Agostino, Consenso Evang. 222

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CAPITOLO 22

La narrazione di Matteo confrontata con gli altri sinottici.

53. Continua Matteo: Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scaccio gli spiriti con la sua parola e guari tutti i malati, perché si adempisse cio che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: " Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie " (Mt 8,16-17 Is 53,4). Proseguendo il suo racconto con le parole: Venuta la sera, indicherebbe con sufficiente chiarezza che siamo ancora nel perdurare del medesimo giorno. Cosi anche Marco. Raccontato l'episodio della guarigione della suocera di Pietro, che si mise a servirli, aggiunge subito i fatti di cui parla Matteo. Dice: Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.

Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guari molti che erano afflitti da varie malattie e scaccio molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzo quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritiro in un luogo deserto (Mc 1,32-35). Sembrerebbe che in questo racconto Marco proceda in quest'ordine: precisato che era venuta la sera, dice che al mattino presto si alzo. E vero che, di per sé, il dire: Venuta la sera, non si deve necessariamente intendere come riferito alla sera dello stesso giorno e che le parole al mattino presto non riguardano necessariamente il mattino successivo; tuttavia, per la determinazione del succedersi dei tempi, sembra volercisi indicare che l'evangelista abbia effettivamente seguito l'ordine cronologico.

Quanto a Luca, egli dopo averci narrato della suocera di Pietro non dice: Venuta la sera, ma continua con un discorso equivalente. Al calar del sole - dice -, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano demoni gridando: " Tu sei il Figlio di Dio! ". Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era il Cristo. Sul far del giorno usci e si reco in un luogo deserto (Lc 4,40-42). Vediamo quindi in Luca rispettato scrupolosamente l'ordine cronologico che riscontriamo in Marco.

Matteo invece se ne discosta, dandoci l'impressione di riferire le cose non nell'ordine in cui si sono susseguite ma come uno che ricordi cio che aveva omesso. Della suocera di Pietro fa menzione solo dopo che ha narrato tutto cio che Gesù compi in quel giorno, sera compresa. Di conseguenza non si sofferma sul particolare del mattino presto ma scrive: Gesù, vedendo intorno a sé una gran folla, comando di recarsi di là del mare (Mt 8,18). Ora questo è diverso da quello che riferiscono Marco e Luca, che pongono il mattino presto dopo il vespro. Dunque quello che qui è stato detto: Gesù, vedendo intorno a sé una gran folla, comando di recarsi di là del mare, lo dobbiamo intendere nel senso che lo scrivente, seguendo un suo ricordo, ha inserito nel racconto il fatto che Gesù, in un giorno imprecisato, vedendo intorno a sé una gran folla, comando di recarsi di là del mare.

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CAPITOLO 23

Due sconosciuti chiedono di seguire Gesù.

54. Prosegue Matteo: Avvicinandosi a lui uno scriba gli disse: " Maestro, ti seguiro dovunque tu andrai ", fino alle parole: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,19-22 Lc 9,57-62). Simile a quella di Matteo è la narrazione di Luca, ma è collocata dopo molte altre vicende: lo scrittore non precisa l'ordine cronologico ma si comporta come uno che richiami alla memoria i fatti, non saprei se aggiungendo cose in antecedenza omesse o anticipando cose avvenute dopo quelle che riferisce. Dice cosi: Mentre camminavano per la strada un tale gli disse: " Ti seguiro ovunque andrai " (Lc 9,57). E Gesù diede a lui la stessa identica risposta riportata da Matteo. E se Matteo dice che il fatto avvenne dopo il comando dato dal Signore di recarsi di là del mare (Mt 8,18), mentre Luca lo colloca durante il cammino lungo la strada (Lc 9,57), le narrazioni non sono in contrasto fra loro: essi certamente dovettero percorrere della strada per andare in riva al lago. Inoltre, nei riguardi di colui che chiese di potersi prima recare a dar sepoltura a suo padre, i racconti di Matteo e di Luca convengono in pieno (Mt 8,21 Lc 9,58). E se Matteo pose prima le parole di colui che avanzava la richiesta a motivo di suo padre e poi la risposta del Signore, che gli diceva di seguirlo, mentre Luca pose prima il comando che gli rivolse il Signore di seguirlo e, dopo il comando, la richiesta di quell'uomo, son cose che non toccano affatto il contenuto dell'affermazione. Luca ci riferisce anche di un altro che disse a Gesù: Signore, ti seguiro, ma permettimi di andare prima a casa per accomiatarmi dai parenti (Lc 9,61); della qual cosa nulla dice Matteo. Successivamente Luca passa a un episodio differente, non curandosi di cio che cronologicamente era avvenuto subito dopo. Dice: Dopo cio il Signore designo altri settantadue discepoli (Lc 10,1). Questo avvenne, evidentemente, dopo cio, ma non risulta con chiarezza quanto tempo sia intercorso prima di quel che fece qui il Signore. In questo periodo accadde quanto aggiunge Matteo, il quale nel suo racconto segue l'ordine cronologico. Egli scrive cosi:

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CAPITOLO 24

La traversata del lago in tempesta.

55. Salito nella barca, lo seguirono i suoi discepoli. Ed ecco si sollevo nel mare una gran tempesta, fino a: Venne nella sua città (Mt 8,23-24 Mt 8, . I due avvenimenti che Matteo narra uno dopo l'altro, cioè della bonaccia che sopraggiunse dopo che Gesù, destato dal sonno, comandato ai venti, di quegli invasati un demonio feroce i quali spezzando le catene erano soliti rifugiarsi nel deserto, sono raccontati in forma su per giù identica Marco Luca ( Cf. Mc 4,36-40. 5,1-17; Lc 8,22-37).

Alcune espressioni, è vero, suonano alquanto diversamente nel racconto dei singoli evangelisti ma non differiscono nella sostanza. Cosi, ad esempio, scrive Matteo: Perché siete cosi paurosi, uomini di poca fede? (Mt 8,26) Marco invece: Perché siete cosi paurosi? Non avete ancora fede? (Mc 4,40) Egli parlava della fede perfetta, magari come un granellino di senapa, in riferimento al quale Matteo poté dire: Uomini di poca fede. Che se Luca scrive essere stato detto dal Signore: Dov'è la vostra fede?(Lc 8,25), è perché tutt'e tre le cose egli poté dire: Perché siete cosi paurosi? Dov'è la vostra fede, o uomini di poca fede?, di modo che uno ne riporta una e un altro un'altra. Riguardo poi alle parole che [i discepoli] dissero per destarlo, Matteo scrive: Signore, salvaci! siamo perduti; Marco: Maestro, non t'interessa che andiamo perduti?; Luca: Maestro, andiamo perduti (Mt 8,25 Mc 4,38 Lc 8,24). Unico e uguale è il significato: essi vogliono destare il Signore ed essere da lui salvati.

Né occorre indagare quali precise parole, fra quelle riferite, siano state rivolte a Cristo. Che serve infatti sapere se i discepoli dissero, magari in parte, le parole riferite dagli evangelisti ovvero altre non riferite da loro ma contenenti la stessa verità oggettiva? Inoltre, poté anche accadere che, essendo in molti a svegliarlo gridando insieme, tutte le parole evangeliche furono pronunciate di fatto, le une da alcuni le altre da altri. Parimenti è di cio che dissero quando la tempesta fu sedata. Secondo Matteo: Chi è costui, perché gli obbediscano i venti e il mare? (Mt 8,27) Secondo Marco: Chi pensate che sia costui, se gli obbediscono il vento e il mare? (Mc 4,40)Secondo Luca: Chi pensate che sia costui, se comanda ai venti e al mare e gli obbediscono? (Lc 8,25) Chi non vede subito che si tratta di un identico pensiero? E infatti esattamente lo stesso, dire: Chi pensate che sia costui? e: Chi è mai costui? E se non è detto egli comanda, lo si deve logicamente sottintendere perché, quando si obbedisce, si obbedisce a uno che comanda.




CAPITOLO 24

56. Riguardo a coloro che erano tormentati da quella legione di demoni cui fu concesso d'entrare nei porci, Matteo scrive che erano due, mentre Marco e Luca parlano di una sola persona (Mt 8,28 Mc 5,1 Lc 8,28). Dovrai intendere che uno dei due era un personaggio più noto e più celebre e quindi per lui soprattutto la contrada era rattristata e si preoccupava moltissimo della sua liberazione. Volendo sottolineare questa preminenza, due degli evangelisti ritennero opportuno menzionare una sola persona, cioè colui riguardo al quale la fama dell'avvenimento si era diffusa più ampiamente e con maggiori ripercussioni. Né presentano difficoltà le parole che, secondo i diversi evangelisti, sarebbero state pronunziate dai demoni, potendosi ridurre tutte ad un'unica affermazione o interpretando il testo nel senso che tutte quante furono di fatto pronunziate. Nessuna difficoltà il fatto che in Matteo i demoni parlano al singolare mentre negli altri due evangelisti al plurale. Difatti anche secondo costoro, interrogato del suo nome, il demonio rispose che erano una legione, e cioè in molti. Né sono in contrasto fra loro Marco e Luca, sebbene Marco scriva che la mandria dei porci stava alle falde del monte mentre Luca li colloca sul monte. Era infatti cosi numerosa quella mandria di porci che una parte doveva stare in cima al monte mentre un'altra ai lati del monte. Precisa infatti Marco che quei porci erano duemila.

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CAPITOLO 25

Il paralitico risanato.

57. Nel continuare il racconto Matteo, rispettando sempre l'ordine cronologico, soggiunge: Salito su una barca, Gesù passo all'altra riva e giunse alla sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto (Mt 9,12), ecc. fino alle parole: A quella vista, la folla fu prese da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini (Mt 9,8). Di questo paralitico parlano anche Marco e Luca (Mc 2,3-12 Lc 5,18-26), ma quanto alle parole che secondo Matteo il Signore gli disse - e cioè: Figliolo, abbi fiducia, ti sono rimessi i peccati (Mt 9,2)- Luca non ha Figliolo ma Uomo (Lc 5,20), e questo ha il merito d'inculcarci più efficacemente il pensiero del Signore in quanto era un uomo colui al quale venivano rimessi i peccati. Essendo infatti uomo, per cio stesso non avrebbe potuto dire d'essere senza peccato; e inoltre ci si lascia comprendere che colui che perdonava all'uomo i peccati doveva essere Dio. Quanto a Marco, dice le stesse cose di Matteo (Mc 2,5), ma omette le parole: Abbi fiducia. In realtà l'espressione originaria poté essere o " Confida, uomo; ti sono rimessi i peccati ", o " Confida, figlio; ti sono rimessi i peccati, o uomo ", o qualsiasi altra formulazione comunque sistemata quanto alle parole.

58. Puo creare un certo imbarazzo la localizzazione dell'episodio del paralitico. Scrive infatti Matteo: Salito su una barca, Gesù passo all'altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto (Mt 9,12). Questo episodio, dice Marco che non avvenne nella sua città, cioè a Nazareth, ma a Cafarnao. Egli scrive: Ed entro di nuovo a Cafàrnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo pero portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede (Mc 2,1-5), ecc. Luca non precisa il luogo in cui avvenne il fatto ma scrive cosi: Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme.

E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni. Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: " Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi " (Lc 5,17-20), ecc. Il problema si pone dunque nei confronti di Marco e Matteo in quanto Matteo scrive che il fatto avvenne nella città del Signore, mentre Marco lo colloca a Cafarnao. La soluzione sarebbe più difficile se Matteo avesse menzionato espressamente Nazareth; in concreto pero l'intera Galilea poté essere denominata città di Cristo dal momento che in essa si trova la città di Nazareth. E quello che facciamo noi quando parliamo della città di Roma estendendo la denominazione a tutto l'Impero, sebbene composto di tante città.

Allo stesso modo è composta da moltissime genti la città di cui sta scritto: Cose gloriosissime si dicono di te, città di Dio (Sal 86,3). E di quell'antico popolo di Dio, sparso in cosi numerose città, si diceva che era un'unica casa: la casa d'Israele (Is 5,7 Ger Is 3,20 Ez 3,4 Ez 3,7). Chi potrà quindi mettere in dubbio che Gesù fece il miracolo nella sua città se lo fece a Cafarnao che era una città della Galilea? Dalla regione dei Geraseni egli, traversando il mare, era venuto in Galilea; e pertanto, qualunque fosse la città della Galilea dov'egli si trovava, si poteva sempre dire con esattezza che era nella sua città. Questo a maggior ragione vale per Cafarnao in quanto era il più importante fra i centri della Galilea, tanto che lo si poteva considerare capoluogo della regione. Ma ammettiamo pure che non sia lecito intendere come città di Cristo né l'intera Galilea, in cui era Nazareth, e nemmeno Cafarnao, che aveva sulle altre città una specie di primato per cui poteva essere considerata loro capitale. In questo caso diremo che Matteo tralascio il racconto delle cose avvenute dopo il ritorno del Signore nella sua città fino al suo arrivo a Cafarnao. Riferi solo la guarigione del paralitico. E un sistema che molti adottano: omettono le vicende intermedie e dànno l'impressione che si siano susseguite immediatamente le cose che raccontano senza lasciar traccia dell'intervallo che le ha separate.

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CAPITOLO 26

La vocazione di Matteo.

59. Continua Matteo: Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: " Seguimi". Ed egli si alzo e lo segui (Mt 9,9). Marco procede nello stesso ordine e colloca il fatto dopo la guarigione del paralitico. Scrive: Usci di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: " Seguimi ". Egli, alzatosi, lo segui (Mc 2,13-14). Nessun contrasto fra i due, poiché Matteo e Levi sono la stessa persona. Anche Luca racconta il fatto ponendolo dopo la guarigione del paralitico. Dopo cio - dice -egli usci e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: " Seguimi! ". Egli, lasciando tutto, si alzo e lo segui (Lc 5,27-28). A questo proposito sembra essere più probabile che Matteo racconti i fatti come uno che rammenti cose avvenute antecedentemente, se è da ritenersi che la vocazione di Matteo accadde prima del discorso della montagna. Luca infatti riferisce che su quel monte erano vicino a Gesù tutti i Dodici che egli aveva scelti fra la moltitudine dei discepoli e chiamati Apostoli (Lc 6,13).

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CAPITOLO 27

Il convito in casa di Levi.

60. Prosegue Matteo: Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli, fino alle parole: Ma il vino nuovo lo si mette in otri nuovi e cosi si conservano e l'uno e gli altri (Mt 9,10). Nel suo racconto Matteo non specifica in quale casa si trovasse Gesù a mangiare con i pubblicani e i peccatori e potrebbe anche dare l'impressione che nella sua narrazione non abbia proceduto secondo l'ordine dei fatti ma abbia qui inserito, ricordandolo a memoria, un episodio accaduto in altro tempo. Ma ecco intervenire al riguardo Marco e Luca, i quali, raccontando il fatto con tratti del tutto simili (Mc 2,15-22 Lc 5,27-39), precisano con chiarezza che Gesù era seduto a mensa in casa di Levi, cioè di Matteo, e li disse tutte le parole riportate nei Vangeli. Marco riferisce la cosa rispettando anche l'ordine nella descrizione: Ora avvenne che mentre stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù (Mc 2,15). Dicendo: Nella casa di lui, certo intende riferirsi al personaggio di cui aveva parlato prima, cioè a Levi. Cosi anche Luca. Dopo aver detto che Gesù lo invito a seguirlo e che Matteo, lasciando tutto, si alzo e lo segui, aggiunge immediatamente: Levi gli fece un gran banchetto in casa sua. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola (Lc 5,28-29). E pertanto indiscusso a chi appartenesse la casa in cui accadde l'episodio.

61. Ora diamo uno sguardo alle parole che, secondo quanto riferiscono tutti e tre i nostri evangelisti, furono rivolte al Signore dai presenti e alle risposte che egli diede loro. Scrive Matteo: Al vedere cio, i farisei dicevano ai suoi discepoli: " Perché mai il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori? " (Mt 9,11). Su per giù con le stesse parole si esprime Marco: Perché mai il vostro maestro mangia e beve con i pubblicani e i peccatori?(Mc 2,16) L'aggiunta di Marco: E beve è omessa da Matteo; ma cosa rappresenta questa omissione, se nulla toglie alla completezza della frase, dove si presenta il gruppo radunato per il pranzo? Quanto a Luca, sembrerebbe che la sua descrizione sia alquanto diversa. Scrive: I farisei e i loro scribi mormoravano dicendo ai discepoli di lui: " Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? " (Lc 5,30).

Non voleva certo escludere il loro maestro, ma lascia sufficientemente intendere che l'osservazione fu rivolta a tutti i presenti, cioè a Gesù e ai discepoli; solo che le parole, da riferirsi al maestro e ai discepoli, non furono direttamente rivolte a lui ma a questi ultimi. Riportandoci infatti la risposta che diede loro il Signore, Luca attesta: Io non sono venuto a chiamare alla conversione i giusti ma i peccatori (Lc 5,32). La quale risposta non sarebbe pertinente se le parole: Perché mangiate e bevete non fossero state rivolte principalmente a lui. In vista di cio, si comprende anche perché Matteo e Marco raccontino che fu rivolta ai discepoli l'obiezione che riguardava Cristo. Facendo infatti una rimostranza contro i discepoli, la si faceva a maggior ragione contro il maestro che essi seguivano e imitavano. Identico dunque il senso della frase: il quale senso poi risulta tanto più efficacemente espresso quanto più, nella differenziazione di alcuni termini, resta immutata l'identica verità. Lo stesso principio vale anche per la risposta che secondo quanto riferisce Matteo diede loro il Signore: Non i sani hanno bisogno del medico ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: "Misericordia io voglio e non sacrificio". (Os 6,6) Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt 9,12-13).

Questa frase è riportata da Marco e da Luca più o meno con le stesse parole (Mc 2,17 Lc 5,31), con la sola differenza che essi non citano la testimonianza desunta dal Profeta: Voglio la misericordia piuttosto che il sacrificio (Os 6,6). Luca, inoltre, dopo le parole: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori, aggiunge: alla conversione (Lc 5,32), frase che tende a chiarificare le precedenti parole, in modo che nessuno abbia a pensare che Cristo ama i peccatori per il fatto che sono peccatori. Del resto il paragone dei malati sottolinea bene cosa si attenda Dio quando chiama i peccatori: egli agisce come il medico nei confronti dei malati: vuole cioè liberarli dalla loro cattiveria, che in fondo è una grave malattia. Ora tale guarigione si consegue con ravvedimento.

62. Vediamo un istante le successive parole di Matteo: Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: " Perché noi e i farisei digiuniamo frequentemente? " (Mt 9,14). L'episodio è narrato da Marco con uguali parole: Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: " Perché i discepoli di Giovanni e dei farisei digiunano? " (Mc 2,18). Se Marco aggiunge la menzione dei farisei, si potrebbe pensare che a porre la domanda furono, insieme con i discepoli di Giovanni, anche i farisei, sebbene Matteo ci abbia tramandato che a dire cio furono soltanto i discepoli di Giovanni. Tuttavia, le parole che nel testo di Marco si leggono dette da quegli interlocutori indicano che a dirle furono piuttosto degli estranei. E cioè: i discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare; mossi da questo fatto, alcuni dei commensali di Gesù vennero da lui e gli posero la domanda su questo loro comportamento.

Il verbo vengono non ha come soggetto coloro di cui aveva affermato: I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare, ma a venire da lui furono certuni che, sorpresi del fatto che quei tali digiunavano, andarono a dirgli: Come mai i tuoi discepoli non digiunano mentre digiunano i discepoli di Giovanni e dei farisei? La cosa è esposta in forma più chiara da Luca, il quale, volendo sottolineare il dettaglio, dopo aver riferito la risposta che il Signore diede a proposito dei peccatori, da lui chiamati in quanto erano gente malata, si esprime cosi: Ora quelli gli dissero: " I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; cosi pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono! " (Lc 5,33). Anche Luca dunque narra, alla pari di Marco, che le parole furono dette da altri che non gli interessati. Ma allora come fa Matteo a dire: Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: " Perché noi e i farisei digiuniamo "? (Mt 9,14). Ovviamente erano li presenti anche costoro e tutti insieme alla rinfusa gli mossero la stessa obiezione com'era in grado di fare ciascuno. La loro obiezione è presentata dai tre evangelisti in termini fra loro diversi, senza pero che abbiano a discostarsi dalla verità.

63. L'accenno ai figli dello sposo i quali non digiuneranno finché è con loro lo sposo (Mt 9,15 Mc 2,19 Lc 5,34), l'hanno riferito in maniera somigliante Matteo e Marco: con la sola differenza che Marco chiama " figli delle nozze " quelli che Matteo chiama " figli dello sposo ", differenza, questa, che non intacca in nulla la sostanza delle cose se " figli delle nozze " l'intendiamo come una precisazione per dirci che erano figli non soltanto dello sposo ma anche della sposa. Si tratta dunque della stessa affermazione espressa in termini più chiari, non di un'altra di significato opposto. Luca non scrive: " Possono forse digiunare i figli della sposo? ", ma: Potete voi forse costringere al digiuno i figli dello sposo mentre questo sposo è con loro?(Lc 5,34) Con questa variante egli, riferendoci la stessa frase, ce la chiarifica elegantemente facendoci intravedere una nuova idea. Dal suo racconto ci si fa comprendere che proprio quei tali che l'interrogavano avrebbero fatto piangere e digiunare i figli dello sposo, essendo gli stessi che più tardi avrebbero ucciso lo sposo. Che se Matteo parla di piangere, mentre Marco e Luca di digiunare, la sostanza delle cose non cambia, anche perché proseguendo Matteo dice: Allora digiuneranno, e non: " Piangeranno ".

Usando il termine digiuno l'evangelista volle significarci che il Signore parlava di quel digiuno che riveste le note dell'umiliazione e della tribolazione. Dell'altro digiuno, che consiste nel godimento dello spirito quando si eleva al possesso dei beni spirituali e conseguentemente diventa, per cosi dire, estraneo al cibo materiale, parlerà il Signore nelle similitudini che dirà più tardi. In tal senso pertanto dovremo interpretare le immagini del vestito nuovo e del vino nuovo (Mt 9,16-17): immagini con cui voleva significare che questo secondo genere di digiuno non si addice ad uomini dalla vita animalesca e carnale, a gente cioè immersa nelle realtà corporee, che quindi si trascina dietro l'antica sensualità. Sono, questi, paragoni che anche gli altri due evangelisti riferiscono con termini press'a poco identici. E stato infatti ormai abbastanza ribadito il concetto che, se un'evangelista riporta parole o cose omesse dagli altri, non esiste fra loro contrapposizione; basta che non ci siano differenze di contenuto e, se in uno di loro ci sono delle diversità, basta che gli altri non dicano l'opposto.

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CAPITOLO 28

La risurrezione della figlia dell'arcisinagogo.

64. Ecco ora come prosegue la narrazione di Matteo che, rispettando come al solito l'ordine cronologico, scrive: Mentre diceva loro tali cose, giunse uno dei capi che gli si prostro innanzi e gli disse: " Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà " (Mt 9,18), fino alle parole: E la fanciulla si alzo. E se ne divulgo la fama in tutta quella regione (Mt 9,25-26). Le stesse cose riferiscono Marco e Luca, ma con ordine diverso. Riferiscono infatti l'episodio collocandolo in altro contesto: lo ricollegano cioè col ritorno di lui in barca dalla regione dei Geraseni, dopo che aveva cacciato i demoni permettendo loro di entrare nei porci. Cosi Marco: al racconto di cio che era avvenuto nel paese dei Geraseni ricollega l'episodio di cui ci stiamo occupando e scrive: Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si raduno attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si reco da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si getto ai piedi (Mc 5,21-22).

Con cio ci si lascia intendere che l'episodio della figlia dell'arcisinagogo accadde, si, dopo che Gesù in barca ebbe traversato il lago ma non ci si dice quanto tempo dopo. Ora, se non ci fosse stato alcun intervallo, non ci sarebbe spazio per collocarvi cio che in intima connessione racconta Matteo, e cioè il banchetto in casa sua (Mt 9,10-17). In effetti egli, secondo il costume degli evangelisti, racconta come se riguardasse un altro cio che invece accadde in casa sua e riguardava lui direttamente e poi, senza alcun'altra aggiunta, prosegue con il racconto della figlia dell'arcisinagogo. Si tratta di un racconto continuativo in cui l'autore intenzionalmente ci fa capire, mediante il passaggio stesso, che gli avvenimenti si susseguirono l'un l'altro senza interruzione. Dopo aver infatti riportato le parole di Gesù a proposito del panno nuovo e del vino nuovo, prosegue immediatamente: Mentre diceva queste cose, ecco avvicinarglisi un uomo ragguardevole (Mt 9,18). Se quel tale gli si avvicino mentre egli stava ancora dicendo tali parole, non è consentito interporre fra i due episodi un altro fatto o detto del Signore.

Quanto poi al racconto di Marco, ci si indica chiaramente il punto dove gli altri avvenimenti possono essere collocati, come abbiamo indicato sopra. Allo stesso modo è da leggersi Luca. Egli narra il miracolo compiuto nel territorio dei Geraseni e poi quello della figlia dell'arcisinagogo, ma il passaggio fra i due episodi è da supporsi avvenuto in un modo che non sia in contrasto con quanto scrive Matteo, che colloca il fatto subito dopo le narrazioni paraboliche del panno e del vino, e cio sottolinea affermando: Mentre egli diceva queste cose. Luca al contrario, dopo il racconto di quel che era avvenuto nel territorio dei Geraseni, passa al racconto seguente in questa maniera: Al suo ritorno Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui. Ed ecco venne un uomo di nome Giairo, che era capo della sinagoga; e si getto ai piedi di Gesù (Lc 8,40-41). In tal modo ci si lascia intendere che le folle subito dopo l'accaduto si misero ad aspettare il Signore, convinte del suo prossimo ritorno; ma non altrettanto è da supporsi riguardo a quel che segue: Ed ecco venne un uomo di nome Giairo. Questo fatto non lo si deve immaginare come avvenuto subito dopo, in quanto, prima che cio avvenisse, ci fu il banchetto in compagnia dei pubblicani raccontato da Matteo (Mt 9,10-17). Questi infatti narra i due episodi come avvenuti l'uno dopo l'altro in modo tale da farci comprendere che nulla poté accadere frammezzo.

65. Nel contesto del racconto che ora abbiamo cominciato a trattare s'inserisce l'episodio della donna che pativa emorragie; ma in esso vanno d'accordo tutti e tre gli evangelisti e non ci sono problemi. Non tocca infatti la sostanziale verità del fatto se uno narra qualche particolare omesso dagli altri, e cosi pure se Marco dice: Chi mi ha toccato le vesti? (Mc 5,30), mentre Luca: Chi mi ha toccato? (Lc 8,45). L'uno ha usato il modo ordinario di esprimersi mentre l'altro un linguaggio più proprio, ma entrambi hanno detto la stessa cosa. Anche noi infatti diciamo ordinariamente: " Tu mi stracci " piuttosto che "Tu mi stracci le vesti ", ma è noto a tutti cosa intendiamo dire con tali parole.

66. Proseguiamo esaminando l'espressione di Matteo, il quale narra che l'arcisinagogo riferi al Signore non che la sua figlia stava per morire (Mt 9,18) o era moribonda o era agli estremi, ma addirittura che aveva cessato di vivere (Mc 5,23 Lc 8,42), mentre gli altri due evangelisti affermano che era, non morta, ma sul punto di morire. Precisano inoltre che solo più tardi arrivo della gente con la notizia che la ragazza era morta e per questo non si doveva più importunare il Maestro: il quale sarebbe dovuto venire affinché con l'imposizione delle mani ne impedisse la morte e non per risuscitare una che era già morta. Occorre un'indagine accurata per eliminare ogni contraddizione; e per comprendere bene la cosa, è da ritenere che Matteo, per amore di brevità, preferi asserire che al Signore fu chiesto di fare cio che realmente fece (e la cosa risulta all'evidenza dopo il miracolo): cioè di risuscitare colei che era già morta. L'evangelista quindi non si curo molto di tramandare cio che il padre disse parlando di sua figlia ma cio che egli voleva (ed era la cosa più importante), sicché uso le parole che rispecchiavano meglio questo suo desiderio. Egli infatti disperava e desiderava che tornasse in vita colei che aveva lasciata già moribonda, mai pensando che avrebbe potuto trovarla ancora viva. Gli altri due evangelisti espongono dunque le reali parole di Giairo, Matteo al contrario ne riferisce il desiderio e il pensiero.

Al Signore pertanto fu richiesta e l'una e l'altra cosa: che salvasse la moribonda e che risuscitasse la morta; ma essendosi Matteo proposto di raccontare il tutto in maniera compendiosa, sottolineo che il padre nella sua richiesta espose quello che evidentemente era nella sua volontà e che Cristo realmente fece. In realtà, se gli altri due, o uno di loro, avessero affermato che fu il padre stesso a dire quello che dissero i suoi familiari venuti da casa - e cioè che Gesù non doveva essere ulteriormente infastidito essendo la fanciulla già morta -, le sue parole come le riferisce Matteo sarebbero in contrasto con il suo pensiero. Se invece furono i familiari a recare questa notizia e a suggerire che non occorreva più far venire il Maestro, non si dice con questo che il padre fu dello stesso avviso e, anche se il Signore gli disse: Non temere; credi e sarà salvata (Lc 8,50), le parole non vanno prese come un rimprovero a uno che diffidava ma come una conferma nella fede, che doveva essere più forte. C'era effettivamente in lui la fede, ma era simile a quella di colui che disse al Maestro: Credo, Signore, ma tu soccorrimi nella mia incredulità (Mc 9,33).

67. Stando cosi le cose, dall'esame delle locuzioni usate dagli evangelisti - diverse ma non contrarie fra loro - ricaviamo un insegnamento quanto mai utile, anzi più che necessario. Ed è questo: nelle parole adoperate dagli scrittori sacri noi non dobbiamo ricercare altro all'infuori della loro intenzione, di cui le parole debbono essere al servizio. Non dobbiamo pertanto supporre menzogne nell'uno o nell'altro degli evangelisti se con parole differenti riferiscono la richiesta voluta da quel padre senza dire come effettivamente la espresse. Esigendo questo litteralismo, saremmo quei meschini cacciatori di vocaboli i quali ritengono che la verità debba stare, diciamo cosi, aggiogata a dei segni grafici. In effetti e nelle parole e in tutti gli altri segni con cui si esprime l'anima non si deve ricercare altro se non l'anima stessa.

68. Alcuni codici di Matteo leggono: Non è morta, la donna, ma dorme (Mt 9,24), mentre Marco e Luca ci attestano che la morta era una ragazza di dodici anni (Mc 5,42 Lc 8,42). Intendi l'espressione di Matteo secondo il consueto modo di parlare degli Ebrei. Si trova infatti anche in altri passi della Scrittura che il nome " donna " viene dato non solo a persone maritate ma anche a ragazze intatte e vergini. Cosi di Eva è scritto: Dio formo la donna (Gn 2,22); e nel libro dei Numeri è comandata una custodia speciale per le donne che non sono state a letto con uomini, cioè che sono vergini (Nb 31,18), affinché non vengano uccise. Usando un'identica espressione, Paolo dice che Cristo fu fatto da donna (Ga 4,4). Questa interpretazione è più comprensibile dell'altra che c'indurrebbe a credere che una ragazzina di dodici anni fosse già sposata o avesse avuto rapporti con qualche uomo.


Agostino, Consenso Evang. 222