Agostino, Consenso Evang. 306

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CAPITOLO 6

Gesù nella casa del sommo sacerdote.

19. Essi intanto, tenendo legato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, dove si erano dati convegno gli scribi e gli anziani (Mt 26,27). Cosi narra Matteo, ma, al dire di Giovanni antecedentemente egli era stato condotto da Anna, suocero di Caifa (Jn 18,12-27). Marco e Luca omettono il nome del sommo sacerdote (Mc 14,53-72 Lc 22,54-62). Lo condussero legato. Fra la turba erano presenti il tribuno con la sua coorte e alcuni inservienti delle autorità giudaiche. Cio è riferito da Giovanni; e Matteo completa: Pietro intanto lo aveva seguito fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione (Mt 26,58). E si scaldava al fuoco (Mc 14,54), come dice Marco in questo punto del racconto. E gli fa eco il testo più ampio di Luca: Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro(Lc 22,54-55). Anche Giovanni racconta che seguivano Simon Pietro e un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e percio entro con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermo fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, torno fuori, parlo alla portinaia e fece entrare anche Pietro (Jn 18,15-16), come dice ancora Giovanni. E cosi accadde che anche Pietro poté entrare all'interno, nell'atrio, come scrivono gli altri evangelisti.

20. Prosegue Matteo: I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù per condannarlo a morte, ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni (Mt 26,59-60). Difatti, dice Marco riferendo lo stesso fatto, le testimonianze non erano concordi (Mc 14,56). Finalmente - cosi Matteo-giunsero due falsi testimoni che affermarono: " Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni " (Mt 26,60-61). Marco racconta che ci furono certi altri che dicevano: Noi l'abbiamo udito mentre diceva: Io distruggero questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edifichero un altro non fatto da mano d'uomo (Mc 14,58-59). Per questo motivo Marco dice che le loro testimonianze non erano concordi. A quel che scrive Matteo, si alzo allora il sommo sacerdote e gli chiese: " Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te? ". Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: " Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio ". " Tu l'hai detto ", gli rispose Gesù (Mt 26,62-64). Marco narra le stesse cose con parole diverse (Mc 14,60-61); omette che il sommo sacerdote ricorse alla formula del giuramento, pur facendo capire che l'espressione di Gesù "Tu l'hai detto " equivale all'altra: Io lo sono. Quindi, a quanto scrive Marco, Gesù gli disse: Io lo sono, e continuo: Voi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra dell'Onnipotente venire sulle nubi del cielo (Mc 14,62). Ugualmente scrive Matteo (Mt 26,64), esclusa la risposta di Gesù: Io lo sono. Riferito questo, egli continua: Allora il sommo sacerdote si straccio le vesti dicendo: " Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? ". Matteo ricorda e seguita: " Ecco, ora avete udito la bestemmia: che ve ne pare? ". E quelli risposero: " E reo di morte ". Lo stesso racconto ha Marco. Allora, cosi prosegue Matteo, gli sputarono in faccia e lo percossero con pugni; altri lo schiaffeggiarono dicendo: " Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso? " (Mt 26,65-68). Cosi anche Marco, che in più ricorda il particolare che gli velarono la faccia (Mc 14,63-65). Con tale racconto concorda anche Luca (Lc 22,63-65).

21. A tutti questi maltrattamenti fu sottoposto il Signore durante la notte nella casa del sommo sacerdote, dove fu condotto all'inizio della passione e dove anche Pietro fu tentato. La tentazione di Pietro ebbe luogo durante questi maltrattamenti, ma il racconto degli evangelisti non procede secondo un medesimo ordine. Matteo e Marco infatti parlano prima dei maltrattamenti di Gesù e poi della tentazione di Pietro (Mt 26,69-75 Mc 14,66-72); Luca al contrario colloca prima la tentazione di Pietro e dopo la serie dei maltrattamenti a cui fu sottoposto il Signore (Lc 22,56-62); finalmente Giovanni comincia col parlare della tentazione di Pietro, continua narrando una parte dei maltrattamenti di Gesù e in ultimo, dopo aver precisato che dalla casa di Anna egli fu condotto dal sommo sacerdote Caifa, riassumendo si sofferma a descrivere la tentazione di Pietro di cui aveva cominciato a parlare e che era avvenuta nella casa dove Gesù fu scortato subito dopo la cattura. Torna quindi all'ordine e ci presenta il Signore condotto in casa di Caifa (Jn 18,15-28).

. 6. 22. Matteo cosi prosegue: Pietro intanto se ne stava seduto fuori nel cortile. Una serva gli si avvicino e gli disse: " Anche tu eri con Gesù, il Galileo! ". Ed egli nego davanti a tutti: " Non capisco che cosa tu voglia dire ". Mentre usciva per la porta, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: " Costui era con Gesù, il Nazareno ". Ma egli nego di nuovo giurando: " Non conosco quell'uomo ". Dopo un poco i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: " Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce! ". Allora egli comincio a imprecare e a giurare: " Non conosco quell'uomo! ". E subito un gallo canto (Mt 26,69-74). Tale il racconto di Matteo: dove è da sottintendersi che, quando il Signore usci di casa, Pietro lo aveva rinnegato già una volta e un gallo aveva già cantato, precisazione omessa da Matteo ma ricordata da Marco (Mc 14,68).

23. Quando Pietro rinnego il Signore per la seconda volta non si trovava più fuori davanti alla porta, ma era già tornato presso il focolare: quando esattamente ci ritornasse non occorreva fosse precisato dagli evangelisti. Ecco come Marco racconta i fatti: Pietro usci fuori nell'atrio e il gallo canto. E la serva, vedendolo, ricomincio a dire ai presenti: " Costui è di quelli ". Ma egli nego di nuovo (Mc 14,68-70). Questa serva non è la stessa di prima ma un'altra, come asserisce Matteo. Bisogna inoltre rilevare anche questo, che cioè nella seconda negazione Pietro fu provocato da due persone: la serva, ricordata da Matteo e Marco, e un altro tizio, di cui parla Luca. Costui scrive: Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti li attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: " Anche questi era con lui ". Ma egli nego dicendo: " Donna, non lo conosco! ". Poco dopo un altro lo vide e disse: " Anche tu sei dei loro! " (Lc 22,54-58). Quel che Luca designa come: Dopo un poco comprende più fatti, e cioè che Pietro era uscito fuori della porta, che il primo gallo aveva cantato e che Pietro era rientrato in casa, per cui, al dire di Giovanni, quando lo rinnego la seconda volta si trovava presso il focolare. Lo stesso Giovanni, narrando la prima negazione di Pietro, non solo sorvola sul primo canto del gallo - cosa che fanno anche gli altri evangelisti ad eccezione di Marco - ma non dice nemmeno che la serva lo riconobbe mentre sedeva accanto al fuoco. Dice solo cosi: Una giovine portinaia disse a Pietro: " Forse anche tu sei dei discepoli di quest'uomo? ". Lui rispose: " Non lo sono " (Jn 18,17). Quindi passa a narrare quel che avvenne a Gesù mentre era in quella casa, secondo che gli sembrava opportuno riferire, e scrive cosi: I servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava (Jn 18,18). A questo proposito è da supporsi che Pietro fosse già uscito una volta fuori casa e fosse rientrato. Prima d'uscire infatti lo troviamo seduto accanto al fuoco, quando invece rientro se ne stava in piedi.

24. Al riguardo qualcuno potrebbe dire: Non è vero che egli era uscito; si era solo alzato perché voleva uscire. Un'ipotesi del genere puo ritenerla soltanto chi suppone che Pietro fu interrogato per la seconda volta mentre era fuori casa, dinanzi alla porta, e li rinnego il Signore. Vediamo ora come si svolsero i fatti secondo la narrazione di Giovanni: Allora il sommo sacerdote interrogo Gesù riguardo ai suoi discepoli e alla sua dottrina. Gesù gli rispose: " Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla in segreto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito cio che ho detto loro; ecco, essi sanno cosa ho detto ". Aveva appena detto questo quando una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: " Cosi rispondi al sommo sacerdote? ". Gli rispose Gesù: " Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti? ". Allora Anna lo mando legato a Caifa, sommo sacerdote (Jn 18,19-24). Dal testo si ricava che anche Anna era sommo sacerdote, poiché quando fu detto a Gesù: Cosi rispondi al sommo sacerdote?, egli non era stato ancora condotto da Caifa. E in effetti che due fossero allora i sommi sacerdoti, cioè Anna e Caifa, lo racconta anche Luca all'inizio del suo Vangelo (Lc 3,2). Quanto a Giovanni, riferite queste vicende, torna al racconto già iniziato del rinnegamento di Pietro: ci riporta cosi in quella casa dov'erano accaduti i fatti da lui narrati, e cioè alla casa da dove mosse Gesù quando fu condotto a Caifa.

Con espressione diversa tramanda l'accaduto Matteo, il quale sottolinea fin dal principio che era Caifa colui al quale intendevano condurre Gesù. Giovanni ricorda in modo riassuntivo le vicende di Pietro e le inserisce nel suo racconto, al termine del quale, per darci un quadro completo della triplice negazione, scrive: Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: " Non sei anche tu dei suoi discepoli? ". Egli lo nego e disse: " Non lo sono " (Jn 18,25). Da questa descrizione deduciamo che Pietro rinnego il Signore la seconda volta non quand'era davanti alla porta ma mentre stava in piedi presso il focolare: cosa che non poté accadere se non dopo che, uscito all'aperto, era rientrato in casa.

E infatti da escludersi che egli fosse uscito e che quell'altra serva lo vide mentre era fuori casa; al contrario lo vide quando stava per uscire, cioè quando s'era levato in piedi con l'intenzione di uscire. Fu allora che disse rivolta a coloro che erano li, cioè che stavano con lui li presso il fuoco nell'atrio interno della casa: Anche costui stava con Gesù Nazareno (Mt 26,71). Sentendo queste parole, Pietro, che era uscito fuori, rientro in casa e contro tutti quegli oppositori giuro di non conoscere quell'uomo (Mt 26,72). Cio è tanto più vero se si consulta Marco che, riferendosi alla serva in parola, scrive che comincio a dire alla gente che l'attorniava: Costui è uno di quelli (Mc 14,69). Non si rivolgeva quindi a Pietro ma a coloro che erano rimasti in casa allorché egli era uscito fuori.

Le sue parole tuttavia furono udite anche da Pietro, il quale, rientrato in casa e stando in piedi accanto al focolare, ribatteva le loro affermazioni insistendo nel rinnegare. Se poi Giovanni puo scrivere: Gli dissero: Ma non sei anche tu dei suoi discepoli? (Jn 18,25), dobbiamo intendere che tali parole furono rivolte a Pietro quand'era già tornato e stava in casa. La conferma ci viene dal fatto che a provocare Pietro non fu soltanto l'altra serva menzionata da Matteo e Marco nel riferire la seconda negazione ma con lei ci fu anche un altro tizio di cui parla Luca. Giustamente quindi Giovanni puo scrivere al plurale: Gli dissero dunque.

Questa insomma potrebbe essere la successione dei fatti: Pietro esce di casa e, mentre egli è fuori, la serva dice a quelli che erano rimasti con lui nell'atrio: Costui è dei loro. All'udire queste parole Pietro rientra volendosi scagionare mediante la negazione. Più verosimile pero è quest'altra ricostruzione: Pietro non udi quello che avevano detto sul suo conto mentre era fuori casa, ma dopo il suo rientro, la serva e quell'uomo ricordato da Luca gli dissero: " Ma non sei anche tu uno dei suoi discepoli? ". E Pietro: " Non lo sono " (Lc 22,58). L'uomo pero di cui parla Luca seguitava a insistere con cocciutaggine: Tu sei certamente uno di loro; e Pietro a lui: O uomo, non lo sono. Ad ogni modo, confrontando fra loro le testimonianze fornite al riguardo da tutti gli evangelisti, si deduce con chiarezza che Pietro rinnego per la seconda volta il Signore non stando fuori della porta ma dentro casa, cioè nell'atrio, vicino al fuoco. Quanto a Matteo e Marco, che ricordano la sua uscita e non il rientro, questo loro silenzio lo si deve attribuire a motivi di brevità.

25. Esaminiamo ora l'accordo fra tutti e quattro gli evangelisti nel raccontare la terza negazione di Pietro, che abbiamo già ricordato attenendoci alla sola narrazione di Matteo. Cominciamo con Marco, il quale, continuando il discorso, scrive: Dopo un po' di tempo i presenti dissero a Pietro: " Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo ". Ma egli comincio a imprecare e a giurare: " Non conosco quell'uomo che voi dite ". Per la seconda volta un gallo canto (Mc 14,70-72). Anche Luca, continuando il racconto, ci dà le stesse notizie. Scrive: Passata circa un'ora, un altro insisteva: " In verità anche questo era con lui; è anche lui un Galileo ". Ma Pietro disse: " O uomo, non so quello che dici ". E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo canto (Lc 22,59-60). E cosi pure Giovanni. Seguitando il racconto delle negazioni di Pietro, fornisce questi particolari sulla terza: Uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: " Non ti ho forse visto con lui nel giardino? ". Pietro nego di nuovo e subito un gallo canto (Jn 18,26-27). L'espressione usata da Matteo e Marco per indicare il tempo e cioè: Dopo un poco, è esplicitata da Luca con il suo: Passata circa un'ora, mentre Giovanni riguardo al tempo non dice niente.

Riguardo invece alle persone che provocarono Pietro a rinnegare, Matteo e Marco le presentano non al singolare ma al plurale, mentre Luca dice che si tratta di una sola persona e in cio concorda con Giovanni, il quale per di più precisa che era un parente di colui al quale Pietro aveva staccato l'orecchio. A questo proposito possiamo pensare, senza ricorrere a forzature, che Matteo e Marco si siano serviti di quel consueto modo di parlare per cui invece del singolare si usa il plurale. Ovvero potrebbe anche essere successo che ad insistere fu soprattutto una persona, particolarmente al corrente della cosa in quanto aveva visto Pietro, mentre gli altri facevano violenza su Pietro prestando fede a quanto quel tizio affermava. Cio omesso, ne segue che due degli evangelisti usano il plurale presentando la cosa nel suo complesso, mentre gli altri due intesero soffermarsi esclusivamente su quel tale che primeggiava nelle insistenze.

Riguardo al suono delle parole, Matteo afferma che esse furono rivolte direttamente a Pietro: Veramente anche tu sei del loro numero; ti tradisce il tuo modo di parlare (Mt 26,73); e similmente Giovanni afferma che, rivolto a Pietro, quel tale gli disse: Non ti ho forse visto io stesso mentr'eri con lui nell'orto? (Jn 18,26). Marco viceversa riferisce di persone che parlando fra loro di Pietro dicevano che egli era veramente del gruppo dei discepoli, difatti è un Galileo (Mc 14,70). Lo stesso attesta Luca, secondo il quale l'accusatore di Pietro non parlava rivolto a lui ma, pur parlando di lui, il suo dire era rivolto ad altri. Un tale -cosi l'evangelista -affermava: Ma certamente anche costui era al seguito del Nazareno, difatti è un Galileo (Lc 22,59). In tutta la vicenda, come ci è dato comprendere, sono nel vero quanti si limitano a dire che Pietro fu interpellato; e questo rimane valido tanto se le cose dette sul suo conto le dicevano solo in sua presenza quanto se erano rivolte direttamente a lui. Oppure si puo pensare che gli eventi accaddero in ambedue i modi, e di questi modi due evangelisti riferiscono il primo mentre altri due il secondo. Quanto al canto del gallo, riteniamo trattarsi del secondo canto, avvenuto dopo la terza negazione, come espressamente attesta Marco.

26. Continua Matteo: Pietro si ricordo delle parole dette da Gesù: " Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte ". E uscito all'aperto, pianse amaramente (Mt 26,75). E Marco: Allora Pietro si ricordo di quella parola che Gesù gli aveva detto: " Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte ". E scoppio in pianto (Mc 14,72). Luca finalmente: Allora il Signore voltatosi guardo Pietro, e Pietro si ricordo delle parole che il Signore gli aveva detto: " Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte ". E uscito, pianse amaramente (Lc 22,61-62). Giovanni non riferisce nulla su Pietro che, ricordando, si mette a piangere (Jn 18,27). A questo punto è doveroso esaminare molto accuratamente in che senso si debbano prendere le parole di Luca quando afferma che il Signore voltatosi guardo Pietro. In effetti, sebbene ci siano degli atri situati all'interno, è certo che Pietro era nell'atrio esterno, là dove erano anche i servi che insieme con lui si scaldavano al fuoco. Non appare viceversa attendibile l'ipotesi che il Signore fosse ascoltato dai Giudei in una stanza cosi vicina che quello sguardo poté essere rivolto con gli occhi del corpo. Cosi infatti narra Matteo: Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano dicendo: " Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso? ".

E aggiunge: Nel frattempo Pietro sedeva fuori nell'atrio (Mt 26,67-69), la quale osservazione sarebbe superflua se quanto accadeva al Signore non fosse accaduto al di dentro. E quanto si ricava dal racconto di Marco, il quale anzi ci informa che i fatti si svolgevano non solo all'interno della casa ma addirittura nei piani superiori. Questo evangelista infatti, riferite le altre cose, prosegue: Mentre Pietro era giù in basso nell'atrio (Mc 14,66). Dal che si ricava che, come Matteo precisando che Pietro sedeva fuori nell'atrio (Mt 26,29) ci lascia intendere che il resto accadeva dentro, cosi Marco col dirci che Pietro era giù in basso nell'atrio ci fa concludere che quanto narrato in riferimento a Gesù accadde non solo all'interno della casa ma addirittura nei piani superiori. In tale ipotesi come poté il Signore rivolgere a Pietro lo sguardo con gli occhi del corpo? Sono pertanto dell'avviso che quello sguardo è da prendersi come un intervento divino, mediante il quale torno in mente a Pietro quante volte aveva rinnegato il Signore e come il fatto gli era stato da lui predetto. In conseguenza di cio, sempre sotto l'azione di colui che lo guardava con occhio di misericordia, egli si penti e scoppio in un pianto salutare.

Come quotidianamente noi diciamo: " Signore, volgi a me il tuo sguardo ", e: " Il Signore lo guardo ", nel caso di uno che sia stato dalla misericordia divina liberato da un pericolo o da una sofferenza. Cosi anche leggiamo: Volgi a me lo sguardo ed esaudiscimi (Sal 12,4); e ancora: Volgiti a me, Signore, e libera l'anima mia (Sal 6,5). Alla stessa maniera penso che sia stato detto: Il Signore voltandosi diede uno sguardo a Pietro e Pietro si ricordo della parola del Signore (Lc 22,61). Infine, è da notarsi che nella loro narrazione gli evangelisti usano più spesso "Gesù" che non "il Signore", mentre ora Luca pone "il Signore" dicendo: Il Signore voltandosi diede uno sguardo a Pietro e Pietro si ricordo della parola del Signore. Si spiegherebbe cosi anche il fatto che Matteo e Marco, i quali non ricordano il particolare dello sguardo, dicono che Pietro si ricordo della parola di Gesù e non delle parole del Signore. In tal modo anche attraverso questa sottolineatura ci si fa intendere che quello sguardo di Gesù non fu dato con gli occhi del corpo ma si tratto d'un intervento divino.

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CAPITOLO 7

La riunione mattutina del sinedrio.

27. Continua Matteo: Al mattino tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato (Mt 27,1-2). Lo stesso scrive Marco: E al mattino presto i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato (Mc 15,1). Quanto a Luca, terminato il racconto della negazione di Pietro riassume quel che accadde al Signore, quando - precisa - era ormai giunta la mattina del nuovo giorno, e cosi stila il racconto: Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: " Indovina: chi ti ha colpito? ". E molti altri insulti dicevano contro di lui. Appena fu giorno si riuni il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero: " Se tu sei il Cristo, diccelo ". Gesù rispose: " Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete, né mi lascerete andare. Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio ". Allora tutti esclamarono: " Tu dunque sei il Figlio di Dio? ".

Ed egli disse loro: " Lo dite voi stessi, io lo sono ". Risposero: " Che bisogno abbiamo ancora di testimonianze? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca ". Tutta l'assemblea si alzo e lo condussero da Pilato (Lc 22,63-71 Lc 23,1). Tutto questo è narrato da Luca e nel suo racconto deve includersi anche quel che riportano Matteo e Marco (Mt 26,63 Mc 14,61), e cioè che al Signore fu chiesto se fosse il Figlio di Dio, al che egli rispose: Vi dico che in seguito vedrete il Figlio dell'uomo assiso alla destra dell'Onnipotente venire sulle nubi del cielo. Questo particolare dovette accadere sul fare del giorno, se Luca puo dire: Appena fu giorno (Mt 26,64). L'evangelista poi riferisce parole simili a queste e a sua volta narra dei particolari omessi dagli altri. Dobbiamo pertanto collocare nella notte le deposizioni dei falsi testimoni contro il Signore di cui parlano brevemente Matteo e Marco (Lc 22,66), mentre Luca le omette, interessato com'è a raccontarci quanto accadde sul far del mattino. Veramente, anche gli altri, cioè Matteo e Marco (Mt 26,60-61 Mc 14,56-59), stesero un racconto continuato di quel che accadde al Signore finché non si giunse al mattino (Mt 26,59-75 Mc 14,55-72); ma al temine di questo racconto ecco che tornano a parlarci della negazione di Pietro, dopo la quale passano alle ore del mattino e aggiungono la serie degli eventi vissuti dal Signore fino allo spuntare del giorno (Mt 27,1 Mc 15,1), circostanza che essi non avevano ancora ricordato. Giovanni da parte sua racconta, per quel tanto che ritiene opportuno, cio che accadde al Signore e riferisce per esteso la negazione di Pietro; quindi prosegue: Conducono pertanto Gesù da Caifa nel pretorio. Era già mattino (Jn 18,28).

La cosa puo essere intesa in più modi: o che ci fu un motivo per cui Caifa fu costretto a trovarsi nel pretorio, sicché egli non era presente quando gli altri sommi sacerdoti intentarono la causa al Signore, ovvero che il pretorio si trovava in casa sua. Comunque, è detto bene che il Signore fin dalla cattura veniva condotto presso di lui, anche se da lui arrivo solo alla fine. Siccome poi lo si portava da lui in qualità di reo confesso e d'altra parte Caifa aveva già manifestato la sua convinzione che Gesù dovesse morire, non si dovette frapporre alcun indugio nell'inviare Gesù a Pilato per la condanna a morte. Quel che accadde a Gesù quando si trovo dinanzi a Pilato è cosi raccontato da Matteo.

28. Questo evangelista si allontana dai fatti della passione per narrarci la fine di Giuda traditore. Egli è il solo a raccontarla, e la sua narrazione è la seguente: Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si penti e riporto le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo: " Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente ". Ma quelli dissero: " Che ci riguarda? Veditela tu! ". Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontano e ando ad impiccarsi. Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: " Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue ". E, tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. Percio quel campo fu denominato "Campo di sangue " fino al giorno d'oggi. Allora si adempi quanto era stato detto dal profeta Geremia: " E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore " (Mt 21,3-10).

29. Qualcuno potrebbe rimanere turbato per il fatto che questa testimonianza non si trova negli scritti del profeta Geremia, concludendo da cio che, almeno in qualche affermazione, è da negarsi l'attendibilità degli evangelisti. Costui pero deve sapere in primo luogo che non tutti i codici dei Vangeli leggono: " Da Geremia profeta " ma solo: " Dal profeta "; e noi riteniamo che si debba prestare più fede a quei codici dove il nome di Geremia non compare. In effetti l'espressione la troviamo in un profeta, ma questo profeta è Zaccaria. Da cui si deduce che i codici recanti il nome di Geremia sono inesatti, o perché avrebbero dovuto menzionare Zaccaria ovvero, tralasciando ogni nome, limitarsi a dire: Dal profeta che afferma cosi e cosi. In tal caso noi avremmo sottinteso ovviamente il profeta Zaccaria. Ma ad una simile scappatoia difensiva ricorra pure chiunque la gradisce; quanto a me, essa non piace. Ed eccone i motivi: primo perché la maggior parte dei codici reca il nome di Geremia, anzi quelli che hanno esaminato con maggiore accuratezza il Vangelo nel testo greco affermano che cosi leggono i codici greci più antichi. Inoltre nessun motivo puo addursi per giustificare l'introduzione nel testo di un nome che lo rende inesatto. Si puo viceversa trovare il motivo per cui un tale nome sia stato cancellato in alcuni codici: cio ha potuto fare l'ignoranza e la temerità di un copista sconcertato per non trovare questa testimonianza in nessuno degli scritti di Geremia.

30. Come intendere dunque il fatto, se non come un intervento della divina Provvidenza che reggeva la mente degli evangelisti e qui volle agire secondo un piano più misterioso del solito?

Poté infatti accadere che a Matteo mentre scriveva il Vangelo venisse in mente, come spesso accade, il nome di Geremia invece di quello di Zaccaria; ma egli avrebbe certamente rettificato la sua espressione, almeno dietro il richiamo di coloro che, mentre egli era ancora in vita, poterono leggere il suo scritto. Se non lo fece, fu perché era persuaso che, se alla sua memoria guidata dallo Spirito Santo venne indicato il nome di un profeta in luogo di un altro, cio non accadeva senza un motivo ma era volontà del Signore che si scrivesse cosi. A ricercare poi perché il Signore si sia comportato in tal modo, il primo e più ovvio motivo che si possa pensare -e questo pensiero è quanto mai utile! - è che anche da fatti come questo si inculca la verità che tutti i santi Profeti hanno parlato mossi dall'unico e identico Spirito e per questo esiste fra loro un mirabile accordo. Ora questa constatazione vale molto di più che se tutte le cose riferite da tutti i Profeti fossero state dette dall'unica bocca di un unico profeta. In conseguenza di cio si puo ritenere senza alcuna esitazione che tutte le cose dette dallo Spirito Santo per mezzo dei Profeti appartengono ciascuna a tutti e tutte a ciascuno. Ad esempio, le cose dette da Geremia sono alla fine delle fini e di Zaccaria e di Geremia, e quelle dette da Zaccaria sono e di Zaccaria e di Geremia. E se cio è vero, che bisogno c'era che Matteo, rileggendo il testo che aveva scritto e accorgendosi d'aver messo un nome a posto di un altro, lo correggesse? Non doveva piuttosto rispettare l'autorità dello Spirito Santo che, com'egli avvertiva in maniera certo superiore alla nostra, guidava la sua mente?

In vista di cio lascio scritto quanto gli aveva ordinato il Signore che lo istruiva interiormente. Comportandosi in tal modo diede a noi una profonda lezione sulla meravigliosa concordia, anche verbale, che esiste tra i Profeti, a tal segno che, pur incontrando una frase detta da Zaccaria, non ritenessero un assurdo ma un tratto di perfetta convergenza il vederla attribuita anche a Geremia. Son cose che capitano anche oggi. Ecco, ad esempio, uno che volendo riferire le parole di una certa persona, gli venga sulla lingua il nome di un'altra che non le abbia pronunziate ma sia legata da strettissima amicizia e familiarità con l'autore di quelle parole. Non appena s'accorge d'aver usato un nome a posto di un altro subito ci ripensa e si corregge; ma, nonostante tutto, potrebbe anche dire: Ho detto bene, considerando la comunanza di idee esistente fra i due. Se effettivamente fra colui del quale si volevano riferire le parole e l'altro a cui in base ai dati della memoria sono state attribuite esiste un perfetto accordo, non è lo stesso far dire a uno quelle parole che anche l'altro avrebbe detto?

Questo stesso fenomeno è comprensibile sia avvenuto, e a maggior ragione, nei santi Profeti, e lo si deve vigorosamente inculcare al fine di creare la convinzione che tutti i libri da loro scritti sono come un unico libro composto da un unico autore. In tale libro - cosi è da credersi e cosi risulta in effetti- non esiste contrapposizione nella sostanza dei racconti; anzi la verità resta più assodata che se a stendere la narrazione di tutte le cose fosse stato un solo autore, dotto quanto si voglia. Con che diritto dunque certi uomini, o miscredenti o ignoranti, vorrebbero da questo particolare trarre argomento per dimostrare l'esistenza di contrasti fra i santi evangelisti? Del testo scritturale in esame possono invece, e a buon diritto, servirsi tutti quegli studiosi credenti e istruiti che vogliano dimostrare l'unità esistente fra i diversi santi Profeti.

31. C'è un altro motivo che spiega come mai dall'autorità dello Spirito Santo sia stato non solo consentito ma anche ordinato che il nome di Geremia rimanesse, com'è accaduto, in una testimonianza di Zaccaria. Mi sembra pero che la trattazione di questo problema, perché sia davvero esauriente, debba essere rimandata ad un altro tempo, non volendo protrarre il presente lavoro al di là di quanto richiede la necessità di portarlo a temine. Comunque, in Geremia troviamo che egli compro un campo dal figlio di un suo fratello e gli diede del denaro, senza pero precisare il prezzo dato, cioè i trenta denari di cui si parla in Zaccaria (Cf. Ger 32,9-44): il quale Zaccaria pero non fa menzione dell'acquisto del campo. E pertanto manifesto che quella profezia riguardante i trenta denari l'evangelista l'ha presa e applicata a quel che accadde al Signore durante la passione, considerando quella somma il prezzo sborsato per lui. Alla stessa passione poteva peraltro riferirsi anche il fatto dell'acquisto del campo di cui Geremia; e tale riferimento poté essere misticamente significato dall'avere l'evangelista indicato nel suo racconto non il nome di Zaccaria, cioè di colui che ci dà notizia dei trenta denari, ma di Geremia, che c'informa dell'acquisto del campo.

Se uno dunque legge il Vangelo e vi trova il nome di Geremia, va senz'altro a leggere Geremia ma ecco che in quel profeta non trova la testimonianza dei trenta denari pur trovandovi la notizia dell'acquisto del campo. In tal modo viene avvertito il lettore a contemperare l'un passo con l'altro, e cosi sviscerare sino in fondo il senso della profezia e com'essa si sia adempiuta nella passione del Signore. L'espressione poi che Matteo fa seguire immediatamente a questa e cioè: Cosi lo valutarono i figli d'Israele, i quali spesero quei soldi per l'acquisto del campo del vasaio, secondo l'ordine datomi dal Signore (Mt 27,9-10), non si trova né presso Zaccaria né presso Geremia; e da cio si ricava che la citazione è stata inserita nel testo dall'evangelista di sua propria iniziativa con un procedimento tanto elegante quanto misterioso.

Si deve quindi supporre che Matteo conobbe per rivelazione divina che la profezia citata riguardava il particolare del prezzo di Cristo. A Geremia infatti viene ordinato di riporre la scritta dell'acquisto del campo in un vaso di terracotta; nel Vangelo col prezzo del Signore si compra il campo di un vasaio e precisamente per la sepoltura dei forestieri. Sembra quasi dovercisi vedere un'allusione alla durata del riposo che toccherà in sorte a quanti, terminata la peregrinazione nel tempo presente, sono sepolti insieme con Cristo mediante il battesimo (Col 2,12). E difatti nelle parole che il Signore rivolse a Geremia gli paleso che la compera di quel campo indicava che in quella terra ci sarebbe stata una lunga permanenza per i liberati dalla prigionia. Queste note ho creduto opportuno stilare con una certa ampiezza per indicare cosa si richieda nel fare un'indagine veramente accurata e attenta su certe testimonianze dei Profeti prese globalmente e comparate con i racconti evangelici. Tali cose ha inserito Matteo nel racconto di Giuda traditore.


Agostino, Consenso Evang. 306