Discorsi 2005-13 16392

CERIMONIA DI CONGEDO Aeroporto Internazionale Rafiq Hariri di Beirut Domenica, 16 settembre 2012

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Signor Presidente,
Signori Presidenti del Parlamento e del Consiglio dei Ministri,
Beatitudini e Fratelli nell’episcopato,
Autorità civili e religiose,
cari amici!

Giunto il momento della partenza, è con rammarico che lascio il caro Libano. La ringrazio, Signor Presidente, per le Sue parole e per aver favorito, insieme con il Governo di cui saluto i Rappresentanti, l’organizzazione dei diversi eventi che hanno segnato la mia presenza fra voi, assecondata in modo rimarchevole dall’efficienza dei vari servizi della Repubblica e del settore privato. Ringrazio inoltre il Patriarca Bechara Boutros Rai, e tutti i Patriarchi presenti, come pure i Vescovi orientali e latini, i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i fedeli che sono venuti a ricevermi. Nel visitarvi, è come se Pietro fosse venuto da voi, e voi avete ricevuto Pietro con la cordialità che caratterizza le vostre Chiese e la vostra cultura.

I miei ringraziamenti vanno in particolare all’intero popolo libanese che forma un ricco e bel mosaico e che ha saputo manifestare al Successore di Pietro il proprio entusiasmo, con l’apporto multiforme e specifico di ogni comunità. Ringrazio cordialmente le venerabili Chiese sorelle e le comunità protestanti. Ringrazio particolarmente i rappresentanti delle comunità musulmane. Durante tutto il mio soggiorno, ho potuto constatare quanto la vostra presenza ha contribuito alla riuscita del mio Viaggio. Il mondo arabo e il mondo intero avranno visto, in questi tempi agitati, dei cristiani e dei musulmani riuniti per celebrare la pace. E’ tradizionale in Medio Oriente ricevere l’ospite di passaggio con attenzione e rispetto, e voi l’avete fatto. Ne sono grato a tutti voi. Ma all’attenzione e al rispetto avete aggiunto un complemento; lo si può paragonare ad una di quelle famose spezie orientali che arricchisce il sapore delle vivande: il vostro calore e il vostro cuore, che mi hanno dato il desiderio di ritornare. Ve ne ringrazio in modo particolare. Dio vi benedica per questo!

Durante il mio troppo breve soggiorno, motivato principalmente dalla firma e dalla consegna dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, ho potuto incontrare le diverse componenti della vostra società. Vi sono stati momenti più ufficiali, altri più intimi, momenti di alta intensità religiosa e di fervida preghiera e altri ancora, segnati dall’entusiasmo della gioventù. Rendo grazie a Dio per queste occasioni che ha permesso, per gli incontri qualificati che ho potuto avere, e per la preghiera fatta da tutti e per tutti in Libano e in Medio Oriente, qualunque sia l’origine o la confessione religiosa di ciascuno.

Nella sua saggezza, Salomone fece appello a Hiram di Tiro, per la costruzione di una casa al Nome di Dio, un santuario per l’eternità (cfr
Si 47,13). E Hiram, che ho evocato al mio arrivo, inviò del legno proveniente dai cedri del Libano (cfr 1R 5,22). Legname di cedro arredavano l’interno del Tempio e recavano ghirlande di fiori scolpiti (cfr 1R 6,18). Il Libano era presente nel Santuario di Dio. Possano il Libano di oggi, i suoi abitanti, continuare ad essere presenti nel santuario di Dio! Possa il Libano continuare ad essere uno spazio in cui gli uomini e le donne vivano in armonia e in pace gli uni con gli altri per offrire al mondo non solo la testimonianza dell’esistenza di Dio, primo tema del Sinodo trascorso, ma ugualmente quella della comunione tra gli uomini, secondo tema dello stesso Sinodo, qualunque sia la loro sensibilità politica, comunitaria e religiosa!

Prego Dio per il Libano, affinché viva in pace e resista con coraggio a tutto ciò che potrebbe distruggerla o minacciarla. Auguro al Libano di continuare a permettere la pluralità delle tradizioni religiose e a non ascoltare la voce di coloro che vogliono impedirla. Auguro al Libano di rafforzare la comunione fra tutti i suoi abitanti, qualunque sia la loro comunità e la loro religione, rifiutando in modo risoluto tutto ciò che potrebbe condurre alla disunione, e scegliendo con determinazione la fraternità. Questi sono fiori graditi a Dio, virtù che sono possibili e che converrebbe consolidare radicandole maggiormente.

La Vergine Maria, venerata con devozione e tenerezza dai fedeli delle confessioni religiose presenti qui, è un modello sicuro per proseguire con speranza sulla via di una fraternità vissuta ed autentica. Il Libano l’ha ben compreso proclamando, qualche tempo fa, il 25 marzo come giorno festivo, permettendo così a tutti i suoi abitanti di poter vivere maggiormente la loro unità nella serenità. Che la Vergine Maria, i cui antichi santuari sono così numerosi nel vostro Paese, continui ad accompagnarvi e ad ispirarvi!

Dio benedica il Libano e tutti i libanesi. Non cessi di attirarli a sé per donare loro la vita eterna! Li colmi della sua gioia, della sua pace e della sua luce! Dio benedica tutto il Medio Oriente! Su ciascuno e ciascuna di voi invoco di tutto cuore l’abbondanza delle Benedizioni divine. ?????????? ?????? ???????? [Dio vi benedica tutti!].



AI VESCOVI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALLA CONGREGAZIONE PER I VESCOVI Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, Sala degli Svizzeri Giovedì, 20 settembre 2012

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Cari Fratelli nell'episcopato,

Il pellegrinaggio alla Tomba di san Pietro, che avete compiuto in questi giorni di riflessione sul ministero episcopale, assume quest'anno particolare rilievo. Siamo infatti alla vigilia dell'Anno della fede, del 50° anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e della tredicesima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema: «Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Questi eventi, ai quali si deve aggiungere il ventennale del Catechismo della Chiesa Cattolica, sono occasione per rafforzare la fede, di cui, cari Confratelli, voi siete maestri ed araldi (cfr Lumen gentium
LG 25). Vi saluto ad uno ad uno, ed esprimo viva riconoscenza al Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, anche per le parole che mi ha rivolto, e al Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il ritrovarvi insieme a Roma, all'inizio del vostro servizio episcopale, è un momento propizio per fare esperienza concreta della comunicazione e della comunione tra di voi, e, nell'incontro con il Successore di Pietro, alimentare il senso di responsabilità per tutta la Chiesa. In quanto membri del collegio episcopale, infatti, dovete sempre avere una speciale sollecitudine per la Chiesa universale, in primo luogo promuovendo e difendendo l'unità della fede. Gesù Cristo ha voluto affidare la missione dell'annuncio del Vangelo anzitutto al corpo dei Pastori, che devono collaborare tra loro e con il Successore di Pietro (cfr ibid., 23), affinché esso raggiunga tutti gli uomini. Ciò è particolarmente urgente nel nostro tempo, che vi chiama ad essere audaci nell'invitare gli uomini di ogni condizione all'incontro con Cristo e a rendere più solida la fede (cfr Christus Dominus CD 12).

Vostra preoccupazione prioritaria sia quella di promuovere e sostenere «un più convinto impegno ecclesiale a favore della nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (Lett. ap. Porta fidei, 7). Anche in questo siete chiamati a favorire e alimentare la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà delle vostre diocesi. L'evangelizzazione, infatti, non è opera di alcuni specialisti, ma dell'intero Popolo di Dio, sotto la guida dei Pastori. Ogni fedele, nella e con la comunità ecclesiale, deve sentirsi responsabile dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo. Il Beato Giovanni XXIII, aprendo la grande assise del Vaticano II prospettava: «un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo» (Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962). Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962). Gli effetti di quella nuova Pentecoste, nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura carismatica e di santità. A questo riguardo non possiamo non pensare allo stesso Beato Giovanni XXIII e al Beato Giovanni Paolo II, a tante figure di vescovi, sacerdoti, consacrati e di laici, che hanno reso bello il volto della Chiesa nel nostro tempo.

Questa eredità è stata affidata anche alla vostra cura pastorale. Attingete da questo patrimonio di dottrina, di spiritualità e di santità per formare nella fede i vostri fedeli, affinché la loro testimonianza sia più credibile. Allo stesso tempo, il vostro servizio episcopale vi chiede di «rendere ragione della speranza che è in voi» (1P 3,15) a quanti sono alla ricerca della fede o del senso ultimo della vita, nei quali pure «lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina» (Gaudium et spes GS 22). Vi incoraggio, perciò, ad impegnarvi affinché a tutti, secondo le diverse età e condizioni di vita, siano presentati i contenuti essenziali della fede, in forma sistematica ed organica, per rispondere anche agli interrogativi che pone il nostro mondo tecnologico e globalizzato. Sono sempre attuali le parole del Servo di Dio Paolo VI, il quale affermava: «Occorre evangelizzare - non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici - la cultura e le culture dell'uomo... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra di loro e con Dio» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20). A questo scopo è fondamentale il Catechismo della Chiesa Cattolica, norma sicura per l'insegnamento della fede e la comunione nell'unico credo. La realtà in cui viviamo esige che il cristiano abbia una solida formazione!

La fede chiede testimoni credibili, che confidano nel Signore e si affidano a Lui per essere «segno vivo della presenza del Risorto nel mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 15). Il Vescovo, primo testimone della fede, accompagna il cammino dei credenti offrendo l'esempio di una vita vissuta nell'abbandono fiducioso in Dio. Egli, pertanto, per essere autorevole maestro e araldo della fede, deve vivere alla presenza del Signore, quale uomo di Dio. Non si può essere, infatti, al servizio degli uomini, senza essere prima servi di Dio. Il vostro personale impegno di santità vi veda assimilare ogni giorno la Parola di Dio nella preghiera e nutrirvi dell'Eucaristia, per attingere da questa duplice mensa la linfa vitale per il ministero. La carità vi spinga ad essere vicini ai vostri sacerdoti, con quell'amore paterno che sa sostenere, incoraggiare e perdonare; essi sono i vostri primi e preziosi collaboratori nel portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Ugualmente, la carità del Buon Pastore vi farà attenti ai poveri e ai sofferenti, per sostenerli e consolarli, come anche per orientare coloro che hanno perduto il senso della vita. Siate particolarmente vicini alle famiglie: ai genitori, aiutandoli ad essere i primi educatori della fede dei loro figli; ai ragazzi e ai giovani, perché possano costruire la loro vita sulla salda roccia dell'amicizia con Cristo. Abbiate speciale cura dei seminaristi, preoccupandovi che siano formati umanamente, spiritualmente, teologicamente e pastoralmente, affinché le comunità possano avere Pastori maturi e gioiosi e guide sicure nella fede.

Cari Fratelli, l'Apostolo Paolo scriveva a Timoteo: «Cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace...Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, paziente, dolce nel rimproverare» (2Tm 2,22-25). Ricordando, a me e a voi, queste parole, imparto di cuore a ciascuno la Benedizione Apostolica, perché le Chiese a voi affidate, spinte dal vento dello Spirito Santo, crescano nella fede e la annuncino sui sentieri della storia con nuovo ardore.



AL GRUPPO DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA, IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, Sala degli Svizzeri Venerdì, 21 settembre 2012

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Signor Cardinale, Cari Fratelli nell’Episcopato,

Grazie, Eminenza, per le sue parole. È la prima volta che ci ritroviamo insieme dalla mia visita apostolica del 2008 nel vostro bel Paese, caro al mio cuore. Avevo allora tenuto a sottolineare le radici cristiane della Francia che, fin dalle origini, ha accolto il messaggio del Vangelo. Questa antica eredità costituisce un basamento solido sul quale potete fondare i vostri sforzi per continuare instancabilmente ad annunciare la Parola di Dio, nello spirito che anima la nuova evangelizzazione, tema della prossima Assemblea sinodale. La Francia possiede una lunga tradizione spirituale e missionaria, al punto da poter essere definita dal beato Giovanni Paolo II «educatrice dei popoli» (Omelia, Le Bourget, 1° giugno 1980). Le sfide di una società largamente secolarizza invitano ora a ricercare con coraggio e ottimismo, una risposta proponendo con audacia e inventiva la novità permanente del Vangelo.

È in questa prospettiva, per spronare i fedeli del mondo intero, che ho proposto l’Anno della Fede, segnando in tal modo il cinquantesimo anniversario dell’apertura dei lavori del Concilio Vaticano II: «L’Anno della fede è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Porta fidei, n. 6). La figura del Buon Pastore che conosce le sue pecore, parte alla ricerca di quella che si è persa, e le ama fino a dare la propria vita per loro, è una delle più suggestive del Vangelo (cfr.
Jn 10). Si applica in primo luogo ai Vescovi nella loro sollecitudine per tutti i fedeli cristiani, ma anche ai sacerdoti, loro cooperatori. Il sovraccarico di lavoro che grava sui vostri sacerdoti crea un obbligo maggiore di vegliare sul «loro benessere materiale e soprattutto spirituale» (Presbyterorum ordinis PO 7), poiché voi avete ricevuto la responsabilità della santità dei vostri sacerdoti, sapendo bene che, come vi ho detto a Lourdes «la loro vita spirituale è il fondamento della loro vita apostolica» e, di conseguenza, garante della fecondità di tutto il loro ministero. Il vescovo diocesano è dunque chiamato a manifestare una sollecitudine particolare verso i suoi sacerdoti (cfr. CIC, can. CIC 384), e più in particolare verso quanti hanno ricevuto l’ordinazione di recente e quanti sono nel bisogno o anziani. Non posso non incoraggiare i vostri sforzi per accoglierli senza mai stancarvi, per agire verso di loro con un cuore di padre e di madre e considerarli «come figli e amici» (Lumen gentium LG 28). Vi starà a cuore mettere a loro disposizione i mezzi di cui hanno bisogno per alimentare la loro vita spirituale e intellettuale e per trovare anche il sostegno della vita fraterna. Apprezzo le iniziative che avete preso in tal senso e che si presentano come un prolungamento dell’Anno sacerdotale, posto sotto il patrocinio del santo Curato d’Ars. È stata un’eccellente occasione per contribuire a sviluppare questo aspetto spirituale della vita del sacerdote. Proseguire in tale direzione non può che recare grande beneficio alla santità dell’intero Popolo di Dio. Ai nostri giorni, indubbiamente, gli operai del Vangelo sono pochi. È dunque urgente chiedere al Padre d’inviare operai per la sua messe (cfr. Lc Lc 10,2). Occorre pregare e far pregare a tal fine e v’incoraggio a seguire con maggiore attenzione la formazione dei seminaristi.

Voi volete che i gruppi parrocchiali che vi trovate a organizzare consentano una migliore qualità delle celebrazioni e una ricca esperienza comunitaria, facendo al contempo appello a una nuova valorizzazione della domenica. L’avete evidenziato nella vostra nota sui «laici in missione ecclesiale in Francia». Io stesso ho avuto l’opportunità di sottolineare in diverse occasioni questo punto essenziale per ogni battezzato. Tuttavia, la soluzione dei problemi pastorali diocesani che si presentano non dovrebbe limitarsi a questioni organizzative, per quanto importanti esse siano. Si rischia di porre l’accento sulla ricerca dell’efficacia con una sorta di «burocratizzazione della pastorale», concentrandosi sulle strutture, sull’organizzazione e sui programmi, che possono diventare «autoreferenziali», a uso esclusivo dei membri di quelle strutture. Queste ultime avrebbero allora scarso impatto sulla vita dei cristiani allontanatisi dalla pratica regolare. L’evangelizzazione richiede, invece, di partire dall’incontro con il Signore, in un dialogo stabilito nella preghiera, poi di concentrarsi sulla testimonianza da dare al fine di aiutare i nostro contemporanei a riconoscere e a riscoprire i segni della presenza di Dio. So anche che un po’ ovunque nel vostro Paese vengono proposti ai fedeli tempi di adorazione. Me ne rallegro profondamente e v’incoraggio a fare di Cristo presente nell’Eucaristia la fonte e il culmine della vita cristiana (cfr. Lumen gentium LG 11). È dunque necessario che nella riorganizzazione pastorale sia sempre confermata la funzione del sacerdote che «in quanto strettamente vincolata all’ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo» (Presbyterorum ordinis PO 2).

Rendo omaggio alla generosità dei laici chiamati a partecipare a uffici e a incarichi nella Chiesa (cfr. cic, can. CIC 228 § 1), dando così prova di una disponibilità per la quale quest’ultima è profondamente riconoscente. È però opportuno, d’altra parte, ricordare che il compito specifico dei fedeli laici è l’animazione cristiana delle realtà temporali all’interno delle quali agiscono di propria iniziativa e in modo autonomo, alla luce della fede e dell’insegnamento della Chiesa (cfr. Gaudium et spes GS 43). È dunque necessario vegliare sul rispetto della differenza esistente tra il sacerdozio comune di tutti i fedeli e il sacerdozio ministeriale di quanti sono stati ordinati al servizio della comunità, differenza non solo di grado ma anche di natura (cfr. Lumen gentium LG 10). D’altro canto occorre restare fedeli al deposito integrale della fede così come è insegnata dal Magistero autentico e professata da tutta la Chiesa. In effetti, «la stessa professione della fede è un atto personale ed insieme comunitario. È la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede» (Porta fidei, n. 10). Tale professione di fede trova nella liturgia la sua espressione più alta. È importante che questa collaborazione si situi sempre nel quadro della comunione ecclesiale attorno al Vescovo, che ne è il garante, comunione per la quale la Chiesa si manifesta come una, santa, cattolica e apostolica.

Quest’anno celebrate il sesto centenario della nascita di Giovanna d’Arco. A tale proposito ho sottolineato che «uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica. Dopo gli anni di vita nascosta e di maturazione interiore segue il biennio breve, ma intenso, della sua vita pubblica: un anno di azione e un anno di passione» (Udienza generale, 26 gennaio 2011). Avete in lei un modello di santità laica al servizio del bene comune.

Vorrei inoltre sottolineare l’interdipendenza esistente tra «il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società» (Gaudium et spes GS 25), dal momento che la famiglia «è il fondamento della società» (Ibidem, n. 52). Quest’ultima è minacciata in molti luoghi, come conseguenza di una concezione della natura umana che si dimostra manchevole. Difendere la vita e la famiglia nella società non è assolutamente un atto retrogrado, ma piuttosto profetico, poiché significa promuovere valori che permettono il pieno sviluppo della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn Gn 1,26). Abbiamo qui di fronte una vera sfida da raccogliere. In effetti, «grande è il bene che la Chiesa e l’intera società s’attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale» (Sacramentum caritatis, n. 29).

D’altro canto, al Vescovo diocesano spetta il dovere di «difendere l’unità della Chiesa universale» (CIC, can. CIC 392 § 1), nella porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata, anche se al suo interno si esprimono legittimamente sensibilità diverse che meritano di essere oggetto di un’eguale sollecitudine pastorale. Le attese particolari delle nuove generazioni esigono che venga proposta loro una catechesi adeguata, affinché trovino il proprio posto nella comunità dei credenti. Mi ha fatto piacere di aver incontrato un numero considerevole di giovani francesi nella Giornata mondiale della gioventù a Madrid, con molti loro pastori, segno di un nuovo dinamismo della fede, che apre la porta alla speranza. Vi incoraggio a continuare nel vostro impegno tanto promettente, nonostante le difficoltà.

Per finire, vorrei ancora una volta rivolgere il mio incoraggiamento per l’iniziativa Diaconia 2013, mediante la quale volete esortare le vostre comunità diocesane e locali, e anche ogni fedele, a rimettere al centro del dinamismo ecclesiale il servizio al fratello, in particolare a quello più fragile. Che il servizio al fratello, radicato nell’amore di Dio, susciti in tutti voi diocesani la preoccupazione di contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, a fare dell’umanità, in Cristo, un’unica famiglia, fraterna e solidale!

Cari Fratelli nell’Episcopato, conosco il vostro amore e il vostro servizio alla Chiesa, e rendo grazie a Dio per gli sforzi che realizzate ogni giorno per annunciare e rendere efficace nelle vostre comunità la Parola di vita del Vangelo. Che, per intercessione della Beata Vergine Maria, patrona del vostro caro Paese, e quella delle sante co-patrone Giovanna d’Arco e Teresa di Lisieux, Dio vi benedica e benedica la Francia!



AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DALL'INTERNAZIONALE DEMOCRATICO-CRISTIANA Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, Sala degli Svizzeri Sabato, 22 settembre 2012

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Signor Presidente,
onorevoli Parlamentari,
distinti Signore e Signori!

Sono lieto di ricevervi durante i lavori del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Democratico-Cristiana, e desidero, anzitutto, rivolgere un cordiale saluto alle numerose Delegazioni, provenienti da tante nazioni del mondo. Saluto in particolare il Presidente, On. Pier Ferdinando Casini, che ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a vostro nome. È trascorso un lustro dal nostro precedente incontro ed in questo tempo l’impegno dei cristiani nella società non ha cessato di essere vivace fermento per un miglioramento delle relazioni umane e delle condizioni di vita. Questo impegno non deve conoscere flessioni o ripiegamenti, ma al contrario va profuso con rinnovata vitalità, in considerazione del persistere e, per alcuni versi, dell’aggravarsi delle problematiche che abbiamo dinanzi.

Un rilievo crescente assume l’attuale situazione economica, la cui complessità e gravità giustamente preoccupa, ma dinanzi alla quale il cristiano è chiamato ad agire e ad esprimersi con spirito profetico, capace cioè di cogliere nelle trasformazioni in atto l’incessante quanto misteriosa presenza di Dio nella storia, assumendo così con realismo, fiducia e speranza le nuove emergenti responsabilità. «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, diventando così occasione di discernimento e di nuova progettualità» (Enc. Caritas in veritate ).

E’ in questa chiave, fiduciosa e non rassegnata, che l’impegno civile e politico può ricevere nuovo stimolo ed impulso nella ricerca di un solido fondamento etico, la cui assenza in campo economico ha contribuito a creare l’attuale crisi finanziaria globale (Discorso alla Westminster Hall, Londra, 17 settembre 2010). Il contributo politico ed istituzionale di cui voi siete portatori non potrà quindi limitarsi a rispondere alle urgenze di una logica di mercato, ma dovrà continuare ad assumere come centrale ed imprescindibile la ricerca del bene comune, rettamente inteso, come pure la promozione e la tutela della inalienabile dignità della persona umana. Oggi risuona quanto mai attuale l’insegnamento conciliare secondo cui «nell’ordinare le cose ci si deve adeguare all’ordine delle persone e non il contrario» (Gaudium et spes
GS 26). Un ordine, questo della persona, che «ha come fondamento la verità, si edifica nella giustizia» ed «è vivificato dall’amore» (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1912) ed il cui discernimento non può procedere senza una costante attenzione alla Parola di Dio ed al Magistero della Chiesa, particolarmente da parte di coloro che, come voi, ispirano la propria attività ai principi ed ai valori cristiani.

Sono purtroppo molte e rumorose le offerte di risposte sbrigative, superficiali e di breve respiro ai bisogni più fondamentali e profondi della persona. Ciò fa considerare tristemente attuale il monito dell’Apostolo, quando mette in guardia il discepolo Timoteo dal giorno «in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole» (2Tm 4,3).

Gli ambiti nei quali si esercita questo decisivo discernimento sono proprio quelli concernenti gli interessi più vitali e delicati della persona, lì dove hanno luogo le scelte fondamentali inerenti il senso della vita e la ricerca della felicità. Tali ambiti peraltro non sono separati, ma profondamente collegati, sussistendo tra di essi un evidente continuum costituito dal rispetto della dignità trascendente della persona umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1929), radicata nel suo essere immagine del Creatore e fine ultimo di ogni giustizia sociale autenticamente umana. Il rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale - con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica - è un impegno che si intreccia infatti con quello del rispetto del matrimonio, come unione indissolubile tra un uomo e una donna e come fondamento a sua volta della comunità di vita familiare. E’ nella famiglia, «fondata sul matrimonio e aperta alla vita» (Discorso alle Autorità, Milano, 2 giugno 2012), che la persona sperimenta la condivisione, il rispetto e l’amore gratuito, ricevendo al tempo stesso – dal bambino al malato, all’anziano – la solidarietà che gli occorre. Ed è ancora la famiglia a costituire il principale e più incisivo luogo educativo della persona, attraverso i genitori che si mettono al servizio dei figli per aiutarli a trarre fuori («e-ducere») il meglio di sé. La famiglia, cellula originaria della società, è pertanto radice che alimenta non solo la singola persona, ma anche le stesse basi della convivenza sociale. Correttamente quindi il Beato Giovanni Paolo II aveva incluso tra i diritti umani il «diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità» (Enc. Centesimus annus CA 44).

Un autentico progresso della società umana non potrà dunque prescindere da politiche di tutela e promozione del matrimonio e della comunità che ne deriva, politiche che spetterà non solo agli Stati ma alla stessa Comunità internazionale adottare, al fine di invertire la tendenza di un crescente isolamento dell’individuo, fonte di sofferenza e di inaridimento sia per il singolo sia per la stessa comunità.

Onorevoli Signore e Signori, se è vero che della difesa e della promozione della dignità della persona umana «sono rigorosamente e responsabilmente debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia» (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 1929), è altrettanto vero che tale responsabilità concerne in modo particolare quanti sono chiamati a ricoprire un ruolo di rappresentanza. Essi, specialmente se animati dalla fede cristiana, devono essere «capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (Gaudium et spes GS 31). Utilmente risuona in questo senso il monito del libro della Sapienza, secondo cui «il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto» (Sg 6,5); monito dato però non per spaventare, ma per spronare e incoraggiare i governanti, ad ogni livello, a realizzare tutte le possibilità di bene di cui sono capaci, secondo la misura e la missione che il Signore affida a ciascuno.

Auguro quindi ad ognuno di voi di proseguire con entusiasmo e decisione nell’impegno personale e pubblico, e assicuro il ricordo nella preghiera affinché Dio benedica voi e i vostri familiari. Grazie per l’attenzione.




ORATORIO "AUGUSTINUS - UN MOSAICO DI SUONI" OFFERTO DALLA DIOCESI DI WÜRZBURG Cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo Mercoledì, 26 settembre 2012

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Signori Cardinali,
Cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Caro Monsignor Hofmann, caro Monsignor Scheele,
Illustri musicisti,
Cari ospiti provenienti da Würzburg e dalla Franconia!
Gentili Signore e Signori!

L’esecuzione di un’opera su sant’Agostino qui a Castel Gandolfo è sicuramente un evento unico. Ringrazio di cuore tutti coloro che questa sera hanno reso possibile questo evento. Il mio ringraziamento particolare va a Lei, caro Mons. Hofmann, all’Augustinus-Institut e alla Diocesi di Würzburg, per il dono che mi avete fatto di questo concerto nell’ambito del Simposio Internazionale su Agostino che si svolge all’Augustinianum di Roma. Ringrazio soprattutto gli artisti – il Maestro di Cappella Prof. Martin Berger, i solisti, il Coro da Camera del Duomo di Würzburg e tutti i musicisti – per l’esecuzione magistrale. A tutti voi, di cuore un “Vergelt’s Gott” [Dio ve ne renda merito].

Il titolo di quest’opera su Agostino la definisce “un mosaico in suoni”. In sette immagini musicali, a loro volta composte da diverse voci, canti e melodie, si è dipinto, in modo impressionante, un ritratto di Sant’Agostino in suoni. È un mosaico. Alcune pietre rifulgono, a seconda di come cade la luce e del punto di osservazione, ma solo nell’insieme si schiude l’immagine. Questo mosaico rappresenta la grandezza e la complessità dell’uomo e del teologo Agostino che si sottrae ad una classificazione e ad una sistematizzazione tendenti ad evidenziarne troppo solo singoli aspetti. Così questa composizione ci dice che, se veramente vogliamo conoscere Agostino, non dobbiamo mai perdere di vista, mentre ci occupiamo del particolare, l’insieme del suo pensiero, della sua opera e della sua persona.

L’attualità del grande Padre latino della Chiesa è ininterrotta. Anche questo ci ha dimostrato, ancora una volta, l’opera su Agostino [che abbiamo ascoltato]. Le sette immagini ci hanno fatto conoscere il Vescovo di Ippona nel linguaggio musicale contemporaneo. E’ da rilevare che lo hanno fatto senza far apparire lo stesso personaggio principale. Ma proprio per questa sua “assenza”, Agostino si fa presente ed è “senza tempo”. La lotta dell’uomo e la sua ricerca di quanto gli è più intimo, la ricerca della verità, la ricerca di Dio rimane valida tutti i tempi; essa non riguarda soltanto un retore e maestro di grammatica nelle lacerazioni e nei rivolgimenti della tarda antichità, ma ogni uomo in ogni tempo. E così, alla fine dell’opera, troviamo le famose parole introduttive dalle Confessiones che sono risuonate smorzandosi in diverse lingue: “Magnus es, Domine, et laudibils valde: magna virtus tua et sapientiae tuae non est numerus. … Quaerentes enim inveniunt eum et invenientes laudabunt eum”. – “Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. …Loderanno il Signore coloro che lo cercano, perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno” (I,1,1).

Il mio ringraziamento va ancora una volta ai promotori di questa serata dedicata alla figura di Sant’Agostino, ai musicisti e a quanti hanno contribuito alla realizzazione di questo concerto. Grazie per la vostra generosa offerta e il prezioso dono. Saluto anche tutti i partecipanti al Simposio Internazionale su Sant’Agostino che in questi giorni si svolge nella sede dell’Istituto Patristico Augustinianum a Roma. Il vostro convegno sul rapporto tra le culture nel De civitate Dei contribuisca in modo fecondo ad approfondire il pensiero del santo Vescovo di Ippona e a riconoscere la sua attualità per le questioni e le sfide che si presentano a noi oggi. A tutti imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.




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