Benedetto XVI Omelie 15088


VISITA PASTORALE A CAGLIARI


MESSA SUL SAGRATO DEL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI BONARIA, Domenica 7 settembre 2008

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Cari fratelli e sorelle!

Lo spettacolo più bello che un popolo può offrire è senz’altro quello della propria fede. In questo momento io tocco con mano una commovente manifestazione della fede che vi anima, e di questo voglio esprimervi subito la mia ammirazione. Ho accolto volentieri l’invito a venire nella vostra bellissima Isola in occasione del centenario della proclamazione della Madonna di Bonaria quale vostra Principale Patrona. Oggi, insieme alla visione della natura stupenda che ci circonda, voi mi offrite quella della fervida devozione che nutrite verso la Vergine Santissima. Grazie per questa bella testimonianza!

Vi saluto tutti con grande affetto, incominciando dall’Arcivescovo di Cagliari, Monsignor Giuseppe Mani, Presidente della Conferenza Episcopale sarda, che ringrazio per le bellissime parole pronunciate all’inizio della santa Messa anche a nome degli altri Vescovi, ai quali va il mio cordiale pensiero, e dell’intera comunità ecclesiale che vive in Sardegna. Grazie soprattutto per l’impegno con cui avete voluto preparare questa mia visita pastorale. E vedo che effettivamente tutto è stato preparato in modo perfetto. Saluto le Autorità civili ed in particolare il Sindaco, che mi rivolgerà il saluto suo e della Città. Saluto le altre Autorità presenti e ad esse esprimo la mia riconoscenza per la collaborazione generosamente offerta all’organizzazione della mia visita qui in Sardegna. Desidero quindi salutare i sacerdoti, in maniera speciale la Comunità dei Padri Mercedari, i diaconi, i religiosi e le religiose, i responsabili delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, i giovani e tutti i fedeli, con un ricordo cordiale per gli anziani centenari, che ho potuto salutare entrando in chiesa, e quanti sono uniti a noi spiritualmente o attraverso la radio e la televisione. In modo del tutto speciale, saluto gli ammalati e i sofferenti, con un particolare pensiero per i più piccoli.

Siamo nel Giorno del Signore, la Domenica, ma – data la particolare circostanza – la liturgia della Parola ci ha proposto letture proprie delle celebrazioni dedicate alla Beata Vergine. Si tratta, in particolare, dei testi previsti per la festa della Natività di Maria, che da secoli è fissata all’8 settembre, data in cui a Gerusalemme fu consacrata la basilica costruita sopra la casa di sant’Anna, madre della Madonna. Sono letture che in effetti contengono sempre il riferimento al mistero della nascita. Anzitutto, nella prima lettura, l’oracolo stupendo del profeta Michea su Betlemme, in cui si annuncia la nascita del Messia. Questi, ci dice l’oracolo, sarà discendente del re Davide, betlemmita come Lui, ma la sua figura eccederà i limiti dell’umano: “le sue origini” – dice – “sono dall’antichità”, si perdono nei tempi più lontani, sconfinano nell’eterno; la sua grandezza giungerà “fino agli estremi confini della terra” e tali saranno anche i confini della pace (cfr
Mi 5,1-4a). L’avvento di questo “Consacrato del Signore”, che segnerà l’inizio della liberazione del popolo, viene definito dal profeta con un’espressione enigmatica: “quando colei che deve partorire partorirà” (Mi 5,2). Così, la liturgia – che è scuola privilegiata delle fede – ci insegna a riconoscere nella nascita di Maria un diretto collegamento con quella del Messia, Figlio di Davide.

Il Vangelo, una pagina dell’apostolo Matteo, ci ha proposto proprio il racconto della nascita di Gesù. L’Evangelista, però, lo fa precedere dal resoconto della genealogia, che egli colloca all’inizio del suo Vangelo come un prologo. Pure qui il ruolo di Maria nella storia della salvezza risalta in tutta la sua evidenza: l’essere di Maria è totalmente relativo a Cristo, in particolare alla sua incarnazione. “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16). Salta all’occhio la discontinuità che vi è nello schema della genealogia: non si legge “generò”, ma “Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo”. Proprio in questo si coglie la bellezza del disegno di Dio, che rispettando l’umano lo feconda dall’interno, facendo sbocciare dall’umile Vergine di Nazaret il frutto più bello della sua opera creatrice e redentrice. L’Evangelista pone poi sulla scena la figura di Giuseppe, il suo dramma interiore, la sua fede robusta e la sua esemplare rettitudine. Dietro i suoi pensieri e le sue deliberazioni c’è l’amore per Dio e la ferma volontà di obbedirgli. Ma come non sentire che il turbamento e quindi la preghiera e la decisione di Giuseppe sono mossi, al tempo stesso, dalla stima e dall’amore per la sua promessa sposa? La bellezza di Dio e quella di Maria sono, nel cuore di Giuseppe, inseparabili; egli sa che tra di esse non può esservi contraddizione; cerca in Dio la risposta e la trova nella luce della Parola e dello Spirito Santo: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23 cfr Is 7,14).

Possiamo così, ancora una volta, contemplare il posto che Maria occupa nel disegno salvifico di Dio, quel “disegno” che ritroviamo nella seconda lettura, tratta dalla Lettera ai Romani. Qui l’apostolo Paolo esprime in due versetti di singolare densità la sintesi di ciò che è l’esistenza umana da un punto di vista meta-storico: una parabola di salvezza che parte da Dio e a Lui nuovamente giunge; una parabola interamente mossa e governata dal suo amore. Si tratta di un disegno salvifico tutto permeato dalla libertà divina, che attende tuttavia dalla libertà umana un contributo fondamentale: la corrispondenza della creatura all’amore del Creatore. Ed è qui, in questo spazio dell’umana libertà, che percepiamo la presenza della Vergine Maria, senza che venga mai esplicitamente nominata: Ella infatti è, in Cristo, primizia e modello di “coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Nella predestinazione di Gesù è inscritta la predestinazione di Maria, come pure quella di ogni persona umana. Nell’“eccomi” del Figlio trova eco fedele l’“eccomi” della Madre (cfr He 10,6), come anche l’“eccomi” di tutti i figli adottivi nel Figlio, di tutti noi appunto.

Cari amici di Cagliari e della Sardegna, anche il vostro popolo, grazie alla fede in Cristo e mediante la spirituale maternità di Maria e della Chiesa, è stato chiamato ad inserirsi nella spirituale “genealogia” del Vangelo. In Sardegna il cristianesimo è arrivato non con le spade dei conquistatori o per imposizione straniera, ma è germogliato dal sangue dei martiri che qui hanno donato la loro vita come atto di amore verso Dio e verso gli uomini. È nelle vostre miniere che risuonò per la prima volta la Buona Novella portata dal Papa Ponziano e dal presbitero Ippolito e da tanti fratelli condannati ad metalla per la loro fede in Cristo. Così anche Saturnino, Gavino, Proto e Gianuario, Simplicio, Lussorio, Efisio, Antioco sono stati testimoni della totale dedizione a Cristo come vero Dio e Signore. La testimonianza del martirio conquistò un animo fiero come quello dei Sardi, istintivamente refrattario a tutto ciò che veniva dal mare. Dall’esempio dei martiri prese vigore il vescovo Lucifero di Cagliari, che difese l’ortodossia contro l’arianesimo e si oppose, insieme ad Eusebio di Vercelli, anch’egli cagliaritano, alla condanna di Atanasio nel Concilio di Milano del 335, e per questo ambedue, Lucifero ed Eusebio, vennero condannati all’esilio, un esilio molto duro. La Sardegna non è mai stata terra di eresie; il suo popolo ha sempre manifestato filiale fedeltà a Cristo e alla Sede di Pietro. Sì, cari amici, nel susseguirsi delle invasioni e delle dominazioni, la fede in Cristo è rimasta nell’anima delle vostre popolazioni come elemento costitutivo della vostra stessa identità sarda.

Dopo i martiri, nel V secolo, arrivarono dall’Africa romana numerosi Vescovi che, non avendo aderito all’eresia ariana, dovettero subire l’esilio. Venendo nell’isola, essi portarono con sé la ricchezza della loro fede. Furono oltre cento Vescovi che, sotto la guida di Fulgenzio di Ruspe, fondarono monasteri e intensificarono l’evangelizzazione. Insieme alle reliquie gloriose di Agostino, portarono la ricchezza della loro tradizione liturgica e spirituale, di cui voi conservate ancora le tracce. Così la fede si è sempre più radicata nel cuore dei fedeli fino a diventare cultura e produrre frutti di santità. Ignazio da Láconi, Nicola da Gésturi sono i santi in cui la Sardegna si riconosce. La martire Antonia Mesina, la contemplativa Gabriella Sagheddu e la suora della carità Giuseppina Nicóli sono l’espressione di una gioventù capace di perseguire grandi ideali. Questa fede semplice e coraggiosa, continua a vivere nelle vostre comunità, nelle vostre famiglie, dove si respira il profumo evangelico delle virtù proprie della vostra terra: la fedeltà, la dignità, la riservatezza, la sobrietà, il senso del dovere.

E poi, ovviamente, l’amore per la Madonna. Siamo infatti qui, oggi, a commemorare un grande atto di fede, che i vostri padri compirono affidando la propria vita alla Madre di Cristo, quando la scelsero come Patrona massima dell’Isola. Non potevano sapere allora che il Novecento sarebbe stato un secolo molto difficile, ma certamente fu proprio in questa consacrazione a Maria che trovarono in seguito la forza per affrontare le difficoltà sopravvenute, specialmente con le due guerre mondiali. Non poteva essere che così. La vostra Isola, cari amici della Sardegna, non poteva avere altra protettrice che la Madonna. Lei è la Mamma, la Figlia e la Sposa per eccellenza: “Sa Mama, Fiza, Isposa de su Segnore”, come amate cantare. La Mamma che ama, protegge, consiglia, consola, dà la vita, perché la vita nasca e perduri. La Figlia che onora la sua famiglia, sempre attenta alle necessità dei fratelli e delle sorelle, sollecita nel rendere la sua casa bella e accogliente. La Sposa capace di amore fedele e paziente, di sacrificio e di speranza. A Maria in Sardegna sono dedicate ben 350 chiese e santuari. Un popolo di madri si rispecchia nell’umile ragazza di Nazaret, che col suo “sì” ha permesso al Verbo di diventare carne.

So bene che Maria è nel vostro cuore. Dopo cent’anni vogliamo quest’oggi ringraziarLa per la sua protezione e rinnovarLe la nostra fiducia, riconoscendo in Lei la “Stella della nuova evangelizzazione”, alla cui scuola imparare come recare Cristo Salvatore agli uomini e alle donne contemporanei. Maria vi aiuti a portare Cristo alle famiglie, piccole chiese domestiche e cellule della società, oggi più che mai bisognose di fiducia e di sostegno sia sul piano spirituale che su quello sociale. Vi aiuti a trovare le opportune strategie pastorali per far sì che Cristo sia incontrato dai giovani, portatori per loro natura di nuovo slancio, ma spesso vittime del nichilismo diffuso, assetati di verità e di ideali proprio quando sembrano negarli. Vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile. In tutti questi aspetti dell’impegno cristiano potete sempre contare sulla guida e sul sostegno della Vergine Santa. Affidiamoci pertanto alla sua materna intercessione.

Maria è porto, rifugio e protezione per il popolo sardo, che ha in sé la forza della quercia. Passano le tempeste e questa quercia resiste; infuriano gli incendi ed essa nuovamente germoglia; sopravviene la siccità ed essa vince ancora. Rinnoviamo dunque con gioia la nostra consacrazione ad una Madre tanto premurosa. Le generazioni dei Sardi, ne sono certo, continueranno a salire al Santuario di Bonaria per invocare la protezione della Vergine. Mai resterà deluso chi si affida a Nostra Signora di Bonaria, Madre misericordiosa e potente. Maria, Regina della Pace e Stella della speranza, intercedi per noi. Amen!



CAPPELLA PAPALE PER LE ESEQUIE DELL'EM.MO CARD. ANTONIO INNOCENTI Altare della Cattedra, Basilica Vaticana, Mercoledì 10 settembre 2008

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Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Vi siete radunati intorno all’altare del Signore per accompagnare con la celebrazione del Sacrificio eucaristico, in cui si rivive il Mistero pasquale, l’ultimo viaggio del caro Cardinale Antonio Innocenti. Nel rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, ringrazio in particolare il Cardinale Sodano che, quale Decano del Collegio Cardinalizio, ha presieduto la Santa Messa esequiale. Ricordiamo tutti con affetto il nostro compianto Fratello, e questo rende la nostra preghiera ancora più fervida e sentita. Soprattutto ci anima la fede nel Signore risorto, che è sorgente di vita eterna per quanti credono in lui e lo seguono con amore.

Il caro Defunto ha avuto una lunga vita, spesa al servizio del Signore: già nei primi anni dell’adolescenza egli si pose alla sequela di Gesù, entrando nel Seminario Vescovile di Fiesole. Ci piace pensarlo alla luce della bella espressione del Siracide, contenuta all’inizio della prima Lettura: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, / preparati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della seduzione” (
Si 2,1-2). Come per Gesù, così per quanti sono chiamati a seguirlo più da vicino, la vita intera diventa un combattimento spirituale, che si sostiene e si vince corrispondendo generosamente e gioiosamente alla grazia di Dio e alla sua indefettibile fedeltà. “Affidati a lui ed egli ti aiuterà” (Si 2,6), esorta il Siracide; e ancora: “Voi che temete il Signore, confidate in lui” (Si 2,8). Ma al tempo stesso suggerisce anche atteggiamenti di saggezza: “Accetta quanto ti capita, / sii paziente nelle vicende dolorose, / perché con il fuoco si prova l’oro, / e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore” (Si 2,4-5). Fede e sapienza di vita, strettamente intrecciate, caratterizzano lo stile del discepolo del Signore e in modo particolare del suo ministro ordinato, fino a giungere a quella conformazione piena, che l’apostolo Paolo confessava di se stesso: “Mihi vivere Christus est” (Ph 1,21). Con la straordinaria concisione che lo Spirito Santo gli ispirava, san Paolo riassume in queste parole la forma perfetta dell’esistenza cristiana: essa è uno stare con Gesù, un essere in Lui a tal punto che questa comunione supera la soglia di separazione tra la vita terrena e l’aldilà, così che la morte stessa del corpo non è più una perdita ma “un guadagno” (ibid. Ph 1,21).

Si tratta naturalmente di una meta, che sta sempre in qualche modo dinanzi a noi, ma che tuttavia possiamo già – come l’Apostolo – anticipare in questa vita, specialmente grazie al sacramento dell’Eucaristia, vincolo reale di comunione con Cristo morto e risorto. Se l’Eucaristia diventa forma della nostra esistenza, allora veramente per noi vivere è Cristo e il morire equivale a passare pienamente in Lui e nella vita trinitaria di Dio, dove sarà piena anche la comunione con i nostri fratelli. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui … Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Jn 6,56 Jn 6,58). Le parole del Signore Gesù, risuonate in questa liturgia, sono luce di fede e di speranza e conferiscono alla nostra preghiera di suffragio un fondamento solido e sicuro. Quel fondamento su cui il Cardinale Innocenti ha costruito la sua vita.

Originario di Poppi, in diocesi di Fiesole e provincia di Arezzo, ricevette l’Ordinazione sacerdotale nel 1938 e, dopo una significativa esperienza pastorale nel mondo del lavoro, fu inviato a Roma per specializzarsi in teologia e diritto. Rientrato in Diocesi, insegnò nel Seminario e assistette il Vescovo nelle visite pastorali durante la seconda guerra mondiale. In quel drammatico periodo, si distinse per abnegazione e generosità nell’aiutare la gente e salvare quanti erano destinati alla deportazione. Per questo fu anche arrestato e condannato alla fucilazione, ma quando già si trovava dinanzi al plotone d’esecuzione l’ordine fu revocato. Dopo la guerra, completò gli studi teologici a Roma, e l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Giovanni Battista Montini, lo invitò a frequentare la Pontificia Accademia Ecclesiastica. Così entrò nel servizio diplomatico della Santa Sede. Ebbe modo di conoscere diversi Paesi in Africa, in Europa e nel vicino Oriente, senza mai dimenticare la sua profonda e genuina ispirazione sacerdotale, prodigandosi in favore dei fratelli, infondendo coraggio e alimentando in tutti la fede e la speranza cristiana.

Nominato Rappresentante Pontificio in Paraguay, ricevette l’Ordinazione episcopale nel 1968. Venne poi richiamato a Roma per assumere l’incarico di Segretario della Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino. Successivamente, nel 1980, fu inviato quale Nunzio Apostolico in Spagna, dove per due volte accolse il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II in visita pastorale. Questi, nel maggio del 1985, lo creò Cardinale e da quel momento il nostro compianto Fratello fu ancora più profondamente inserito nella vita della Chiesa di Roma. A nuovo e più alto titolo egli continuò a prestare la sua apprezzata collaborazione al Sommo Pontefice, come Prefetto della Congregazione per il Clero, Presidente della Pontificia Commissione per la conservazione del patrimonio artistico e storico della Chiesa e della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

Mi piace concludere questa breve riflessione riferendomi al motto episcopale del Cardinale Antonio Innocenti: “Lucem spero fide”. Parole quanto mai appropriate in questo momento; parole che egli confidava alle persone a lui vicine di aver sempre portato nel cuore dopo che, da adolescente, aveva ricevuto il dono della vocazione sacerdotale. Ora che ha varcato l’ultima soglia, preghiamo affinché la fede e la speranza lascino il posto alla realtà “di tutte più grande”, la carità, che “non avrà mai fine” (1Co 13,8 1Co 13,13). Rendiamo grazie per il dono di averlo conosciuto e per tutti i benefici che, in lui e mediante lui, il Signore ha elargito alla santa Chiesa. Mentre invochiamo per questo nostro Fratello la materna intercessione della Beata Vergine Maria, ne affidiamo l’anima eletta al Padre della vita, perché la accolga nel suo regno di luce e di pace.



VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELLE APPARIZIONI DI LOURDES (12 - 15 SETTEMBRE 2008)


CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI, LE RELIGIOSE, I SEMINARISTI E I DIACONI

Cattedrale di Notre-Dame, Parigi, venerdì 12 settembre 2008

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Cari Fratelli Cardinali e Vescovi,
Signori Canonici del Capitolo,
Signori Cappellani di Notre-Dame,
cari sacerdoti e diaconi,
cari amici delle Chiese e delle Comunità ecclesiali non cattoliche,
cari fratelli e sorelle,

Sia benedetto Dio che ci permette di ritrovarci in un luogo così caro al cuore dei Parigini, ma anche di tutti i Francesi! Benedetto sia Dio, che ci dà la grazia di offrirGli l’omaggio della nostra preghiera vespertina, per elevarGli la lode che Egli merita con le parole che la liturgia della Chiesa ha ereditato dalla liturgia sinagogale, praticata da Cristo e dai suoi primi discepoli! Sì, sia benedetto Dio che viene in nostro aiuto – in adiutorium nostrum – per aiutarci a far salire verso di Lui l’offerta del sacrificio delle nostre labbra!

Eccoci nella chiesa-madre della diocesi di Parigi, la cattedrale di Notre-Dame, che s’innalza nel cuore della città come segno vivo della presenza di Dio in mezzo agli uomini. Il mio Predecessore Alessandro III ne pose la prima pietra, i Papi Pio VII e Giovanni Paolo II l’onorarono della loro visita, ed io stesso sono lieto di mettermi al loro seguito, dopo esservi venuto un quarto di secolo fa per pronunciarvi una conferenza sulla catechesi. È difficile non rendere grazie a Colui che ha creato la materia come anche lo spirito, per la bellezza dell’edificio che ci riunisce. I cristiani di Lutezia avevano già costruito una cattedrale dedicata a santo Stefano, primo martire, ma essa divenne poi troppo piccola e fu progressivamente sostituita, tra il XII e il XIV secolo, con quella che ammiriamo ai nostri giorni. La fede del Medio Evo ha edificato le cattedrali, e i vostri antenati sono venuti qui per lodare Dio, affidarGli le proprie speranze e dirGli il loro amore. Grandi eventi religiosi e civili si sono svolti in questo santuario, dove gli architetti, i pittori, gli scultori e i musicisti hanno dato il meglio di se stessi. Basti ricordare, fra molti altri, i nomi dell’architetto Jean de Chelles, del pittore Charles Le Brun, dello scultore Nicolas Coustou e degli organisti Louis Vierne e Pierre Cochereau. L’arte, cammino verso Dio, e la preghiera corale, lode della Chiesa al Creatore, hanno aiutato Paul Claudel, qui giunto per assistere ai Vespri del giorno di Natale 1886, a trovare il cammino verso un’esperienza personale di Dio. È significativo che Dio abbia illuminato la sua anima precisamente durante il canto del Magnificat, nel quale la Chiesa ascolta il canto della Vergine Maria, santa Patrona di questi luoghi, che ricorda al mondo che l’Onnipotente ha esaltato gli umili (cfr
Lc 1,52). Teatro di conversioni meno conosciute, ma tuttavia non meno reali, pulpito dove predicatori del Vangelo, come i Padri Lacordaire, Monsabré e Samson, hanno saputo trasmettere la fiamma della propria passione alle più svariate assemblee di ascoltatori, la Cattedrale di Notre-Dame resta a giusto titolo uno dei monumenti più celebri del patrimonio del vostro Paese. Le reliquie della Vera Croce e della Corona di spine, che ho appena venerato come è consuetudine da san Luigi in poi, vi hanno oggi trovato un degno scrigno, che costituisce l’offerta dello spirito degli uomini all’Amore creatore.

Sotto le volte di questa storica Cattedrale, testimone dell’incessante scambio che Dio ha voluto stabilire fra gli uomini e se stesso, la Parola è appena risuonata per essere la materia del nostro sacrificio della sera, sottolineato dall’offerta dell’incenso che rende visibile la nostra lode a Dio. Provvidenzialmente, le parole del Salmista descrivono l’emozione della nostra anima con una precisione che non avremmo osato immaginare: “Quale gioia, quando mi dissero: ‘Andremo alla casa del Signore!’” (Ps 121,1). Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: la gioia del Salmista, racchiusa nelle parole stesse del Salmo, si diffonde nei nostri cuori e vi suscita un’eco profonda. La nostra gioia è di recarci alla casa del Signore perché, come ci hanno insegnato i Padri, questa casa non è altro che il simbolo concreto della Gerusalemme dall’alto, quella che discende verso di noi (cfr Ap 21,2) per offrirci la più bella delle dimore. “Se vi soggiorniamo – scrive sant’Ilario di Poitier – siamo concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio, poiché è la casa di Dio” (Tract. in Psal. 121,2). E sant’Agostino rincara: “Questo Salmo aspira alla Gerusalemme celeste… È un cantico dei gradini, che non sono fatti per gente che discende, ma che sale… Nel nostro esilio sospiriamo,nella patria godremo; ma intanto durante l’esilio incontriamo dei compagni che hanno già visto la città santa e ci invitano a correre verso di essa” (Enarr. in Psal. 121, 2). Cari amici, durante questi Vespri noi ci uniamo col pensiero e nella preghiera alle innumerevoli voci di quanti, uomini e donne, hanno cantato questo Salmo proprio qui, prima di noi, nel corso di secoli e secoli. Ci uniamo a questi pellegrini che salivano verso la Gerusalemme e i gradini del suo Tempio, ci uniamo alle migliaia di uomini e donne che hanno capito che il loro pellegrinaggio sulla terra avrebbe trovato il suo traguardo nel cielo, nella Gerusalemme eterna, e che si sono fidati di Cristo per riuscire ad arrivarvi. Quale gioia, in realtà, il saperci attorniati in maniera invisibile da una tale folla di testimoni!

Il nostro cammino verso la Città santa non sarebbe possibile, se non lo si facesse nella Chiesa, germe e prefigurazione della Gerusalemme dall’alto. “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Ps 126,1). Chi altri è questo Signore, se non il Signore nostro Gesù Cristo? È Lui che ha fondato la Chiesa, che l’ha costruita sulla roccia, sulla fede dell’apostolo Pietro. Come dice ancora sant’Agostino, “è Gesù Cristo stesso, Signore nostro, ad edificare la sua casa. Molti si affaticano a costruire, ma se non interviene Lui a costruire, invano faticano i costruttori” (Enarr. in Psal. 126,2). Ora, cari amici, Agostino si pone la domanda su quali siano questi lavoratori; e lui stesso si dà la risposta: “Coloro che nella Chiesa predicano la Parola di Dio, tutti i ministri dei divini Sacramenti. Tutti corriamo, tutti lavoriamo, tutti edifichiamo”; ma è Dio soltanto che, in noi, “edifica, che esorta e incute timore, che apre l’intelletto e volge alla fede il vostro sentire”(ibid.). Quale meraviglia riveste la nostra azione al servizio della Parola divina! Siamo gli strumenti dello Spirito; Dio ha l’umiltà di passare attraverso di noi per diffondere la sua Parola. Diveniamo la sua voce, dopo aver teso l’orecchio verso la sua bocca. Poniamo la sua Parola sulle nostre labbra per darla al mondo. L’offerta della nostra preghiera è da Lui gradita e serve a Lui per comunicarsi a quanti incontriamo. In verità, come dice Paolo agli Efesini: “Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo” (Ep 1,3), poiché ci ha scelti per essere suoi testimoni fino all’estremità della terra e ci ha eletti prima ancora del nostro concepimento attraverso un dono misterioso della sua grazia.

La sua Parola, il Verbo, che da sempre era presso di Lui (cfr Jn 1,1), è nato da una Donna, è nato sotto alla Legge, “per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Ga 4,4-5). Il Figlio di Dio ha preso carne nel seno di una Donna, di una Vergine. La vostra cattedrale è un inno vivente di pietra e di luce a lode di questo atto unico della storia dell’umanità: la Parola eterna di Dio che entra nella storia degli uomini nella pienezza dei tempi per riscattarli mediante l’offerta di se stesso nel sacrificio della Croce. Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!

Sin d’ora, la Parola di Dio ci è donata per essere l’anima del nostro apostolato, l’anima della nostra vita di sacerdoti. Ogni mattina la Parola ci risveglia. Ogni mattina il Signore stesso ci “apre l’orecchio” (Is 50,5) con i salmi dell’Ufficio delle letture e delle Lodi. Lungo l’intero arco della giornata, la Parola di Dio diviene materia della preghiera di tutta la Chiesa, la quale vuol così testimoniare la propria fedeltà a Cristo. Secondo la celebre formula di san Girolamo, che sarà ripresa nel corso della XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi nel prossimo mese di ottobre: “Ignorare le Scritture è ignorare Cristo” (Prologo del Commento a Is). Cari fratelli sacerdoti, non abbiate paura di consacrare una parte considerevole del vostro tempo alla lettura, alla meditazione della Scrittura e alla preghiera dell’Ufficio Divino! Quasi a vostra insaputa la Parola letta e meditata nella Chiesa agisce in voi e vi trasforma. Come manifestazione della Sapienza di Dio, se essa diviene la “compagna” della vostra vita, essa sarà vostra “consigliera di buone azioni”, vostro “conforto nelle preoccupazioni e nel dolore” (Sg 8,9).

La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio”, come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei (He 4,12). A voi, cari seminaristi, che vi preparate a ricevere il sacramento dell’Ordine, al fine di partecipare al triplice compito di insegnare, reggere e santificare, questa Parola viene consegnata come un bene prezioso. Grazie ad essa, che voi meditate quotidianamente, entrate nella vita stessa di Cristo che sarete chiamati a diffondere attorno a voi. Attraverso la sua parola, il Signore Gesù ha istituito il santo Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue; con la sua parola, ha guarito i malati, cacciato i demoni, perdonato i peccati; mediante la sua parola ha rivelato agli uomini i misteri nascosti del Regno. Voi siete destinati a diventare depositari di questa Parola efficace, che compie ciò che dice. Trattenete sempre in voi il gusto della Parola di Dio! Imparate, grazie ad essa, ad amare tutti coloro che si troveranno lungo la vostra strada. Nessuno è di troppo nella Chiesa, nessuno! Tutti possono e devono trovarvi il proprio posto.

E voi, cari diaconi, che siete collaboratori efficaci dei Vescovi e dei sacerdoti, continuate ad amare la Parola di Dio: voi proclamate il Vangelo nel cuore della celebrazione eucaristica; lo commentate nella catechesi rivolte ai vostri fratelli e alle vostre sorelle: ponetelo al centro della vostra vita, del servizio al prossimo, della vostra intera diaconia. Senza cercare di prendere il posto dei sacerdoti, ma aiutandoli con amicizia ed efficienza, sappiate essere testimoni vivi della infinita potenza della Parola divina!

A titolo particolare, i religiosi, le religiose e tutte le persone consacrate vivono della Sapienza di Dio, espressa mediante la sua Parola. La professione dei consigli evangelici vi ha configurato, cari consacrati, a Colui che, per noi, si è fatto povero, obbediente e casto. La vostra unica ricchezza – la sola, a dire il vero, che supererà i secoli e il velo della morte – è proprio la Parola del Signore. Lui stesso ha detto: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). La vostra obbedienza è, etimologicamente, un ascolto, dato che la parola “obbedire” viene dal latino ob-audire, che significa tendere l’orecchio verso qualcosa o qualcuno. Obbedendo, voi volgete l’anima verso Colui che è la Via, la Verità e la Vita (cfr Jn 14,6) e che vi dice, come Benedetto insegnava ai suoi monaci: “Ascolta, figlio, le istruzioni del maestro e presta l’orecchio del tuo cuore” (Prologo della Regola RB 1). Infine, lasciatevi purificare ogni giorno da Colui che ci ha detto: “Ogni tralcio che porta frutto, [il Padre] lo pota perché porti più frutto” (Jn 15,2). La purezza della Parola di Dio è il modello della vostra stessa castità; ne garantisce la fecondità spirituale.

Con fiducia indefettibile nella potenza di Dio che ci ha redenti “nella speranza” (cfr Rm 8,24) e che vuol fare di noi un solo gregge sotto la guida di un solo pastore, Cristo Gesù, prego per l’unità della Chiesa. Saluto nuovamente con rispetto ed affetto i rappresentanti delle Chiese cristiane e delle Comunità ecclesiali, venuti a pregare fraternamente i Vespri con noi in questa cattedrale. La potenza della Parola di Dio è tale che possiamo tutti essere affidati ad essa, come a suo tempo fece san Paolo, nostro intercessore privilegiato in quest’anno. Prendendo congedo a Mileto dagli anziani della città di Efeso, non esitava ad affidarli “a Dio ed al suo messaggio di grazia” (Ac 20,32), mettendoli in guardia contro ogni forma di divisione. È il senso di questa unità della Parola di Dio, segno, pegno e garanzia dell’unità della Chiesa, che chiedo ardentemente al Signore di far crescere in noi: non vi è amore nella Chiesa senza amore alla Parola, non vi è Chiesa senza unità attorno a Cristo Redentore, non vi sono frutti di redenzione senza amore a Dio e al prossimo, secondo i due comandamenti che riassumono tutta la Sacra Scrittura!

Cari fratelli e sorelle, in Maria Santissima noi abbiamo il più bell’esempio di fedeltà alla Parola divina. Questa fedeltà fu tale da compiersi in Incarnazione: “Ecco la serva del Signore; avvenga in me secondo la tua parola!” (Lc 1,38), disse Ella con fiducia assoluta. La nostra preghiera della sera riprende il Magnificat di Colei che tutte le generazioni diranno beata, poiché ha creduto nel compimento delle parole che le erano state dette da parte del Signore (cfr Lc 1,45); ella ha sperato contro ogni speranza nella risurrezione del Figlio suo; ha amato l’umanità al punto di essere data ad essa quale Madre (cfr Jn 19,27). Maria “nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio” (Enc. ). Possiamo dirle con serenità: “Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno!” (Enc. Spe salvi, ). Amen.




Benedetto XVI Omelie 15088