Agostino - Genesi 306

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6. 26. Dio inoltre chiamò giorno la luce e notte le tenebre 32. Siccome è nome d'una cosa non solo "la luce" ma anche "il giorno", e a loro volta "tenebre" e "notte" sono entrambi nomi di cose diverse, era forse necessario dire che furono posti nomi alle cose in modo che una cosa cui fu posto un nome fosse appunto denominata con un altro nome - infatti non si poteva fare diversamente - e perciò la Scrittura dice: Dio chiamò giorno la luce, in modo che si potesse dire indifferentemente anche a rovescio: "Dio chiamò luce il giorno e chiamò tenebre la notte"? Che cosa gli potremmo rispondere, se uno ci domandasse: "Fu imposto il nome di giorno alla luce o al giorno il nome di luce"? Poiché queste due parole, in quanto vengono pronunciate con voce articolata per indicare delle realtà, sono certamente dei nomi. Così anche riguardo alle altre due cose si può porre il quesito: "Fu imposto il nome di notte alle tenebre o il nome di tenebre alla notte?". In verità, come determina la Scrittura, è evidente che alla luce fu dato il nome di "giorno" e alle tenebre il nome di "notte", poiché dicendo: Dio fece la luce e separò la luce dalle tenebre, non si trattava ancora di nomi; i termini "giorno" e "notte" furono usati in seguito, pur essendo "luce" e "tenebre" certamente dei nomi anch'essi, indicanti certe realtà come "giorno" e "notte". Questa frase dunque deve interpretarsi in questo modo ' poiché non si sarebbe potuto enunciare diversamente una realtà che ricevette il nome, se non con un nome, o piuttosto questa denominazione si deve interpretare come l'atto stesso di distinguere realtà diverse? In effetti non ogni specie di luce è "giorno" né ogni specie di tenebre è "notte", ma con il termine di "giorno" e di "notte" vengono chiamate la luce e le tenebre regolate e distinte dal loro vicendevole alternarsi. Ogni vocabolo infatti serve per distinguere le cose. Ecco perché è anche stato chiamato "nome" ciò che serve a "denotare", un mezzo - diciamo così - per "distinguere", poiché deve servire a "denotare", cioè a distinguere e aiutare chi fa la professione d'insegnante. Lo stesso separare la luce dalle tenebre è forse dunque la stessa cosa che il chiamare "giorno" la luce e "notte" le tenebre, di modo che il regolare queste due cose equivale e dar loro un nome. O piuttosto questi vocaboli ci vogliono indicare che cosa Dio chiamò "luce" e che cosa "tenebre", come se la Scrittura dicesse: "Dio fece la luce e separò la luce dalle tenebre; chiamò poi giorno la luce e notte le tenebre, affinché non s'intenda qualche altra luce che non sia il giorno e qualche altra tenebra che non sia la notte"? Poiché, se ogni specie di luce potesse intendersi per "giorno" e se ogni specie di tenebra si denotasse col termine di "notte", forse non sarebbe stato necessario dire: E Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre.

Di che giorno e di che notte qui si tratta.

6. 27. Si potrebbe ugualmente porre il quesito di qual giorno e di qual notte parli la Scrittura. Se vuole che s'intenda il nostro giorno, che s'inizia al sorgere del sole e termina al tramonto, e la notte di quaggiù che s'intenda dal tramonto al sorgere del sole, non so come potessero esistere prima che fossero fatti i luminari del cielo. O forse la stessa durata delle ore e del tempo poteva esser già chiamata così anche senza una linea di separazione tra la luce e le tenebre? Inoltre in qual modo questo avvicendarsi, indicato col nome di "giorno" e di "notte", può applicarsi alla luce razionale, se è questa ch'è indicata qui, o alla luce sensibile? O piuttosto queste cose sono indicate non già in base a un reale avvenimento, ma a una possibile eventualità, dato che alla ragione può subentrare l'errore e all'intelligenza una certa stoltezza?

Il giorno inteso come la durata da un mattino al successivo (Gen 1, 5).

307 (Gn 1,5)
7. 28. E fu sera e fu mattina: primo giorno 33. Il giorno, adesso, non è chiamato nello stesso senso di quanto era detto: E Dio chiamò giorno la luce, ma nel senso in cui, per esempio, noi diciamo che il mese ha trenta giorni, poiché con questo termine indichiamo anche la notte, mentre in precedenza si parla del giorno separato dalla notte. Pertanto, quell'opera di Dio è indicata come compiuta durante una giornata e per conseguenza la Scrittura dice che fu sera e fu mattina, cioè il primo giorno, in modo cioè che sia un solo giorno che si svolge dall'inizio di un giorno all'inizio di un altro giorno, cioè da un mattino ad un altro mattino, come noi chiamiamo i giorni aggiungendovi, come ho detto, la notte. Ma in qual modo fu fatta la sera e il mattino? Forse che Dio fece la luce e separò la luce dalle tenebre nel medesimo lasso di tempo uguale a quello per cui si estende la luce del giorno, senza contare la notte? Come mai però sta scritto: È nelle tue mani il potere quando tu vuoi 34, se Dio ha bisogno d'uno spazio prolungato di tempo per compiere qualche opera? O piuttosto sono bensì compiute da Dio tutte le cose - diciamo così - con l'abilità e con la ragione e non con uno spazio prolungato del tempo, ma per mezzo della potenza che compie durevolmente anche le cose che vediamo non essere durevoli ma passeggere? Non si può infatti credere che, allo stesso modo che succede nel nostro discorso in cui alcune parole passano e ne subentrano altre, così avvenga nella stessa abilità d'un artista grazie all'opera della quale gli si presenta alla mente un'espressione oratoria durevolmente artistica. Sebbene dunque Dio, che esercita il potere quando vuole, compia le sue opere senza durata di tempo, tuttavia le stesse nature temporali compiono i loro movimenti nell'ambito del tempo. La Scrittura dunque forse dice: Fu sera e fu mattina: primo giorno, allo stesso modo che mediante la ragione si prevede che così debba o possa avvenire e non come avviene in periodi di tempo. Poiché contemplò nella propria ragione, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, l'opera di Dio lo scrittore sacro che disse: Colui che perdura eternamente ha creato ogni cosa simultaneamente 35, ma nella Genesi molto opportunamente la narrazione delle cose create da Dio è esposta ordinatamente come fatte a intervalli di tempo, affinché la stessa disposizione narrativa che non poteva esser compresa con una immutabile contemplazione dagli spiriti piuttosto deboli, fosse compresa - diciamo così - da questi occhi in quanto esposta secondo un ordine siffatto nel libro (della Genesi).

Il firmamento e le acque al di sopra e al di sotto di esso.

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8. 29. Dio inoltre disse: Vi sia un firmamento in mezzo alle acque e serva a separare le acque dalle acque. E così fu. Dio fece il firmamento e separò le acque ch'erano sotto il firmamento dalle acque ch'erano sopra il firmamento 36. Forse che le acque al di sopra del firmamento erano tali, quali erano quelle che noi vediamo sotto il firmamento? O piuttosto, poiché sembra che questa frase indichi l'acqua al di sopra della quale si portava lo Spirito, e la intendevamo come la materia stessa del mondo, si deve credere che in questo passo sia la medesima, separata solo dal firmamento interposto in modo che quella al di sotto sarebbe la materia fisica, quella al di sopra invece la materia animale? La Scrittura in effetti chiama "firmamento" ciò che poi chiama "cielo". Tra i corpi poi non v'è alcuno più eccellente dei corpi celesti. Alcuni corpi infatti sono celesti, altri invece terrestri; i celesti inoltre sono certamente più nobili, e tutto ciò che oltrepassa la natura dei corpi celesti non so in qual modo possa chiamarsi "corpo", ma è forse una potenza soggetta alla ragione con cui si conosce Dio e la verità; questa materia, poiché è suscettibile d'una forma per mezzo della virtù e della prudenza, con cui il vigore si raffrena e si reprime la sua instabilità e perciò appare, in un certo senso, materiale, da Dio è giustamente chiamata "acqua" e sorpassa tutto ciò che abbraccia il cielo fisico non già in virtù d'uno spazio locale ma della sua natura incorporea. E poiché Dio chiamò "cielo" il firmamento, non è illogico pensare che tutto ciò ch'è al di sotto del cielo etereo, in cui tutte le cose stanno tranquille e stabili, è più mutevole e dissolubile. Ci sono stati alcuni che, riguardo a questa materia corporea plasmata prima di ricevere la forma specifica e la distinzione delle forme, per cui fu chiamata "sotto il firmamento", credevano che la superficie del cielo comprendesse queste acque visibili e fredde. E come prova di questa tesi si sono sforzati d'addurre la lentezza d'uno dei sette pianeti ch'è superiore a tutti gli altri, chiamato dai greci , e compie l'orbita zodiacale in trenta anni, ed è lento perché più vicino alle acque fredde che si trovano al di sopra del cielo. Non riesco a capire come una tale opinione possa essere sostenuta da coloro che indagano questi fenomeni astronomici con grande acume d'ingegno. Ora, nessuna di queste cose dev'essere affermata con leggerezza ma devono essere discusse tutte con cautela e discrezione.

Il firmamento e la sua forma specifica.

8. 30. E Dio disse: In mezzo alle acque sia il firmamento e separi le acque dalle acque. E così fu 37. Dopo aver detto: Così fu, che bisogno c'era di aggiungere: E Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque che sono sopra il firmamento 38? Avendo infatti detto precedentemente: E Dio disse: Sia fatta la luce. E la luce fu fatta 39, l'agiografo non soggiunse di nuovo: "E Dio fece la luce"; qui invece, dopo che Dio disse: Sia fatto. E così fu fatto, si soggiunse: E Dio fece. Forse di qui appare chiaro che non si deve intendere come materiale la luce affinché non sembri che Dio - dicendo Dio intendo la Trinità - la facesse mediante qualche altra creatura e, al contrario, si creda che questo firmamento del cielo, essendo materiale, ricevesse la forma specifica mediante un'altra creatura spirituale, di modo che alla natura spirituale fosse impressa prima in maniera razionale dalla Verità l'impronta che potesse essere impressa materialmente perché fosse il firmamento del cielo? R forse per questo motivo che la Scrittura dice: E Dio disse: Sia fatto. E così fu fatto? Forse rispetto alla stessa natura razionale fu fatto prima ciò con cui s'imprimesse all'oggetto materiale la forma specifica?9. Con l'aggiunta: E Dio fece il firmamento e separò le acque, ch'erano sotto il firmamento, da quelle ch'erano sopra il firmamento 40, s'indica forse anche la cooperazione di quella materia, perché fosse fatta la sostanza del cielo? O forse non viene espresso prima ciò che è espresso dopo a scopo di varietà, affinché cioè il contesto del discorso non venisse a noia e non è necessario citare ogni cosa minuziosamente? Ciascuno preferisca ciò che può; soltanto si guardi bene dall'affermare alcunché a vanvera e qualche cosa ignota come se fosse nota; si ricordi inoltre, poiché è un uomo, d'indagare riguardo alle opere di Dio solo nella misura che gli è permessa.

Prima e poi nel compiersi delle opere, non però nella creazione.

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9. 31. E Dio chiamò cielo il firmamento 41. La spiegazione esposta più sopra riguardo alla denominazione delle cose può considerarsi anche a proposito di questa frase, poiché non ogni firmamento è "cielo". E Dio vide ch'è una cosa buona 42. La spiegazione che ho data più sopra a proposito di questa affermazione, la ripeterei di nuovo, se non che vedo che la narrazione non segue il medesimo ordine. Più sopra infatti è detto: E Dio vide che la luce è una cosa buona 43, e subito dopo si soggiunge: Dio separò la luce dalle tenebre e chiamò giorno la luce e notte le tenebre 44; qui invece, dopo essere stato narrato affatto, che si diceva già compiuto, e dopo essere stato chiamato "cielo" il firmamento, infine si dice: E Dio vide ch'è una cosa buona. Se l'espressione è stata cambiata senza lo scopo di evitare la noia, siamo costretti senz'altro ad intenderla nel senso che Dio fece ogni cosa simultaneamente. Per qual motivo, infatti, Dio vide prima ch'è una cosa buona e poi impose il nome, adesso invece prima impone il nome e poi vede ch'è una cosa buona? Perché ciò, se non perché questa assenza di distinzione cronologica ci fa capire che nell'opera di Dio non ci sono intervalli di tempo, sebbene si trovino nelle stesse opere? Quanto però riguarda gli intervalli di tempo, nel compiersi di un'opera c'è un prima e un dopo e non può esserci narrazione di fatti che prescinda da essi, anche se Dio ha potuto compierli senza di essi. E fu sera e fu mattina: secondo giorno 45. Di questo si è trattato già più sopra e credo che anche in questo caso valgano le stesse ragioni.

La forma specifica dell'acqua e della terra.

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10. 32. Dio inoltre disse: L'acqua che è sotto il cielo si raccolga in un sol luogo e appaia l'asciutto. E così fu 46. Per conseguenza di ciò si può credere piuttosto ragionevolmente, come pensavamo, che l'acqua, di cui parla in precedenza, fosse proprio la materia del mondo. E certo, se tutto il mondo era interamente ricoperto dall'acqua, da dove o dove si sarebbe potuta raccogliere? Se infatti l'agiografo aveva denotato con il nome di "acqua" la massa caotica della materia, questo ammassamento deve intendersi come fosse la vera e propria formazione, di modo che la forma specifica dell'acqua fosse tale quale noi vediamo ch'è adesso. Anche la stessa espressione: appaia l'asciutto può essere intesa come la formazione della terra al fine che la terra avesse la forma specifica che noi vediamo adesso. Poiché essa era detta invisibile e caotica quando ancora mancava la forma specifica della materia. Disse dunque Dio: Si raccolga l'acqua ch'è sotto il cielo, vale a dire: la massa di materia corporale sia ridotta nella sua forma affinché sia quest'acqua che noi percepiamo con i sensi. Si raccolga in un solo ammasso: con la denotazione di "unità" si sottolinea la natura intima della forma. L'essere formato infatti significa esattamente che una cosa è ridotta in un sol tutto, poiché il principio d'ogni forma è l'unità nel suo grado più alto. E appaia l'asciutto, vale a dire: riceva la forma visibile e distinta dalla massa confusa. A ragione l'acqua viene riunita perché appaia la terra ferma, vale a dire: viene trattenuta la fluidezza della materia, perché venga alla luce ciò ch'è nascosto. E così avvenne, forse anche ciò avvenne prima rispetto alle ragioni della natura intellettuale, affinché la frase che segue: E l'acqua si raccolse in un solo ammasso ed apparve l'asciutto non sembrasse un'aggiunta superflua, avendo la Scrittura già detto: E così avvenne, ma comprendessimo che, dopo la creazione degli esseri razionali e spirituali, segui anche quella degli esseri materiali.

Dio chiamò, ecc. (Gen 1, 10) cioè distinse e formò.

(Gn 1,10)

10. 33. E Dio chiamò terra l'asciutto e mare la massa dell'acqua 47. Anche adesso la Scrittura si esprime in questo modo per facilitare la nostra comprensione, poiché non ogni acqua è un mare né ogni cosa asciutta è una terra. Quale dunque fosse l'acqua e quale l'asciutto si doveva distinguere con dei nomi. Si può anche pensare non illogicamente che la denominazione data da Dio fosse proprio la distinzione e la formazione di quelle realtà. E Dio vide ch'è una cosa buona 48. Anche qui è conservato lo stesso ordine narrativo; si applichino perciò a questa frase le spiegazioni date per le altre frasi consimili a questa.

Perché è detto: che portino seme secondo la propria specie.

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11. 34. E Dio disse: la terra produca erbe per nutrimento, che portino seme secondo la propria specie e somiglianza, e alberi da frutto che portino frutti aventi in se stessi il seme secondo la propria somiglianza 49. Dopo che furono fatti la terra e il mare e dopo che Dio impose loro il nome e ne riconobbe la bontà - cosa che abbiamo detto spesso non doversi intendere compiuta ad intervalli di tempo, perché all'ineffabile facoltà di Dio nell'agire non s'accompagni alcuna lentezza - l'agiografo non soggiunse immediatamente come nei due giorni precedenti: E fu sera e fu mattina: terzo giorno 50, ma fa seguire un'altra opera: La terra produca erbe per alimento che portino seme secondo la propria specie e somiglianza, e alberi da frutto che facciano frutti aventi in se stessi il seme secondo la propria somiglianza. Non è detto così della luce, del firmamento, delle acque, della terraferma, poiché la luce non ha una discendenza che le succeda, né il cielo nasce da un altro cielo, né la terra o il mare generano altri mari o altre terre che succedano loro. in questo caso dunque in cui la somiglianza degli esseri che nascono conservano la somiglianza con quelli che passano, fu necessario dire: Che portino seme secondo la propria specie e somiglianza, il cui seme è in essi secondo la propria somiglianza.

La creazione delle piante.

11. 35. Tutti questi vegetali però sono sulla terra in modo da rimanere uniti alla stessa terra mediante le radici e attaccati ad essa, ma d'altra parte in modo da esserne per un certo verso separati. Per questo motivo io penso che in questa narrazione si conserva l'indicazione di questa natura, poiché da una parte i vegetali furono creati nel giorno in cui apparve la terra, ma tuttavia d'altra parte Dio disse di nuovo che la terra producesse germogli, e di nuovo è detto: E così fu e quindi, secondo la norma esposta più sopra, dopo aver detto: E così fu, parla subito dopo dell'esecuzione vera e propria dell'opera: E la terra produsse erbe per alimento che portano ciascuna seme secondo la propria specie, e alberi fruttiferi aventi il seme in loro stessi, ciascuno secondo la propria specie. E di nuovo dice: Dio vide ch'è una cosa buona 51. Così queste due azioni da un lato sono unite in un sol giorno e dall'altro vengono separate tra di loro dalle parole di Dio ripetute. Io credo che ciò sia avvenuto riguardo alla terra e al mare, poiché si doveva distinguere maggiormente la natura di questi vegetali che, in quanto nascono e muoiono, si propagano mediante il seme che li sostituisce. Si deve forse pensare che la terra e il mare potevano essere creati nello stesso istante non solo quanto alle ragioni della creatura spirituale, nel qual caso tutto fu creato simultaneamente, ma anche quanto alla stessa attività motoria materiale, mentre al contrario gli alberi e qualsiasi altra specie di piante non sarebbero potuti nascere se non fosse già esistita la terra in cui germogliare? Per questo forse doveva essere ripetuto il comandato di Dio, per indicare che gli alberi erano stati creati differenti eppure non dovevano essere creati in un giorno diverso per il fatto che sono fissi e attaccati alla terra? Ma può sollevarsi la questione perché mai Dio non pose un nome alle piante; questa omissione è dovuta al fatto che la loro moltitudine non lo permetteva? Detta questione però sarà esaminata meglio in seguito, quando noteremo altre cose alle quali Dio non pose un nome, come invece lo pose alla luce, al cielo, alla terra e al mare. E fu sera e fu mattina: terzo giorno 52.

I luminari, i giorni e le notti in Gen 1, 14.

312 (Gn 1,14)

12. 36. Dio inoltre ordinò: Ci siamo luminari nel firmamento del cielo, e risplendano sulla terra per distinguere il giorno dalla notte e servano di segni anche per i tempi, per i giorni e per gli anni e servano da lampade nel firmamento del cielo per illuminare la terra 53. I luminari furono fatti il quarto giorno e di essi è detto: servano anche per segnare i giorni. Che significano dunque i tre giorni trascorsi senza i luminari? Oppure, perché mai serviranno per segnare i giorni, se anche senza di essi poterono esistere i giorni? Forse perché mediante il moto di questi luminari si può distinguere più chiaramente la durata del tempo e l'intervallo tra i vari periodi di tempo? O forse queste enumerazioni di giorni e di notti serve ad indicare la distinzione tra la natura non ancora fatta e quelle già fatte? Sicché venne chiamata mattina per la forma specifica delle nature fatte, sera invece per la mancanza della forma? Poiché, per quanto riguarda il loro Creatore le nature sono belle nell'aspetto e nelle forme, per quanto invece dipende da esse possono invece venire meno per il fatto d'essere state create dal nulla e, in quanto non vengono meno, non dipende dalla loro materia, che deriva dal nulla, ma da Colui che è l'Essere supremo e fa esistere cose di diversa natura nel loro genere e ordine.

Il firmamento con i suoi luminari.

12. 37. Dio inoltre ordinò: Ci siano dei luminari nel firmamento del cielo, perché risplendano sulla terra 54; questo è forse detto delle stelle fisse o anche dei pianeti? Ma i due luminari, il maggiore e il minore, sono annoverati tra i pianeti. In qual maniera dunque tutti gli astri furono creati nel firmamento, dal momento che ciascun pianeta ha la propria orbita o rivoluzione circolare? O, forse, poiché nelle Scritture da una parte leggiamo che vi sono molti cieli e da un'altra che vi è il cielo, come ad esempio in questo passo ove anche il firmamento è chiamato "cielo", dobbiamo pensare che si parli di tutta questa compagine del cielo fisico, la quale contiene tutti gli astri, sotto la quale regna la serenità dell'atmosfera pura e tranquilla, al di sotto della quale si agita parimenti l'aria turbolenta e tempestosa del nostro mondo? Perché risplendano sulla terra e separino il giorno dalla notte 55. Non aveva forse Dio già separato la luce dalle tenebre e aveva chiamato "giorno" la luce e "notte" le tenebre? Da ciò risulta chiaro che aveva separato il giorno dalla notte. Che significa ora quanto è detto dei luminari: E separino il giorno dalla notte? Questa distinzione è forse fatta ora per mezzo dei luminari in modo da essere conosciuta anche da coloro che usano solo gli occhi carnali per contemplare queste realtà. Dio al contrario fece fare questa separazione prima ancora che i luminari si muovessero nel loro giro di rivoluzione, in modo da potersi comprendere da poche persone guidate dallo Spirito Santo una ragione perspicua? 0 forse si deve pensare che Dio separò un altro giorno da un'altra notte, cioè tra la forma specifica che veniva impressa a quello stato informe e lo stato informe che restava ancora da formare mentre, al contrario, diverso è il giorno di quaggiù e diversa è la notte, l'alternarsi dei quali si osserva nel moto circolare del cielo, e non può avvenire se non col sorgere e tramontare del sole?

I tempi, i giorni, gli anni, i mesi (Gen 1, 14).

313 (Gn 1,14)

13. 38. E servano da segni per i tempi, per i giorni, per gli anni 56. A me pare che le parole: servano da segni rendano chiara l'espressione seguente: e per i tempi, perché non s'intenda una cosa per segni e un'altra per tempi. Adesso infatti parla dei tempi di quaggiù, i quali mediante la distinzione degli intervalli fanno capire che al di sopra di loro c'è l'eternità immutabile, affinché il tempo appaia un segno, ossia un'orma - per così dire - dell'eternità. Così pure, quando soggiunge: per i giorni e per gli anni, mostra di quali tempi parla, risultando i giorni della rivoluzione delle stelle fisse, gli anni al contrario risultando evidenti quando il sole compie l'orbita dello zodiaco, meno evidenti invece quando ciascuno dei pianeti compie la rivoluzione nella propria orbita. La Scrittura infatti non dice: "e per i mesi", forse perché l'anno della luna è un mese, come i dodici anni della luna sono un anno della stessa, chiamata Fetonte dai greci, e trent'anni del sole sono un anno della stella detta Fenonte. E forse così, quando tutte le stelle saranno tornate al punto iniziale, si compierà il "grande anno", di cui molti hanno detto molte cose. O forse dice: perché servano da segni, con cui s'indica un corso sicuro per le navi; per i tempi, invece, siccome c'è la stagione della primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno, poiché anche queste stagioni variano secondo la rotazione degli astri e conservano il loro avvicendarsi e il loro ordine; per i giorni e per gli anni, invece, deve intendersi forse come è stato già esposto?

Si spiega il versetto 15 di Gen 1.

13. 39. E servano da luci nel firmamento del cielo e per illuminare la terra 57. Già in precedenza era stato detto: Nel firmamento del cielo siano lampade per illuminare la terra; perché crediamo che la frase sia stata ripetuta? Forse allo stesso modo che delle piante era stato detto che portassero seme contenuto in loro stesse secondo la propria specie e somiglianza, così qui, al contrario, dei luminari si dice: siano fatti, e: siano; cioè "siano fatti e non "generino", ma siano essi da soli. E così fu. È conservato l'ordine espositivo consueto.

Il versetto 16: la luna e le sue fasi.

13. 40. E Dio fece i due luminari: il luminare maggiore quale inizio del giorno, e il luminare minore quale inizio della notte, e le stelle 58. Per qual motivo parli d'inizio del giorno e d'inizio della notte, sarà chiaro di qui a poco. , al contrario, incerto se le stelle, di cui si parla subito dopo, appartengano o no all'inizio della notte. Alcuni però sostengono che qui si fa intendere che la luna fu creata piena fin da principio, poiché la luna piena sorge all'inizio della notte, cioè subito dopo il tramonto del sole. È però illogico cominciare il computo non dal primo giorno della luna, bensì dal sedicesimo o dal quindicesimo. Ma non dobbiamo neppure lasciarci impressionare dalla considerazione che il luminare che fu fatto avrebbe dovuto essere creato completo. La luna infatti è completa ogni giorno, ma la sua forma intera non può esser vista dagli uomini se non quando la luna si trovi in opposizione al sole dalla parte contraria; d'altronde anche quando si trova in congiunzione con il sole, dato che si trova al di sotto di esso, sembra essere sparita, ma anche allora è piena, per il fatto ch'è illuminata dalla parte opposta e non può essere vista da coloro che si trovano al di sotto, vale a dire dagli abitanti della terra. Questi fenomeni non possono essere insegnati con poche parole, ma con sottili argomentazioni e con la dimostrazione fatta con figure geometriche visibili.

Dio fa e contemporaneamente colloca le creature.

13. 41. E Dio li pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 59. Come mai è detto: Siano nel firmamento, ed ora come mai è detto: Dio fece i luminari e li pose nel firmamento, come se fossero stati fatti fuori del firmamento e di poi collocati lì, pur essendo stato già detto che fossero lì? Si vuole forse far intendere con ciò ripetutamente che Dio non agisce come di solito agiscono gli uomini, ma il suo operare è narrato come può essere narrato a uomini, vale a dire che da parte degli uomini una cosa è fare e un'altra è collocare, da parte di Dio invece l'una e l'altra azione è identica perché egli colloca facendo e fa collocando?

La preminenza del sole nel giorno e della luna nella notte.

13. 42. E siano preposti al giorno e alla notte e separino il giorno dalla notte 60. Ciò che qui spiega dicendo: Siano preposti al giorno ed alla notte è ciò che prima aveva detto: Separino il principio del giorno e il principio della notte. Quel "principio" dobbiamo dunque intenderlo nel senso di superiorità, poiché durante il giorno tra le cose che si vedono non c'è nulla di più eccellente della luna e delle stelle. Per conseguenza non ci deve più mettere in imbarazzo quell'ambiguità, e dobbiamo credere che le stelle sono state poste in questo passo dalla Scrittura in modo da appartenere al "principio", avessero cioè il primato sulla notte. E Dio vide ch'è una cosa buona 61. È conservato lo stesso ordine narrativo. Dobbiamo però ricordarci che Dio non pose il nome a questi esseri, anche se l'agiografo avrebbe potuto dire: " E Dio chiamò stelle i luminari ", poiché non ogni luminare è una stella.

Si spiega Gen 1, 19.

Gn 1,19
13. 43. E fu sera e fu mattina: quarto giorno 62. Se uno considera questi giorni contrassegnati dal sorgere e dal tramontare del sole, questo giorno non è il quarto, ma forse il primo, pensando che il sole sorse nello stesso momento che fu fatto e tramontò finché venissero creati tutti gli altri astri. Ma chi comprende che per un verso il sole si trova altrove quando da noi è notte, e per un altro verso altrove è notte quando il sole si trova da noi, indagherà in un senso più elevato l'enumerazione di questi giorni.

I rettili dell'acqua: forse dell'atmosfera più bassa (Gen 1, 20).

314(Gn 1,20)
14. 44. Dio inoltre ordinò: Le acque producano rettili di anime viventi e alati, che volino sulla terra nel firmamento del cielo. E così fu 63. Gli animali che nuotano sono chiamati rettili perché non camminano con i piedi. O sono forse chiamati così perché ve ne sono altri che sulla terra strisciano sott'acqua? Ci sono infatti nelle acque altri animali forniti di penne, come i pesci che sono coperti di squame, o come altri pesci che ne sono privi ma tuttavia si sorreggono con le penne. Può essere messo in dubbio se questi devono essere annoverati tra gli uccelli in questo passo. Ma perché l'agiografo assegna alle acque e non all'aria proprio gli uccelli? t una questione non indifferente, poiché non possiamo intendere che in questo passo si tratti solo degli uccelli ai quali sono familiari le acque, come gli smerghi, le anitre e tutti gli altri animali di tal genere. Se infatti avesse parlato solo di questi, in un altro passo non avrebbe tralasciato di parlare degli altri uccelli, dei quali alcuni sono tanto lontani dalle acque che non bevono neppure. Salvo che qui la Scrittura chiami " acqua " l'aria dell'atmosfera vicina alla terra poiché, per via della rugiada che si forma nelle notti serene, quest'aria dimostra anche di essere umida, poiché si condensa anche in nubi. Ora una nube è acqua, come costatano tutti coloro ai quali è capitato di camminare sui monti in mezzo alle nubi oppure nei campi tra le nebbie. Si dice infatti che gli uccelli nella nostra atmosfera, non possono volare nell'atmosfera più alta e più pura, che da tutti è chiamata "aria", per il fatto che non sostiene il loro peso a causa della sua leggerezza. Si asserisce inoltre che in quell'aria non possono condensarsi le nubi né scatenarsi tempeste di alcun genere, poiché non c'è assolutamente il vento fino al punto che si narra che sulla vetta monte Olimpo, che si dice elevarsi sopra la zona di quest'aria umida, si è soliti tracciare delle lettere nella polvere e l'anno seguente le si trovavano integre e intatte da coloro che regolarmente ogni anno salivano sul monte summenzionato.

Che cosa denotano i termini acqua e firmamento.

14. 45. Per questo motivo si può non illogicamente pensare che nelle Sacre Scritture viene chiamato "firmamento" del cielo lo spazio che si estende fino a questa zona più alta, per cui si crede che anche l'atmosfera superiore assolutamente tranquilla e serena rientra nel "firmamento". Con questo termine di "firmamento" può infatti essere simboleggiata la stessa tranquillità e una gran parte della realtà. Per conseguenza io penso che in più di un passo dei Salmi si afferma anche: La tua verità giunge fino alle nubi 64, poiché non c'è nulla di più stabile e sereno della verità. Le nubi inoltre si condensano al di sotto di questa zona dell'atmosfera assolutamente serena. Anche se questo lo si intende in senso figurato, è stato tuttavia preso da realtà aventi una certa somiglianza con queste cose; in tal modo sembra che la creatura materiale più inalterabile e più pura che si estende dalla sommità del cielo fino alle nubi, cioè fino all'atmosfera caliginosa, turbolenta e umida, raffigura giustamente la verità. Sono dunque assegnati - a buon diritto - alle acque gli uccelli che volano sulla terra sotto il firmamento del cielo, poiché non impropriamente questa atmosfera è chiamata acqua. Da ciò si può anche capire che la Scrittura non dice nulla dell'atmosfera, in che modo cioè e quando fosse creata, in quanto l'atmosfera inferiore è compresa sotto la denominazione di "acqua", quella superiore invece sotto il termine di "firmamento", e in tal modo non è stato tralasciato alcun elemento.

Come interpretare: Si raccolgano le acque, ecc.1

4. 46. Forse però uno potrebbe fare questa obiezione: "Se con l'espressione: l'acqua si raccolga 65, intendiamo che l'acqua fu fatta a partire dalla confusione della materia e questo riunirsi insieme delle acque fu chiamato da Dio "mare", in qual modo possiamo dire che questa atmosfera fu fatta allora, dal momento che non viene chiamata "mare", anche se può essere chiamata "acqua"? Ecco perché a me pare che mediante l'espressione: appaia l'asciutto venga indicata la forma specifica non solo della terra ma anche della nostra atmosfera più densa, poiché per mezzo di essa viene illuminata la terra affinché possa essere vista chiaramente da noi. Con l'unico verbo: appaia, ci vengono fatte conoscere tutte le operazioni senza le quali la terra non potrebbe manifestarsi ai nostri sensi e cioè: la sua formazione, l'azione con cui fu liberata dalle acque, su di essa fu distesa l'atmosfera, attraverso la quale dalla parte superiore del mondo su di essa si trasmette la luce. O piuttosto si deve pensare che mediante l'espressione della Scrittura: l'acqua si raccolga, si vuol mettere in evidenza la forma di questa atmosfera poiché sembra che l'aria che respiriamo, condensandosi, produca l'acqua? La Scrittura ha forse chiamato così il raccogliersi dell'acqua in una massa perché si formasse il mare, sicché ciò che non è ammassato, ossia ciò che non è condensato viene portato in alto, sia " acqua " capace di sostenere gli uccelli che volano e le siano appropriati entrambi i nomi, cioè tanto quello di "acqua", più leggera, quanto quello di "aria", più densa. Ma per qual motivo non è detto quando fu fatta quest'aria? È forse vero quanto sostengono alcuni, che cioè l'aria che noi respiriamo, a causa dell'evaporazione del mare e della terra, è resa tanto più densa dell'aria più elevata e più pura, da essere adatta a sostenere il volo degli uccelli e d'altra parte tanto più leggera delle acque, con cui si lava il corpo, che quella, a paragone di essa, la percepiamo come secca e aerea? E siccome la Scrittura aveva già parlato della terra e del mare, che bisogno c'era che parlasse delle loro esalazioni, ossia delle acque in cui volano gli uccelli, dal momento che uno ha capito che quell'aria assolutamente pura e serena è assegnata al firmamento?

Perché la Genesi tace la creazione delle sorgenti e dei fiumi.

14. 47. D'altra parte la Scrittura, parlando delle sorgenti e dei fiumi, non dice neppure come sono stati creati. Ora, coloro che indagano e discutono questi fenomeni, affermano che, per via del movimento superficiale dell'aria, dal mare si solleva invisibilmente il vapore d'acqua dolce evidentemente per via di queste esalazioni che noi non possiamo osservare in alcun modo: queste esalazioni si condensano in nubi, e in tal modo la terra bagnata dalle piogge emette a goccia a goccia l'acqua in caverne assai occulte e ve la trasuda nella misura in cui, dopo essersi raccolta e penetrata per diversi meati, scaturisce in sorgenti sia piccole sia capaci di formare dei fiumi. Gli scienziati sostengono che di questo fenomeno è prova il fatto che l'evaporazione dell'acqua marina fatta bollire e raccolta in una serpentina presenta, a chi l'assaggia, acqua dolce. A tutti inoltre appare evidente che le sorgenti diminuiscono di portata poiché risentono l'effetto della scarsezza delle piogge. Ciò è attestato anche dalla Storia sacra: nel tempo della siccità Elia pregò per chiedere la pioggia; mentre pregava ordinò ad Eliseo di guardare verso il mare; vedendo salire di lì una nuvoletta piccola piccola, al re che stava in ansia fece annunciare ch'era imminente la pioggia, dalla quale fu bagnato mentre ancora fuggiva. Anche Davide dice: O Signore, che chiami l'acqua del mare e la riversi sulla faccia della terra 66. Per questo motivo, essendo stato nominato il mare, sarebbe stato superfluo parlare delle altre acque, sia di quelle che apportano la rugiada e con la loro leggerezza procurano l'aria agli uccelli che volano, sia di quelle delle sorgenti e dei fiumi, se le prime sono prodotte dalle evaporazioni, e le seconde hanno origine dalle piogge che, dopo essere state assorbite dalla terra, tornano al punto di prima.

Si spiega ancora il versetto 20.

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Agostino - Genesi 306