita secondo i consigli evangelici, l’affascinante storia d’amore tra Dio e l’umanità, che attraversa la storia.

Il Medioevo francescano ha lasciato un segno indelebile in questa vostra Chiesa aretina. I ripetuti passaggi del Poverello d’Assisi e il suo indugiare nel vostro territorio sono un tesoro prezioso. Unica e fondamentale fu la vicenda della Verna, per la singolarità delle stimmate impresse nel corpo del serafico Padre Francesco, ma anche la storia collettiva dei suoi frati e della vostra gente, che riscopre ancora, presso il Sasso Spicco, la centralità del Cristo nella vita del credente. Montauto di Anghiari, Le Celle di Cortona e l’Eremo di Montecasale, e quello di Cerbaiolo, ma anche altri luoghi minori del francescanesimo toscano, continuano a segnare l’identità delle Comunità aretina, cortonese e biturgense.

Tante luci hanno illuminato queste terre, come santa Margherita da Cortona, figura poco nota di penitente francescana, capace di rivivere in se stessa con straordinaria vivacità il carisma del Poverello d’Assisi, unendo la contemplazione del Crocifisso con la carità verso gli ultimi. L’amore di Dio e del prossimo continua ad animare l’opera preziosa dei francescani nella vostra Comunità ecclesiale. La professione dei consigli evangelici è una via maestra per vivere la carità di Cristo. In questo luogo benedetto, chiedo al Signore che continui a mandare operai nella sua vigna e, soprattutto ai giovani, rivolgo il pressante invito, perché chi è chiamato da Dio risponda con generosità e abbia il coraggio di donarsi nella vita consacrata e nel sacerdozio ministeriale.

Mi sono fatto pellegrino alla Verna, come Successore di Pietro, e vorrei che ognuno di noi riascoltasse la domanda di Gesù a Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?... Pasci i miei agnelli » (
Jn 21,15). E’ l’amore per Cristo alla base della vita del Pastore, come pure di quella del consacrato; un amore che non ha paura dell’impegno e della fatica. Portate questo amore all’uomo del nostro tempo, spesso chiuso nel proprio individualismo; siate segno dell’immensa misericordia di Dio. La pietà sacerdotale insegna ai sacerdoti a vivere ciò che si celebra, spezzare la propria vita per chi incontriamo: nella condivisione del dolore, nell’attenzione ai problemi, nell’accompagnare il cammino di fede.

Grazie al Ministro Generale José Carballo per le sue parole, all’intera Famiglia francescana e a tutti voi. Perseverate, come il vostro Santo Padre, nell’imitazione di Cristo, perché chi vi incontra incontri san Francesco e incontrando san Francesco incontri il Signore.




Discorsi 2005-13 7052