Agostino, Consenso Evang. 200

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:LIBRO SECONDO

Prologo

1. Con un trattato non breve ma molto necessario, da noi circoscritto nell'ambito di un solo libro, abbiamo confutato la stoltezza di coloro che si arrogano il diritto di deridere quei discepoli di Cristo che hanno scritto il Vangelo, motivando l'accusa sul fatto che non ci è possibile citare passi scritti di persona dallo stesso Cristo. Di lui essi dicono non esserci alcun dubbio che lo si debba onorare, non pero come Dio ma come un uomo che per sapienza supera di gran lunga tutti gli altri uomini; e pretendono di sapere che egli verosimilmente scrisse cose ben accette da quanti hanno smarrito la retta via, ma non tali che, leggendole e credendo in esse, li facciano recedere dalla loro perversione. Terminato questo discorso, ora vogliamo esaminare quanto su Cristo hanno scritto i quattro evangelisti e vedere com'essi siano coerenti ciascuno con se stesso e poi anche i quattro tra di loro. Con cio verrà tolto ogni motivo di scandalo nei confronti della fede cristiana anche a coloro che andranno a leggere questi libri mossi da curiosità ma sprovvisti di solida preparazione. Succede infatti che costoro, leggendo i testi evangelici non alla buona ma investigandoli con abbastanza attenzione, si creano l'opinione che in essi ci siano affermazioni fra loro contrastanti e inconciliabili, di fronte alle quali si credono in dovere di venirci a rinfacciare litigiosamente l'esistenza di tali difficoltà più che non esaminarle con la necessaria diligenza.

La genealogia di Gesù.

2. L'evangelista Matteo comincia con queste parole: Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo (Mt 1,1). Iniziando in tal modo il suo libro mostra con sufficiente chiarezza che egli si propone di narrare l'origine di Cristo secondo la carne, per la quale appunto Cristo è Figlio dell'uomo (Mt 8,20 Mt 9,6). Cosi infatti egli denomina spessissimo se stesso, inculcandoci cio che misericordiosamente s'è degnato diventare per noi. Di lui si predica anche una generazione celeste ed eterna per la quale è il Figlio unigenito di Dio, nato prima di ogni creatura - per mezzo di lui infatti sono state create tutte le cose (Jn 1,3)-; ma questa generazione è talmente ineffabile che ad essa va ragionevolmente applicato il detto del Profeta: La sua generazione, chi potrà narrarla?(Is 53,8) Matteo dunque espone la generazione umana di Cristo, e ne ricorda gli avi cominciando da Abramo e giungendo a Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale nacque Gesù. Non gli era consentito, al riguardo, supporre Giuseppe mancante del vincolo sponsale che lo legava a Maria per il fatto che costei genero Cristo non da un rapporto fisico con lui ma rimanendo vergine. Con questo esempio s'inculca ai cristiani sposati una dottrina meravigliosa, e cioè che il matrimonio vige e merita tale nome anche quando di comune accordo gli sposi osservano la continenza, equindi fra loro non c'è unione sessuale ma si custodisce l'affetto dell'anima. Questo vale a maggior ragione dei genitori di Cristo, per il fatto che essi ebbero anche un figlio pur non avendo rapporti carnali, leciti soltanto per la procreazione dei figli. Né si dica che Giuseppe non debba essere chiamato padre di Cristo perché non l'aveva generato fecondando la sua sposa, se è vero, com'è vero, che sarebbe stato padre anche di un figlio non nato da sua moglie ma adottato da un'altra coppia.

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CAPITOLO 1.

3. E vero indubbiamente che Cristo era ritenuto figlio di Giuseppe anche nell'altro senso, cioè come se fosse stato generato propriamente dalla sua carne; ma cosi pensavano quanti non conoscevano la verginità di Maria. Lo riferisce Luca: Gesù quando incomincio [il suo ministero]aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe (Lc 3,23). Lo stesso Luca non si limita a chiamare genitrice di Gesù la sola Maria ma di tutt'e due dice che erano suoi genitori. Ecco le sue parole: Il fanciullo cresceva e si irrobustiva pieno di sapienza e la grazia di Dio era in lui. E i suoi genitori andavano a Gerusalemme tutti gli anni per la solennità della Pasqua (Lc 2,40-41). Né si deve pensare che in questo passo siano da intendersi come " suoi genitori " i parenti di Maria, inclusa con essi la stessa sua madre. Cosa infatti potrebbe rispondere uno che cosi la pensasse a quel che antecedentemente lo stesso Luca aveva detto, e cioè che suo padre e sua madre si meravigliavano delle cose che si dicevano di lui (Lc 2,33)? Orbene, questo Luca racconta che Cristo nacque da Maria, la quale rimase vergine e non ebbe rapporti carnali con Giuseppe. In che senso dunque l'avrà chiamato padre di Gesù se non in quanto era sposo di Maria? E come tale lo riteniamo anche noi per l'unione sponsale che ci fu tra loro pur mancando fra loro il rapporto carnale. Per questo motivo noi riteniamo Giuseppe padre di Cristo, nato solamente dalla sposa di lui, in un senso molto più stretto che se fosse stato adottato da una coppia estranea. In tal modo si rende evidente che le parole: A quel che si credeva, figlio di Giuseppe (Lc 3,23), sono state scritte dall'evangelista rapportandole a quei tali che lo credevano nato da Giuseppe come nascono comunemente gli uomini.

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CAPITOLO 2.

II Cristo figlio di Davide.

4. Ammesso tutto questo, anche se si riuscisse a dimostrare che Maria non fu in alcun modo imparentata con la stirpe di Davide (Mt 1,1-20), per ritenere Cristo figlio di Davide sarebbe sufficiente il motivo che autorizza a chiamare Giuseppe padre di lui. Ma c'è di più. Se infatti l'apostolo Paolo con estrema chiarezza dice che Cristo secondo la carne è figlio di Davide (Rm 1,3), non c'è dubbio che anche Maria per una qualche parentela derivi dalla stirpe di Davide. Di lei non si passa sotto silenzio che apparteneva alla tribù sacerdotale in quanto era consanguinea di quell'Elisabetta (Lc 1,36)che - come lascia intravedere Luca - era discendente di Aronne (Lc 1,5). Pertanto è da ritenersi con assoluta sicurezza che il corpo di Cristo derivo dalla stirpe regia e da quella sacerdotale, e rivestendo questa duplice personalità rappresentava, in relazione con le usanze del popolo ebraico, anche l'unzione mistica, cioè il crisma a cui evidentemente si richiama il nome di Cristo, che in tal modo veniva preannunziato tanto tempo prima anche attraverso questa denominazione estremamente significativa.

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CAPITOLO 3.

Gli antenati di Cristo secondo Matteo e secondo Luca.

5. Adesso una risposta a quanti sono impressionati dal fatto che Matteo, con ordine discendente da Davide fino a Giuseppe (Mt 1,1 Mt 1,16), elenca una serie di antenati di Cristo, mentre un'altra ne riferisce Luca risalendo da Giuseppe a Davide (Lc 3,23 Lc 3,38). Costoro dovranno tener presente che, com'è facile, Giuseppe poté avere due padri: uno, quello che lo genero; un altro, quello che lo adotto. Anche nel popolo di Dio infatti vigeva fin dai tempi antichi la costumanza di adottare figli, considerando come figli propri quelli che non si era generati. Non cito qui l'esempio della figlia del faraone, che adotto Mosè (Cf. Es 2,10), poiché lei era una estranea al popolo eletto, ma è certo che Giacobbe, con parole quanto mai esplicite, adotto i suoi nipoti, cioè i figli di Giuseppe, dicendo: Orbene, i tuoi due figli che ti sono nati prima che io venissi da te sono miei: Efraim e Manasse saranno miei come Ruben e Simeone; saranno invece tuoi i figli che genererai in seguito (Gn 48,5-6). Per tal motivo è avvenuto che fossero dodici le tribù d'Israele, sebbene non si computasse la tribù di Levi, che prestava servizio nel tempio. Contando anche questa, le tribù d'Israele sarebbero state tredici, poiché erano già dodici i figli nati da Giacobbe. Da cio si comprende che Luca nel suo Vangelo non ha inserito, di Giuseppe, il padre da cui era stato generato ma quello da cui era stato adottato (Lc 3,23), riferendoci in ordine ascendente gli antenati di lui fino ad arrivare a Davide. In realtà se è doveroso ritenere che i due evangelisti, Matteo e Luca, ci raccontano la verità, ne segue necessariamente che l'uno ci ha descritto l'origine di Giuseppe dicendoci il padre che l'aveva generato, mentre l'altro colui che l'aveva adottato. Ora, fra i due, chi dovremo ritenere con maggiore probabilità che ci abbia voluto segnalare il padre adottivo di Giuseppe se non colui che, narrando di chi egli era figlio, si astenne dal precisare che l'aveva generato? Più agevolmente infatti poté dire di lui che era suo figlio in quanto l'aveva adottato, che non se avesse detto che l'aveva generato, mentre in effetti non era nato dalla sua carne. Il contrario è di Matteo. Dicendo: Abramo genero Isacco, Isacco genero Giacobbe (Mt 1,2) e cosi di seguito insistendo nel verbo generare fino a dirci, terminando la serie: Giacobbe genero Giuseppe (Mt 1,16), ha sottolineato in maniera sufficientemente chiara che egli, nel tracciare la serie degli antenati di Giuseppe, la stilo in modo d'arrivare non al padre che lo aveva adottato ma a colui che davvero l'aveva generato.

6. Ma ammettiamo, per ipotesi, che anche Luca avesse detto, di Giuseppe, che fu generato da Eli. Nemmeno in questo caso la parola " generare " dovrebbe turbarci al segno da farci credere diversamente; noi riterremmo parimenti che un evangelista volle tramandare il nome del padre che lo genero e l'altro quello di colui che l'adotto come figlio. Quando infatti uno adotta un figlio, non è assurdo dire di lui che lo genera: evidentemente non nell'ordine della carne ma in quello dell'amore. Non altrimenti riteniamo di noi stessi quando affermiamo che Dio ci ha dato il potere di diventare figli di Dio (Jn 1,12): egli non ci ha generati dalla sua natura ed essenza, come ha fatto per il suo Figlio unico, ma ci ha adottati per amore (Rm 8,15 Rm 8,23 Rm 9,4). La parola " generare " torna di frequente sulla penna dell'Apostolo, e si capisce in che senso. Egli non intende altro se non rilevare la distinzione che c'è fra noi e l'Unigenito nato prima di ogni creatura, colui ad opera del quale tutte le cose furono fatte e che, solo, è nato dalla sostanza del Padre ed è, nell'uguaglianza della natura divina, assolutamente lo stesso che il Padre. Di lui dice che fu mandato ad assumere la carne da quella stirpe cui per natura apparteniamo noi: con la conseguenza che, divenendo lui per amore partecipe della nostra mortalità, ha reso noi mediante l'adozione partecipi della sua divinità. Ecco le sue parole: Quando giunse la pienezza del tempo Dio mando il suo Figlio, generato da donna, generato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge e noi ricevessimo l'adozione a figli (Ga 4,4-5). Altrove si dice di noi che siamo nati da Dio, cioè: noi che per natura eravamo semplici uomini abbiamo ricevuto il potere di diventare figli di Dio, e tali diventiamo per grazia, non per l'origine naturale (Cf. Ef 1,5). Se infatti fossimo già stati suoi figli per natura, mai saremmo stati un qualcosa di diverso. Giovanni pero si esprime cosi: A coloro che credono nel suo nome ha dato il potere di diventare figli di Dio, e prosegue: Costoro non sono nati da sangue né da volontà della carne né da volontà dell'uomo ma da Dio (Jn 1,13-14). Egli pertanto afferma che tutti quelli che sono nati da Dio (Rm 8,15) sono diventati figli di Dio per un potere da loro ricevuto - la qual cosa indica Paolo col termine " adozione " -; e per chiarire meglio quale sia stata la grazia che cio ha prodotto, dice: E il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora fra noi (Jn 1,14). Con queste parole sembra volerci dire: Cosa c'è di sorprendente se gli uomini, che sono carne, sono diventati figli di Dio quando per essi l'unigenito Figlio, che era il Verbo di Dio, si è fatto carne? E tuttavia da rilevarsi la gran differenza che c'è in questo passaggio, e cioè che noi diventando figli di Dio siamo cambiati in meglio mentre lui, Figlio eterno di Dio, quando è divenuto Figlio dell'uomo non si è cambiato in peggio ma ha solamente assunto in sé quel che gli era inferiore. Lo dice anche Giacomo: Con un atto della sua volontà egli ci ha generati mediante il Verbo della verità, perché noi fossimo come una primizia della sua creazione (Gc 1,18). Con cio egli vuol indicare che, sebbene sia usata la parola generare, noi non dobbiamo credere d'essere diventati la stessa cosa che è Dio, e sottolinea in maniera sufficientemente chiara che a noi, mediante l'adozione divina, è stata concessa soltanto una dignità che ci eleva nell'ordine creaturale.

7. In base a cio, non avrebbe stravolto la verità Luca, anche se avesse detto di Giuseppe che l'aveva generato quel padre dal quale era stato invece solo adottato. Con tale atto in realtà egli lo genero, non nel senso che lo fece esistere come uomo ma in quanto lo rese suo figlio. In questa maniera infatti ci ha generati Dio quando ha reso suoi figli noi che eravamo stati da lui creati come uomini. Per quanto invece riguarda il suo Unigenito, Dio l'ha generato non solo come Figlio - cosa che non è il Padre - ma anche come Dio, cosa che è anche il Padre. E ovvio tuttavia che, se anche Luca avesse usato il verbo generare, sarebbe rimasto totalmente incerto quale dei due evangelisti ci abbia tramandato il padre che lo adotto e quale il padre che realmente lo procreo. Lo stesso dovrebbe dirsi se nessuno dei due avesse usato il temine generare ma ci avessero detto l'uno che era figlio di questo e l'altro di quello. Sarebbe rimasto sempre incerto quale dei due ci avesse riferito il padre da cui nacque e quale il padre da cui fu adottato. In realtà pero uno ci dice: Giacobbe genero Giuseppe (Mt 1,16), e l'altro: Giuseppe, figlio di Eli (Lc 3,23). Usando parole diverse, con cio stesso ci hanno segnalato in maniera elegante cosa si proponeva ciascuno. Evidentemente una tale soluzione puo, come ho detto, venire in mente - e con facilità - alla persona pia che ritiene doversi cercare ogni altra soluzione e mai pensare che gli evangelisti abbiano mentito. Dico che un uomo simile facilmente trova la maniera per spiegare i motivi per i quali di una persona si puo asserire che abbia avuto due padri. La cosa potrebbe venire in mente - è vero - anche a chi va in cerca di calunnie, ma costoro preferiscono il litigio alla seria riflessione.

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CAPITOLO 4.

Matteo riporta quaranta generazioni di Cristo.

8. Indagare su cio che inoltre potrebbe dedursi, richiede veramente - come ho già notato e come ciascuno puo vedere - un lettore quanto mai attento e diligente. E stato infatti notato con acutezza che Matteo, volendo presentare la persona di Cristo investita di potere regale, nel riferire la serie delle generazioni nomina quaranta uomini, escluso lo stesso Cristo (Mt 1,17). Orbene, questo numero rappresenta il tempo che trascorriamo in questo mondo e qui sulla terra: un tempo nel quale dobbiamo essere guidati da Cristo con pedagogia severa e dolorosa, cioè quella pedagogia con la quale, come sta scritto, Dio flagella ogni figlio che riconosce (Cf. He 12,6). Parlando di questa pedagogia, dice l'Apostolo che noi dobbiamo entrare nel regno di Dio per la via della tribolazione (Ac 14,21). Essa è raffigurata anche da quello scettro di ferro di cui si legge nel Salmo: Li dominerai con scettro di ferro (Ps 2,9), mentre poco prima aveva detto: Io sono stato da lui costituito re sul Sion suo monte santo (Ps 2,6). In realtà anche i buoni vengono governati con scettro di ferro, se di loro è stato detto: E tempo che cominci il giudizio dalla casa del Signore. E se tale è il suo inizio, che avviene in noi, quale ne sarà la fine in coloro che non credono al Vangelo di Dio? E se a mala pena riuscirà a salvarsi il santo, dove andranno a finire l'empio e il peccatore? (1P 4,17-18) Ad essi infatti si riferisce il testo: Come vasi d'argilla li frantumerai (Ps 2,9). Con tale disciplina vengono dunque governati i buoni, mentre i cattivi sono annientati, sebbene siano anch'essi ricordati, per il fatto che i buoni e i cattivi hanno ora in comune gli stessi e identici sacramenti.

9. Che mediante questo numero venga rappresentato l'attuale periodo di vita travagliata in cui sotto la guida severa di Cristo re combattiamo contro il diavolo, lo manifesta anche il fatto che duro quaranta giorni il digiuno - che è un tempo di umiliazione dell'anima - consacrato dalla Legge e dai Profeti nelle persone di Mosè e di Elia, che digiunarono appunto quaranta giorni (Cf. Ez 34,28 1R 19,8). Cosi anche il Vangelo ci parla del digiuno del Signore, durato quaranta giorni, durante i quali veniva tentato dal diavolo (Mt 4,1-2). E cosa intendeva significarci il Signore con questo digiuno? Egli nella carne che si era degnato assumere dalla nostra mortalità voleva offrirci una figura della tentazione a cui siamo sottoposti noi per tutta la durata della vita presente. Ugualmente dopo la risurrezione non volle restare in terra con i discepoli per più di quaranta giorni (Ac 1,3), partecipando in maniera umana alla loro vita presente e prendendo, sebbene immortale, il cibo dei mortali come essi prendevano. Limitandosi a restare con loro quaranta giorni voleva indicare che sarebbe stata invisibile la presenza promessa quando aveva detto: Ecco io sono con voi sino alla fine del mondo (Mt 28,20). Quanto poi al motivo per cui il numero quaranta significa la presente vita temporale, ce ne potranno essere probabilmente altri più reconditi, ma qui sul momento mi vien da pensare, come motivo immediato, che anche i periodi dell'anno si snodano in quattro stagioni e che il mondo è delimitato in quattro parti, che a volte la Scrittura denomina dal nome dei venti: Oriente, Occidente, Settentrione e Meridione (Cf. Za 2,6 Za 14,4). Ora, quaranta è dieci per quattro, e lo stesso numero dieci si raggiunge sommando l'uno dopo l'altro i numeri da uno fino a quattro.

10. Cristo re veniva dunque in questo mondo e, partecipando della vita terrena e mortale di noi uomini, intendeva sostenerci nel faticoso combattimento contro le tentazioni che incontriamo quaggiù. Per questo motivo Matteo inizia il suo racconto da Abramo ed elenca quaranta personaggi. Ora, è risaputo che Cristo re nella carne trasse origine dal popolo ebraico, com'è anche risaputo che, per separare questo popolo da tutti gli altri, Dio fece uscire Abramo dalla sua terra e dal suo parentado (Gn 12,1-2). Questa promessa che concerne il popolo da cui il Cristo sarebbe venuto aveva soprattutto la funzione di profetizzare e preannunziare in maniera precisa che tutto si riferiva a lui. In vista di cio l'evangelista distingue le generazioni in tre gruppi di quattordici ciascuno, segnalando che da Abramo a Davide ci furono quattordici generazioni, da Davide alla deportazione in Babilonia altre quattordici e altrettante fino alla nascita di Cristo (Mt 1,17). Alla fine pero egli non tira la somma dicendo che tutte le generazioni ricordate sono quarantadue. In effetti uno dei proavi di Cristo, cioè Geconia, è contato due volte, in relazione al fatto che sotto di lui accadde una specie di curvatura verso popoli stranieri in quanto gli Israeliti emigrarono in Babilonia. Orbene, quando una successione ordinata non segue più una linea retta ma si piega in direzione divergente, si forma come un angolo, e cio che si trova nell'angolo è contato due volte, cioè alla fine della serie precedente e all'inizio della ripresa dopo la curva. Questo fatto raffigurava fin da allora che Cristo in certo qual modo sarebbe emigrato dal popolo dei circoncisi a quello degli incirconcisi (Cf. Ef 2,11), rappresentati da Gerusalemme e Babilonia rispettivamente. In tal modo egli sarebbe stato la pietra angolare per tutti coloro che avrebbero creduto in lui, sia che provenissero da una parte che dall'altra (Cf. Ef 2,20). In tal modo Dio predisponeva le cose che erano solo figura, orientandole pero a fatti che sarebbero realmente accaduti. Tant'è vero che lo stesso nome Geconia, nel quale veniva raffigurato quest'angolo, significa " preparazione di Dio ". Pertanto le generazioni non raggiungono il numero di quarantadue (che sarebbe tre volte quattordici) ma quarantuno, computando anche Cristo, che è colui che da vero re domina sulla presente nostra vita terrena e mortale figurata dal numero quaranta.

11. Matteo si propone dunque di presentarci Cristo come colui che scende a far parte della nostra condizione mortale: per questo all'inizio ricorda in ordine discendente le sue generazioni da Abramo a Giuseppe, anzi fino alla nascita dello stesso Cristo (Mt 1,2). Il contrario è di Luca. Egli narra le generazioni di Cristo non all'inizio ma in occasione del battesimo di lui (Lc 3,23 Lc 3,38), e lo fa non in ordine discendente ma ascendente, come per attribuire a lui la funzione di sacerdote che espia i peccati. Li infatti la voce dal cielo lo proclamo, li Giovanni gli rese testimonianza dicendo: Ecco colui che toglie i peccati del mondo (Jn 1,29). Nel suo ascendere poi Luca oltrepassa Abramo e giunge fino a Dio, con il quale siamo riconciliati attraverso la purificazione e l'espiazione operata da Cristo (Rm 5,10). Ben a ragione quindi egli nel riferirci l'origine di Cristo ne rileva le adozioni, poiché anche noi diventiamo figli di Dio per via di adozione, credendo cioè nel Figlio di Dio; quanto invece al Figlio stesso di Dio, è da dirsi piuttosto che divenne per noi Figlio dell'uomo attraverso la generazione carnale. In maniera sufficientemente chiara dunque l'evangelista ci indica che, se ha detto di Giuseppe che era figlio di Eli, non lo era perché da lui generato ma solo adottato. In effetti, anche parlando di Adamo lo dice figlio di Dio, mentre si sa che egli fu creato da Dio e, se fu collocato nel paradiso in qualità di figlio, cio fu per un dono di grazia: quella grazia che in seguito perse a causa del peccato.

12. Da tutto cio si deduce che nella genealogia di Matteo è raffigurato Cristo Signore che prende su di sé i nostri peccati, in quella di Luca, invece, Cristo Signore che elimina i nostri peccati. Questo è il motivo per cui l'uno narra le generazioni in ordine discendente, mentre l'altro in ordine ascendente. Dice infatti l'Apostolo: Dio mando il suo Figlio in una carne simile a quella che aveva peccato, e cio in relazione al fatto che egli prese su di sé i nostri peccati. Quanto invece alle parole che aggiunge: Affinché mediante il peccato condannasse il peccato nella carne (Rm 8,3), vanno riferite all'espiazione dei peccati. Ecco pertanto Matteo che da Davide scende attraverso Salomone, di cui nomina la madre con cui il re aveva peccato. Luca al contrario ascende a Davide attraverso Natan, cioè quel Profeta di cui si servi Dio per punirlo del peccato (2S 2S 11,4 2S 2S 12,1 2S 2S 12,14). Ma c'è di più: ed è il numero ottenuto da Luca, che con ogni certezza indica l'abolizione completa dei peccati. Siccome infatti Cristo non commise iniquità e percio in nessun modo si puo dire che la sua iniquità si uni alle iniquità degli uomini che egli prese su di sé nella sua carne, per questo troviamo che in Matteo il numero delle generazioni, Cristo escluso, è di quaranta. Siccome pero è anche vero che egli, dopo averci redenti e purificati da ogni peccato, ci ha uniti alla giustizia sua e del Padre, perché si avveri cio che dice l'Apostolo: Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito (1Co 6,17), in vista di cio nel numero riportato da Luca troviamo elencati e Cristo, da cui inizia il computo, e Dio, con il quale tale computo finisce. Si raggiunge cosi il numero settantasette, con il quale si rappresenta la remissione e l'eliminazione totale di ogni peccato: cosa che anche il Signore manifesto di sua bocca quando, per evidenziare il mistero di questo numero, disse che al peccatore si deve perdonare non solo sette volte ma addirittura settenta volte sette (Mt 18,22).

13. Né è insensato dire che questo numero, se lo si esamina con profonda accuratezza, ha pertinenza con la purificazione di tutti i peccati. In effetti, del numero dieci si puo dimostrare che è il numero della giustizia a motivo dei dieci comandamenti della legge. Ma ecco sopraggiungere il peccato, che è la trasgressione della legge, e quindi, come trasgressione del numero dieci, è ben rappresentata dal numero undici. In vista di cio si prescrisse che nel tabernacolo si facessero undici veli di lana caprina (Cf. Es 26,7). E chi potrebbe dubitare che la veste di lana caprina bene si adatta a rappresentare il peccato? Ora, siccome la totalità del tempo si snoda in periodi di sette giorni, ragionevolmente si conclude che l'insieme di tutti i peccati raggiunge la somma di settantasette, che è il numero undici moltiplicato per sette. Nell'ambito di questo numero avviene la completa remissione dei peccati, che espia per noi sul suo corpo il nostro Sacerdote, dal quale prende inizio questo numero nella genealogia di Luca. Egli parimenti ci riconcilia con Dio, nel quale la numerazione si conclude con un richiamo allo Spirito Santo che apparve sotto forma di colomba nell'episodio del battesimo (Lc 3,22), dove appunto si fa cenno di questo numero.

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CAPITOLO 5.

La concezione, l'infanzia e la fanciullezza di Gesù in Matteo e in Luca.

14. Terminato l'elenco delle generazioni Matteo prosegue cosi: Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovo incinta per opera dello Spirito Santo (Mt 1,18). In che modo avvenisse il fatto Matteo non lo racconta, mentre lo riferisce Luca dopo aver narrato la concezione di Giovanni. Egli racconta: Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, l'angelo disse: " Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: " Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai nel tuo seno (Is 7,14), e darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" (Da 7,14 Da 7,27 Mich Da 4,7). Allora Maria disse all'angelo: "Come avverrà questo? Non conosco uomo ". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,26 Lc 1,35). Quindi aggiunge altre cose che non hanno attinenza col tema che stiamo trattando. Tutto questo Matteo lo ricorda quando afferma di Maria che fu trovata incinta per opera dello Spirito Santo. Né c'è contrarietà se Luca racconta delle cose omesse da Matteo, poiché l'uno e l'altro attestano che Maria concepi ad opera dello Spirito Santo. Parimenti non c'è contraddizione nelle cose che Matteo aggiunge subito dopo, mentre su di esse Luca sorvola. Cosi infatti prosegue Matteo: Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva diffamarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre pero stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Ac 4,12). Tutto questo avvenne perché si adempisse cio che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele" (Is 7,14), che significa "Dio con noi". Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. Ma non la conobbe fino a quando non ebbe partorito il suo figlio primogenito; e gli dette il nome di Gesù (Mt 1,19-25). Gesù nacque a Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode (Mt 2,1), ecc.

15. Sulla città di Betlemme concordano Matteo e Luca, ma in che modo e per qual motivo Giuseppe e Maria si siano recati in quel luogo Luca lo riferisce, Matteo lo tralascia (Lc 2,4). Per quanto invece concerne i Magi venuti dall'Oriente Luca tace, mentre ne parla Matteo, il quale cosi continua il suo racconto: Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: " Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode resto turbato (Mt 2,1 Mt 2,3), con quel che segue, fino al versetto dove, sempre a proposito dei Magi, è scritto che, ricevuto un responso in sogno di non tornare da Erode, per un'altra via se ne tornarono al loro paese (Mt 2,3 Mt 2,12). Tutto questo è omesso da Luca, mentre Matteo non narra altri particolari riferiti da Luca, come, ad esempio, che il Signore fu posto in una greppia, che un angelo annunzio la sua nascita ai pastori, che insieme con quell'angelo si uni una moltitudine delle schiere celesti a lodare Dio, che i pastori vennero e riscontrarono esser vero cio che l'angelo aveva loro annunziato, che nel giorno della sua circoncisione ricevette il nome, e inoltre tutto quello che Luca racconta essere avvenuto dopo che furono trascorsi i giorni della purificazione di Maria: come cioè i genitori portarono Gesù a Gerusalemme, e quel che si riferisce a Simeone ed Anna, i quali profetarono di lui nel tempio dopo che, pieni di Spirito Santo, lo ebbero riconosciuto (Lc 2,7 Lc 2,28). Di tutto questo nulla troviamo in Matteo.

16. Ci si chiede pertanto, e a buon diritto, quando siano accadute le cose che Matteo omette e Luca narra e cosi pure le altre, omesse da Luca e narrate da Matteo. Difatti, dopo che i Magi venuti dall'Oriente se ne furono tornati in patria, Matteo continua il racconto parlando di Giuseppe che avvertito da un angelo fugge in Egitto insieme col bambino per non farlo uccidere da Erode. Infatti non avendolo trovato, Erode uccise i bimbi da due anni in giù. Morto Erode, Giuseppe torno dall'Egitto ma, sentito che in Giudea al posto di Erode, suo padre, regnava Archelao, ando insieme con il bambino ad abitare nella città di Nazareth, regione della Galilea (Mt 2,12 Mt 2,23).

Su tutte queste cose Luca non dice nulla. Non per questo tuttavia deve sembrare contraddittorio che l'uno dica quanto l'altro tralascia o che l'altro ricordi quel che il primo non dice. E comunque legittimo ricercare quando poterono accadere i fatti descritti da Matteo, quali ad esempio la fuga in Egitto e il ritorno in patria dopo la morte di Erode con la decisione, presa in quell'occasione, di stabilirsi a Nazareth, mentre Luca riferisce che in tale città i genitori del fanciullo fecero ritorno dopo che ebbero compiuto nel tempio tutto quello che prescriveva la legge del Signore (Lc 2,39). A questo punto dunque bisogna richiamare alla mente una considerazione che valga a risolvere tutti i casi consimili, perché non ci si impressioni né si resti con l'animo in crisi. Ed è questa: ogni evangelista compone il suo racconto in modo che la serie compilata si presenti come scritta da uno che non tralascia niente. Passando sotto silenzio le cose che non intende raccontare, unisce le cose che invece vuol narrare con quelle raccontate in antecedenza in modo tale che se ne ricavi l'impressione che formino un tutto continuo. Siccome pero l'altro evangelista riporta cose che il primo ha omesse, c'è da esaminare accuratamente l'ordine dei fatti narrati; e quest'ordine, ben esaminato, indica il posto dove avrebbe potuto inserire i singoli eventi l'evangelista che li ha tralasciati per cucire insieme le cose dette prima e le altre che voleva narrare, quasi che le une e le altre si siano susseguite senza intervallo. Cio si applica a Matteo. Nel punto dove dice che i Magi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, se ne tornarono in patria per un'altra via (Mt 2,12), egli ha omesso di dirci quel che racconta Luca sugli avvenimenti accaduti al Signore nel tempio e quel che dissero Simeone ed Anna. Luca poi, non raccontando la fuga in Egitto di cui parla Matteo, ai fatti del tempio congiunge, quasi fosse stato collegato con essi, il ritorno di Cristo alla città di Nazareth (Lc 2,22 Lc 2,39).

17. Se uno quindi volesse ricavare un'unica narrazione prendendo tutte le cose che ci sono state raccontate dai due evangelisti sulla nascita, l'infanzia e la fanciullezza di Cristo, disponendo a dovere e le cose che ciascuno dice e quelle che omette, potrebbe ordinare la narrazione in questa maniera: Ecco come avvenne la nascita di Cristo (Mt 1,18). Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli tocco in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbo e fu preso da timore.

Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino ne bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Eli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli (Ml 4,6)e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto". Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni". L'angelo gli rispose: " Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo ". Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi usci e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. Compiuti i giorni del suo servizio, torno a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepi e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: "Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini ". Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: " Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine ". Allora Maria disse all'angelo: " Come è possibile? Non conosco uomo ". Le rispose l'angelo: " Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio ". Allora Maria disse: " Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto ". E l'angelo parti da lei. In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, saluto Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussulto nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamo a gran voce: " Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".

Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva (1S 2,1 1S 2,11). D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome (Ps 110,9 Ps 98,3): di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono (Ps 102,17). Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi (Ps 32,10 Ps 33,11 Ps 88,11 Is 51,9 Jb 5,11). Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre (Gn 17,9 Gn 22,16 Ps 131,11 Is 41,89 Mi 7,20). Maria rimase con lei circa tre mesi, poi torno a casa sua (Lc 1,5-56). E si trovo incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre pero stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: " Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati ". Tutto questo avvenne perché si adempisse cio che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: " Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele (Is 7,14), che significa "Dio con noi" ". Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, senza che egli la conoscesse (Mt 1,18-25). Per Elisabetta intanto si compi il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: "No, si chiamerà Giovanni ". Le dissero: "Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome". Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si apri la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: " Che sarà mai questo bambino? " si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo, e profeto dicendo: " Benedetto il Signore Dio d'Israele (Cf. Ps 40,14 Ps 73,18 Ps 105,48), perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo (1S 2,10 Ps 131,17), come aveva promesso per bocca dei suoi santi Profeti d'un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano (Cf. Ps 105,10).

Cosi egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci (Cf. Ps 104,89 Gn 22,16 Jr 31,33 He 6,13-17), liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade (Ml 3,1 Ml 4,5), per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati, grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace " (Cf. Za 3,8 Za 6,12 Ml 4,2) Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele (Lc 1,57-86) In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordino che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea sali in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.

Un angelo del Signore si presento davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: " Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia ". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: " Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama ". Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere ". Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono cio che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre (Lc 2,1-21)

Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: " Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo ". All'udire queste parole, il re Erode resto turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: " A Betlemme di Giudea, perché cosi è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele" (Mich 5,2; Jn 7,42) Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li invio a Betlemme esortandoli: " Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo ". Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermo sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Cf. Sal 71,10) Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese (Mt 2,6-13). Essi erano appena partiti, quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: "Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore" (Cf. Es 13,2; Nb 8,16); e per offrire in sacrificio "una coppia di tortore o di giovani colombi", come prescrive la Legge del Signore (Lv 12,8).

Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si reco al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: " Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele ". Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlo a Maria, sua madre: " Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori (Is 8,14 Rm 9,33 1P 2,7). E anche a te una spada trafiggerà l'anima ". C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni.

Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore (Lc 2,22-39), ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: " Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertiro, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo ". Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggi in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse cio che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: " Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio (Osea 11,1). Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infurio e mando ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempi quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: " Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché non sono più "( Ger 31,15).

Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: " Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino ". Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entro nel paese d'Israele. Avendo pero saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritiro nelle regioni della Galilea e, appena giunto, ando ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse cio che era stato detto dai Profeti: " Sarà chiamato Nazareno " (Mt 2,13-23). Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: " Figlio, perché ci hai fatto cosi? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo ". Ed egli rispose: " Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? ". Ma essi non compresero le sue parole. Parti dunque con loro e torno a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù "cresceva" in sapienza, età "e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,40-52).


Agostino, Consenso Evang. 200