Benedetto XVI Omelie 21407

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA

Orti dell’Almo Collegio Borromeo, Pavia, III Domenica di Pasqua, 22 aprile 2007

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Cari fratelli e sorelle!

Ieri pomeriggio ho incontrato la Comunità diocesana di Vigevano ed il cuore di questa mia visita pastorale è stata la Concelebrazione eucaristica in Piazza Ducale; quest'oggi ho la gioia di visitare la vostra Diocesi e momento culminante di questo nostro incontro è anche qui la Santa Messa. Con affetto saluto i Confratelli che concelebrano con me: il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, il Pastore della vostra diocesi, il Vescovo Giovanni Giudici, quello emerito, il Vescovo Giovanni Volta, e gli altri Presuli della Lombardia. Sono grato per la loro presenza ai Rappresentanti del Governo e delle Amministrazioni locali. Rivolgo il mio saluto cordiale ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai responsabili delle associazioni laicali, ai giovani, ai malati e a tutti i fedeli, ed estendo il mio pensiero all'intera popolazione di questa antica e nobile città e della Diocesi.

Nel tempo pasquale la Chiesa ci presenta, domenica per domenica, qualche brano della predicazione con cui gli Apostoli, in particolare Pietro, dopo la Pasqua invitavano Israele alla fede in Gesù Cristo, il Risorto, fondando così la Chiesa. Nell'odierna lettura gli Apostoli stanno davanti al Sinedrio - davanti a quell'istituzione che, avendo dichiarato Gesù reo di morte, non poteva tollerare che questo Gesù, mediante la predicazione degli Apostoli, ora cominciasse ad operare nuovamente; non poteva tollerare che la sua forza risanatrice si facesse di nuovo presente e intorno a questo nome si raccogliessero persone che credevano in Lui come nel Redentore promesso. Gli Apostoli vengono accusati. Il rimprovero è: "Volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo". A questa accusa Pietro risponde con una breve catechesi sull'essenza della fede cristiana: "No, non vogliamo far ricadere il suo sangue su di voi. L'effetto della morte e risurrezione di Gesù è totalmente diverso. Dio lo ha fatto "capo e salvatore" per tutti, proprio anche per voi, per il suo popolo d'Israele". E dove conduce questo "capo", che cosa porta questo "salvatore"? Egli, così ci dice San Pietro, conduce alla conversione - crea lo spazio e la possibilità di ravvedersi, di pentirsi, di ricominciare. Ed Egli dona il perdono dei peccati - ci introduce nel giusto rapporto con Dio e così nel giusto rapporto di ognuno con se stesso e con gli altri.

Questa breve catechesi di Pietro non valeva solo per il Sinedrio. Essa parla a tutti noi. Poiché Gesù, il Risorto, vive anche oggi. E per tutte le generazioni, per tutti gli uomini Egli è il "capo" che precede sulla via, mostra la via e il "salvatore" che rende la nostra vita giusta. Le due parole "conversione" e "perdono dei peccati", corrispondenti ai due titoli di Cristo "capo", archegòs in greco, e "salvatore", sono le parole-chiave della catechesi di Pietro, parole che in quest'ora vogliono raggiungere anche il nostro cuore. E che cosa vogliono dire? Il cammino che dobbiamo fare - il cammino che Gesù ci indica, si chiama "conversione". Ma che cosa è? Che cosa bisogna fare? In ogni vita la conversione ha la sua forma propria, perché ogni uomo è qualcosa di nuovo e nessuno è soltanto la copia di un altro. Ma nel corso della storia della cristianità il Signore ci ha mandato modelli di conversione, guardando ai quali possiamo trovare orientamento. Potremmo per questo guardare a Pietro stesso, a cui il Signore nel cenacolo aveva detto: "Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (
Lc 22,32). Potremmo guardare a Paolo come a un grande convertito. La città di Pavia parla di uno dei più grandi convertiti della storia della Chiesa: sant'Aurelio Agostino. Egli morì il 28 agosto del 430 nella città portuale di Ippona, in Africa, allora circondata ed assediata dai Vandali. Dopo parecchia confusione di una storia agitata, il re dei Longobardi acquistò le sue spoglie per la città di Pavia, cosicché ora egli appartiene in modo particolare a questa città ed in essa e da essa parla a tutti noi, all'umanità, ma particolarmente a tutti noi qui in maniera speciale.

Nel suo libro "Le Confessioni", Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, che col Battesimo amministratogli dal Vescovo Ambrogio nel duomo di Milano aveva raggiunto la sua meta. Chi legge Le Confessioni può condividere il cammino che Agostino in una lunga lotta interiore dovette percorrere per ricevere finalmente, nella notte di Pasqua del 387, al fonte battesimale il Sacramento che segnò la grande svolta della sua vita. Seguendo attentamente il corso della vita di sant'Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato. Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione - fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l'Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio. Così possiamo giustamente parlare delle "conversioni" di Agostino che, di fatto, sono state un'unica grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui.

Vorrei parlare brevemente di tre grandi tappe in questo cammino di conversione, di tre "conversioni". La prima conversione fondamentale fu il cammino interiore verso il cristianesimo, verso il "sì" della fede e del Battesimo. Quale fu l'aspetto essenziale di questo cammino? Agostino, da una parte, era figlio del suo tempo, condizionato profondamente dalle abitudini e dalle passioni in esso dominanti, come anche da tutte le domande e i problemi di un uomo giovane. Viveva come tutti gli altri, e tuttavia c'era in lui qualcosa di diverso: egli rimase sempre una persona in ricerca. Non si accontentò mai della vita così come essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. Voleva riuscire a sapere che cosa è l'uomo; da dove proviene il mondo; di dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere ciecamente senza senso e senza meta. La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita. La passione per la verità realmente lo ha guidato. E c'è ancora una peculiarità. Tutto ciò che non portava il nome di Cristo, non gli bastava. L'amore per questo nome - ci dice - lo aveva bevuto col latte materno (cfr Conf 3, 4, 8). E sempre aveva creduto - a volte piuttosto vagamente, a volte più chiaramente - che Dio esiste e che Egli si prende cura di noi (cfr Conf 6, 5, 8). Ma conoscere veramente questo Dio e familiarizzare davvero con quel Gesù Cristo e arrivare a dire "sì" a Lui con tutte le conseguenze - questa era la grande lotta interiore dei suoi anni giovanili. Egli ci racconta che, per il tramite della filosofia platonica, aveva appreso e riconosciuto che "in principio era il Verbo" - il Logos, la ragione creatrice. Ma la filosofia, che gli mostrava che il principio di tutto è la ragione creatrice, questa stessa filosofia non gli indicava alcuna via per raggiungerlo; questo Logos rimaneva lontano e intangibile. Solo nella fede della Chiesa trovò poi la seconda verità essenziale: il Verbo, il Logos, si è fatto carne. E così esso ci tocca, noi lo tocchiamo. All'umiltà dell'incarnazione di Dio deve corrispondere - questo è il grande passo - l'umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo; che vive con la Chiesa e solo così entra nella comunione concreta, anzi corporea, con il Dio vivente. Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e fanno. Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù Cristo. Imparare l'umiltà della fede nella Chiesa corporea di Gesù Cristo, del Logos incarnato.

La sua seconda conversione Agostino ce la descrive alla fine del decimo libro delle sue Confessioni con le parole: "Oppresso dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu, però, me lo impedisti, confortandomi con queste parole: "Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per tutti"" (2Co 5,15 Conf 10, 43, 70). Che cosa era successo? Dopo il suo Battesimo, Agostino si era deciso a ritornare in Africa e lì aveva fondato, insieme con i suoi amici, un piccolo monastero. Ora la sua vita doveva essere dedita totalmente al colloquio con Dio e alla riflessione e contemplazione della bellezza e della verità della sua Parola. Così egli passò tre anni felici, nei quali si credeva arrivato alla meta della sua vita; in quel periodo nacque una serie di preziose opere filosofico-teologiche. Nel 391, quattro anni dopo il battesimo, egli andò a trovare nella città portuale di Ippona un amico, che voleva conquistare per il suo monastero. Ma nella liturgia domenicale, alla quale partecipò nella cattedrale, venne riconosciuto. Il Vescovo della città, un uomo di provenienza greca, che non parlava bene il latino e faceva fatica a predicare, nella sua omelia non a caso disse di aver l'intenzione di scegliere un sacerdote al quale affidare anche il compito della predicazione. Immediatamente la gente afferrò Agostino e lo portò di forza avanti, perché venisse consacrato sacerdote a servizio della città. Subito dopo questa sua consacrazione forzata, Agostino scrisse al Vescovo Valerio: "Mi sentivo come uno che non sa tenere il remo e a cui, tuttavia, è stato assegnato il secondo posto al timone... E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione" (cfr Ep 21,1 s). Il bel sogno della vita contemplativa era svanito, la vita di Agostino ne risultava fondamentalmente cambiata. Ora non poteva più dedicarsi solo alla meditazione nella solitudine. Doveva vivere con Cristo per tutti. Doveva tradurre le sue conoscenze e i suoi pensieri sublimi nel pensiero e nel linguaggio della gente semplice della sua città. La grande opera filosofica di tutta una vita, che aveva sognato, restò non scritta. Al suo posto ci venne donata una cosa più preziosa: il Vangelo tradotto nel linguaggio della vita quotidiana e delle sue sofferenze. Ciò che ora costituiva la sua quotidianità, lo ha descritto così: "Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori... stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti" (cfr Serm 340, 3). "Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti - è un ingente carico, un grande peso, un'immane fatica" (Serm 339, 4). Fu questa la seconda conversione che quest'uomo, lottando e soffrendo, dovette continuamente realizzare: sempre di nuovo essere lì per tutti, non per la propria perfezione; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita.

C'è ancora una terza tappa decisiva nel cammino di conversione di sant'Agostino. Dopo la sua Ordinazione sacerdotale, egli aveva chiesto un periodo di vacanza per poter studiare più a fondo le Sacre Scritture. Il suo primo ciclo di omelie, dopo questa pausa di riflessione, riguardò il Discorso della montagna; vi spiegava la via della retta vita, "della vita perfetta" indicata in modo nuovo da Cristo - la presentava come un pellegrinaggio sul monte santo della Parola di Dio. In queste omelie si può percepire ancora tutto l'entusiasmo della fede appena trovata e vissuta: la ferma convinzione che il battezzato, vivendo totalmente secondo il messaggio di Cristo, può essere, appunto, "perfetto" secondo il Sermone della montagna. Circa vent'anni dopo, Agostino scrisse un libro intitolato Le Ritrattazioni, in cui passa in rassegna in modo critico le sue opere redatte fino a quel momento, apportando correzioni laddove, nel frattempo, aveva appreso cose nuove. Riguardo all'ideale della perfezione nelle sue omelie sul Discorso della montagna annota: "Nel frattempo ho compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece - tutti noi, inclusi gli Apostoli - dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (cfr Retract. I 19, 1-3). Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà - non soltanto l'umiltà di inserire il suo grande pensiero nella fede umile della Chiesa, non solo l'umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella semplicità dell'annuncio, ma anche l'umiltà di riconoscere che a lui stesso e all'intera Chiesa peregrinante era ed è continuamente necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona ogni giorno. E noi - aggiungeva - ci rendiamo simili a Cristo, l'unico Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia.

In quest'ora ringraziamo Dio per la grande luce che si irradia dalla sapienza e dall'umiltà di sant'Agostino e preghiamo il Signore affinché doni a tutti noi, giorno per giorno, la conversione necessaria e così ci conduca verso la vera vita. Amen.


CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON SACERDOTI, RELIGIOSI, RELIGIOSE E SEMINARISTI DELLA DIOCESI

Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, Pavia, Domenica, 22 aprile 2007

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Cari fratelli e sorelle!

In questo suo momento conclusivo, la mia visita a Pavia acquista la forma del pellegrinaggio. È la forma in cui all'inizio l'avevo concepita, desiderando venire a venerare le spoglie mortali di sant'Agostino, per esprimere sia l'omaggio di tutta la Chiesa cattolica ad uno dei suoi "padri" più grandi, sia la mia personale devozione e riconoscenza verso colui che tanta parte ha avuto nella mia vita di teologo e di pastore, ma direi prima ancora di uomo e di sacerdote. Rinnovo con affetto il saluto al Vescovo Giovanni Giudici e lo porgo in modo speciale al Priore Generale degli Agostiniani, Padre Robert Francis Prevost, al Padre Provinciale e all'intera comunità agostiniana. Con gioia saluto tutti voi, cari sacerdoti, religiosi e religiose, laici consacrati e seminaristi.

La Provvidenza ha voluto che il mio viaggio acquistasse il carattere di una vera e propria visita pastorale, e perciò, in questa sosta di preghiera, vorrei raccogliere qui, presso il sepolcro del Doctor gratiae, un messaggio significativo per il cammino della Chiesa. Questo messaggio ci viene dall'incontro tra la Parola di Dio e l'esperienza personale del grande Vescovo di Ippona. Abbiamo ascoltato la breve Lettura biblica dei secondi Vespri della terza Domenica di Pasqua (
He 10,12-14): la Lettera agli Ebrei ci ha posto dinanzi Cristo sommo ed eterno Sacerdote, esaltato alla gloria del Padre dopo avere offerto se stesso come unico e perfetto sacrificio della nuova Alleanza, nel quale s'è compiuta l'opera della Redenzione. Su questo mistero sant'Agostino ha fissato lo sguardo e in esso ha trovato la Verità che tanto cercava: Gesù Cristo, Verbo incarnato, Agnello immolato e risorto, è la rivelazione del volto di Dio Amore ad ogni essere umano in cammino sui sentieri del tempo verso l'eternità. Scrive l'apostolo Giovanni in un passo che si può considerare parallelo a quello ora proclamato della Lettera agli Ebrei: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Jn 4,10). Qui è il cuore del Vangelo, il nucleo centrale del Cristianesimo. La luce di questo amore ha aperto gli occhi di Agostino, gli ha fatto incontrare la "bellezza antica e sempre nuova" (Conf. X, 27) in cui soltanto trova pace il cuore dell'uomo.

Cari fratelli e sorelle, qui, davanti alla tomba di sant'Agostino, vorrei idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo la mia prima Enciclica, che contiene proprio questo messaggio centrale del Vangelo: Deus caritas est, Dio è amore (1Jn 4,8 1Jn 4,16). Questa Enciclica, soprattutto la sua prima parte, è largamente debitrice al pensiero di sant'Agostino, che è stato un innamorato dell'Amore di Dio, e lo ha cantato, meditato, predicato in tutti i suoi scritti, e soprattutto testimoniato nel suo ministero pastorale. Sono convinto, ponendomi nella scia degli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dei miei venerati Predecessori Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, che l'umanità contemporanea ha bisogno di questo messaggio essenziale, incarnato in Cristo Gesù: Dio è amore. Tutto deve partire da qui e tutto qui deve condurre: ogni azione pastorale, ogni trattazione teologica. Come dice san Paolo: "Se non avessi la carità, nulla mi giova" (cfr 1Co 13,3): tutti i carismi perdono di senso e di valore senza l'amore, grazie al quale invece tutti concorrono a edificare il Corpo mistico di Cristo.

Ecco allora il messaggio che ancora oggi sant'Agostino ripete a tutta la Chiesa e, in particolare, a questa Comunità diocesana che con tanta venerazione custodisce le sue reliquie: l'Amore è l'anima della vita della Chiesa e della sua azione pastorale. L'abbiamo ascoltato stamani nel dialogo tra Gesù e Simon Pietro: "Mi ami tu? ... Pasci le mie pecorelle" (cfr Jn 21,15-17). Solo chi vive nell'esperienza personale dell'amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo. Alla scuola di sant'Agostino ripeto questa verità per voi come Vescovo di Roma, mentre, con gioia sempre nuova, la accolgo con voi come cristiano.

Servire Cristo è anzitutto questione d'amore. Cari fratelli e sorelle, la vostra appartenenza alla Chiesa e il vostro apostolato risplendano sempre per la libertà da ogni interesse individuale e per l'adesione senza riserve all'amore di Cristo. I giovani, in particolare, hanno bisogno di ricevere l'annuncio della libertà e della gioia, il cui segreto sta in Cristo. È Lui la risposta più vera all'attesa dei loro cuori inquieti per le tante domande che si portano dentro. Solo in Lui, Parola pronunciata dal Padre per noi, si trova quel connubio di verità e amore in cui è posto il senso pieno della vita. Agostino ha vissuto in prima persona ed esplorato fino in fondo gli interrogativi che l'uomo si porta nel cuore ed ha sondato le capacità che egli ha di aprirsi all'infinito di Dio.

Sulle orme di Agostino, siate anche voi una Chiesa che annuncia con franchezza la "lieta notizia" di Cristo, la sua proposta di vita, il suo messaggio di riconciliazione e di perdono. Ho veduto che il primo vostro obiettivo pastorale è di condurre le persone alla maturità cristiana. Apprezzo questa priorità accordata alla formazione personale, perché la Chiesa non è una semplice organizzazione di manifestazioni collettive né, all'opposto, la somma di individui che vivono una religiosità privata. La Chiesa è una comunità di persone che credono nel Dio di Gesù Cristo e si impegnano a vivere nel mondo il comandamento della carità che Egli ha lasciato. È dunque una comunità in cui si è educati all'amore, e questa educazione avviene non malgrado, ma attraverso gli avvenimenti della vita. Così è stato per Pietro, per Agostino e per tutti i santi. Così è per noi.

La maturazione personale, animata dalla carità ecclesiale, permette anche di crescere nel discernimento comunitario, cioè nella capacità di leggere e interpretare il tempo presente alla luce del Vangelo, per rispondere alla chiamata del Signore. Vi incoraggio a progredire nella testimonianza personale e comunitaria dell'amore operoso. Il servizio della carità, che concepite giustamente sempre legato all'annuncio della Parola e alla celebrazione dei Sacramenti, vi chiama e al tempo stesso vi stimola ad essere attenti ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli. Vi incoraggio a perseguire la "misura alta" della vita cristiana, che trova nella carità il vincolo della perfezione e che deve tradursi anche in uno stile di vita morale ispirato al Vangelo, inevitabilmente controcorrente rispetto ai criteri del mondo, ma da testimoniare sempre con stile umile, rispettoso e cordiale.

Cari fratelli e sorelle, è stato per me un dono, realmente un dono, condividere con voi questa sosta presso la tomba di sant'Agostino: la vostra presenza ha dato al mio pellegrinaggio un più concreto senso ecclesiale. Ripartiamo da qui portando nel cuore la gioia di essere discepoli dell'Amore. Ci accompagni sempre la Vergine Maria, alla cui materna protezione affido ciascuno di voi e i vostri cari, mentre con grande affetto vi imparto la Benedizione Apostolica.
***


All’uscita dalla Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, il Santo Padre rivolge ai fedeli di Pavia e in modo particolare ai numerosi bambini presenti il seguente saluto:

Cari bambini, per me è una grandissima gioia che al congedo da questa meravigliosa città di Pavia possa vedere i bambini, i ragazzi e le ragazze, i giovani. Voi siete particolarmente vicini al Signore. Il suo amore è particolarmente per voi. Andiamo avanti nell’amore del Signore! Pregate per me, io prego per voi. Arrivederci!


SANTA MESSA PER L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DI 22 DIACONI DELLA DIOCESI DI ROMA

Basilica Vaticana, IV Domenica di Pasqua, 29 aprile 2007

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Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari Ordinandi,
cari fratelli e sorelle!

L’odierna IV Domenica di Pasqua, tradizionalmente detta del "Buon Pastore", riveste per noi, che siamo raccolti in questa Basilica Vaticana, un particolare significato. E’ un giorno assolutamente singolare soprattutto per voi, cari Diaconi, ai quali, come Vescovo e Pastore di Roma, sono lieto di conferire l’Ordinazione sacerdotale. Entrerete così a far parte del nostro "presbyterium". Insieme con il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari ed i sacerdoti della Diocesi, ringrazio il Signore per il dono del vostro sacerdozio, che arricchisce la nostra Comunità di 22 nuovi Pastori.

La densità teologica del breve brano evangelico, che è stato poco fa proclamato, ci aiuta a meglio percepire il senso e il valore di questa solenne Celebrazione. Gesù parla di sé come del Buon Pastore che dà la vita eterna alle sue pecore (cfr
Jn 10,28). Quella del pastore è un’immagine ben radicata nell'Antico Testamento e cara alla tradizione cristiana. Il titolo di "pastore d’Israele" viene attribuito dai Profeti al futuro discendente di Davide, e pertanto possiede un’indubbia rilevanza messianica (cfr Ez 34,23). Gesù è il vero Pastore d’Israele, in quanto è il Figlio dell’uomo che ha voluto condividere la condizione degli esseri umani per donare loro la vita nuova e condurli alla salvezza. Significativamente al termine "pastore" l’evangelista aggiunge l’aggettivo kalós, bello, che egli utilizza unicamente in riferimento Gesù e alla sua missione. Anche nel racconto delle nozze di Cana l’aggettivo kalós viene impiegato due volte per connotare il vino offerto da Gesù ed è facile vedere in esso il simbolo del vino buono dei tempi messianici (cfr Jn 2,10).

"Io do loro cioè (alle mie pecore) la vita eterna e non andranno mai perdute" (Jn 10,28). Così afferma Gesù, che poco prima aveva detto: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (cfr Jn 10,11). Giovanni utilizza il verbo tithénai - offrire, che ripete nei versetti seguenti (Jn 10,15 Jn 10,17-18); lo stesso verbo troviamo nel racconto dell’Ultima Cena, quando Gesù "depose" le sue vesti per poi "riprenderle" (cfr Jn 13,4 Jn 13,12). E’ chiaro che si vuole in questo modo affermare che il Redentore dispone con assoluta libertà della propria vita, così da poterla offrire e poi riprendere liberamente. Cristo è il vero Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore, per noi, immolandosi sulla Croce. Egli conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono, come il Padre conosce Lui ed Egli conosce il Padre (cfr Jn 10,14-15). Non si tratta di mera conoscenza intellettuale, ma di una relazione personale profonda; una conoscenza del cuore, propria di chi ama e di chi è amato; di chi è fedele e di chi sa di potersi a sua volta fidare; una conoscenza d’amore in virtù della quale il Pastore invita i suoi a seguirlo, e che si manifesta pienamente nel dono che fa loro della vita eterna (cfr Jn 10,27-28).

Cari Ordinandi, la certezza che Cristo non ci abbandona e che nessun ostacolo potrà impedire la realizzazione del suo universale disegno di salvezza sia per voi motivo di costante consolazione - anche nelle difficoltà - e di incrollabile speranza. La bontà del Signore è sempre con voi ed è forte. Il Sacramento dell’Ordine che state per ricevere vi farà partecipi della stessa missione di Cristo; sarete chiamati a spargere il seme della sua Parola, il seme che porta in sé il Regno di Dio, a dispensare la divina misericordia e a nutrire i fedeli alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Per essere suoi degni ministri dovrete alimentarvi incessantemente dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Accostandovi all’altare, vostra quotidiana scuola di santità, di comunione con Gesù, del modo di entrare nei suoi sentimenti, per rinnovare il sacrificio della Croce, scoprirete sempre più la ricchezza e la tenerezza dell'amore del divino Maestro, che oggi vi chiama ad una più intima amicizia con Lui. Se lo ascolterete docilmente, se lo seguirete fedelmente, imparerete a tradurre nella vita e nel ministero pastorale il suo amore e la sua passione per la salvezza delle anime. Ciascuno di voi, cari Ordinandi, diventerà con l’aiuto di Gesù un buon pastore, pronto a dare, se necessario, anche la vita per Lui.

Così avvenne all’inizio del cristianesimo con i primi discepoli, mentre, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Vangelo andava diffondendosi tra consolazioni e difficoltà. Vale la pena di sottolineare le ultime parole del brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato: "I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo" (Ac 13,52). Malgrado le incomprensioni e i contrasti, di cui abbiamo sentito, l’apostolo di Cristo non smarrisce la gioia, anzi è il testimone di quella gioia che scaturisce dall’essere con il Signore, dall’amore per Lui e per i fratelli. Nell’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno ha come tema "La vocazione al servizio della Chiesa comunione", preghiamo perché quanti sono scelti a così alta missione siano accompagnati dall’orante comunione di tutti i fedeli.

Preghiamo perché cresca in ogni parrocchia e comunità cristiana l’attenzione per le vocazioni e per la formazione dei sacerdoti: essa inizia in famiglia, prosegue in seminario e coinvolge tutti coloro che hanno a cuore la salvezza delle anime. Cari fratelli e sorelle che partecipate a questa suggestiva celebrazione, e in primo luogo voi, parenti, familiari e amici di questi 22 Diaconi che tra poco saranno ordinati presbiteri! Attorniamoli, questi nostri fratelli nel Signore, con la nostra spirituale solidarietà. Preghiamo perché siano fedeli alla missione a cui oggi il Signore li chiama, e siano pronti a rinnovare ogni giorno a Dio il loro "sì", il loro "eccomi", senza riserve. E chiediamo al Padrone della messe, in questa Giornata per le Vocazioni, che continui a suscitare molti e santi presbiteri, totalmente dediti al servizio del popolo cristiano.

In questo momento tanto solenne e importante della vostra esistenza, è ancora a voi, cari Ordinandi, che mi dirigo con affetto. A voi quest’oggi Gesù ripete: "Non vi chiamo più servi, ma amici". Accogliete e coltivate questa divina amicizia con "amore eucaristico"! Vi accompagni Maria, celeste Madre dei Sacerdoti; Lei, che sotto la Croce si è unita al Sacrificio del suo Figlio e, dopo la risurrezione, nel Cenacolo ha accolto insieme con gli Apostoli e con gli altri discepoli il dono dello Spirito, aiuti voi e ciascuno di noi, cari fratelli nel Sacerdozio, a lasciarci trasformare interiormente dalla grazia di Dio. Solo così è possibile essere immagini fedeli del Buon Pastore; solo così si può svolgere con gioia la missione di conoscere, guidare e amare il gregge che Gesù si è acquistato a prezzo del suo sangue. Amen!


VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE IN OCCASIONE DELLA V CONFERENZA GENERALE DELL’EPISCOPATO LATINOAMERICANO E DEI CARAIBI


SANTA MESSA E CANONIZZAZIONE DI FRA ANTONIO DE SANT'ANNA GALVÃO, OFM

"Campo de Marte", São Paulo, Venerdì, 11 maggio 2007

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Signori Cardinali,
Signor Arcivescovo di San Paolo
e Vescovi del Brasile e dell'America Latina,
Distinte Autorità,
Sorelle e Fratelli in Cristo!

"Benedirò il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode" (
Ps 32,2).

1. Rallegriamoci nel Signore, in questo giorno in cui contempliamo un'altra meraviglia di Dio che, per la sua ammirevole provvidenza, ci permette di gustare un vestigio della sua presenza in questo atto di donazione d'Amore costituito dal Santo Sacrificio dell'Altare.

Sì, non possiamo non lodare il nostro Dio. Lodiamolo tutti quanti, popoli del Brasile e dell'America, cantiamo al Signore le sue meraviglie, perché grandi cose ha fatto per noi. Oggi, la Divina Sapienza ci consente di incontrarci intorno al suo altare, in atteggiamento di lode e di ringraziamento per averci concesso la grazia della Canonizzazione di Fra Antonio di Sant'Anna Galvão.

Voglio ringraziare per le affettuose parole dell'Arcivescovo di San Paolo, S.E. Mons. Odilo Scherer, che s'è fatto voce di voi tutti, e per la premura del suo predecessore, il Cardinale Claudio Hummes, che con tanta dedizione si è impegnato per la causa del P. Galvão. Ringrazio per la presenza di ognuno e di ognuna di voi, sia degli abitanti di questa grande città sia di coloro che sono venuti da altre città e nazioni. Mi rallegro perché, attraverso i mezzi di comunicazione, le mie parole e le espressioni del mio affetto possono entrare in ogni casa e in ogni cuore. Siatene certi: il Papa vi ama, e vi ama perché Gesù Cristo vi ama.

In questa solenne Celebrazione Eucaristica è stato proclamato il Vangelo nel quale Gesù, in atteggiamento di interiore trasporto, proclama: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Mi sento perciò felice perché l'elevazione di Fra Galvão agli altari rimarrà per sempre incorniciata nella liturgia che quest'oggi la Chiesa ci offre.

Saluto con affetto tutta la comunità francescana e, in modo speciale, le monache concezioniste che, dal Monastero della Luce, dalla Capitale dello Stato di San Paolo, irradiano la spiritualità ed il carisma del primo brasiliano elevato alla gloria degli altari.

2. Rendiamo grazie a Dio per i continui benefici ottenuti mediante il forte influsso evangelizzatore che lo Spirito Santo ha impresso in tante anime attraverso Fra Galvão. Il carisma francescano, evangelicamente vissuto, ha dato frutti significativi attraverso la sua testimonianza di ardente adoratore dell'Eucaristia, di prudente e sapiente guida delle anime che lo cercavano e di grande devoto dell'Immacolata Concezione di Maria, della quale si considerava "figlio e schiavo perpetuo".

Dio ci viene incontro, "cerca di conquistarci - fino all'Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l'azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente" (Lettera Enc. ). Egli si rivela attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell'Eucaristia. La vita della Chiesa, perciò, è essenzialmente eucaristica. Il Signore, nella sua amorevole provvidenza, ci ha lasciato un segno visibile della sua presenza.

Quando contempliamo nella Santa Messa il Signore, innalzato dal sacerdote, dopo la Consacrazione del pane e del vino, oppure quando lo adoriamo con devozione esposto nell'Ostensorio, rinnoviamo la nostra fede con profonda umiltà, come faceva Fra Galvão in "laus perennis", in costante atteggiamento di adorazione. Nella Sacra Eucaristia è contenuto tutto il bene spirituale della Chiesa, ossia, lo stesso Cristo nostra Pasqua, il Pane vivo che è disceso dal Cielo vivificato dallo Spirito Santo e vivificante perché dà la Vita agli uomini. Questa misteriosa e ineffabile manifestazione dell'amore di Dio per l'umanità occupa un luogo privilegiato nel cuore dei cristiani. Essi devono poter conoscere la fede della Chiesa, attraverso i suoi ministri ordinati, per l'esemplarità con cui compiono i riti prescritti, che indicano sempre nella liturgia eucaristica il centro di tutta l'opera di evangelizzazione. I fedeli, a loro volta, devono cercare di ricevere e venerare il Santissimo Sacramento con pietà e devozione, desiderando accogliere il Signore Gesù con fede, e sapendo ricorrere, ogni volta che sarà necessario, al Sacramento della riconciliazione per purificare l'anima da ogni peccato grave.

3. Significativo è l'esempio di Fra Galvão per la sua disponibilità al servizio del popolo, ogni qualvolta veniva interpellato. Consigliere di fama, pacificatore delle anime e delle famiglie, dispensatore della carità specialmente verso i poveri e gli infermi. Era molto ricercato per le confessioni, perché zelante, saggio e prudente. Una caratteristica di colui che ama veramente è il non voler che l'Amato venga offeso; la conversione dei peccatori era, perciò, la grande passione del nostro Santo. Suor Helena Maria, che è stata la prima "religiosa" destinata a dar inizio al "Recolhimento de Nossa Senhora da Conceição", ha testimoniato quello che Fra Galvão aveva detto: "Pregate perché Dio nostro Signore sollevi i peccatori con il suo braccio forte dal miserabile abisso delle colpe in cui si trovano". Possa questo delicato ammonimento servirci di stimolo per riconoscere nella Divina Misericordia il cammino verso la riconciliazione con Dio e con il prossimo e per la pace delle nostre coscienze.

4. Uniti con il Signore nella suprema comunione dell'Eucaristia e riconciliati con Lui e con il nostro prossimo, saremo così portatori di quella pace che il mondo non riesce a dare. Potranno gli uomini e le donne di questo mondo trovare la pace, se non saranno coscienti della necessità di riconciliarsi con Dio, con il prossimo e con sé stessi? Di alto significato è stato, in questo senso, quello che l'Assemblea del Senato di San Paolo scrisse al Ministro Provinciale dei Francescani alla fine del secolo XVIII, definendo Fra Galvão un "uomo di pace e di carità". Che cosa ci chiede il Signore? "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati". Ma subito dopo aggiunge: "Portate frutto, e che il vostro frutto rimanga" (cfr Jn 15,12 Jn 15,16). E quale frutto ci chiede, se non quello di sapere amare, ispirandoci all'esempio del Santo di Guaratinguetá?

La fama della sua immensa carità non conosceva limiti. Persone di tutta la geografia nazionale andavano da Fra Galvão, che tutti accoglieva paternamente. Vi erano poveri, infermi nel corpo e nello spirito, che imploravano il suo aiuto.

Gesù apre il suo cuore e ci rivela il centro di tutto il suo messaggio redentore: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Ibid., Jn 15,13). Lui stesso amò fino a dare la propria vita per noi sulla Croce. Anche l'azione della Chiesa e dei cristiani nella società deve possedere questa stessa ispirazione. Le iniziative di pastorale sociale, se sono orientate verso il bene dei poveri e degli infermi, portano in sé stesse questo sigillo divino. Il Signore conta su di noi e ci chiama amici, perché soltanto a coloro che amiamo in questo modo siamo capaci di dare la vita offerta da Gesù mediante la sua grazia.

Come sappiamo, la V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano avrà come tema fondamentale: "Discepoli e missionari di Gesù Cristo, perché in Lui i nostri popoli abbiano la vita". Come non vedere, allora, la necessità di ascoltare con fervore rinnovato la chiamata, per poter rispondere generosamente alle sfide che la Chiesa in Brasile e nell'America Latina è chiamata ad affrontare?

5. "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò", dice il Signore nel Vangelo (Mt 11,28). Questa è la raccomandazione finale che Egli ci rivolge. Come non vedere qui il sentimento paterno e insieme materno di Dio per tutti i suoi figli? Maria, la Madre di Dio e Madre nostra, si trova particolarmente legata a noi in questo momento. Fra Galvão affermò con voce profetica la verità dell'Immacolata Concezione. Ella, la Tota Pulchra, la Vergine Purissima, che ha concepito nel suo seno il Redentore degli uomini ed è stata preservata da ogni macchia originale, vuole essere il sigillo definitivo del nostro incontro con Dio, nostro Salvatore. Non c'è frutto della grazia nella storia della salvezza che non abbia come strumento necessario la mediazione di Nostra Signora.

Di fatto, questo nostro Santo si è donato in modo irrevocabile alla Madre di Gesù fin dalla sua giovinezza, desiderando appartenerle per sempre e scegliendo la Vergine Maria come Madre e Protettrice delle sue figlie spirituali.

Carissimi amici e amiche, che bell'esempio da seguire ci ha lasciato Fra Galvão! Come suonano attuali per noi, che viviamo in un'epoca così piena di edonismo, le parole scritte nella formula della sua consacrazione: "Toglimi piuttosto la vita, prima che io offenda il tuo benedetto Figliuolo, mio Signore!". Sono parole forti, di un'anima appassionata, parole che dovrebbero far parte della normale vita di ogni cristiano, sia esso consacrato o meno, e risvegliano desideri di fedeltà a Dio sia dentro che fuori del matrimonio. Il mondo ha bisogno di vite limpide, di anime chiare, di intelligenze semplici, che rifiutino di essere considerate creature oggetto di piacere. È necessario dire no a quei mezzi di comunicazione sociale che mettono in ridicolo la santità del matrimonio e la verginità prima del matrimonio.

È proprio ora che ci è data nella Madonna la miglior difesa contro i mali che affliggono la vita moderna; la devozione mariana è la sicura garanzia di protezione materna e di tutela nell'ora della tentazione. E quale non sarà questa misteriosa presenza della Vergine Purissima, quando invocheremo la protezione e l'aiuto della Senhora Aparecida? Deponiamo nelle sue mani santissime la vita dei sacerdoti e dei laici consacrati, dei seminaristi e di tutti coloro che sono chiamati alla vita religiosa.

6. Cari amici, consentitemi di finire ripensando alla Veglia di Preghiera di Marienfeld, in Germania: dinanzi ad una moltitudine di giovani, ho voluto qualificare i Santi della nostra epoca come veri riformatori. E ho aggiunto: "Soltanto dai Santi, soltanto da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo" (Omelia, 20/08/2005). Questo è l'invito che rivolgo oggi a tutti voi, dal primo all'ultimo, in questa Eucaristia senza confini. Dio disse: "Siate santi, come io sono santo" (Lv 11,44). Rendiamo grazie a Dio Padre, a Dio Figlio, a Dio Spirito Santo, dai quali ci vengono, per intercessione della Vergine Maria, tutte le benedizioni del cielo; dai quali ci viene questo dono che, insieme alla fede, è la più grande grazia che possa essere concessa ad una creatura: il fermo desiderio di raggiungere la pienezza della carità, nella convinzione che la santità non solo è possibile ma anche necessaria ad ognuno nel proprio stato di vita, per svelare al mondo il vero volto di Cristo, nostro amico! Amen!




Benedetto XVI Omelie 21407