Discorsi 2005-13 12302

DAL FILM "BELLS OF EUROPE - CAMPANE D'EUROPA: UN VIAGGIO NELLA FEDE ATTRAVERSO L'EUROPA" - INTERVISTA AL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

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D. – Santità, nelle sue encicliche Lei sta proponendo un'antropologia forte, un uomo abitato dalla carità di Dio, un uomo dalla razionalità allargata dall’esperienza di fede, un uomo che ha una responsabilità sociale grazie alla dinamica della carità, ricevuta e donata nella verità. Santità, proprio in questo orizzonte antropologico in cui il messaggio evangelico esalta tutti gli elementi degni della persona umana, purificando le scorie che offuscano l'autentico volto dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, Lei ha più volte ribadito che questa riscoperta del volto umano, dei valori evangelici, delle profonde radici dell'Europa è motivo di grande speranza per il continente europeo e non solo… Può spiegarci le ragioni della sua speranza?

Santo Padre – Il primo motivo della mia speranza consiste nel fatto che il desiderio di Dio, la ricerca di Dio è profondamente scritta in ogni anima umana e non può scomparire. Certamente, per un certo tempo, si può dimenticare Dio, accantonarlo, occuparsi di altre cose, ma Dio non scompare mai. E’ semplicemente vero quanto dice sant’Agostino, che noi uomini siamo inquieti finché non abbiamo trovato Dio. Questa inquietudine anche oggi esiste. E’ la speranza che l’uomo sempre di nuovo, anche oggi, si ponga in cammino verso questo Dio.

Il secondo motivo della mia speranza consiste nel fatto che il Vangelo di Gesù Cristo, la fede in Cristo è semplicemente vera. E la verità non invecchia. Anch’essa si può dimenticare per un certo tempo, si possono trovare altre cose, la si può accantonare, ma la verità come tale non scompare. Le ideologie hanno un tempo contato. Sembrano forti, irresistibili, ma dopo un certo periodo si consumano, non hanno più la forza in loro, perché manca loro una verità profonda. Sono particelle di verità, ma alla fine si sono consumate. Invece il Vangelo è vero, e perciò non si consuma mai. In tutti i periodi della storia appaiono sue nuove dimensioni, appare tutta la sua novità, nel rispondere alle esigenze del cuore e della ragione umana che può camminare in questa verità e trovarvisi. E perciò, proprio per questo motivo, sono convinto che ci sia anche una nuova primavera del cristianesimo.

Un terzo motivo empirico lo vediamo nel fatto che questa inquietudine oggi lavora nella gioventù. I giovani hanno visto tante cose – le offerte delle ideologie e del consumismo –, ma colgono il vuoto in tutto questo, la sua insufficienza. L’uomo è creato per l’infinito. Tutto il finito è troppo poco. E perciò vediamo come, proprio nelle nuove generazioni, questa inquietudine si risveglia di nuovo ed essi si mettono in cammino, e così ci sono nuove scoperte della bellezza del cristianesimo; un cristianesimo non a prezzo moderato, non ridotto, ma nella sua radicalità e profondità. Quindi, mi sembra che l’antropologia come tale ci indichi che ci saranno sempre nuovi risvegli del cristianesimo e i fatti lo confermano con una parola: fondamento profondo. E’ il cristianesimo. E’ vero, e la verità ha sempre un futuro.

D. – Santità, Lei ha più volte ribadito che l’Europa ha avuto e ha tuttora un influsso culturale su tutto il genere umano e non può fare a meno di sentirsi particolarmente responsabile, non solo del proprio futuro, ma anche di quello dell’umanità intera. Guardando avanti, è possibile tratteggiare i contorni della testimonianza visibile dei cattolici e dei cristiani appartenenti alle Chiese ortodosse e protestanti, nell’Europa dall’Atlantico agli Urali, che, vivendo i valori evangelici in cui credono contribuiscano alla costruzione di un’Europa più fedele a Cristo, più accogliente, solidale, non solo custodendo l’eredità culturale e spirituale che li contraddistingue, ma anche nell’impegno a cercare vie nuove per affrontare le grandi sfide comuni che contrassegnano l’epoca post-moderna e multiculturale?

Santo Padre – Si tratta della grande questione. E’ evidente che l’Europa ha anche oggi nel mondo un grande peso sia economico, sia culturale e intellettuale. E, in corrispondenza a questo peso, ha una grande responsabilità. Ma l’Europa deve, come Lei ha accennato, trovare ancora la sua piena identità per poter parlare e agire secondo la sua responsabilità. Il problema oggi non sono più, secondo me, le differenze nazionali. Si tratta di diversità che non sono più divisioni, grazie a Dio. Le nazioni rimangono, e nella loro diversità culturale, umana, temperamentale, sono una ricchezza che si completa e dà nascita ad una grande sinfonia di culture. Sono fondamentalmente una cultura comune. Il problema dell’Europa di trovare la sua identità mi sembra consistere nel fatto che in Europa oggi abbiamo due anime: un’anima è una ragione astratta, anti-storica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a se stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità. La prima sentenza di Strasburgo sul Crocifisso era un esempio di questa ragione astratta che vuole emanciparsi da tutte le tradizioni, dalla storia stessa. Ma così non si può vivere. Per di più, anche la "ragione pura" è condizionata da una determinata situazione storica, e solo in questo senso può esistere. L’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana. Come Lei ha accennato, soprattutto nel dialogo ecumenico tra Chiesa cattolica, ortodossa, protestante, quest’anima deve trovare una comune espressione e deve poi incontrarsi con questa ragione astratta, cioè accettare e conservare la libertà critica della ragione rispetto a tutto quello che può fare e ha fatto, ma praticarla, concretizzarla nel fondamento, nella coesione con i grandi valori che ci ha dato il cristianesimo. Solo in questa sintesi l’Europa può avere il suo peso nel dialogo interculturale dell’umanità di oggi e di domani, perché una ragione che si è emancipata da tutte le culture non può entrare in un dialogo interculturale. Solo una ragione che ha un’identità storica e morale può anche parlare con gli altri, cercare una interculturalità nella quale tutti possono entrare e trovare una unità fondamentale dei valori che possono aprire le strade al futuro, a un nuovo umanesimo, che deve essere il nostro scopo. E per noi questo umanesimo cresce proprio dalla grande idea dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio.




CONFERIMENTO DEL "PREMIO RATZINGER" 2012 Sala Clementina Sabato, 20 ottobre 2012

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Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti voi, convenuti a questa cerimonia. Ringrazio il Cardinale Ruini per il suo intervento, come pure Monsignor Scotti che ha introdotto l’incontro. Mi congratulo vivamente con il Padre Daley e il Prof. Brague, che con la loro personalità illustrano questa iniziativa nella sua seconda edizione. E intendo «personalità» in senso pieno: il profilo della ricerca e di tutto il lavoro scientifico; il prezioso servizio dell’insegnamento, che entrambi svolgono da lunghi anni; ma anche il loro essere, naturalmente in modi diversi – uno è un gesuita, l’altro un laico sposato – impegnati nella Chiesa, attivi nell’offrire il loro contributo qualificato alla presenza della Chiesa nel mondo di oggi.

A questo proposito ho notato una cosa che mi ha fatto riflettere, e cioè che i due premiati di quest’anno sono competenti e impegnati in due aspetti decisivi per la Chiesa nei nostri tempi: mi riferisco all’ecumenismo e al confronto con le altre religioni. Il Padre Daley, studiando a fondo i Padri della Chiesa, si è posto nella migliore scuola per conoscere e amare la Chiesa una e indivisa, pur nella ricchezza delle sue diverse tradizioni; per questo egli svolge anche un servizio di responsabilità nei rapporti con le Chiese Ortodosse. E il Prof. Brague è un grande studioso della filosofia delle religioni, in particolare di quelle ebraica e islamica nel medioevo. Ecco, a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, mi piacerebbe rileggere insieme con loro due documenti conciliari: la Dichiarazione Nostra aetate sulle religioni non cristiane e il Decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, a cui aggiungerei però un altro documento che si è rivelato di straordinaria importanza: la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Sicuramente sarebbe molto interessante, caro Padre e caro Professore, ascoltare le vostre riflessioni e anche le vostre esperienze in questi campi, dove si gioca una parte rilevante del dialogo della Chiesa con il mondo contemporaneo.

In realtà, questo ideale incontro e confronto già avviene leggendo le Loro pubblicazioni, che in parte sono disponibili in diverse lingue. Sento di dover esprimere particolare apprezzamento e gratitudine per questa fatica del comunicare i frutti di tali ricerche. Un impegno, questo, che è gravoso ma prezioso per la Chiesa e per quanti operano in ambito accademico e culturale. A questo proposito, vorrei semplicemente sottolineare il fatto che entrambi i premiati sono professori universitari, molto impegnati nell’insegnamento. Questo aspetto merita di essere messo in rilievo, perché mostra un aspetto di coerenza nell’attività della Fondazione, che, oltre al Premio, promuove borse di studio per dottorandi in Teologia e anche convegni di studio a livello universitario, come quello che si è tenuto quest’anno in Polonia, e quello che avrà luogo fra tre settimane a Rio de Janeiro. Personalità come il Padre Daley e il Prof. Brague sono esemplari per la trasmissione di un sapere che unisce scienza e sapienza, rigore scientifico e passione per l’uomo, perché possa scoprire l’«arte del vivere». Ed è proprio di persone che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio vicino e credibile all’uomo d’oggi, ciò di cui abbiamo bisogno; uomini che tengano lo sguardo fisso verso Dio attingendo da questa sorgente la vera umanità per aiutare chi il Signore mette sul nostro cammino a comprendere che è Cristo la strada della vita; uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio, perché possano parlare anche alla mente e al cuore degli altri. Operare nella vigna del Signore, dove ci chiama, perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano scoprire e riscoprire la vera «arte del vivere»: questa è stata anche una grande passione del Concilio Vaticano II, più che mai attuale nell’impegno della nuova evangelizzazione.

Rinnovo di cuore le mie congratulazioni ai Premiati, come pure al Comitato scientifico della Fondazione e a tutti i collaboratori. Grazie.



PROIEZIONE DEL FILM DOCUMENTARIO "ARTE E FEDE - VIA PULCHRITUDINIS" Aula Paolo VI Giovedì, 25 ottobre 2012

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Venerati Fratelli,
Illustri Autorità,
gentili Signori e Signore!

Al termine di questa proiezione, sono lieto di rivolgere a tutti voi il mio cordiale saluto.

Pozdrawiam przede wszystkim polska delegacje, a szczególnie dostojnych przedstawicieli Rzadu polskiego, Pania Ambasador przy Stolicy Apostolskiej i wszystkich, którzy przyczynili sie do realizacji tego filmu.

[Saluto anzitutto la Delegazione polacca, in particolare le Autorità del Governo, l’Ambasciatore presso la Santa Sede e tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo filmato.]

Saluto il Cardinale Bertone, Segretario di Stato, e il Cardinale Bertello che, come Presidente del Governatorato, ha presentato l’iniziativa – lo ringrazio e mi congratulo con lui e con la Direzione dei Musei Vaticani. Saluto con riconoscenza gli amministratori delle Società che hanno realizzato il film e ne hanno sostenuto la produzione.

I Musei Vaticani non sono nuovi ad iniziative che illustrano il legame tra arte e fede, a partire dal patrimonio conservato nelle Gallerie Pontificie. Diverse esposizioni sono state realizzate con questo tema, come pure alcuni audiovisivi. Tuttavia, il film che abbiamo visto si presenta come un contributo degno di speciale nota, soprattutto perché compare all’inizio dell’Anno della fede. Esso costituisce in effetti un contributo specifico e qualificato dei Musei Vaticaniall’Anno della fede, e questo giustifica anche il grande impegno profuso a vari livelli. Come esplicitamente mette in risalto la parte finale del film, per molte persone la visita ai Musei Vaticani rappresenta, nel loro viaggio a Roma, il contatto maggiore, a volte unico, con la Santa Sede; è perciò un’occasione privilegiata per conoscere il messaggio cristiano. Si potrebbe dire che il patrimonio artistico della Città del Vaticano costituisce una sorta di grande «parabola» mediante la quale il Papa parla a uomini e donne di ogni parte del mondo, e quindi di molteplici appartenenze culturali e religiose, persone che magari non leggeranno mai un suo discorso o una sua omelia. Viene da pensare a quello che Gesù diceva ai suoi discepoli: a voi i misteri del Regno di Dio vengono spiegati, mentre a quelli «di fuori» tutto è annunciato «in parabole» (cfr Mc
Mc 4,10-12). Il linguaggio dell’arte è un linguaggio parabolico, dotato di una speciale apertura universale: la «via Pulchritudinis» è una via capace di guidare la mente e il cuore verso l’Eterno, di elevarli fino alle altezze di Dio.

Ho molto apprezzato il fatto che nel film si faccia ripetutamente riferimento all’impegno dei Pontefici Romani per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico; e anche, nell’epoca contemporanea, per un rinnovato dialogo della Chiesa con gli artisti. La Collezione di Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani è la dimostrazione vivente della fecondità di questo dialogo. Ma non solo essa. Tutto il grande organismo dei Musei Vaticani – si tratta in effetti di una realtà viva! – possiede anche questa dimensione che potremmo chiamare «evangelizzante». E ciò che appare, vale a dire le opere esposte, presuppone tutto un lavoro che non appare, ma che è indispensabile, per la loro migliore conservazione e fruizione.

Ciesze sie zwlaszcza, ze moge oddac hold wielkiej wrazliwosci na dialog pomiedzy sztuka i wiara, jaka cechowala mojego Poprzednika Blogoslawionego Jana Pawla II: rola, jaka pelni Polska w tej produkcji filmowej potwierdza jego zaslugi na tym polu.

[Sono lieto, in particolare, di rendere omaggio alla grande sensibilità per il dialogo tra arte e fede del mio amato Predecessore il Beato Giovanni Paolo II: il ruolo che la Polonia occupa in questa produzione attesta i suoi meriti in questo campo.].

Arte e fede: un binomio che accompagna la Chiesa e la Santa Sede da duemila anni, un binomio che anche oggi dobbiamo valorizzare maggiormente nell’impegno di portare agli uomini e alle donne del nostro tempo l’annuncio del Vangelo, del Dio che è Bellezza e Amore infinito.

Ringrazio nuovamente tutti coloro che, in diversi modi, hanno cooperato a realizzare questo film-documentario, ed auguro che esso susciti in molte persone il desiderio di conoscere meglio quella fede che sa ispirare tali e tante opere d’arte. Buona sera a tutti!



ULTIMA CONGREGAZIONE GENERALE DELLA XIII ASSEMBLEA DEL SINODO Sabato, 27 ottobre 2012

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Cari Fratelli e sorelle,

prima di ringraziare da parte mia, vorrei ancora fare una comunicazione.

Nel contesto delle riflessioni del Sinodo dei Vescovi, «La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede Cristiana», ed a conclusione di un cammino di riflessione sulle tematiche dei Seminari e della Catechesi, mi è gradito annunciare che ho deciso, dopo preghiera e ulteriore riflessione, di trasferire la competenza sui Seminari dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica alla Congregazione per il Clero e la competenza sulla Catechesi dalla Congregazione per il Clero al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

Seguiranno i documenti relativi in forma di Lettera Apostolica Motu Proprio per definire gli ambiti e le rispettive facoltà. Preghiamo il Signore perché accompagni i tre Dicasteri della Curia Romana nella loro importante missione, con la collaborazione di tutta la Chiesa.

Avendo già la parola, vorrei anche esprimere i miei cordialissimi auguri ai nuovi Cardinali. Io ho voluto, con questo piccolo Concistoro, completare il Concistoro di febbraio, proprio nel contesto della Nuova Evangelizzazione, con un gesto dell’universalità della Chiesa, mostrando che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, parla in tutte le lingue, è sempre Chiesa di Pentecoste; non Chiesa di un Continente, ma Chiesa universale. Proprio questa era la mia intenzione, di esprimere questo contesto, questa universalità della Chiesa; è anche la bella espressione di questo Sinodo. Per me è stato veramente edificante, consolante ed incoraggiante vedere qui lo specchio della Chiesa universale con le sue sofferenze, minacce, pericoli e gioie, esperienze della presenza del Signore, anche in situazioni difficili.

Abbiamo sentito come la Chiesa anche oggi cresce, vive. Penso, per esempio, a quanto ci è stato detto sulla Cambogia, dove di nuovo nasce la Chiesa, la fede; o anche sulla Norvegia, e tanti altri. Vediamo come anche oggi dove non si aspettava, il Signore è presente e potente e il Signore è operante anche tramite il nostro lavoro e le nostre riflessioni.

Anche se la Chiesa sente venti contrari, tuttavia sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così, con nuovo entusiasmo, mi sembra, siamo in cammino e ringraziamo il Signore perché ci ha dato questo incontro veramente cattolico.

Ringrazio tutti: i Padri del Sinodo, gli Uditori, con le testimonianze veramente spesso molto commoventi, gli Esperti, i Delegati fraterni che ci hanno aiutato; e sappiamo che tutti vogliamo annunciare Cristo ed il suo Vangelo e combattere, in questo tempo difficile, per la presenza della verità di Cristo e per il suo annuncio.

Soprattutto vorrei ringraziare i nostri Presidenti che ci hanno guidato dolcemente e decisamente, i Relatori che hanno lavorato giorno e notte. Io penso sempre che sia un po’ contro il diritto naturale lavorare anche di notte, ma se lo fanno volontariamente si possono ringraziare e dobbiamo sentirci grati; e, naturalmente, il nostro Segretario Generale, indefesso e ricco di idee.

Adesso queste Propositiones sono un testamento, un dono, dato a me per noi, per elaborare tutto in un documento che viene dalla vita e dovrebbe generare vita. Su questo speriamo e preghiamo; in ogni caso, andiamo avanti con l’aiuto del Signore. Grazie a voi tutti. Con molti ci vediamo anche in novembre - penso al Concistoro. Grazie.



CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI IN OCCASIONE DEL 500° ANNIVERSARIO DELL'INAUGURAZIONE DELLA VOLTA DELLA CAPPELLA SISTINA Mercoledì, 31 ottobre 2012

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Venerati Fratelli,

cari fratelli e sorelle!

In questa liturgia dei Primi Vespri della solennità di tutti i Santi, noi commemoriamo l’atto con cui, 500 anni or sono, il Papa Giulio II inaugurò l’affresco della volta di questa Cappella Sistina. Ringrazio il Cardinale Bertello per le parole che mi ha rivolto e saluto cordialmente tutti i presenti.

Perché ricordare tale evento storico-artistico in una celebrazione liturgica? Anzitutto perché la Sistina è, per sua natura, un’aula liturgica, è la Cappella magna del Palazzo Apostolico Vaticano. Inoltre, perché le opere artistiche che la decorano, in particolare i cicli di affreschi, trovano nella liturgia, per così dire, il loro ambiente vitale, il contesto in cui esprimono al meglio tutta la loro bellezza, tutta la ricchezza e la pregnanza del loro significato. E’ come se, durante l’azione liturgica, tutta questa sinfonia di figure prendesse vita, in senso certamente spirituale, ma inseparabilmente anche estetico, perché la percezione della forma artistica è un atto tipicamente umano e, come tale, coinvolge i sensi e lo spirito. In poche parole: laCappella Sistina, contemplata in preghiera, è ancora più bella, più autentica; si rivela in tutta la sua ricchezza.

Qui tutto vive, tutto risuona a contatto con la Parola di Dio. Abbiamo ascoltato il passo dellaLettera agli Ebrei: «Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa…» (12,22-23). L’Autore si rivolge ai cristiani e spiega che per loro si sono realizzate le promesse dell’Antica Alleanza: una festa di comunione che ha per centro Dio, e Gesù, l’Agnello immolato e risorto (cfr vv. 23-24). Tutta questa dinamica di promessa e compimento noi l’abbiamo qui rappresentata negli affreschi delle pareti lunghe, opera dei grandi pittori umbri e toscani della seconda metà del Quattrocento. E quando il testo biblico prosegue dicendo che noi ci siamo accostati «all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione» (v. 23), il nostro sguardo si leva al Giudizio finale michelangiolesco, dove lo sfondo azzurro del cielo, richiamato nel manto della Vergine Maria, dona luce di speranza all’intera visione, assai drammatica. «Christe, redemptor omnium, / conserva tuos famulos, / beatae semper Virginis / placatus sanctis precibus» - canta la prima strofa dell’Inno latino di questi Vespri. Ed è proprio ciò che noi vediamo: Cristo redentore al centro, coronato dai suoi Santi, e accanto a Lui Maria, in atto di supplice intercessione, quasi a voler mitigare il tremendo giudizio.

Ma stasera la nostra attenzione va principalmente al grande affresco della volta, che Michelangelo, per incarico di Giulio II, realizzò in circa quattro anni, dal 1508 al 1512. Il grande artista, già celebre per capolavori di scultura, affrontò l’impresa di dipingere più di mille metri quadrati di intonaco, e possiamo immaginare che l’effetto prodotto su chi per la prima volta la vide compiuta dovette essere davvero impressionante. Da questo immenso affresco è precipitato sulla storia dell’arte italiana ed europea – dirà il Wölfflin nel 1899 con una bella e ormai celebre metafora – qualcosa di paragonabile a un «violento torrente montano portatore di felicità e al tempo stesso di devastazione»: nulla rimase più come prima. Giorgio Vasari, in un famoso passaggio delle Vite, scrive in modo molto efficace: «Questa opera è stata ed è veramente la lucerna dell’arte nostra, che ha fatto tanto giovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo».

Lucerna, lume, illuminare: tre parole del Vasari che non saranno state lontane dal cuore di chi era presente alla Celebrazione dei Vespri di quel 31 ottobre 1512. Ma non si tratta solo di luce che viene dal sapiente uso del colore ricco di contrasti, o dal movimento che anima il capolavoro michelangiolesco, ma dall’idea che percorre la grande volta: è la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale. Quella luce che con la sua potenza vince il caos e l’oscurità per donare vita: nella creazione e nella redenzione. E laCappella Sistina narra questa storia di luce, di liberazione, di salvezza, parla del rapporto di Dio con l’umanità. Con la geniale volta di Michelangelo, lo sguardo viene spinto a ripercorrere il messaggio dei Profeti, a cui si aggiungono le Sibille pagane in attesa di Cristo, fino al principio di tutto: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (
Gn 1,1). Con un’intensità espressiva unica, il grande artista disegna il Dio Creatore, la sua azione, la sua potenza, per dire con evidenza che il mondo non è prodotto dell’oscurità, del caso, dell’assurdo, ma deriva da un’Intelligenza, da una Libertà, da un supremo atto di Amore. In quell’incontro tra il dito di Dio e quello dell’uomo, noi percepiamo il contatto tra il cielo e la terra; in Adamo Dio entra in una relazione nuova con la sua creazione, l’uomo è in diretto rapporto con Lui, è chiamato da Lui, è a immagine e somiglianza di Dio.

Vent’anni dopo, nel Giudizio Universale, Michelangelo concluderà la grande parabola del cammino dell’umanità, spingendo lo sguardo al compimento di questa realtà del mondo e dell’uomo, all’incontro definitivo con il Cristo Giudice dei vivi e dei morti.

Pregare stasera in questa Cappella Sistina, avvolti dalla storia del cammino di Dio con l’uomo, mirabilmente rappresentata negli affreschi che ci sovrastano e ci circondano, è un invito alla lode, un invito ad elevare al Dio creatore, redentore e giudice dei vivi e dei morti, con tutti i Santi del Cielo, le parole del cantico dell’Apocalisse: «Amen, alleluia. […] Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi! […] Alleluia. […] Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria» (19,4a.5.7a). Amen.



AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE Sala Clementina Giovedì, 8 novembre 2012

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Eccellenze,Distinti Signori e Signore,

Saluto i membri della Pontificia Accademia delle Scienze in occasione di questa Assemblea Plenaria, ed esprimo la mia gratitudine al vostro presidente, professor Werner Arber, per le cordiali parole di saluto a nome vostro. Sono anche lieto di salutare il Vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, vostro Cancelliere, e lo ringrazio per l’importante lavoro che svolge per voi.

La presente sessione plenaria su «Complexity and Analogy in Science: Theoretical, Methodological and Epistemological Aspects» (Complessità e analogia nella scienza: aspetti teoretici, metodologici ed epistemologici), tocca un argomento importante che dischiude una serie di prospettive che puntano verso una nuova visione dell’unità delle scienze. Di fatto, le importanti scoperte e i progressi degli ultimi anni c’invitano a esaminare la grande analogia tra fisica e biologia che si manifesta chiaramente ogni qualvolta otteniamo una comprensione più profonda dell’ordine naturale. Se è vero che alcune delle nuove nozioni ottenute in questo modo ci possono permettere di trarre anche conclusioni sui processi del passato, questa estrapolazione mette altresì in rilievo la grande unità della natura nella complessa struttura dell’universo e il mistero del posto che l’uomo occupa in esso. La complessità e la grandezza della scienza contemporanea in tutto ciò che consente all’uomo di sapere sulla natura ha ripercussioni dirette sugli esseri umani. Solo l’uomo può ampliare costantemente la propria conoscenza della verità e ordinarla saggiamente per il bene proprio e del suo ambiente.

Nei vostri dibattiti avete cercato di esaminare, da un lato, la dialettica in corso sulla costante espansione della ricerca scientifica, dei metodi e delle specializzazioni e, dall’altro, la ricerca di una visione comprensiva di questo universo in cui gli esseri umani, dotati di intelligenza e di libertà, sono chiamati a capire, amare, vivere e lavorare. Attualmente, la disponibilità di potenti strumenti di ricerca e il potenziale per compiere esperimenti altamente complessi e precisi hanno permesso alle scienze naturali di avvicinarsi alle fondamenta stesse della realtà materiale in quanto tale, pur senza riuscire a capire del tutto la sua struttura unificante e la sua unità ultima. L’infinita successione e la paziente integrazione di diverse teorie, dove i risultati ottenuti servono a loro volta come presupposto per nuove ricerche, attestano sia l’unità del processo scientifico, sia l’impeto costante degli scienziati verso una comprensione più appropriata della verità della natura e una visione più inclusiva della stessa. Possiamo pensare qui, per esempio, agli sforzi della scienza e della tecnologia per ridurre le diverse forme di energia a una forza elementare fondamentale, che ora sembra essere meglio espressa nell’emergente approccio della complessità come base per modelli esplicativi. Se questa forza fondamentale non sembra più essere tanto semplice, ciò sfida i ricercatori a elaborare una formulazione più ampia, capace di abbracciare sia i sistemi più semplici, sia quelli più complessi.

Questo approccio interdisciplinare alla complessità mostra anche che le scienze non sono mondi intellettuali separati l’uno dall’altro e dalla realtà, ma piuttosto che sono collegati tra loro e volti allo studio della natura quale realtà unificata, intelligibile e armoniosa nella sua indubbia complessità. Questa visione contiene punti di contatto fecondi con la visione dell’universo adottata dalla filosofia e dalla teologia cristiane, con la nozione di essere partecipato, in cui ogni singola creatura, dotata della propria perfezione, partecipa anche a una natura specifica, e ciò all’interno di un universo ordinato che ha origine nella Parola creatrice di Dio. È proprio questa intrinseca organizzazione «logica» e «analogica» della natura a incoraggiare la ricerca scientifica e a portare la mente umana a scoprire la compartecipazione orizzontale tra esseri e la partecipazione trascendente da parte del Primo Essere. L’universo non è caos o risultato del caos, ma anzi appare sempre più chiaramente come complessità ordinata che ci permette di salire, attraverso l’analisi comparativa e l’analogia, dalla specializzazione verso un punto di vista più universalizzante e viceversa. Mentre i primi istanti del cosmo e della vita eludono ancora l’osservazione scientifica, la scienza si ritrova però a riflettere su una vasta serie di processi che rivela un ordine di costanti e corrispondenze evidenti e serve da componente essenziale della creazione permanente.

È in questo contesto più ampio che vorrei osservare quanto si sia dimostrato fecondo l’uso dell’analogia nella filosofia e nella teologia, non soltanto come strumento di analisi orizzontale delle realtà della natura, ma anche come stimolo alla riflessione creativa su un piano trascendente più elevato. Proprio grazie alla nozione della creazione il pensiero cristiano ha utilizzato l’analogia non solo per investigare le realtà terrene, ma anche come mezzo per salire dall’ordine creato alla contemplazione del suo Creatore, con la dovuta considerazione per il principio secondo cui la trascendenza di Dio implica che ogni similarità con le sue creature necessariamente comporti una più grande dissimilarità: mentre la struttura della creatura è quella di essere un essere per partecipazione, quella di Dio è di essere un essere per essenza, o Esse subsistens. Nella grande impresa umana di cercare di dischiudere i misteri dell’uomo e dell’universo, sono convinto del bisogno urgente di dialogo costante e di cooperazione tra i mondi della scienza e della fede per edificare una cultura di rispetto per l’uomo, per la dignità e la libertà umana, per il futuro della nostra famiglia umana e per lo sviluppo sostenibile a lungo termine del nostro pianeta. Senza questa necessaria interazione, le grandi questioni dell’umanità lasciano l’ambito della ragione e della verità e sono abbandonate all’irrazionale, al mito o all’indifferenza, a grande detrimento dell’umanità stessa, della pace nel mondo e del nostro destino ultimo.

Cari amici, nel concludere queste riflessioni, vorrei attirare la vostra attenzione sull’Anno della fede che la Chiesa sta celebrando per commemorare il cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II. Ringraziandovi per il contributo specifico dell’Accademia al rafforzamento del rapporto tra ragione e fede, vi assicuro del mio profondo interesse per le vostre attività e delle mie preghiere per voi e per le vostre famiglie. Su tutti voi invoco le benedizioni di Dio Onnipotente della saggezza, della gioia e della pace.




AI PARTECIPANTI ALLA 81ª ASSEMBLEA GENERALE DELL'INTERPOL Aula Paolo VI Venerdì, 9 novembre 2012

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(traduzione italiana)


Distinte Autorità,
Illustri Signori e Signore,

sono lieto di accogliervi a conclusione dell’Assemblea generale dell’Interpol, che ha riunito a Roma i rappresentanti degli organismi di polizia e di sicurezza ed esponenti della politica e delle Istituzioni dei 190 Stati membri, fra i quali, dall’anno 2008, vi è anche lo Stato della Città del Vaticano. Vi saluto tutti cordialmente e attraverso di voi desidero inviare il mio deferente saluto alle Personalità istituzionali dei vostri Paesi e a tutti i vostri concittadini, per la cui sicurezza voi operate con professionalità e spirito di servizio. In particolare, saluto i Ministri - il Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana, che ci ha rivolto alcune parole - e i membri dei Governi che hanno voluto essere presenti, il Presidente dell’Interpol e il Segretario Generale, che ringrazio per il saluto che ci ha indirizzato.

In queste giornate di studio e di confronto avete focalizzato la vostra attenzione sullo sviluppo della cooperazione internazionale nella lotta contro la criminalità. In effetti, è importante incrementare la collaborazione e lo scambio di esperienze proprio nel momento in cui, a livello globale, assistiamo ad un’estensione delle fonti di violenza provocate da fenomeni transnazionali che frenano il progresso dell’umanità. Tra di essi, l’evoluzione della violenza criminale costituisce un aspetto particolarmente preoccupante per il futuro del mondo. Non meno importante è il fatto che questo sforzo di riflessione associa i responsabili politici della sicurezza e della giustizia, gli organismi giudiziari e le forze dell’ordine, in modo che ognuno, per quanto di propria competenza, possa compiere un efficace lavoro favorito da uno scambio costruttivo. Infatti, le istanze politiche, sulla base dell’opera delle forze dell’ordine, possono identificare più agevolmente le principali evoluzioni emergenti in riferimento ai rischi per la società, e, di conseguenza, sono messe nella condizione di poter dare adeguati orientamenti legislativi e operativi nell’ambito del contrasto alla criminalità.

Nella nostra epoca la famiglia umana soffre a causa di numerose violazioni del diritto e della legalità, che in non pochi casi sfociano in episodi di violenza e fatti criminosi. Pertanto, è necessario tutelare i singoli e le comunità con un costante e rinnovato impegno e attraverso adeguati strumenti. Al riguardo, la funzione dell’Interpol, che possiamo definire un presidio di sicurezza internazionale, riveste notevole importanza in vista della realizzazione del bene comune, perché la società giusta esige anche l’ordine e il rispetto delle norme per una pacifica e serena convivenza civile. So che alcuni di voi compiono il loro dovere in condizioni talvolta di estremo pericolo e rischiano la loro vita per proteggere quella degli altri e permettere la costruzione di questa convivenza serena.

Siamo consapevoli che la violenza oggi si manifesta sotto nuove forme. Alla fine della cosiddetta guerra fredda tra i due blocchi occidentale e orientale, sono nate grandi speranze, specialmente dove una forma di violenza politica istituzionalizzata è stata fermata da movimenti pacifici che rivendicavano la libertà dei popoli. Tuttavia, sebbene alcune forme di violenza sembrino diminuire, specialmente il numero di conflitti militari, ce ne sono altre che si sviluppano, come la violenza criminale, responsabile ogni anno della maggioranza dei decessi di morte violenta nel mondo. Oggi, questo fenomeno è così pericoloso che costituisce un grave fattore di destabilizzazione delle società e, talvolta, mette a dura prova la stessa supremazia dello Stato.

La Chiesa e la Santa Sede incoraggiano quanti si adoperano per combattere la piaga della violenza e del crimine, in questa nostra realtà che assomiglia sempre più ad un «villaggio globale». Le forme più gravi delle attività criminali possono essere individuate nel terrorismo e nella criminalità organizzata. Il terrorismo, una delle forme più brutali della violenza, semina odio, morte, desiderio di vendetta. Questo fenomeno, da strategia sovversiva tipica di alcune organizzazioni estremistiche finalizzata alla distruzione delle cose e all’uccisione delle persone, si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizzando anche sofisticati mezzi tecnici, ingenti risorse finanziarie ed elaborando progetti su vasta scala (cfrCompendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 513). Dal canto suo, la criminalità organizzata prolifera nei luoghi della vita quotidiana e spesso agisce e colpisce al buio, al di fuori di ogni regola; realizza i suoi affari attraverso numerose attività illecite e immorali come la tratta delle persone – una forma moderna di schiavitù –, i traffici di beni o di sostanze, quali la droga, le armi, le merci contraffatte, giungendo anche al traffico di farmaci, utilizzati in gran parte dai poveri, che uccidono invece di curare. Questo commercio illecito diventa ancora più esecrabile quando riguarda gli organi umani di vittime innocenti: esse subiscono drammi e oltraggi che speravamo essere finiti per sempre dopo le tragedie del XX secolo ma che, purtroppo, ricompaiono attraverso le violenze generate dalle attività criminali di persone e organizzazioni senza scrupoli. Questi delitti infrangono le barriere morali progressivamente erette dalla civiltà e ripropongono una forma di barbarie che nega l’uomo e la sua dignità.

Cari amici, l’odierno incontro con voi, operatori della polizia internazionale, mi offre l’opportunità di ribadire ancora una volta che la violenza, nelle sue diverse forme terroristiche e criminali, è sempre inaccettabile, perché ferisce profondamente la dignità umana e costituisce un’offesa all’intera umanità. È doveroso quindi reprimere il crimine, nell’ambito di regole morali e giuridiche, poiché l’azione contro la criminalità va sempre condotta nel rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi di uno Stato di diritto. Infatti la lotta alla violenza deve mirare certamente ad arginare il crimine e a difendere la società, ma anche al ravvedimento e alla correzione del criminale, che rimane sempre persona umana, soggetto di diritti inalienabili e come tale non va escluso dalla società, ma recuperato. Al tempo stesso, la collaborazione internazionale contro la criminalità non può esaurirsi soltanto in operazioni di polizia. È essenziale che la pur necessaria opera repressiva sia accompagnata da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti a tali inaccettabili azioni criminose; occorre prestare speciale attenzione ai fattori di esclusione sociale e di indigenza che persistono nella popolazione e che costituiscono un veicolo di violenza e di odio. È necessario anche un particolare impegno sul piano politico e pedagogico per risolvere i problemi che possono alimentare la violenza e per favorire le condizioni affinché essa non nasca e non si sviluppi.

Pertanto, la risposta alla violenza e al crimine non può essere delegata alle sole forze dell’ordine, ma richiede la partecipazione di tutti i soggetti che possono incidere su questo fenomeno. Sconfiggere la violenza è un impegno che deve coinvolgere non solo le istituzioni e gli organismi preposti, ma la società nel suo complesso: le famiglie, le agenzie educative tra cui la scuola e le realtà religiose, i mezzi di comunicazione sociale e tutti i singoli cittadini. Ciascuno ha la sua specifica parte di responsabilità per un futuro di giustizia e di pace.

Rinnovo ai dirigenti e all’intera Interpol l’espressione della mia gratitudine per la sua azione, non sempre facile e non sempre compresa da tutti nella sua giusta finalità. Non può mancare il mio pensiero riconoscente per l’apprezzata collaborazione che l’Interpol offre alla Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano, specialmente in occasione dei miei Viaggi internazionali. Dio onnipotente e misericordioso vi illumini nell’esercizio delle vostre responsabilità, vi sostenga nel servizio alla collettività, protegga voi, i vostri collaboratori e le vostre famiglie. Vi ringrazio per la vostra presenza; il Signore vi benedica.





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