Discorsi 2005-13 22112

ALLA 17ª CONFERENZA DEI DIRETTORI DELLE AMMINISTRAZIONI PENITENZIARIE DEL CONSIGLIO D'EUROPA Sala Clementina Giovedì, 22 novembre 2012

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Signor Ministro,

Signor Vice-Segretario,
Signori Direttori!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Conferenza e desidero, anzitutto, ringraziare il Ministro della Giustizia del Governo Italiano, Prof.ssa Paola Severino, ed il Vice-Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Dott.ssa Gabriella Battaini-Dragoni, per il saluto rivoltomi anche a vostro nome.

I temi della giustizia penale sono continuamente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, particolarmente in un tempo in cui le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità. La tendenza, però, è di restringere il dibattito solo al momento legislativo della disciplina dei reati e delle sanzioni o al momento processuale, inerente i tempi e le modalità per arrivare ad una sentenza che sia il più possibile corrispondente alla verità dei fatti. Minore attenzione viene invece prestata alla modalità di esecuzione delle pene detentive, in relazione alla quale al parametro della “giustizia”, deve essere accostato come essenziale quello del rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo. Ma anche questo parametro, benché indispensabile ed in molti Paesi, purtroppo, ancora lontano dall’essere conseguito, non può essere considerato sufficiente, proprio al fine di tutelare in modo integrale i diritti della persona. Occorre impegnarsi, in concreto e non solo come affermazione di principio, per una effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale. L’esigenza personale del detenuto di vivere nel carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione è, infatti, esigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale. Negli ultimi anni ci sono stati molti progressi, sebbene il percorso resti ancora lungo. Non è solo una questione di disponibilità di adeguate risorse finanziarie, per rendere più dignitosi gli ambienti carcerari ed assicurare ai detenuti più efficaci mezzi di sostegno e percorsi di formazione; occorre anche una crescita nella mentalità, così da legare il dibattito carcerario concernente il rispetto dei diritti umani del detenuto a quello, più ampio, relativo alla stessa realizzazione della giustizia penale.

Affinché la giustizia umana possa, in questo campo, guardare alla giustizia divina ed esserne orientata, è necessario che la funzione rieducativa della pena non sia considerata un aspetto accessorio e secondario del sistema penale, ma, al contrario, momento culminante e qualificante. Al fine di “fare giustizia” non basta cioè che colui che è riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito; occorre che, nel punirlo, si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e migliorare l’uomo. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata in senso integrale. In ogni caso ci si deve impegnare per evitare che una detenzione fallita nella funzione rieducativa divenga una pena diseducativa, che, paradossalmente, accentua, invece di contrastare, l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona.

Voi Direttori, insieme a tutti gli altri operatori giudiziari e sociali, potete contribuire in modo significativo a promuovere questa “più vera” giustizia, “aperta alla forza liberatrice dell’amore” (Giovanni Paolo II, Messaggio per il Giubileo nelle carceri, 9 luglio 2000) e legata alla stessa dignità dell’uomo. Il vostro ruolo è, in un certo senso, ancora più decisivo di quello degli organi legislativi, poiché, anche in presenza di strutture e risorse adeguate, l’efficacia dei percorsi rieducativi dipende sempre dalla sensibilità, capacità ed attenzione delle persone chiamate ad attuare in concreto quanto stabilito sulla carta. Il compito degli operatori penitenziari, a qualunque livello essi operino, non è certo facile. Per questo oggi, tramite voi, desidero rendere omaggio a tutti coloro che, nelle amministrazioni penitenziarie, si adoperano con grande serietà e dedizione. Il contatto con coloro che hanno commesso colpe da espiare e l’impegno richiesto per ridare dignità e speranza a chi spesso ha già sofferto l’emarginazione ed il disprezzo richiamano la missione stessa di Cristo, il quale è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori (cfr
Mt 9,13 Mc 2,17 Lc 5,32), destinatari privilegiati della misericordia di Dio. Ogni uomo è chiamato a diventare custode del proprio fratello, superando così l’indifferenza omicida di Caino (cfr Gn 4,9); a voi in particolare è chiesto di custodire coloro che, nelle condizioni della detenzione, possono più facilmente smarrire il senso della vita ed il valore della dignità personale, cedendo alla sfiducia ed alla disperazione. Il profondo rispetto della persona, l’operare per la riabilitazione del carcerato, il creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti considerando anche la crescente presenza di “detenuti stranieri”, spesso in situazioni difficili e di fragilità. Ovviamente, al ruolo delle istituzioni e degli operatori penitenziari è indispensabile che corrisponda la disponibilità del detenuto a vivere un tempo di formazione. Una risposta positiva non dovrebbe però essere semplicemente attesa ed auspicata, ma sollecitata e favorita con iniziative e proposte capaci di vincere l’ozio e spezzare la solitudine in cui spesso i detenuti restano confinati. Molto importante in questo senso è la promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale, capaci di destare nel detenuto gli aspetti più nobili e profondi, risvegliando in lui l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile, l’immagine di Dio.

Con la certezza sulla possibilità di rinnovarsi, la detenzione in carcere può assolvere alla sua funzione rieducativa e diventare per il detenuto occasione di assaporare la redenzione operata da Cristo nel Mistero Pasquale, che ci assicura la vittoria su ogni male.

Cari amici, mentre vi ringrazio di cuore per questo incontro e per l’opera che svolgete, invoco su di voi e sul vostro lavoro l’abbondanza delle Benedizioni del Signore.




AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO MONDIALE DELL'APOSTOLATO DEL MARE Sala Clementina Venerdì, 23 novembre 2012

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Venerati Fratelli,

cari fratelli e sorelle!

Vi accolgo con gioia, al termine dei lavori del XXIII Congresso Mondiale dell’Apostolato del Mare. Saluto cordialmente il Cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, grato per le sue cortesi parole, come pure i collaboratori del Dicastero e quanti operate in questo specifico settore. Avete vissuto giornate intense di approfondimento su temi importanti, come l’annuncio del Vangelo ad un numero crescente di marittimi appartenenti alle Chiese Orientali, l’assistenza a quelli non cristiani o non credenti, la ricerca di una collaborazione ecumenica e interreligiosa sempre più solida. Di fronte poi ai disagi che oggi affrontano gli operatori dell’industria marittima, come pure i pescatori e le loro famiglie, emerge sempre più chiaramente la necessità di affrontare i problemi con «una visione integrale dell’uomo, che rispecchi i vari aspetti della persona umana, contemplata con lo sguardo purificato dalla carità» (Enc. Caritas in veritate ).

Questi sono soltanto alcuni dei molteplici aspetti che stanno a cuore all’Apostolato del Mare, emersi durante il vostro Congresso e, soprattutto, ben attestati dalla lunga storia di questa benemerita opera. Infatti, già nel 1922, il Papa Pio XI ne approvò le Costituzioni e il Regolamento, incoraggiando i primi cappellani e volontari nella missione di «espandere il ministero marittimo»; e, 75 anni dopo, il Beato Papa Giovanni Paolo II confermò tale missione con il Motu proprio Stella maris. Nella scia di questa preziosa tradizione, vi siete ritrovati a riflettere sul tema della nuova evangelizzazione nel mondo marittimo, nella medesima Aula in cui, nel mese scorso, si è tenuta la XIII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi «per tracciare nuovi modi ed espressioni della Buona Notizia da trasmettere all’uomo contemporaneo con rinnovato entusiasmo» (Lineamenta, Introduzione). In questo modo avete risposto all’appello che ho rivolto a tutti indicendo l’Anno della fede, per «dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa … per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole e a rinvigorire la loro adesione al Vangelo» (Motu proprio Porta fidei, 8).

Sin dagli albori del Cristianesimo, il mondo marittimo è stato veicolo efficace di evangelizzazione. Gli Apostoli e i discepoli di Gesù ebbero la possibilità di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura (cfr Mc
Mc 16,15) anche grazie alla navigazione marittima; pensiamo solo ai Viaggi di San Paolo. In tal modo essi iniziarono il cammino per diffondere la Parola di Dio «sino agli estremi confini della terra» (Ac 1,8). Anche oggi la Chiesa solca i mari per portare il Vangelo a tutte le nazioni, e la vostra capillare presenza negli scali portuali del mondo, le visite che fate quotidianamente sulle navi attraccate nei porti e l’accoglienza fraterna nelle ore di sosta degli equipaggi, sono il segno visibile della sollecitudine verso quanti non possono ricevere una cura pastorale ordinaria. Questo mondo del mare, nel continuo peregrinare di persone, oggi deve tenere conto dei complessi effetti della globalizzazione e, purtroppo, si trova a dover affrontare anche situazioni di ingiustizia, specialmente quando gli equipaggi sono soggetti a restrizioni per scendere a terra, quando vengono abbandonati insieme alle imbarcazioni su cui lavorano, quando cadono sotto la minaccia della pirateria marittima o subiscono i danni della pesca illegale (cfr Angelus, 18 gennaio 2009). La vulnerabilità dei marittimi, pescatori e naviganti, deve rendere ancora più attenta la sollecitudine della Chiesa e stimolare la materna cura che, attraverso di voi, manifesta a tutti coloro che incontrate nei porti o sulle navi, o assistete a bordo nei lunghi mesi d’imbarco.

Un pensiero particolare va a quanti lavorano nel vasto settore della pesca e alle loro famiglie. Più di altri, infatti, essi devono fronteggiare le difficoltà del presente e vivono l’incertezza del futuro, segnato dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse. A voi pescatori, che cercate condizioni di lavoro dignitose e sicure, salvaguardando il valore della famiglia, la tutela dell’ambiente e la difesa della dignità di ogni persona, vorrei assicurare la vicinanza della Chiesa. L’apostolato dei laici, in questo ambito, è già particolarmente attivo, annoverando molti diaconi permanenti e volontari nei Centri “Stella maris”, ma anche e soprattutto vede tra i marittimi stessi una crescente attenzione per sostenere gli altri membri dell’equipaggio, incoraggiandoli anche a ritrovare e intensificare il rapporto con Dio durante le lunghe traversate oceaniche, e assistendoli con spirito di carità nelle situazioni di pericolo.

Riprendendo una metafora che vi è ben nota, esorto anche voi a fare tesoro del Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale è come «una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta» (Udienza Generale, 10 ottobre 2012). In particolare, richiamando il Decreto Ad gentes sull’attività missionaria della Chiesa, desidero oggi rinnovare il mandato ecclesiale che, in comunione con le vostre Chiese locali di appartenenza, vi pone in prima linea nell’evangelizzazione di tanti uomini e donne di diverse nazionalità che transitano nei vostri porti. Siate apostoli fedeli alla missione di annunciare il Vangelo, manifestate il volto premuroso della Chiesa che accoglie e si fa vicina anche a questa porzione del Popolo di Dio, rispondete senza esitare alla gente di mare, che vi attende a bordo per colmare le profonde nostalgie dell’anima e sentirsi parte attiva della comunità. Auguro a ciascuno di voi di riscoprire ogni giorno la bellezza della fede, per testimoniarla sempre con la coerenza della vita. La Beata Vergine Maria, Stella maris e Stella matutina, illumini sempre la vostra opera affinché la gente di mare possa conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù che è Via, Verità e Vita. Di cuore imparto a voi, ai vostri collaboratori e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.




CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI


CAPPELLA PAPALE - ALLOCUZIONE Basilica Vaticana Sabato, 24 novembre 2012

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«Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica».


Cari fratelli e sorelle!

Queste parole, che tra poco pronunceranno solennemente i nuovi Cardinali emettendo la professione di fede, fanno parte del simbolo niceno-costantinopolitano, la sintesi della fede della Chiesa che ognuno riceve al momento del Battesimo. Solo professando e custodendo intatta questa regola di verità siamo autentici discepoli del Signore. In questo Concistoro, vorrei soffermarmi in particolare sul significato del termine «cattolica», che indica un tratto essenziale della Chiesa e della sua missione. Il discorso sarebbe ampio e potrebbe essere impostato secondo diverse prospettive: oggi mi limito a qualche pensiero.

Le note caratteristiche della Chiesa rispondono al disegno divino, come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica: «È Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche» (n. 811). Nello specifico, la Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (
Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.

Gesù poi invia la sua Chiesa non ad un gruppo, ma alla totalità del genere umano per radunarlo, nella fede, in un unico popolo al fine di salvarlo, come esprime bene il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen gentium: «Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo Popolo di Dio. Perciò questo Popolo, restando uno e unico, deve estendersi a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si compia il disegno della volontà di Dio» (n. 13). L’universalità della Chiesa attinge quindi all’universalità dell’unico disegno divino di salvezza del mondo. Tale carattere universale emerge con chiarezza il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito ricolma della sua presenza la prima comunità cristiana, perché il Vangelo si estenda a tutte le nazioni e faccia crescere in tutti i popoli l’unico Popolo di Dio. Così, la Chiesa, fin dai suoi inizi, è orientata kat’holon, abbraccia tutto l’universo. Gli Apostoli rendono testimonianza a Cristo rivolgendosi a uomini provenienti da tutta la terra e ciascuno li comprende come se parlassero nella sua lingua nativa (cfr At Ac 2,7-8). Da quel giorno la Chiesa con la «forza dello Spirito Santo», secondo la promessa di Gesù, annuncia il Signore morto e risorto «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (Ac 1,8). La missione universale della Chiesa, pertanto, non sale dal basso, ma scende dall’alto, dallo Spirito Santo, e fin dal suo primo istante è orientata ad esprimersi in ogni cultura per formare così l’unico Popolo di Dio. Non è tanto una comunità locale che si allarga e si espande lentamente, ma è come un lievito che è orientato all’universale, al tutto, e che porta in se stesso l’universalità.

«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15); «fate discepoli i popoli tutti», dice il Signore (Mt 28,19). Con queste parole Gesù invia gli Apostoli a tutte le creature, perché giunga dovunque l’azione salvifica di Dio. Ma se guardiamo al momento dell’ascensione di Gesù al Cielo, narrata negli Atti degli Apostoli, vediamo che i discepoli sono ancora chiusi nella loro visione, pensano alla restaurazione di un nuovo regno davidico, e domandano al Signore: «è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (Ac 1,6). E come risponde Gesù? Risponde aprendo i loro orizzonti e donando loro la promessa e un compito: promette che saranno ricolmi della potenza dello Spirito Santo e conferisce loro l’incarico di testimoniarlo in tutto il mondo oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere, per aprirsi al Regno universale di Dio. E agli inizi del cammino della Chiesa, gli Apostoli e i discepoli partono senza alcuna sicurezza umana, ma con l’unica forza dello Spirito Santo, del Vangelo e della fede. È il fermento che si sparge nel mondo, entra nelle diverse vicende e nei molteplici contesti culturali e sociali, ma rimane un’unica Chiesa. Intorno agli Apostoli fioriscono le comunità cristiane, ma esse sono «la» Chiesa, che, a Gerusalemme, ad Antiochia o a Roma, è sempre la stessa, una e universale. E quando gli Apostoli parlano di Chiesa, non parlano di una propria comunità, parlano della Chiesa di Cristo, e insistono su questa identità unica, universale e totale dellaCatholica, che si realizza in ogni Chiesa locale. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica, riflette in se stessa la sorgente della sua vita e del suo cammino: l’unità e la comunione della Trinità.

Nel solco e nella prospettiva dell’unità e universalità della Chiesa si colloca anche il Collegio Cardinalizio: esso presenta una varietà di volti, in quanto esprime il volto della Chiesa universale. Attraverso questo Concistoro, in modo particolare, desidero porre in risalto che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, e pertanto si esprime nelle varie culture dei diversi Continenti. È la Chiesa di Pentecoste, che nella polifonia delle voci innalza un unico canto armonioso al Dio vivente.

Saluto cordialmente le Delegazioni ufficiali dei vari Paesi, i Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate, i fedeli laici delle diverse Comunità diocesane e tutti coloro che partecipano alla gioia dei nuovi membri del Collegio Cardinalizio, ai quali sono legati per il vincolo della parentela, dell’amicizia, della collaborazione. I nuovi Cardinali, che rappresentano varie Diocesi del mondo, sono da oggi aggregati, a titolo tutto speciale, alla Chiesa di Roma e rafforzano così i legami spirituali che uniscono la Chiesa intera, vivificata da Cristo e stretta attorno al Successore di Pietro. Nello stesso tempo, il rito odierno esprime il supremo valore della fedeltà. Infatti, nel giuramento che tra poco voi farete, venerati Fratelli, stanno scritte parole cariche di profondo significato spirituale ed ecclesiale: «Prometto e giuro di rimanere, da ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla Santa Apostolica Chiesa Romana». E nel ricevere la berretta rossa sentirete ricordarvi che essa indica «che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio». Mentre la consegna dell’anello sarà accompagnata dal monito: «Sappi che con l’amore del Principe degli Apostoli si rafforza il tuo amore verso la Chiesa».

Ecco indicata, in questi gesti e nelle espressioni che li accompagnano, la fisionomia che voi oggi assumete nella Chiesa. D’ora in poi voi sarete ancora più strettamente e intimamente uniti alla Sede di Pietro: i titoli o le diaconie delle chiese dell’Urbe vi ricorderanno il legame che vi stringe, come membri a titolo specialissimo, a questa Chiesa di Roma, che presiede alla carità universale. Specialmente mediante la vostra collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana, sarete miei preziosi cooperatori, anzitutto nel ministero apostolico per l’intera cattolicità, quale Pastore dell’intero gregge di Cristo e primo garante della dottrina, della disciplina e della morale.

Cari amici, lodiamo il Signore, che «con larghezza di doni non cessa di arricchire la sua Chiesa sparsa nel mondo» (Orazione) e la rinvigorisce nella perenne giovinezza che le ha dato. A Lui affidiamo il nuovo servizio ecclesiale di questi stimati e venerati Fratelli, affinché possano rendere coraggiosa testimonianza a Cristo, nel dinamismo edificante della fede e nel segno di un incessante amore oblativo. Amen.



AI NUOVI CARDINALI, CON I FAMILIARI E I PELLEGRINI CONVENUTI PER IL CONCISTORO Aula Paolo VI Lunedì, 26 novembre 2012

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Signori Cardinali,

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Cari amici!

Con animo grato al Signore, vogliamo oggi prolungare i sentimenti e le emozioni, cheabbiamo vissuto ieri e l'altro ieri, in occasione della creazione di 6 nuovi Cardinali. Sono stati momenti di intensa preghiera e di profonda comunione, vissuti nella consapevolezza di un evento che riguarda la Chiesa universale, chiamata ad essere segno di speranza per tutti i popoli. Sono pertanto lieto di accogliervi anche quest'oggi, in quest'incontro semplice e familiare e di rivolgere il mio cordiale saluto ai neo-Porporati, come pure ai loro parenti, amici e a quanti li accompagnano in questa circostanza così solenne e importante.

I extend a cordial greeting to the English-speaking Prelates whom I had the joy of raising to the dignity of Cardinal in last Saturday’s Consistory: Cardinal James Michael HARVEY, Archpriest of the Papal Basilica of Saint Paul’s Outside the Walls; Cardinal Baselios Cleemis THOTTUNKAL, Major Archbishop of Trivandrum of the Syro-Malankaras (India); Cardinal John Olorunfemi ONAIYEKAN, Archbishop of Abuja (Nigeria); and Cardinal Luis Antonio TAGLE, Archbishop of Manila (Philippines).

I also welcome their family members and friends, and all the faithful who accompany them here today.

The College of Cardinals, whose origin is linked to the ancient clergy of the Roman Church, is charged with electing the Successor of Peter and advising him in matters of greater importance. Whether in the offices of the Roman Curia or in their ministry in the local Churches throughout the world, the Cardinals are called to share in a special way in the Pope’s solicitude for the universal Church. The vivid colour of their robes has traditionally been seen as a sign of their commitment to defending Christ’s flock even to the shedding of their blood. As the new Cardinals assume the burden of office, I am confident that they will be supported by your prayers and assistance as they strive with the Roman Pontiff to promote throughout the world the holiness, communion and peace of the Church.

[Porgo un cordiale saluto ai prelati anglofoni che ho avuto la gioia di elevare alla dignità di Cardinali nel Concistoro di sabato scorso: il Cardinale James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura; il Cardinale Baselios Cleemis Thottunkal, Arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India); il Cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja (Nigeria); e il Cardinale Luis Antonio Tagle, Arcivescovo di Manila (Filippine).

Do anche il benvenuto ai loro familiari e ai loro amici, e a tutti i fedeli che li accompagnano oggi qui.

Il Collegio dei Cardinali, la cui origine è legata all’antico clero della Chiesa di Roma, ha il compito di eleggere il Successore di Pietro e di consigliarlo nelle questioni di maggiore importanza. Sia negli uffici della Curia Romana sia nel loro ministero nelle Chiese locali in tutto il mondo, i Cardinali sono chiamati a condividere in modo particolare la sollecitudine del Papa per la Chiesa universale. Il vivido colore delle loro vesti è stato tradizionalmente visto come un segno del loro impegno nel difendere il gregge di Cristo, fino allo spargimento del sangue. Mentre i nuovi Cardinali assumono l’onere dell’ufficio, confido che saranno sostenuti dalle vostre preghiere e dal vostro aiuto quando, con il Romano Pontefice, si sforzeranno di promuovere in tutto il mondo la santità, la comunione e la pace della Chiesa.].

Je salue cordialement les pèlerins francophones, et surtout les Libanais, dans l’heureux souvenir de ma toute récente Visite apostolique dans leur pays, motivée avant tout par la signature de l’Exhortation apostolique post synodale Ecclesia in Medio Oriente. Par le cardinalat du patriarche BOUTROS RAÏ, je désire encourager particulièrement la vie et la présence des chrétiens au Moyen Orient où ils doivent pouvoir vivre librement leur foi, et lancer une nouvelle fois un appel pressant à la paix dans la Région. L’Église encourage tout effort en vue de la paix dans le monde et au Moyen Orient, paix qui ne sera effective que si elle se base sur un authentique respect de l’autre. Puisse le temps de l’Avent qui est à notre porte, nous faire redécouvrir la grandeur du Christ, vrai homme et vrai Dieu, venu dans le monde pour sauver tous les hommes et apporter la paix et la réconciliation ! Bon pèlerinage à tous !

[Saluto cordialmente i pellegrini francofoni, e soprattutto i libanesi, nel lieto ricordo della mia recente visita apostolica nel loro Paese, motivata in primo luogo dalla firma dell’Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente. Attraverso il cardinalato del Patriarca Boutros Raï, desidero incoraggiare in modo particolare la vita e la presenza dei cristiani in Medio Oriente, dove devono poter vivere liberamente la propria fede e lanciare ancora una volta un pressante appello alla pace nella Regione. La Chiesa incoraggia ogni sforzo in vista della pace nel mondo e in Medio Oriente, pace che sarà effettiva solo se si baserà su un autentico rispetto dell’altro. Possa il tempo dell’Avvento che è alle porte farci riscoprire la grandezza di Cristo, vero uomo e vero Dio, venuto nel mondo per salvare tutti gli uomini e per portare la pace e la riconciliazione! Buon pellegrinaggio a tutti!].

Saludo con vivo afecto al cardenal Rubén SALAZAR GÓMEZ, arzobispo metropolitano de Bogotá y presidente de la Conferencia Episcopal de Colombia, y a los familiares, obispos, sacerdotes, religiosos y laicos que lo acompañan y participan de su gozo íntimo y espiritual al ser incorporado al Colegio Cardenalicio. Invito a todos a elevar fervientes oraciones por el nuevo purpurado, para que esté cada vez más unido al Sucesor de Pedro y colabore infatigablemente con la Sede Apostólica. Pidamos a Dios igualmente que lo asista con sus dones, para que siga siendo testigo de la verdad del Evangelio de la salvación, exponiendo con rectitud y fidelidad su contenido y llevando a todos la fuerza redentora de Cristo. Que María Santísima, que en aquellas nobles tierras se invoca bajo el dulce Nombre de Nuestra Señora del Rosario de Chiquinquirá, lo sostenga siempre con su amor de Madre, así como a todos los queridos hijos e hijas de Colombia, a quienes tengo muy presentes en mi corazón y plegaria, para que avancen en paz y concordia por los caminos de la justicia, la reconciliación y la solidaridad.

[Saluto con vivo affetto il Cardinale Rubén Salazar Gómez, Arcivescovo metropolita di Bogotá e Presidente della Conferenza episcopale di Colombia, e i familiari, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e i laici che lo accompagnano e partecipano alla sua gioia intima e spirituale nell’essere incorporato nel Collegio Cardinalizio. Invito tutti a levare ferventi preghiere per il nuovo porporato, affinché sia sempre più unito al Successore di Pietro e collabori instancabilmente con la Sede Apostolica. Chiediamo altresì a Dio che lo assista con i suoi doni, affinché continui a essere testimone della verità del Vangelo della salvezza, esponendo con rettitudine e fedeltà il suo contenuto e portando a tutti la forza redentrice di Cristo. Che Maria Santissima, che in quella nobile terra viene invocata con il dolce nome di Nuestra Señora del Rosario de Chiquinquirá, lo sostenga sempre con il suo amore di Madre, e sostenga tutti gli amati figli e figlie della Colombia, che ho molto presenti nel mio cuore e nella mia preghiera, cosicché avanzino in pace e concordia lungo le vie della giustizia, della riconciliazione e della solidarietà.].

Cari e venerati Fratelli che siete entrati a far parte del Collegio cardinalizio! Il vostro ministero si arricchisce di un nuovo impegno nel sostenere il Successore di Pietro, nel suo universale servizio alla Chiesa. Pertanto, mentre rinnovo a ciascuno di voi il mio augurio più cordiale, confido nel sostegno della vostra preghiera e nel vostro prezioso aiuto. Proseguite fiduciosi e forti nella vostra missione spirituale e apostolica, mantenendo fisso lo sguardo su Cristo e rafforzando il vostro amore per la sua Chiesa. Questo amore lo possiamo imparare anche dai Santi, che sono la realizzazione più compiuta della Chiesa: essi l’hanno amata e, lasciandosi plasmare da Cristo, hanno speso totalmente la loro vita perché tutti gli uomini siano illuminati dalla luce di Cristo che splende sul volto della Chiesa (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium
LG 1). Invoco su di voi e sui presenti la materna protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, e di cuore imparto a voi e a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.




AL GRUPPO DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI FRANCIA, IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Sala del Concistoro Venerdi 30 novembre 2012

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Signor cardinale, cari fratelli nell’episcopato,

Conservo sempre vivo il ricordo del mio viaggio apostolico in Francia in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario delle apparizioni a Lourdes dell’Immacolata Concezione. Siete l’ultimo dei tre gruppi di vescovi di Francia venuti in visita ad limina.La ringrazio, eminenza, per le sue cordiali parole. Rivolgendomi a quanti vi hanno preceduto, ho aperto una sorta di trittico la cui indispensabile predella potrebbe essere il discorso che vi ho rivolto a Lourdes nel 2008. L’esame di questo insieme inscindibile vi sarà certamente utile e guiderà le vostre riflessioni.

Voi siete responsabili di regioni in cui la fede cristiana si è radicata molto presto e ha recato frutti ammirevoli. Regioni legate a nomi illustri che si sono adoperati tanto per il radicamento e la crescita del Regno di Dio in questo mondo: martiri come Potino e Blandina, grandi teologi come Ireneo e Vincenzo di Lérins, maestri della spiritualità cristiana come Bruno, Bernardo, Francesco di Sales e tanti altri. La Chiesa in Francia s’iscrive in una lunga stirpe di santi, dottori, martiri e confessori della fede. Siete gli eredi di una grande esperienza umana e di un’immensa ricchezza spirituale, che, senza alcun dubbio, sono quindi per voi fonte d’ispirazione nella vostra missione di pastori.

Queste origini e questo passato glorioso, sempre presenti nel nostro pensiero e tanto cari al nostro spirito, ci permettono di nutrire una grande speranza, insieme salda e audace, al momento di raccogliere le sfide del terzo millennio e di ascoltare le aspettative degli uomini della nostra epoca, alle quali Dio solo può dare una risposta soddisfacente. La Buona Novella che abbiamo il compito di annunciare agli uomini di tutti i tempi, di tutte le lingue e di tutte le culture, si può riassumere in poche parole: Dio, creatore dell’uomo, in suo figlio Gesù ci fa conoscere il suo amore per l’umanità: «Dio è amore» (cfr. ), Egli vuole la felicità delle sue creature, di tutti i suoi figli. La costituzione pastorale Gaudium et spes (cfr. n. 10) ha affrontato le questioni chiave dell’esistenza umana, sul senso della vita e della morte, del male, della malattia e della sofferenza, così presenti nel nostro mondo. Ha ricordato che, nella sua bontà paterna, Dio ha voluto dare delle risposte a tutti questi interrogativi e che Cristo ha fondato la sua Chiesa affinché tutti gli uomini potessero conoscerle. Perciò uno dei problemi più seri della nostra epoca è quello dell’ignoranza pratica religiosa in cui vivono molti uomini e donne, compresi alcuni fedeli cattolici (cfr. esortazione apostolicaChristifideles laici, capitolo V).

Per questo motivo la nuova evangelizzazione, nella quale la Chiesa si è risolutamente impegnata dal concilio Vaticano II e della quale il motu proprio Ubicumque et semper ha delineato le principali modalità, si presenta con un’urgenza particolare, come hanno sottolineato i padri del Sinodo che si è da poco concluso. Essa chiede a tutti i cristiani di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr.
1P 3,15), consapevole che uno degli ostacoli più temibili della nostra missione pastorale è l’ignoranza del contenuto della fede. Si tratta in realtà di una duplice ignoranza: un disconoscimento della persona di Gesù Cristo e un’ignoranza della sublimità dei suoi insegnamenti, del loro valore universale e permanente nella ricerca del senso della vita e della felicità. Questa ignoranza provoca inoltre nelle nuove generazioni l’incapacità di comprendere la storia e di sentirsi eredi di questa tradizione che ha modellato la vita, la società, l’arte e la cultura europee.

Nell’attuale Anno della fede, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella nota del 6 gennaio 2012, ha dato le indicazioni pastorali auspicabili per mobilitare tutte le energie della Chiesa, l’azione dei suoi pastori e dei suoi fedeli, al fine di animare in profondità la società. È lo Spirito Santo che, «con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova» (Lumen gentium LG 4). Questa nota ricorda che «ogni iniziativa per l’Anno della fede vuole favorire la gioiosa riscoperta e la rinnovata testimonianza della fede. Le indicazioni qui offerte hanno lo scopo di invitare tutti i membri della Chiesa ad impegnarsi perché quest’Anno sia occasione privilegiata per condividere quello che il cristiano ha di più caro: Cristo Gesù, Redentore dell’uomo, Re dell’Universo, “autore e perfezionatore della fede” (He 12,2)». Il Sinodo dei vescovi ha proposto di recente a tutti e a ognuno i mezzi per condurre a buon fine questa missione. L’esempio del nostro divino Maestro è sempre il fondamento di tutta la nostra riflessione e della nostra azione. Preghiera e azione, questi sono i mezzi che il nostro Salvatore ci chiede ancora e sempre di utilizzare.

La nuova evangelizzazione sarà efficace se coinvolgerà a fondo le comunità e le parrocchie. I segni di vitalità e l’impegno dei fedeli laici nella società francese sono già una realtà incoraggiante. Molti sono stati in passato gli impegni dei laici; penso a Pauline-Marie Jaricot, della cui morte abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario, e alla sua opera per la diffusione della fede, così determinante per le missioni cattoliche nel XIX e XX secolo. I laici, con i loro vescovi e i sacerdoti, sono protagonisti nella vita della Chiesa e nella sua missione di evangelizzazione. In diversi suoi documenti (Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, tra gli altri), il concilio Vaticano II ha sottolineato la specificità della loro missione: permeare le realtà umane dello spirito del Vangelo. I laici sono il volto del mondo nella Chiesa e allo stesso tempo il volto della Chiesa nel mondo. Conosco il valore e la qualità del multiforme apostolato dei laici, uomini e donne. Unisco la mia voce alla vostra per esprimere loro i miei sentimenti di stima.

La Chiesa in Europa e in Francia non può restare indifferente dinanzi alla diminuzione delle vocazioni e delle ordinazioni sacerdotali, e neppure degli altri tipi di chiamate che Dio suscita nella Chiesa. È urgente mobilitare tutte le energie disponibili, affinché i giovani possano ascoltare la voce del Signore. Dio chiama chi vuole e quando vuole. Tuttavia, le famiglie cristiane e le comunità ferventi restano terreni particolarmente favorevoli. Queste famiglie, queste comunità e questi giovani sono dunque al centro di ogni iniziativa di evangelizzazione, malgrado un contesto culturale e sociale segnato dal relativismo e dall’edonismo.

Essendo i giovani la speranza e il futuro della Chiesa e del mondo, non voglio tralasciare di menzionare l’importanza dell’educazione cattolica. Questa svolge un compito ammirevole, spesso difficile, reso possibile dall’instancabile dedizione dei formatori: sacerdoti, persone consacrate o laici. Al di là del sapere trasmesso, la testimonianza di vita dei formatori deve permettere ai giovani di assimilare i valori umani e cristiani al fine di tendere alla ricerca e all’amore del vero e del bello (cfr. Gaudium et spes GS 15). Continuate a incoraggiarli e ad aprire loro nuove prospettive affinché beneficino anche dell’evangelizzazione. Gli istituti cattolici sono chiaramente al primo posto nel grande dialogo tra la fede e la cultura. L’amore per la verità che irradiano è di per sé evangelizzatore. Sono ambiti d’insegnamento e di dialogo, e anche centri di ricerca, che devono essere sempre più sviluppati, più ambiziosi. Conosco bene il contributo che la Chiesa in Francia ha apportato alla cultura cristiana. So della vostra attenzione — e vi incoraggio in tal senso — a coltivare il rigore accademico e a tessere legami più intensi di comunicazione e di collaborazione con università di altri Paesi, sia perché beneficino degli ambiti in cui eccellete, sia perché impariate da loro, al fine di servire sempre meglio la Chiesa, la società, l’intero uomo. Sottolineo con gratitudine le iniziative prese in alcune vostre diocesi per favorire l’iniziazione teologica di giovani studenti di discipline profane. La teologia è una fonte di sapienza, di gioia, di meraviglia che non può essere riservata solo ai seminaristi, ai sacerdoti e alle persone consacrate. Proposta a numerosi giovani e adulti, essa li conforterà nella fede e farà di loro, senza alcun dubbio, apostoli audaci e convincenti. È dunque una prospettiva che potrebbe essere ampiamente proposta agli istituti superiori di teologia, come espressione della dimensione intrinsecamente missionaria della teologia e come servizio della cultura nel suo significato più profondo.

Quanto alle scuole cattoliche che hanno modellato la vita cristiana e culturale del vostro Paese, esse hanno oggi una responsabilità storica. Ambito di trasmissione del sapere e di formazione della persona, di accoglienza incondizionata e di apprendimento della vita in comune, godono spesso di un meritato prestigio. È necessario trovare i percorsi affinché la trasmissione della fede resti al centro del loro progetto educativo. La nuova evangelizzazione passa per queste scuole e per la multiforme opera dell’educazione cattolica che sottende numerose iniziative e movimenti, per la qual cosa la Chiesa è riconoscente. L’educazione ai valori cristiani è la chiave della cultura del vostro Paese. Aprendo alla speranza e alla libertà autentica, essa continuerà ad apportarle dinamismo e creatività. L’ardore conferito alla nuova evangelizzazione sarà il nostro contributo migliore allo sviluppo della società umana e la risposta migliore alle sfide di ogni tipo che tutti devono affrontare in questo inizio del terzo millennio. Cari fratelli nell’episcopato, affido voi, come pure il vostro lavoro pastorale e l’insieme delle comunità che vi sono state affidate, alla sollecitudine materna della Vergine Maria che vi accompagnerà nella vostra missione nel corso degli anni a venire! E come ho affermato prima di lasciare la Francia nel 2008: «Da Roma vi resterò vicino e quando sosterò davanti alla riproduzione della Grotta di Lourdes, che da oltre un secolo si trova nei Giardini Vaticani, penserò a voi. Che Dio vi benedica!».





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