Agostino - Genesi 1500

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LIBRO DODICESIMO

Tema del libro; il paradiso di cui parla San Paolo.

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1.1. Commentando il libro della sacra Scrittura intitolato La Genesi dal principio fino all'espulsione del primo uomo dal paradiso, abbiamo composto undici libri sia affermando e difendendo ciò che per noi è certo, sia ricercando ed esprimendo le nostre opinioni o esitazioni su ciò che è incerto. Quanto abbiamo potuto e come l'abbiamo potuto (spiegare), l'abbiamo esposto e messo per iscritto non tanto per prescrivere a ciascuno che cosa pensare sui punti oscuri, quanto per mostrare la necessità d'essere istruiti noi stessi su ciò di cui noi dubitavamo, e per distogliere il lettore dal fare affermazioni temerarie su problemi per i quali non siamo riusciti a presentare una dottrina sicura. In questo dodicesimo libro, al contrario, ormai liberi dalla preoccupazione, da cui eravamo impediti, di spiegare punto per punto il testo delle Sacre Scritture, tratteremo con maggior libertà ed ampiezza la questione del paradiso perché non si creda che abbiamo voluto evitare di chiarire ciò che pare insinuare l'Apostolo, che cioè il paradiso sia situato al terzo cielo, quando dice: So che quattordici anni fa un uomo in Cristo, non so se con il corpo o se fuori del corpo, lo sa Dio, fu rapito fino al terzo cielo. So inoltre che quest'uomo, non so se con il corpo o senza il corpo, solo Dio lo sa, fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili che a un uomo non è possibile pronunciare.

Il terzo cielo è forse identico al paradiso?

1.2. A proposito di queste parole il primo quesito che di solito ci si pone è che cosa intende dire l'Apostolo quando parla del "terzo cielo", e in secondo luogo se vuol farci intendere che lì è il paradiso oppure vuol dire che, dopo essere stato rapito al "terzo cielo", fu rapito anche nel paradiso dovunque questo si trovi; sicché essere rapito al "terzo cielo" non sarebbe la stessa cosa ch'essere rapito nel paradiso, ma prima sarebbe stato rapito al "terzo cielo" e poi di lì nel paradiso. È un problema tanto oscuro che, a mio avviso, non può essere risolto se uno - basandosi non (solo) sulle parole dell'Apostolo citate più sopra, ma anche su altri eventuali passi della sacra Scrittura o su ragioni evidenti - non riuscirà a trovare un argomento capace di provare che cosa è o non è il paradiso; se cioè è sito nel "terzo cielo", poiché non appare chiaro neppure se lo stesso "terzo cielo" è da considerarsi come un luogo materiale o forse come una condizione spirituale. Si potrebbe in realtà affermare che un uomo avrebbe potuto essere rapito con il suo corpo solo in un luogo materiale ma poiché (in questo passo) l'Apostolo afferma anche di non sapere se fu rapito nel corpo o fuori del corpo, chi oserebbe affermare di sapere ciò che l'Apostolo afferma di non sapere? Tuttavia se lo spirito senza il corpo non può essere rapito in luoghi materiali né un corpo in luoghi spirituali, la stessa incertezza dell'Apostolo - dal momento che nessuno dubita che fa quell'affermazione parlando di se stesso - ci costringe in un certo senso ad ammettere che il luogo ove fu rapito l'Apostolo era tale che non si potrebbe sapere né distinguere se fosse materiale o spirituale.

Le visioni nel sogno.

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2.3. Quando infatti nel sogno o nell'estasi si formano immagini corporee, queste non si distinguono affatto dai corpi se non quando, ripreso l'uso dei sensi del corpo, la persona riconosce d'essere stata tra quelle immagini ch'essa non percepiva per mezzo dei sensi del corpo. Chi, infatti, destatosi dal sonno, non si accorge subito che le cose viste in sogno erano (puramente) immaginarie, sebbene - quando le vedeva nel sogno - non fosse capace di distinguerle dalle visioni degli oggetti percepiti dagli individui che sono desti? Io tuttavia so che a me è capitato - e non dubito quindi che anche altri possa aver avuto o possa avere la stessa mia esperienza - di veder qualche cosa in sogno e d'essere conscio che la vedevo in sogno e che le immagini, che di solito c'ingannano ritenendole reali, non erano dei veri corpi, ma anche dormendo ero perfettamente sicuro e convinto che quelle immagini erano solo fantasie che mi venivano in sogno. Ciononostante io talvolta mi sono ingannato: come quando, vedendo ugualmente nel sogno un mio amico, mi sforzavo di persuaderlo di questa stessa verità, che cioè le cose che noi vedevamo, non erano corpi ma solo immagini di persone sognanti, sebbene m'apparisse anche lui certamente tra quelle immagini nella stessa loro forma. Cionondimeno io dicevo altresì che non era neppure vero che noi fossimo a conversare insieme e che anch'egli nel sonno vedeva allora qualche altra cosa e ignorava assolutamente se io vedevo quegli oggetti. Quando però mi sforzavo di convincerlo ch'egli non era lì in persona, d'altra parte ero anche propenso a pensare ch'egli era lì poiché non avrei certamente potuto conversare con lui se avessi avuto l'esatta impressione ch'egli in persona non era lì. Per conseguenza la mia anima, benché in modo misterioso fosse sveglia mentre io dormivo, poteva essere lo zimbello solo d'immagini corporee come se fossero dei veri corpi.

Visioni nell'estasi.


2.4. A proposito dell'estasi ho potuto sentire quanto dichiarava un tale, un campagnolo a mala pena capace d'esprimere ciò di cui aveva avuto esperienza: egli sapeva ch'era sveglio e vedeva qualcosa ma non con gli occhi del corpo. Per dirlo con le sue parole e per quanto io posso ricordarmele: "A veder lui - mi raccontava - era l'anima mia, non erano i miei occhi; io non sapevo tuttavia se fosse un corpo o l'immagine d'un corpo". Egli non era capace di discernere di che si trattasse ma era tanto semplice e sincero che lo ascoltavo come se fossi stato io stesso a vedere ciò che egli mi narrava d'aver visto.

Visioni riferite dalla Scrittura.


2.5. Se perciò Paolo vide il paradiso così come a Pietro apparve il vassoio calato giù dal 2 3 cielo, a Giovanni apparvero tutte le visioni descritte nell'Apocalisse, a Ezechiele apparve la pianura piena d'ossa di morti e la loro risurrezione, a Isaia apparve Dio assiso (sul suo trono) e davanti a lui i Serafini e l'altare da cui fu preso il carbone ardente che purificò le labbra del Profeta, è evidente che (Paolo) non poteva sapere se vedeva quelle cose nel corpo o fuori del corpo.

Di qual natura fu la visione dell'Apostolo.

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3.6. Ma se quelle realtà furono viste da San Paolo fuori del suo corpo e non erano corpi, possiamo chiederci ancora se fossero immagini di cose corporee oppure una sostanza che non ha alcuna somiglianza con i corpi, così com'è Dio, com'è lo spirito o l'intelligenza o la ragione dell'uomo, così come sono le virtù della prudenza, giustizia, castità, pietà e tutte le altre realtà di qualsiasi specie che noi enumeriamo, distinguiamo, definiamo con l'intelligenza o con il pensiero senza percepirne non solo i lineamenti o i colori ma neppure il suono, l'odore e il sapore, senza che il tatto ne abbia la sensazione di caldo o di freddo, di molle o di duro, di liscio o di ruvido, ma le percepiamo per mezzo di un'altra visione, di un'altra luce, di un'altra evidenza, di gran lunga più eccellente e più sicura di tutte le altre.

Perché l'Apostolo non dice come poté vedere quanto vide?


3.7. Ritorniamo dunque alle medesime parole dell'Apostolo ed esaminiamole più

attentamente fissando anzitutto nel nostro intelletto la inconcussa convinzione che il suo discernimento della natura corporea e incorporea era immensamente più perfetto di quel che noi riusciamo a conoscere per quanti sforzi facciamo. Se dunque egli sapeva che per mezzo del corpo non possono affatto vedersi le realtà spirituali né fuori del corpo possono vedersi quelle corporali, per qual motivo non precisò in qual modo poté vederle quando si riferisce proprio alle realtà vedute? Se infatti era sicuro ch'erano realtà spirituali, perché non era ugualmente sicuro d'averle viste fuori del corpo? Se invece sapeva ch'erano realtà corporali, come mai non sapeva anche che non avrebbe potuto vederle se non per mezzo del corpo? Perché dunque dubita se le vide con il corpo o fuori del corpo, se non forse perché dubita ugualmente se quelle realtà fossero corpi o somiglianze di corpi? Vediamo dunque prima, in tutto il contesto del passo che esaminiamo, di che cosa egli non dubita e così, quando resterà solo ciò di cui dubita, dalle sue certezze apparirà forse anche il motivo del suo dubbio.

Paolo assicura d'essere stato rapito realmente al terzo cielo.


3.8.So - egli dice -che un uomo in Cristo quattordici anni fa, non so se con il corpo o fuori del corpo, solo Dio lo sa, fu rapito fino al terzo cielo. Egli dunque sa che quattordici anni prima un uomo in Cristo era stato rapito fino al terzo cielo. Di ciò egli non ha il minimo dubbio e quindi non dobbiamo dubitare neppure noi. Paolo però dubita d'essere stato rapito con il suo corpo o fuori del corpo; se perciò egli ne dubita, chi di noi oserà esserne certo? Ne verrà forse anche di conseguenza che possiamo dubitare dell'esistenza del terzo cielo, in cui dice che quell'uomo fu rapito? Se infatti gli fu mostrata (in un sogno ispirato) la realtà oggettiva, gli fu mostrato il terzo cielo; se invece gli fu mostrata solo un'immagine somigliante a realtà materiali, quello non era il terzo cielo, ma la visione si svolse secondo un determinato ordine in modo che a Paolo sembrò di salire al primo cielo e poi di vederne un altro al di sopra di quello e di salirvi e di nuovo gli parve di vederne un altro ancora più alto e giunto a quest'ultimo l'Apostolo poté dire di essere stato rapito al terzo cielo. Ma che quello ov'era stato rapito fosse il terzo cielo, Paolo non ebbe alcun dubbio e volle che neppure noi ne dubitassimo. Ecco perché inizia il suo racconto dicendo: Io so; data questa premessa ciò che egli dice di sapere non lo crede vero se non chi non crede all'Apostolo.

Il terzo cielo non è un simbolo n, l'immagine di una realtà materiale.

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4.9. Paolo dunque sa che quell'uomo fu rapito fino al terzo cielo. Per conseguenza il luogo ove fu rapito è realmente il terzo cielo e non un simbolo materiale come quello mostrato a Mosè, il quale però era tanto consapevole della differenza esistente tra la sostanza di Dio e la creatura visibile, con cui Dio si faceva vedere ai sensi umani e corporali, da dire: Mostrati a me in persona; per di più non era neppure l'immagine d'una sostanza corporale come quella che vedeva Giovanni con lo spirito, a proposito della quale domandava cosa fosse e gli veniva risposto: "È una città", oppure: "Sono popoli", o qualcos'altro, quando vedeva la bestia o la donna o le acque o qualche altro oggetto. Paolo invece dice: So che un uomo fu rapito al terzo cielo.

Il terzo cielo non è un'immagine spirituale.


4.10. Se invece con il termine "cielo" avesse voluto denotare un'immagine spirituale somigliante a una sostanza corporale, sarebbe potuta essere così anche un'immagine del suo corpo quella in cui fu rapito e salì al terzo cielo. Parlerebbe dunque in questi termini anche del proprio corpo, benché si trattasse solo di un'immagine del cielo, e non si sarebbe preoccupato di precisare che cosa sapeva e che cosa non sapeva; sapeva cioè che quell'uomo era stato rapito fino al terzo cielo ma non sapeva se con il corpo o fuori del corpo, ma avrebbe semplicemente narrato la visione chiamando gli oggetti da lui visti con i nomi di altri oggetti a cui quelli rassomigliavano. Anche noi, quando raccontiamo i nostri sogni o qualche rivelazione avuta in sogno, diciamo: "Ho visto un monte", "Ho visto un fiume", "Ho visto tre persone" o altre cose del genere dando alle immagini il nome degli oggetti a cui erano simili; l'Apostolo invece dice: "Questo lo so; quest'altro non lo so".

Né il terzo cielo né il corpo apparvero a Paolo come immagini.


4.11. Ma se tutte e due le cose gli apparvero sotto forma di un'immagine, ambedue gli erano ugualmente note o ugualmente ignote; se tuttavia egli vide realmente il cielo - e perciò gli era noto - in qual modo il corpo di quell'uomo poté apparirgli solamente sotto forma di un'immagine?

Di che natura era il cielo ove fu rapito Paolo.


4.12. Poiché, se Paolo vedeva il cielo materiale, per qual motivo non si rendeva conto se lo vedeva con gli occhi del corpo? Se invece era incerto se lo vedeva con gli occhi del corpo o dello spirito (e perciò dice: Se (ciò avvenne) con il corpo o fuori del corpo io non lo so ), come mai non gli era incerto anche se vedeva realmente il cielo materiale o questo gli si mostrava solo sotto forma di una immagine? Così pure, se vedeva una sostanza incorporea non sotto l'aspetto d'una immagine corporea ma così come si vede la giustizia, la sapienza e altre cose della stessa specie, e di tal natura era il cielo, è anche evidente che nulla di tale specie può vedersi con gli occhi del corpo. Per conseguenza, se sapeva d'aver visto qualcosa di tal genere, non poteva dubitare d'averlo visto in modo diverso che mediante gli occhi del corpo. So - egli dice -che un uomo in Cristo, quattordici anni fa... Questo lo so, e non ne dubiti nessuno che mi crede. Ma se nel corpo o fuori del corpo io non lo so, Dio solo lo sa.

Si discute se il cielo fosse corpo o spirito.

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5.13. Cos'è dunque, (o Paolo) ciò che tu sai e distingui da ciò che ignori, affinché quanti a te credono non siano ingannati? So - dice -che quell'uomo fu rapito fino al terzo cielo. Ma quel cielo o era un corpo o era uno spirito. Se era un corpo e fu visto con gli occhi del corpo, perché mai allora Paolo sa che è quel cielo ma non sa d'averlo visto con il corpo? Se invece era spirito, o gli fu presentata l'immagine d'un corpo - e allora resta tanto l'incertezza se fosse un corpo, quanto l'incertezza se lo vedesse con il corpo - oppure fu visto come è vista con la mente la sapienza senza bisogno di nessuna immagine corporea e tuttavia (in tal caso) è certo che non si sarebbe potuto vedere per mezzo del corpo. Perciò tutte e due le cose o sono vere o sono incerte; oppure come mai può esser certo ciò che fu visto, incerto invece il mezzo con cui fu visto? È evidente che Paolo non poté vedere una natura incorporea per mezzo del corpo. I corpi, al contrario, anche se non possono vedersi senza le loro qualità corporee visibili, vengono visti di certo per mezzo del corpo ma in modo assolutamente diverso - se c'è una visione di tal sorta --. Per conseguenza sarebbe strano che quest'altra sorta di visione potesse assomigliare così perfettamente a una visione oculare da trarre in inganno l'Apostolo o costringerlo a dubitare fino al punto che, avendo visto il cielo corporeo in modo diverso da quello che si vede con gli occhi del corpo, potesse dire d'essere incerto se lo vide con il corpo o fuori del corpo.

Diversi modi di ratti estatici.


5.14. Poiché dunque l'Apostolo che si preoccupò tanto di precisare che cosa sapeva e che cosa non sapeva, non avrebbe potuto mentire, non ci resta forse altro se non intendere che l'oggetto della sua ignoranza era il seguente: se cioè mentre era rapito al cielo egli era nel suo corpo - come l'anima dell'uomo è nel corpo quando si dice che il corpo è in vita ma l'anima è estraniata dai sensi del corpo mentre è sveglio o dorme o è in estasi - o se realmente era fuori del corpo in modo che questo restava nella morte finché - al termine di quella visione - l'anima si sarebbe riunita alle sue membra esanimi. In tal caso egli non si sarebbe svegliato come uno che si desta dal sonno né sarebbe tornato a (percepire con) i propri sensi come uno dopo essere stato rapito in estasi, ma sarebbe tornato veramente a vivere di nuovo dopo essere morto. Per conseguenza ciò che Paolo vide quando fu rapito al terzo cielo - e afferma anche di sapere - lo vide nella sua realtà e non sotto un'immagine. Egli però era incerto se il rapimento fuori del corpo lasciò il suo corpo veramente morto o se la sua anima vi restò sempre in qualche modo presente come essa si trova in un corpo vivente finché la sua mente sarebbe stata rapita per vedere e udire i segreti ineffabili della visione; ecco perché, forse, egli afferma: Se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio.

Le tre specie di visioni indicate in un sol precetto.

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6.15. Ora, gli oggetti che sono visti non già in immagine ma nella realtà, anche se non sono visti per mezzo del corpo, sono visti con una visione superiore a tutte le altre. Per quanto Dio mi aiuterà, cercherò di spiegare queste differenti specie di visioni. Quando leggiamo quest'unico precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso, incontriamo tre specie di visioni: una per mezzo degli occhi con cui vediamo le lettere; la seconda per mezzo dello spirito umano con cui c'immaginiamo il prossimo anche quando è assente; la terza mediante un'intuizione intellettiva con cui si vede l'amore stesso mediante l'intelligenza. Di queste tre specie di visioni la prima è manifesta a tutti poiché per mezzo di essa vediamo il cielo e la terra e tutto ciò che in essi cade sotto i nostri occhi. Quanto alla seconda specie di visione con cui ci rappresentiamo realtà materiali assenti non è difficile far capire in che consista, poiché noi ci rappresentiamo il cielo e la terra e tutto ciò che in essi possiamo vedere anche stando nell'oscurità. In questo caso però noi non vediamo nulla con gli occhi del corpo e tuttavia con l'anima vediamo delle immagini corporee - siano esse vere immagini rappresentanti corpi da noi visti e che ancora riteniamo nella memoria, oppure immagini fittizie come può formarle l'immaginazione. L'immagine, che ho in mente, di Cartagine, che io conosco, è diversa da quella, che mi formo, di Alessandria, che io non conosco. La terza specie di visioni, per cui vediamo intellettivamente l'amore, comprende le realtà che non hanno immagini simili o identiche a se stesse. Per esempio un uomo, un albero, il sole e qualunque altro corpo celeste o terrestre, se sono presenti, sono visti nella forma loro propria; se invece sono assenti, vengono resi presenti allo spirito per mezzo d'immagini impresse nell'anima. Vi sono due modi di vedere realtà di tal genere: l'una per mezzo dei sensi del corpo, l'altra per mezzo dello spirito in cui sono contenute le immagini. L'amore, al contrario, è forse visto in un modo quando è presente nella sua forma specifica, e diversamente quando è assente in qualche immagine che gli rassomiglia? No, di certo. Ma per quanto l'amore può essere visto dall'anima intellettiva, uno lo vede più chiaramente e un altro meno; se invece noi ce lo rappresentiamo con una sorta d'immagine corporea, esso non è (affatto) l'amore che noi vediamo.

Visioni corporali (sensibili), spirituali, intellettive.

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7.16. Queste sono tre specie di visioni, di cui abbiamo detto qualcosa anche nei libri precedenti, a seconda che l'argomento pareva esigerlo, senza tuttavia menzionarne il numero. Ora, dopo averle spiegate brevemente, poiché la questione che trattiamo ne esige una discussione un po' più diffusa, dobbiamo denotarle ciascuna con un termine determinato e appropriato per non perdere tempo in continue circonlocuzioni. La prima dunque la chiameremo "visione corporea", poiché è percepita dal corpo ed è presentata ai sensi del corpo; la seconda la chiameremo "visione spirituale", poiché tutto ciò che non è corpo e tuttavia è qualcosa, si chiama appunto - e giustamente - spirito, e certamente l'immagine di un corpo assente, benché sia simile a un corpo, non è un corpo e non lo è più dell'atto della visione con cui è percepita. La terza la chiameremo "visione intellettuale", poiché proviene dall'intelletto e sarebbe illogico chiamarla - ricorrendo a un neologismo - "mentale" con il pretesto ch'è percepita dalla mente.

Una cosa può essere chiamata corporale o in senso proprio o in senso figurato.


7.17. Se volessi dare una ragione più esatta di questi termini, sarebbe necessario un discorso più lungo e più intricato, mentre è poco o per nulla necessario. Basta dunque sapere che una cosa è detta "corporea" o nel senso proprio quando si tratta di corpi, o in senso figurato, come nell'espressione: Poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. In effetti la divinità non è un corpo ma, poiché Paolo chiama ombra delle realtà future le pratiche religiose dell'Antico Testamento, usando l'analogia delle ombre (del mondo fisico), dice che la pienezza della divinità abita "corporalmente" in Cristo, poiché in lui si compie tutto ciò ch'era prefigurato da quelle ombre e così, in un certo senso Cristo è l'incarnazione di quelle ombre, cioè la realtà di quelle figure e di quei simboli. Allo stesso modo quindi che quelle figure sono chiamate "ombre" con un termine preso in senso figurato anziché in senso proprio, così anche quando dice che la pienezza della divinità abita "corporalmente" in Cristo, usa un termine in senso figurato.

Diversi sensi del termine "spirituale".


7.18. Il termine "spirituale" si usa in diversi sensi. Per esempio anche il nostro corpo, nello stato in cui sarà nella risurrezione dei santi è chiamato "spirituale" dall'Apostolo allorché dice: Si semina un corpo naturale, risorgerà un corpo spirituale, poiché in modo meraviglioso, per la sua completa speditezza e incorruttibilità, sarà sottomesso allo spirito e senza alcun bisogno di alimenti corporali sarà vivificato solo dallo spirito, ma non perché avrà una sostanza incorporea. Per di più il corpo, come l'abbiamo adesso, non ha l'essenza di un'anima e non può essere identificato con l'anima anche se viene chiamato "animale". Anche l'aria della nostra atmosfera o il vento - che è il moto dell'aria - si chiama ugualmente "spirito", com'è detto nel Salmo: Fuoco, grandine, neve, ghiaccio, spirito della bufera. Si chiama "spirito" anche lo spirito dell'uomo e delle bestie, come dice la sacra Scrittura: Chi sa se lo spirito dell'uomo sale in alto e quello della bestia scende in basso nella terra? Si chiama "spirito" la stessa mente razionale, in cui c'è - per così dire - un occhio dell'anima, a cui spetta l'immagine e la conoscenza di Dio. Ecco perché l'Apostolo dice: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell'uomo nuovo, quello creato secondo Dio, mentre in un altro passo parla dell'uomo interiore che si rinnova per la conoscenza di Dio a immagine del suo Creatore. Così pure, dopo aver detto: Io quindi con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece servo la legge del peccato, in un altro passo, ripetendo questo stesso concetto, dice: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito, sicché voi non fate quel che vorreste; e così ciò, che chiama "mente", lo chiama anche "spirito". Vien chiamato "spirito" anche Dio, come afferma il Signore nel Vangelo: Dio è spirito e quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità.

La visione spirituale.

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8.19. Da nessuno di questi sensi summenzionati, in cui è usato il termine "spirito", abbiamo preso quello per denotare come "spirituale" la specie di visione di cui stiamo ora trattando, ma l'abbiamo preso dall'uso singolare del termine, che troviamo nella Lettera ai Corinti, ove lo "spirito" è distinto dalla "mente" in un testo chiaro quant'altri mai: Se infatti pregherò in una lingua - è detto -il mio spirito prega ma la mia intelligenza resta senza frutto. In questo passo il termine "lingua" dev'essere intesa nel senso che si riferisce a espressioni di significato oscuro e mistico che non edificano alcuno se si toglie loro la comprensione che ne ha la mente, poiché non si comprende ciò che si ode. Per conseguenza Paolo dice anche: Chi parla in una lingua, non parla agli uomini ma a Dio, poiché nessuno intende mentre lo spirito dice cose misteriose. Paolo dunque indica assai chiaramente che in questo passo parla d'una sorta di lingua in cui sono dei segni, cioè, per così dire, delle immagini e somiglianza delle cose, che per esser compresi hanno bisogno d'essere intuiti dalla mente, e quando non sono compresi, Paolo dice che questi segni sono nello spirito e non già nella mente. Egli quindi dice più chiaramente: Se tu benedirai Dio solo con lo spirito, colui che occupa il posto di uno che non è istruito in qual modo risponderà Amen alla tua benedizione, dal momento che non sa cosa dici ? Poiché dunque con la lingua - il membro del corpo ch'è mosso nella bocca quando si parla - sono emessi di certo segni delle cose ma non sono proferite le cose stesse, Paolo, usando una metafora, chiama "lingua" qualunque emissione di segni prima che siano compresi; quando però l'intelligenza - che è l'attività caratteristica e propria della mente - ne afferra il senso, allora si ha la rivelazione o la conoscenza o la profezia o l'insegnamento. Di conseguenza Paolo dice: Se io venissi da voi parlando in lingue, a che cosa vi sarei utile, se non vi parlassi per rivelarvi o farvi conoscere o profetizzare o insegnarvi qualcosa? Egli intenderebbe dire che (ciò accade) quando l'intelligenza afferra il senso dei segni o, in altre parole, la lingua, affinché ciò ch'è percepito lo sia non solo con lo spirito ma anche con la mente.

Differenza tra "spirito" e "anima intellettiva".

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9.20. Pertanto coloro ai quali i segni erano presentati nello spirito mediante immagini d'oggetti materiali senza che la mente compisse la sua funzione di renderli anche comprensibili, non avevano ancora la profezia; e colui, che interpretava ciò che un altro aveva visto, era più profeta di colui che aveva (solo) visto. È dunque chiaro che la profezia attiene più alla mente che allo spirito, prendendo questo in un senso proprio particolare in relazione al nostro argomento, nel senso cioè d'una potenza dell'anima inferiore alla mente in cui sono formate le sembianze d'oggetti materiali. Così Giuseppe, che comprese il significato delle sette spighe e delle sette vacche, era perciò più profeta che non il Faraone che le aveva viste in sogno, poiché il Faraone aveva visto solo delle forme prodotte nel suo spirito mentre Giuseppe comprese quelle immagini con l'intelligenza della luce concessa alla sua mente. Il primo quindi aveva il dono delle lingue, il secondo invece il dono della profezia perché in quello c'era la rappresentazione delle immagini di certe cose, in questo l'interpretazione delle (stesse) immagini. Meno profeta è dunque chi, mediante immagini di cose materiali, vede nello spirito i segni delle cose significate, ma più profeta chi è dotato solo della capacità di comprenderle, ma sommamente profeta è chi è superiore agli altri per il fatto di possedere entrambe le doti: cioè non solo quella di vedere nello spirito le immagini rappresentative degli oggetti materiali ma anche quella di comprenderle con la vivacità dell'intelligenza. Tale era Daniele: la sua superiorità fu messa alla prova e fu dimostrata dal fatto che non solo riferì al re il sogno che quello aveva avuto ma glene rivelò anche il significato; poiché le stesse immagini di oggetti materiali erano state formate nel suo spirito e la loro interpretazione era stata rivelata nella sua mente. Noi perciò usiamo il termine "spirito" nel senso usato dall'Apostolo là dove lo distingue dalla mente quando dice: Io pregherò con lo spirito ma pregherò anche con la mente, indicando con ciò che i segni delle cose vengono formati nello spirito e la loro interpretazione rifulge nella mente. In base a questa distinzione - ripeto - chiamiamo ora "spirituale" questa specie di visione con cui ci rappresentiamo (nel pensiero) le immagini degli oggetti anche assenti.

La visione intellettiva.

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10.21. Invece la visione intellettuale, ch'è propria della mente, è superiore alle altre. Il termine "intelletto", per quanto io ricordo, non può essere usato in un'ampia gamma di sensi, come sappiamo invece che ne ha il termine "spirito", poiché sia che diciamo "intellettuale", sia che diciamo "intelligibile", noi significhiamo la stessa cosa. Senonché alcuni hanno pensato che (tra i due termini) ci sia una differenza: secondo loro "intelligibile" sarebbe una realtà che si può percepire solo dall'intelligenza, "intellettuale" invece sarebbe la mente che comprende; ma che ci sia un essere percepibile solo dell'intelligenza e non sia anche dotato d'intelligenza è un problema grosso e difficile. Io al contrario credo che non ci sia alcuno che pensi o affermi l'esistenza d'un essere che conosca mediante l'intelligenza e non possa essere conosciuto anche dall'intelligenza, poiché la mente non può essere vista che dalla mente. Perciò, dato ch'essa può essere vista, è anche intelligibile e, dato che può anche vedere, è intellettuale secondo la distinzione ricordata or ora da noi. Messo quindi da parte il difficile problema se ci sia qualcosa che possa essere solo intelligibile senz'essere intelligente, per adesso prendiamo nello stesso senso i termini "intellettuale" e "intelligibile".

Gerarchia delle tre specie di visioni.

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11.22. Queste tre specie di visioni - corporale, spirituale e intellettuale - devono perciò essere esaminate una per una in modo che la ragione ascenda dall'inferiore alla superiore. Un po' più sopra abbiamo già citato come esempio in qual modo in una sola frase possano vedersi tutt'e tre le specie di visioni. Quando infatti si legge: Amerai il prossimo tuo come te stesso, si vedono le lettere materialmente, ci si presenta il prossimo spiritualmente e si contempla l'amore intellettualmente. Noi però possiamo rappresentarci spiritualmente anche le lettere quando sono lontane dalla vista (fisica) e si può vedere corporalmente anche il prossimo ch'è davanti ai nostri occhi; l'amore al contrario non può essere né visto nella sua essenza con gli occhi del corpo né venir pensato con lo spirito mediante un'immagine che sia la sembianza d'un copro, ma può essere conosciuto e percepito solo dalla mente, cioè dall'intelligenza. La visione corporale non sovrintende di certo a nessuna delle due specie di visioni, ma ciò che è percepito per mezzo di essa viene annunciato alla visione spirituale che agisce in certo qual modo da sovrintendente ad essa. Mi spiego: quando un oggetto è visto dagli occhi, immediatamente se ne forma l'immagine nello spirito; ma quella rappresentazione non è percepita da noi se non quando, rimossi gli occhi dall'oggetto che stavamo vedendo, ne scopriamo l'immagine nell'anima nostra. Se poi lo spirito è quello d'un essere irrazionale, per esempio d'una bestia, l'annuncio fatto dagli occhi giunge solo fino allo spirito. Se, al contrario, l'anima è razionale, l'annuncio arriva anche all'intelletto che presiede allo spirito. In tal modo, se l'oggetto percepito dagli occhi è annunciato allo spirito perché se ne formi in esso un'immagine, è il simbolo di qualche realtà, o il suo significato è compreso immediatamente dall'intelletto oppure viene ricercato, poiché non si può comprendere un simbolo né cercare di comprenderlo se non mediante la mente.

La visione del re Baldassarre.


11.23. Il re Baldassarre vide le dita d'una mano che scrivevano sulla parete, e immediatamente l'immagine di un oggetto materiale formatosi per mezzo d'una sensazione corporea fu impressa nel suo spirito e rimase impressa nella sua immaginazione anche dopo ch'era avvenuta la visione ed era svanita. Il re la vedeva nello spirito ma non la comprendeva; quel segno non l'aveva compreso neanche quando veniva tracciato materialmente e appariva a gli occhi del corpo sebbene anche allora egli comprendesse che si trattava d'un segno ed era in grado di saperlo grazie alla funzione della mente. E poiché ne indagava il significato, era senz'altro la mente a fare quell'indagine. Ma non essendo il re riuscito a scoprirne il significato, si fece avanti Daniele che, grazie alla mente illuminata dallo spirito profetico rivelò al re conturbato il significato profetico del segno. A motivo di questa visione, ch'è propria della mente, Daniele fu dunque più profeta del re che aveva visto con gli occhi del corpo un segno materiale e presente nello spirito vedeva l'immagine dell'oggetto dopo ch'era scomparso, ma per mezzo dell'intelletto poteva solo riconoscere ch'era un segno e ricercarne il significato.

La visione di San Pietro.


11.24. Pietro, mentre era rapito in estasi, vide scendere dal cielo un recipiente, legato ai quattro capi d'un lenzuolo, pieno di vari animali, quando udì anche una voce che gli diceva: Uccidi e mangia. Dopo aver ripreso i sensi, Pietro si chiedeva perplesso che significasse quella visione, quand'ecco lo Spirito annunciargli l'arrivo degli uomini inviati da Cornelio e dirgli: Ecco, degli uomini ti cercano, alzati, scendi e va' con loro poiché li ho mandati io. Giunto in casa di Cornelio, spiegò lui stesso il significato delle parole udite nella visione: Ciò che Dio ha mondato, non devi più chiamarlo profano, e poi disse: Dio però mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro alcun uomo. Poiché dunque egli era rapito in estasi fuor dei sensi del corpo quando vide quel recipiente, fu mediante lo spirito che udì anche le parole: Uccidi e mangia, e: Ciò che Dio ha mondato, non devi più chiamarlo profano. Ripresi poi i sensi del corpo, tutto ciò che aveva visto e udito lo riteneva nella memoria e vedeva le immagini nel medesimo spirito che aveva visto la visione e le considerava nel suo pensiero. Tutti quegli oggetti non erano realtà materiali ma (solo) immagini d'oggetti materiali sia quando le aveva viste dapprima nell'atto del rapimento estatico, sia quando in seguito le ricordava e le aveva presenti nell'immaginazione. Quando invece era perplesso e si sforzava di comprendere il significato di quei segni, era la sua mente a sforzarsi d'intenderli ma senza risultato finché non gli fu annunciato l'arrivo degli inviati da parte di Cornelio. Orbene, con l'aggiungersi a questa visione percepita con gli occhi del corpo anche la voce dello Spirito Santo, che nello spirito gli diceva di nuovo: Va' con loro - visione in cui lo Spirito non solo gli aveva mostrato quel segno ma aveva anche impresso in lui quelle parole - la sua intelligenza con l'aiuto di Dio comprese il significato di tutti quei segni. Un attento esame di questi ed analoghi fatti dimostra assai chiaramente che la visione corporale è ordinata a quella spirituale e quest'ultima a quella intellettuale.


Agostino - Genesi 1500