Agostino - Genesi 405

Rapporto tra il Verbo (la Sapienza) e la creatura.

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5.10. Il Verbo, Figlio (di Dio), non ha una vita informe, poiché per lui non solo l'essere è lo stesso che il vivere ma il vivere per lui è anche lo stesso che vivere nella sapienza e nella felicità. La creatura, al contrario, sebbene spirituale e intelligente o razionale, che pare più vicina al Verbo, può avere una vita informe poiché per essa il vivere non è lo stesso che vivere nella sapienza e nella felicità, come l'essere è per essa la medesima cosa che il vivere. Essa infatti, una volta allontanatasi dall'immutabile Sapienza, vive nella stoltezza e nella miseria, e questo stato corrisponde alla sua informità. Essa invece riceve la sua forma quando si volge verso l'immutabile luce della Sapienza ch'è il Verbo di Dio: per vivere infatti sapiente e felice essa si volge verso Colui dal quale è stata tratta all'esistenza per avere l'essere e una vita come che sia. Il principio della creatura intelligente infatti è l'eterna Sapienza; di modo che, pur rimanendo in se stesso immutabile, questo principio non cesserebbe mai di parlare, con la voce misteriosa della sua ispirazione, alla creatura di cui è il principio, perché si volgesse verso Colui dal quale ha l'essere, poiché in altro modo non potrebbe ricevere la forma e la perfezione. Ecco perché, essendogli stato chiesto chi egli fosse, (Cristo) rispose: Io sono il Principio e per questo vi parlo.

"Acqua": materia corporea o vita spirituale fluttuante?


5.11. Ora, ciò che dice il Figlio, lo dice il Padre poiché, quando parla, il Padre pronuncia il suo Verbo ch'è il Figlio; parlando nel suo modo eterno di essere - se pur si può parlare di modo di essere - Dio pronuncia il Verbo a lui coeterno. In Dio infatti è (per sua essenza) la somma, santa, giusta benevolenza e uno speciale amore verso le proprie opere non derivante dalla

necessità ma dalla sua bontà. Ecco perché la frase della Scrittura: Dio disse: Vi sia la luce 18 è preceduta da quest'altra: E lo Spirito di Dio si portava sopra le acque 19. Con il termine "acqua" la Scrittura ha voluto indicare una di queste due cose: o l'insieme della materia fisica facendo così vedere ciò di cui sono fatte e formate tutte le cose che noi ormai possiamo distinguere quanto alla loro specie - la Scrittura chiama acqua la materia poiché noi vediamo tutte le cose sulla terra formarsi e crescere, secondo le varie loro specie, grazie all'elemento umido - oppure denota una sorta di vita spirituale indeterminata e, per così dire, allo stesso fluido prima di ricevere la sua forma col volgersi verso Dio. Di certo però lo Spirito di Dio si portava al di sopra (della materia), poiché alla buona volontà del Creatore soggiaceva tutto ciò a cui aveva cominciato a dar forma e perfezione di modo che, dicendo Dio, mediante il suo

Verbo: Vi sia la luce, l'essere creato sarebbe stato permanente, secondo la capacità della sua specie, nel beneplacito di Dio, sarebbe cioè continuato a piacergli. È quindi buono ciò ch'è piaciuto a Dio, poiché la Scrittura dice: E vi fu la luce. E Dio vide che la luce è buona 20.

La Trinità operante nell'origine e nella perfezione della creatura.

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6.12. In tal modo la Trinità del Creatore è presentata proprio all'inizio della creazione appena abbozzata; essa è ricordata con il termine di "cielo e terra" in vista di ciò che doveva esser portato a termine a partire da essa - poiché quando la Scrittura dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, con il nome di "Dio" noi intendiamo il Padre, con il nome di "Principio" il Figlio, ch'è principio non del Padre, ma anzitutto e soprattutto della creatura spirituale creata da Lui e per conseguenza lo è anche di tutte le altre creature -; quando invece la Scrittura dice: Lo Spirito di Dio si portava sulle acque, noi riconosciamo la menzione completa della Trinità; ugualmente nell'atto con cui la creatura si volge a Dio e viene resa perfetta in modo che vengono distinte le diverse specie degli esseri, ci viene fatta conoscere la medesima Trinità e cioè da una parte il Verbo di Dio e Colui che genera il Verbo, quando la Scrittura dice: E Dio disse, e dall'altra la santa Bontà - per la quale a Dio piace qualunque essere gli piace d'aver reso perfetto nei limiti della capacità della sua natura -quando la Scrittura dice: Dio vide ch'è una cosa buona.
1 - Cf. Mt 13,52.
2 - 1 Cor 10,11.
3 - (
Gn 2,24).
4 - Cf. Eph 5,32.
5 - (Gn 1,1).
6 - (Gn 1,2).
7 - (Gn 1,3).
8 - (Gn 1,1).
9 - Mt 3,17.
10 - Cf. (Gn 11,7).
11 - Io 1,1.
12 - Io 1,3.
13 - (Gn 1,1).
14 - (Gn 1,4.
15 - Cf. Io 10,30.
16 - (Gn 1,1).
17 - Io 8,25.
18 - (Gn 1,3).
19 - (Gn 1,2).
20 - (Gn 1,3-4)
21 - (Gn 1,1).
22 - (Gn 1,2).
23 - (Gn 1,3).

Che vuol dire: Lo Spirito aleggiava sulle acque.

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7.13. Ma perché mai è menzionata prima la creatura ancora imperfetta e poi lo Spirito di Dio? La Scrittura infatti prima disse: La terra però era invisibile e caotica e le tenebre erano sopra l'abisso (
Gn 1,2), e dopo soggiunse: e lo Spirito di Dio si portava al di sopra delle acque (Gn 1,2). Forse perché l'amore indigente e bisognoso (delle cose amate) ama in modo da rimanere soggetto alle cose che ama, perciò quand'era menzionato lo Spirito di Dio, nella cui persona si lascia intendere la sua santa bontà e amore, la Scrittura dice che si portava al di sopra, perché non si pensasse che Dio fosse portato ad amare le opere, che avrebbe fatto, per la necessità dei bisogno anziché per la sovrabbondanza della sua bontà? Memore di ciò l'Apostolo, sul punto di parlare della carità, dice che mostrerà una via sovreminente 1Co 12,31, e in un altro passo parla della carità di Cristo ch'è al di sopra d'ogni conoscenza Ep 3,19. Dovendosi dunque indicare lo Spirito di Dio col dire che si portava al di sopra, era più conveniente che prima fosse presentato qualcosa solo appena avviato, al di sopra del quale si potesse dire ch'Egli si librava non per la posizione ma per la sua potenza che sorpassa e trascende ogni cosa.

Dio ama le sue creature perché esistano e sussistano.

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8.14. Così pure, dopo che le cose appena abbozzate furono portate alla perfezione e ricevettero la loro forma, Dio vide ch'è una cosa buona (
Gn 1,10); egli infatti si compiacque di ciò ch'era stato fatto grazie alla medesima bontà con cui gli era piaciuto di farlo. Poiché due sono i motivi per cui Dio ama la propria creazione: perché esista e perché sussista. Affinché dunque esistesse la creazione capace di sussistere, lo Spirito di Dio si portava al di sopra dell'acqua (Gn 1,2), affinché invece sussistesse Dio vide ch'è buona. E ciò ch'è detto della luce è detto di tutte le altre creature. Esse infatti sussistono, alcune soggette a Dio in gran santità dopo essersi elevate al di sopra del volgere d'ogni tempo, altre invece seguendo la misura del tempo loro assegnato, venendosi così a tessere, con la recessione e successione delle cose, la bellezza dei secoli.

Quando Dio pronunciò: Vi sia la luce?

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9.15. La frase che disse Dio: Vi sia la luce! E la luce fu fatta (
Gn 1,3), fu dunque pronunciata in un giorno determinato o prima di qualunque giorno? Se infatti Dio la pronunciò mediante il suo Verbo coeterno, certamente la pronunciò fuori del tempo; se invece la pronunciò nel tempo, non la pronunciò mediante il suo Verbo coeterno ma per mezzo di qualche creatura temporale. La luce quindi non sarà la prima creatura, poiché ce n'era già un'altra mediante la quale sarebbe stato detto nel tempo: Vi sia la luce! Si comprende inoltre che ciò di cui è detto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1,1), fu creato prima di qualsiasi giorno, di modo che con il termine "cielo" s'intende la creatura spirituale già fatta e formata e che è, per così dire, il cielo di questo cielo che occupa il grado più alto tra i corpi. In realtà solo nel secondo giorno fu fatto il firmamento che Dio chiamò di nuovo "cielo". Col termine invece di "terra invisibile e caotica" e di "abisso tenebroso" fu denotata la sostanza materiale ancora imperfetta, con cui sarebbero stati fatti gli esseri temporali, dei quali la prima sarebbe stata la luce.


Di che specie era la "voce" di Dio con cui creò la luce?

9.16. In qual modo però nel tempo Dio potè dire: Vi sia la luce (Gn 1,3) servendosi d'una creatura fatta prima del tempo, è difficile scoprirlo. Noi non pensiamo affatto che quella fosse una parola prodotta dal suono d'una voce, poiché ogni parola di tal genere è il prodotto d'un corpo. O forse con quella sostanza imperfetta fece una voce corporea con cui far sentire la parola: Vi sia la luce? Sarebbe dunque stata creata e formata una voce corporale prima della luce. Ma se la cosa sta così, esisteva già il tempo attraverso il quale scorreva la voce e passavano gli intervalli dei suoni che si succedevano. Ora, se esisteva già il tempo prima che fosse creata la luce, in quale tempo fu creata la voce capace di far sentire: Vi sia la luce? A qual giorno apparteneva quel tempo? Poiché comincia ad esser contato come "uno" ed insieme come "il primo" quel giorno in cui fu creata la luce. O forse fa parte dello stesso giorno tutto lo spazio di tempo sia quello in cui fu creata la voce fisica mediante la quale risonasse: Vi sia la luce, sia quello in cui fu creata la stessa luce? Ma qualsiasi voce di tal genere è proferita da uno che parla affinché giunga al senso fisico d'un altro che ascolta, poiché questo senso è fatto in modo da percepire i suoni attraverso le vibrazioni dell'aria. Aveva forse, dunque, un siffatto udito quella materia invisibile e disordinata, quale ch'essa fosse, alla quale potesse in tal modo far sentire la sua voce e dire: Vi sia la luce? Lungi perciò, dall'animo di chi pensa, quest'ipotesi assurda!


La parola di Dio fu pronunciata nel tempo o fuori del tempo?

9.17. Forse era dunque spirituale, ma tuttavia temporale, il movimento con cui intendiamo sia stata detta l'espressione: Vi sia la luce prodotto dall'eterno Dio mediante il Verbo a lui coeterno nella creatura spirituale da lui già creata quando la Scrittura dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, cioè nel cielo del cielo? Oppure si può intendere che questa parola, non solo senza alcun suono ma anche senza alcun movimento temporale della creatura spirituale, fu in qualche modo fissata e impressa nella sua mente e nella sua ragione dal Verbo coeterno al Padre e, in conseguenza di quella parola, la sostanza corporea imperfetta, inferiore e tenebrosa, si sarebbe mossa e volta verso la sua Forma e sarebbe diventata luce? Ma se l'ordine di Dio non è dato in modo temporale e se la creatura spirituale che, mediante la contemplazione della verità, trascende qualsiasi tempo, non lo ascolta in un modo temporale, ma trasmette alle creature inferiori, come enunciati intelligibili, le ragioni in essa impresse intellettualmente dall'immutabile Sapienza di Dio, è estremamente difficile comprendere come si possa affermare che si formano movimenti di natura temporale negli esseri temporali affinché siano formati o governati. Se invece si deve intendere che la luce, la prima (creatura) di cui fu detto: Vi sia e: Vi fu, ha pure la preminenza sulle altre creature, è la stessa vita intellettuale che, se non si volgesse verso il Creatore per essere illuminata, rimarrebbe fluttuante e informe. Ma una volta rivoltasi (a Dio) e illuminata che fu, allora fu creato ciò ch'era stato detto mediante il Verbo di Dio: Vi sia la luce.

Da Gn 1,5 pare che la luce fu creata nello spazio di un giorno.

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10.18. Ciò nondimeno, allo stesso modo che questo fu detto al di fuori del tempo, in quanto il Verbo coeterno al Padre non è soggetto al tempo, si potrebbe porre il quesito se anche quell'opera fu fatta al di fuori del tempo. Ma come si può intendere una simile cosa, dal momento che dopo la creazione della luce, la sua separazione dalle tenebre e dopo la denominazione di "giorno" e di "notte", la Scrittura afferma: E fu sera e fu mattina: un giorno ? Da questo testo pare che quell'opera di Dio fu compiuta nello spazio d'un giorno, trascorso il quale si giunse alla sera, ch'è l'inizio della notte. Parimenti, trascorso lo spazio della notte, fu completato l'intero giorno e, per conseguenza, il mattino diede inizio ad un altro giorno, in cui Dio portò successivamente a termine altre opere.

33 - (Gn 1,1).
34 - (Gn 1,5).

Creazione istantanea della luce e sua separazione dalle tenebre.

10.19. Ma se Dio disse: Vi sia la luce (Gn 1,3) mediante la ragione eterna del suo Verbo senza alcun intervallo di sillabe, è assai strano come mai la luce fu creata in un sì gran lasso di tempo, fin tanto cioè che passasse lo spazio d'un giorno e venisse la sera. O forse la creazione della luce fu, sì, istantanea, ma la durata del giorno passò mentre la luce veniva separata dalle tenebre e a tutt'e due le creature separate veniva assegnato il proprio nome? Ma sarebbe strano se anche ciò poté esser fatto da Dio in tanto spazio di tempo quanto quello in cui lo diciamo noi. Poiché la distinzione della luce dalle tenebre risultò dall'atto stesso con cui fu creata la luce; la luce infatti non ci sarebbe potuta essere, se non fosse stata separata dalle tenebre.

Dio chiamò luce il giorno, cioè nelle ragioni eterne della sua Sapienza.

10.20. Rispetto però al fatto che Dio chiamò la luce giorno e le tenebre notte (Gn 1,5), in quanto spazio di tempo poteva fare ciò, anche se l'avesse fatto pronunciando vocalmente le parole sillaba per sillaba, se non quanto occorre anche a noi per dire: "La luce si chiami giorno e le tenebre si chiamino notte"? Salvo che uno sia per caso tanto insensato da pensare che, siccome Dio è più grande d'ogni cosa, le sillabe pronunciate dalla bocca di Dio - quantunque assai poche - poterono riempire tutto lo spazio d'un giorno. A ciò s'aggiunge il fatto che Dio chiamò giorno la luce e notte le tenebre servendosi non del suono d'una voce corporea ma del Verbo a lui coeterno, cioè delle ragioni interne ed eterne della sua immutabile Sapienza. D'altra parte, se Dio avesse usato le parole di cui ci serviamo noi, di nuovo sorge il quesito in quale lingua parlò e quale bisogno c'era d'una successione di suoni ove non esisteva l'udito fisico di nessuno, e a tale quesito non si trova risposta.

Il giorno e la notte si avvicendano lungo il percorso del sole nelle 24 ore.

10.21. Si deve forse dire che, pur essendo stata quest'opera di Dio compiuta in un istante, la luce perdurò senza che sopraggiungesse la notte finché non fosse compiuto lo spazio d'un giorno e che la notte, succedendo al giorno, durò tanto a lungo finché non passasse lo spazio della notte e si facesse il mattino del giorno seguente dopo ch'era passato il primo e unico giorno? Ma se io dirò così, ho paura d'essere deriso sia da coloro che hanno nozioni scientifiche molto esatte sia da coloro che assai facilmente possono osservare che quando da noi è notte, la presenza della luce illumina le altre parti del mondo che il sole percorre prima di tornare dalla parte ove tramonta a quella ove sorge; per questo motivo nello spazio di tutte le ventiquattro ore c'è sempre, lungo il percorso circolare del sole, una parte (della terra) ov'è giorno e un'altra ov'è notte. Collocheremo dunque Dio in una parte di questo percorso ove per lui fosse sera quando la luce lasciasse quella parte per andare in un'altra? In realtà nel libro chiamato Ecclesiaste sta scritto: Il sole sorge e il sole tramonta e ritorna al proprio luogo Qo 1,5, cioè nel luogo d'onde sorge. Subito dopo infatti è detto: Il sole sorgendo va verso il Sud e poi gira verso Settentrione Qo 1,6. Quando dunque le regioni australi hanno il sole, per noi è giorno, quando invece il sole, facendo il suo giro, attraversa le regioni settentrionali, per noi è notte. Non è tuttavia da credere che non sia giorno nelle altre regioni ove c'è il sole, salvo che le finzioni poetiche c'inducano a credere che il sole s'immerge nel mare e, dopo essersi bagnato, risorge la mattina dalla parte opposta. D'altronde anche se fosse così, lo stesso abisso sarebbe illuminato dalla presenza del sole e vi sarebbe il giorno. Esso infatti potrebbe illuminare anche le acque, dal momento che il sole non potrebbe essere spento da esse. Ma il solo immaginare (possibile) una cosa simile è un'assurdità. E che dire del fatto che il sole ancora non c'era?

Luce spirituale o luce fisica?

10.22. Se dunque la luce spirituale fu creata il primo giorno, tramontò forse perché le succedesse la notte? Se invece era una luce fisica, qual è mai la luce che non possiamo vedere dopo il tramonto del sole, dato che non esistevano ancora né la luna né le stelle? Oppure, se quella luce si trova sempre nella parte del cielo ov'è il sole senz'essere la luce del sole ma, per così dire, la sua compagna e ad esso tanto strettamente unita da non potersi distinguere e discernere, si torna alla difficoltà della presente questione che si deve risolvere. Poiché anche questa luce, allo stesso modo che il sole, di cui sembra esser la compagna, nel suo percorso, dal luogo ove tramonta ritorna a quello dove sorge ed è in un'altra parte del mondo al momento che questa parte, ove siamo noi, si copre di tenebre per la notte. Da ciò si dovrebbe concludere - cosa inammissibile - che Dio si sarebbe trovato in un luogo d'onde questa luce si sarebbe separata affinché per lui potesse essere sera. O forse Dio aveva creato la luce solo in quella regione in cui aveva intenzione di creare l'uomo e perciò (la Scrittura) dice ch'era sera quando la luce, allontanatasi per risorgere il mattino seguente dopo aver compiuto il suo percorso, fosse in un'altra regione?


La luce primordiale o la successione dei giorni?

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11.23. Perché dunque il sole fu creato per essere a capo del giorno (Cf.
Ps 135,8) e per illuminare la terra se, a produrre il giorno, era sufficiente la luce ch'era stata chiamata anche "giorno"? Quella luce primordiale illuminava forse regioni superiori tanto lontane dalla terra da non poter essere percepita sulla terra e così era necessario fosse creato il sole affinché per mezzo suo il giorno apparisse alle regioni inferiori del mondo? Si potrebbe anche dire che lo splendore del giorno fu accresciuto con l'aggiunta del sole, e perciò si potrebbe credere, che in virtù di quella sola luce, il giorno sarebbe stato meno splendente di quanto è adesso. Io so che da un esegeta è stata proposta anche un'altra soluzione: tra le opere del Creatore sarebbe stata prodotta dapprima la sostanza della luce quando (Dio) disse: Vi sia la luce, e vi fu la luce (Gn 1,3); in seguito invece, quando si parla dei luminari (del cielo), la Scrittura avrebbe ricordato quali corpi (luminosi) furono creati con la stessa luce secondo l'ordine dei giorni in cui il Creatore decise di compiere tutte le sue opere. Ma dove sia andata a finire quella sostanza luminosa quando fu sera, quell'esegeta non l'ha detto e penso che non è facile poterlo sapere. Non si può, infatti, credere ch'essa si fosse spenta perché prendessero il suo posto le tenebre della notte, e si fosse accesa di nuovo perché ricominciasse il mattino prima che fosse prodotto per mezzo del sole questo avvicendamento che cominciò dal quarto giorno, come attesta la stessa Scrittura.


Luce e ombra: giorno e notte prima della creazione del sole.

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12.24. Ma è difficile trovare e spiegare con qual percorso circolare - prima della comparsa del sole - si sarebbe potuta avere la successione di tre giorni e di tre notti, se continuava a risplendere quella luce creata all'origine (delle cose), supposto ch'essa sia da intendere come una luce materiale. Uno però potrebbe avanzare l'ipotesi che l'ammasso delle terre e delle acque, prima che queste fossero separate le une dalle altre - cosa che la Scrittura dice avvenuta solo il terzo giorno - Dio lo chiamò "tenebre" a causa della densità più spessa del suo volume impenetrabile alla luce o a causa dell'oscurità assai fitta d'un ammasso sì grande che, se occupava uno degli emisferi di questa sostanza materiale, necessariamente l'altro era illuminato. Poiché nella parte d'un corpo qualunque, alla quale la sua massa non permette ch'arrivi la luce, c'è l'oscurità; ciò infatti che si chiama oscurità non è altro che la mancanza di luce sopra una superficie che sarebbe illuminata, se non lo impedisse un corpo posto davanti ad essa. Se questo corpo è talmente voluminoso da occupare tanta superficie della terra quanta ne occupa la luce dalla parte opposta, l'oscurità si chiama notte. Ma non ogni specie di tenebre è notte. Così nella profondità di spelonche assai vaste, ove la luce non può penetrare a causa della massa di terra interposta, ci sono - è vero - le tenebre, poiché non c'è la luce e tutto quello spazio ne è privo, tuttavia siffatte tenebre non si chiamano "notte" ma solo quelle che sottentrano in una parte della terra dalla quale se n'è andata la luce. Così pure non ogni specie di luce è chiamata "giorno" - c'è infatti anche la luce della luna, delle stelle, delle lampade, dei lampi e di tutto ciò che splende allo stesso modo - ma si chiama "giorno" solo la luce alla quale, allorché si ritira, succede la notte.

Con qual luce si succedevano i tre giorni e le tre notti?

12.25. Ma se quella luce primordiale ricopriva da ogni parte la terra attorno alla quale era diffusa, sia che restasse ferma sia che le girasse attorno, non c'era regione da cui permettesse che le succedesse la notte, poiché non si allontanava da nessun luogo per farle posto. O forse la luce era stata creata in una sola parte (della terra) in modo che, nel compiere il suo percorso circolare, lasciasse compiere successivamente il percorso circolare dall'altra parte anche alla notte? Dato infatti che l'acqua ricopriva ancora tutta la terra, nulla impediva che su una faccia di questa massa sferica d'acqua producesse il giorno la presenza della luce e che nell'altra faccia l'assenza della luce producesse la notte che, a cominciar dalla sera, succedesse sulla faccia dalla quale la luce s'allontanava verso l'altra faccia.

Dove si raccolsero le acque che coprivano la terra?


12.26. In qual luogo dunque si raccolsero le acque, se prima occupavano tutta quanta la terra? In qual luogo cioè si raccolsero le acque che si ritirarono affinché la terra fosse messa a nudo? Se infatti v'era già qualche parte nuda della terra, ove le acque potessero ammassarsi, la terra appariva già asciutta e l'abisso non ne occupava l'intera superficie; se invece le acque ne coprivano tutta la superficie, qual era il luogo in cui potevano raccogliersi affinché apparisse la terra asciutta? Si radunarono forse verso l'alto come avviene quando la messe, dopo essere stata trebbiata, viene lanciata in alto per essere vagliata e, raccolta così in un mucchio, sgombra il luogo che aveva ricoperto quando era sparsa? Chi potrebbe asserire una simile cosa quando vede il mare che si estende dappertutto come una superficie tutta piana, poiché anche quando le acque agitate si alzano a guisa d'un monte, si appianano di nuovo dopo essersi placate le tempeste? Inoltre, se le spiagge sono messe a nudo per larghi tratti, non può dirsi che le acque ritirandosi non vadano ad occupare altre terre, dalle quali tornano poi ad occupare di nuovo i luoghi donde s'erano ritirate. Ma poiché tutta la terra era completamente coperta dall'acqua, ove mai questa si sarebbe ritirata per lasciare scoperte alcune regioni? O forse l'acqua meno densa copriva le terre come una nuvola ma poi divenne più densa nell'ammassarsi per mettere a nudo, tra molte regioni, quelle in cui potesse apparire la terra ferma? Sennonchè anche la terra, abbassandosi in vaste estensioni, avrebbe potuto offrire delle depressioni in cui si sarebbero potute raccogliere le acque che, affluendo, vi si sarebbero precipitate in massa e sarebbe potuta apparire asciutta nelle regioni dalle quali l'acqua si sarebbe ritirata.

12.27. Ma la materia non sarebbe del tutto informe, se poteva apparire anche sotto una forma nebulosa.

Quando furono create la terra e l'acqua sotto forma visibile?

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13.28 Ecco perché può sollevarsi anche il quesito in qual momento Dio creò le forme visibili e le proprietà delle acque e delle terre, poiché ciò non si trova ricordato in nessuno dei sei giorni (della creazione). Ammettiamo pertanto che Dio le creò prima che iniziassero i giorni, allo stesso modo che prima della menzione di quei giorni sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, in modo che mediante il nome di "terra" noi intendiamo la terra già formata con il suo aspetto esteriore, ricoperta dalle acque già mostrate chiaramente nella loro propria forma visibile; in tal caso, riguardo a ciò che la Scrittura soggiunge dicendo: La terra però era invisibile e confusa e le tenebre erano sopra l'abisso: e lo Spirito si librava al di sopra delle acque, non dobbiamo pensare a uno stato informe della materia, ma alla terra e all'acqua prive di luce - che ancora non era stata fatta - ma create con le proprietà che ormai conoscono tutti. Per conseguenza la terra è chiamata "invisibile" nel senso che, essendo coperta dalle acque, non poteva essere vista, anche se ci fosse stato uno che potesse vedere; è poi detta "confusa" perché non era ancora separata dal mare né circondata di spiagge né adornata dei suoi prodotti e animali. Se dunque è così, perché mai queste forme - che senza dubbio sono materiali - furono create prima di qualsiasi giorno? Per qual motivo la Scrittura non dice: "Dio disse: "Vi sia la terra". E vi fu la terra", e così pure: "Dio disse: "Vi sia l'acqua". E vi fu l'acqua", o anche, accomunando entrambi gli elementi - essendo essi uniti per così dire dalla legge che assegna loro il gradino più basso -: "Dio disse: "Vi sia la terra e l'acqua". E così fu?".

L'essere mutevole proviene da materia informe creata da Dio.

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14. Per qual motivo, dopo la creazione di questi elementi, la Scrittura non dice: "Dio vide ch'è una cosa buona"?

14.28. A persuaderci basta la seguente considerazione: è chiaro che ogni essere mutevole è formato a partire da uno stato d'informità; nello stesso tempo non solo la fede cattolica ci comanda di credere, ma anche la ragione c'insegna con solidi argomenti che la materia di tutte le nature non sarebbe potuta esistere se non per opera di Dio, primo autore e creatore non solo delle nature formate, ma anche di quelle formabili. Di questa materia parla a lui anche l'agiografo che dice: Tu hai creato il mondo dalla materia informe. Questa considerazione c'insegna inoltre che la Scrittura, secondo lo spirito della Sapienza, per adattarsi anche a lettori o a uditori piuttosto tardi di mente, fa allusione a questa materia con le parole che precedono l'enumerazione dei giorni, allorché dice: Nel principio Dio creò il cielo e la terra ecc. fino alle parole: E Dio disse, venendo in seguito esposto il racconto ordinato degli altri esseri formati.

Sono concreate la materia e la forma delle cose.

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15.29. Non si deve pensare però che la materia informe sia anteriore in ordine di tempo alle cose formate, essendo stato concreato simultaneamente sia ciò da cui una cosa è fatta, sia ciò ch'è fatto. Così, per esempio, la voce è la materia delle parole e le parole invece indicano la voce formata; tuttavia chi parla non emette prima una voce informe ch'egli potrebbe in seguito determinare e formare per farne delle parole; allo stesso modo Iddio creatore non creò dapprima la materia informe e in seguito, grazie - per così dire - a una seconda considerazione, la formò seguendo l'ordine delle diverse nature, poiché egli creò la materia formata. Ora, ciò a partire da cui una cosa è fatta, è anteriore - se non quanto al tempo, almeno quanto a quella che impropriamente potrebbe chiamarsi origine - a ciò ch'è fatto per mezzo di quello; per questo motivo la Scrittura ha potuto separare nei momenti della narrazione ciò che Dio non separò nei momenti della creazione. Se infatti ci si chiedesse se formiamo la voce servendoci delle parole o le parole servendoci della voce, difficilmente si troverebbe alcuno sì tardo d'ingegno che non risponderebbe che sono piuttosto le parole a esser formate con la voce; così, quantunque chi parla faccia nello stesso tempo le due azioni, basta un'attenzione ordinaria per scoprire qual è quella formata con l'altra. Per questo motivo, poiché Dio creò simultaneamente l'una e l'altra cosa, sia la materia da lui formata sia le cose per le quali l'aveva formata, la Scrittura doveva da una parte parlare di entrambe le cose e dall'altra non poteva parlare simultaneamente; chi potrebbe dubitare che doveva parlare di ciò con cui un essere fu fatto per mezzo di quello? Infatti anche quando nominiamo la materia e la forma, noi comprendiamo che l'una e l'altra esistono simultaneamente, ma non possiamo pronunciarle entrambe simultaneamente. Orbene, allo stesso modo che, quando pronunciamo queste due parole, succede che in breve tratto di tempo pronunciamo l'una prima dell'altra, così in un racconto piuttosto lungo era necessario riferire la creazione della materia prima di quella della forma benché Dio - come ho già detto - creasse l'una e l'altra simultaneamente. Per conseguenza ciò che nell'atto del creare è primo solo quanto all'origine, nella narrazione è primo anche quanto al tempo; se infatti due cose, di cui l'una non è per nulla anteriore all'altra, non possono essere nominate nello stesso tempo, tanto meno possono raccontarsi nello stesso tempo. Non si deve dunque dubitare che questa materia informe, quale che sia la sua natura, è tanto vicina al nulla che fu concreata con le cose formate a partire da essa.

In che modo la Scrittura denota l'informità della materia.

15.30. Se dunque è ragionevole credere che la Scrittura indica questa materia quando dice: La terra era invisibile e confusa e le tenebre regnavano sopra l'abisso, e lo Spirito di Dio si librava al di sopra delle acque, eccettuato ciò che vi si afferma dello Spirito di Dio, dobbiamo intendere che tutti gli altri termini, con cui sono indicate le cose visibili, sono stati usati per indicare, per quanto era possibile, a persone piuttosto tarde d'ingegno questa informità della materia; questi due elementi infatti, cioè la terra e l'acqua, nelle mani degli artigiani sono più docili degli altri per fare qualcosa e perciò più adatti a denotare quell'informità.

Altra ipotesi sul giorno e sulla notte: effusione e contrazione della luce.

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16. Se dunque una tale ipotesi è ragionevole, la terra non era una massa già formata, della quale la luce avrebbe illuminato un emisfero mentre l'altro sarebbe rimasto nelle tenebre, potendo così la notte succedere al ritirarsi del giorno.

16.31. Ma se volessimo intendere per "giorno" e "notte" l'emissione e la contrazione di quella luce, da una parte non si vede la ragione perché la cosa fosse così - poiché non c'erano ancora esseri viventi cui potesse giovare un siffatto avvicendarsi (del giorno e della notte) come lo vediamo presentarsi adesso agli esseri creati in seguito, a causa del percorso circolare del sole - d'altra parte non si trova alcun fatto simile con cui potremmo provare una siffatta emissione e contrazione della luce perché potessero verificarsi le alternanze del giorno e della notte. Senza dubbio i raggi emessi dai nostri occhi sono veramente emissione di una specie di luce che può restringersi quando guardiamo l'aria vicina ai nostri occhi e allungarsi quando guardiamo nella stessa direzione oggetti siti a distanza. Ma anche quando si restringe, il nostro sguardo non cessa del tutto di vedere gli oggetti lontani, sebbene li veda di certo meno chiaramente di quando lo sguardo si estende fino ad essi. È tuttavia certo che la luce, che si trova nel senso di chi vede, è tanto debole che, senza l'aiuto d'una luce esterna (all'occhio), non potremmo veder nulla; e, poiché non può distinguersi da quella esterna, è difficile - come ho già detto - trovare qualcosa di simile con cui si possa provare che l'emissione della luce produce il giorno e la sua contrazione la notte.


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