Agostino - Genesi 621

621
21.33. Come mai però l'uomo, sebbene fosse stato creato immortale, ricevette ciononostante per alimento, come gli altri animali, l'erba dei campi produttrice di seme, i frutti degli alberi e l'erba verdeggiante, è difficile a dirsi. Se infatti l'uomo divenne mortale a causa del peccato, non aveva certamente bisogno di cibi siffatti prima del peccato, poiché il suo corpo non sarebbe potuto morire di fame. In realtà, benché sembri che l'ordine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra, supponga che ciò non potesse avvenire senza

l'amplesso coniugale del maschio e della femmina - cosa che sarebbe un altro indizio che i corpi erano mortali - si potrebbe tuttavia affermare che ci potesse essere un altro modo d'unione nei corpi mortali. In tal caso i figli sarebbero nati da un fervido sentimento d'amore di benevolenza, privo di qualsiasi sensualità del corpo corruttibile, e i genitori, senza morire, avrebbero avuto come successori i figli non destinati neppure essi a morire, fino a quando la terra non sarebbe stata ripiena d'uomini immortali: in tal modo, dopo essersi formato un popolo giusto e santo, come quello che speriamo sarà dopo la risurrezione, sarebbe stato messo anche un termine alle nascite. Una simile ipotesi potrebbe essere avanzata, ma in qual modo possa essere sostenuta è un'altra faccenda. Nessuno però oserà affermare neppure che soltanto i corpi mortali hanno bisogno di mangiare per ristorare le loro forze.

Secondo alcuni la creazione dell'anima è indicata con il verbo "fece", quella del corpo con "plasmò".

622
22.34. Alcuni poi hanno fatto anche un'altra ipotesi, che cioè allora fu creato solo l'uomo interiore, mentre il corpo dell'uomo sarebbe stato creato in seguito, quando la Scrittura dice: E Dio plasmò l'uomo con la polvere della terra, cosicché la parola fece si riferirebbe alla creazione dello spirito, plasmò invece a quella del corpo. Costoro però non hanno considerato che la creazione del maschio e della femmina non poté avvenire se non rispetto al corpo. Si potrebbe - è vero - ricorrere a una spiegazione molto sottile, che cioè l'anima dell'uomo, riguardo alla quale egli fu creato a immagine di Dio, sia una specie di vita razionale e abbia due attività distinte: quella di contemplare la verità eterna, e quella di guidare le cose temporali, e in tal modo verrebbe a essere - diciamo così - maschio e femmina, una parte prendendo le decisioni e l'altra obbedendo; tuttavia, se si accettasse questa distinzione, potrebbe chiamarsi giustamente immagine di Dio solo la parte che attende alla contemplazione della verità immutabile. Secondo questo significato simbolico l'apostolo Paolo dice che l'uomo soltanto è immagine e gloria di Dio, la donna invece - dice -è la gloria dell'uomo. Sebbene dunque questi due aspetti differenti che si prendono in senso figurato come presenti interiormente soltanto nell'anima dell'uomo, siano simbolizzati esternamente e fisicamente in due creature umane di sesso diverso, tuttavia anche la donna, poiché è femmina solo per il corpo, viene rinnovata anch'essa nello spirito della sua mente per la conoscenza di Dio per essere immagine di colui che l'ha creata, cosa questa per la quale non c'è né maschio né femmina. Allo stesso modo, infatti, che le donne non sono escluse da questa grazia del rinnovamento e della restaurazione dell'immagine di Dio - benché nel loro sesso fisico ci sia un diverso simbolismo nel senso che la Scrittura dice essere immagine e gloria di Dio soltanto l'uomo - così anche nella stessa prima creazione dell'uomo, in quanto la donna era anch'essa una persona umana, aveva di certo la sua anima parimenti razionale, rispetto alla quale è stata anch'essa creata a immagine di Dio. Ma a causa dell'unità (di natura) dei sessi la Scrittura dice: Dio fece l'uomo a immagine di Dio; affinché però non si pensasse che allora fu creato soltanto lo spirito dell'uomo - sebbene fosse creato a immagine di Dio solo quanto allo spirito - soggiunse: Dio lo fece, maschio e femmina li fece, per farci intendere che allora fu creato anche il corpo. D'altra parte perché non si pensasse che l'uomo fu creato in modo che i due sessi fossero sviluppati in una singola persona umana - come alle volte nascono individui chiamati androgini - la Scrittura lascia intendere d'aver usato il singolare per indicare l'unità dei due sessi, e dice che la donna fu creata venendo tratta dall'uomo, come è detto chiaramente in seguito, quando sarà spiegato più accuratamente ciò che qui è detto brevemente. Ecco perché la Scrittura subito dopo usa il plurale allorché dice: li fece e li benedisse. Ma, come ho già detto, esamineremo più attentamente la creazione dell'uomo nel seguito dell'esposizione della Scrittura.

A che si riferisce e che significa: così avvenne?

623
23.35. Si deve ora considerare che la Scrittura, dopo aver detto: E così fu fatto, immediatamente aggiunge: E Dio vide tutto ciò che aveva fatto ed ecco è una cosa molto buona. Con questa frase ci fa capire che Dio diede alla materia umana il potere e la facoltà stessa di prendere per cibo l'erba dei campi e i frutti degli alberi. Per questo l'espressione: E così fu è in relazione con ciò che aveva narrato a cominciare dal passo ove dice: E Dio disse: Ecco: vi ho dato l'erba che porta il seme, ecc.; se infatti l'espressione: E così fu la riferissimo a tutto ciò ch'è detto prima, dovremmo ammettere anche, per conseguenza, che gli uomini erano già cresciuti e s'erano moltiplicati riempiendo la terra nel medesimo sesto giorno, mentre ciò, per attestazione della stessa Scrittura, si avverò solo dopo molti anni. Per questo motivo, dopo che fu data la facoltà di mangiare quegli alimenti e l'uomo ne ebbe conoscenza mediante la parola di Dio, la Scrittura dice: E così fu, nel senso che l'uomo n'ebbe conoscenza per mezzo della parola di Dio. Poiché se anche allora avesse compiuto quell'azione, se cioè avesse preso e mangiato quegli alimenti datigli per cibo, la Scrittura avrebbe continuato a esprimersi secondo il suo solito formulario e, per conseguenza, dopo aver detto: E così fu -che mira ad indicare la suddetta conoscenza -, avrebbe ricordato l'azione stessa e avrebbe detto: "Ne presero e ne mangiarono". La cosa avrebbe potuto essere espressa così, anche senza che venisse nominato la seconda volta Dio, come nel passo ove, dopo aver detto: L'acqua ch'è sotto il cielo s'ammassi in un sol luogo e appaia la terra asciutta, soggiunge: E così fu, senza dire di seguito: E Dio fece, benché ripeta: E l'acqua si ammassò nei suoi propri luoghi ecc.

Perché non è detto che l'uomo era buono.

624
24.36. Si potrebbe porre poi, a buon diritto, il quesito per quale ragione, a proposito della creatura umana, la Scrittura non dice in particolare come di tutte le altre creature: E Dio vide che è una cosa buona ma, dopo aver narrato la creazione dell'uomo e il potere datogli sia di dominare che di nutrirsi, a proposito di tutte le creature soggiunge: E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco sono assai buone. La Scrittura infatti avrebbe potuto esprimere dapprima per l'uomo in particolare la compiacenza espressa in particolare per gli altri esseri creati in precedenza e poi, alla fine, dire a proposito di tutte le cose create da Dio: Ed ecco che sono cose molto buone. Oppure si può pensare che, essendo stata compiuta nel sesto giorno tutta la creazione, la Scrittura doveva dire di tutte le cose: Dio vide tutte le cose che aveva create ed ecco che sono molto buone, e non in particolare degli esseri creati quello stesso giorno? Ma allora perché mai siffatta approvazione fu pronunciata a proposito del bestiame, delle bestie selvatiche e dei rettili della terra creati nel medesimo sesto giorno? Forse perché quegli animali meritarono d'essere proclamati buoni, da una parte singolarmente e riguardo alla specie di ciascuno di essi, e dall'altra globalmente con le altre creature, mentre l'uomo fatto a immagine di Dio avrebbe meritato quella approvazione solo rispetto all'insieme di tutte le altre creature? Oppure si potrebbe supporre che l'uomo non era ancora perfetto non essendo stato ancora posto nel paradiso? Come se la Scrittura quella compiacenza, omessa a questo punto, l'avesse espressa dopo che l'uomo vi fu posto.

La natura può essere deformata dal peccato, ma l'universo resta bello.


24.37. Che diremo dunque? La spiegazione è forse che, prevedendo Dio che l'uomo avrebbe peccato e non sarebbe rimasto nella perfezione dell'immagine di Dio, l'agiografo ha voluto esprimere l'approvazione ch'esso è buono considerandolo non già nella sua individualità ma solo nell'insieme delle creature come per farci capire che cosa sarebbe avvenuto? Poiché, dal momento che le creature che sono state create, le quali rimangono nello stato in cui sono state create possedendo la perfezione da esse ricevuta - sia quelle che non peccarono, sia quelle che non possono peccare - da una parte sono buone individualmente, da un'altra sono tutte molto buone prese nel loro insieme. Non senza un motivo è stato aggiunto l'avverbio molto, poiché anche le membra del corpo sono belle anche se considerate a una a una, ma sono tuttavia molto più belle se viste tutte nell'intero organismo umano; poiché se per esempio l'occhio, attraente e ammirato, lo vedessimo separato dal corpo, non lo diremmo tanto bello quanto lo è se unito alle altre membra e se visto situato al suo posto nell'intero corpo. Al contrario le creature, le quali peccando perdono la loro propria bellezza, non causano in alcun modo la conseguenza di non essere buone anch'esse, regolate come sono con la totalità e l'insieme degli esseri. L'uomo, quindi, prima del peccato era buono anche se considerato (separatamente) nella sua propria natura specifica, ma la Scrittura tralasciò di dirlo enunciando una cosa per predire qualche altra cosa che doveva avvenire. La Scrittura infatti non dice nulla di falso a proposito dell'uomo. Poiché, se uno è buono individualmente, lo è certamente ancor di più preso in unione con tutti; ma non ne viene di conseguenza che, se uno è buono nell'insieme di tutti, lo sia anche individualmente. L'agiografo pertanto ha seguito un giusto criterio dicendo ciò ch'era vero per allora e indicando ciò che Dio prevedeva sarebbe avvenuto. Poiché Dio, creatore sommamente buono delle nature, è sommamente giusto ordinatore di quelle che peccano, in modo però che anche se alcune creature diventano individualmente brutte a causa del peccato, cionondimeno l'universo con l'inclusione di esse, resta sempre bello. Ma ora dobbiamo trattare nel seguente libro gli altri argomenti che vengono in seguito.

1 - (Gn 1,20-23).
2 - Ps 148,4-5.
3 - Ps 148,4.
4 - Cf. 2 Pt 3,5-7.
5 - Cf. (Gn 7,20).
6 - Cf. 2 Pt 3,5-7.
7 - LUCANO, Pharsalia 2,271. 273.
8 - Ps 148,8-9.
9 - Ps 148,1.
10 - Ps 148,7.
11 - (Gn 1,20).
12 - Ps 148,7.
13 - Ps 148,8.
14 - Ps 148,8.
15 - (Gn 1,24-25).
16 - (Gn 1,24.
17 - (Gn 1,24.
18 - Sap 8,1.
19 - (Gn 1,21.
20 - Cf. Ps 48,13.
21 - (Gn 1,22.
22 - Cf. Ps 103,24.
23 - Cf. Sap 8,1.
24 - Phil 3,12.
25 - 2 Cor 12,7-9.
26 - Cf. Dan 6,22; 14,38.
27 - Cf. Dan 9,4-19.
28 - Cf. Act 28,5.
29 - Cf. Lc 12,7.
30 - (Gn 1,11.
31 - (Gn 3,18.
32 - (Gn 1,26-31).
33 - (Gn 1,28).
34 - Eph 4,23.
35 - Col 3,10.
36 - (Gn 1,26).
37 - (Gn 1,22).
38 - (Gn 1,27).
39 - 1 Cor 11,7.
40 - (Gn 1,27).
41 - (Gn 1,27).
42 - (Gn 1,28).
43 - (Gn 1,30-31).
44 - (Gn 1,29).
45 - (Gn 1,9).
46 - (Gn 1,31).



700

LIBRO QUARTO

In qual senso intendere i sei giorni.

701
1.1.E così furono compiuti il cielo e la terra e tutto il loro assetto. Dio allora nel sesto giorno concluse le opere che aveva fatte e nel settimo giorno Dio cessò da ogni opera che aveva fatta, Dio inoltre benedisse il settimo giorno e lo rese sacro, poiché in esso aveva cessato da tutte le sue opere che aveva cominciato 1. È un compito arduo e assai difficile per le forze della nostra facoltà intellettuale penetrare con la vivacità del nostro spirito in ciò che ha voluto dire lo scrittore sacro a proposito dei sei giorni (della creazione). Volle forse indicare che quei giorni erano passati e, se vi si aggiunge il settimo, essi si ripetono ora nel corso del tempo non realmente uguali (a quelli) ma solo con lo stesso nome? Infatti nel trascorrere del tempo si succedono molti giorni simili a quelli passati, ma nessuno torna identico (agli altri). Quei giorni dunque sono forse passati, oppure - dato che i giorni di quaggiù, denotati con lo stesso nome e numero, sono solo i giorni che passano quotidianamente nella successione dei tempi - sono giorni permanenti nella costituzione stessa delle cose? In tal caso, quando si parla non solo dei tre giorni precedenti la creazione degli astri ma anche degli altri tre, dovremmo forse intendere il termine "giorno" nel senso di forma specifica dell'essere creato e il termine "notte" nel senso di privazione o deficienza o nel senso di qualunque altro termine più adatto a esprimere il concetto, quando un essere perde la sua forma specifica a causa di una trasformazione che lo fa allontanare dalla propria forma e lo fa cadere nell'informità. Questa trasformazione è insita in ogni creatura, sia come possibilità, ancorché non si effettui realmente, come nel caso degli esseri celesti superiori, sia come realtà, quando si effettua negli esseri di questo basso mondo per produrre una bellezza completa attraverso le vicende ordinate di qualunque essere mutevole che appare e scompare, come è evidente nel caso degli esseri terrestri e mortali. Con il termine "sera" invece dovremmo forse intendere il limite in cui si compie la creazione di tutti gli esseri, mentre "mattino" denoterebbe il principio di ciò che comincia a esistere, poiché ogni natura creata è circoscritta nei limiti del suo inizio e della sua fine? È difficile indagarlo! Ma, sia che si abbracci la prima o la seconda ipotesi, sia che possa trovarsene una terza più plausibile per spiegare - come forse apparirà chiaro nel seguito dell'esposizione - in qual senso occorre intendere, a proposito di quei sei giorni, i termini "notte", "sera" e "mattina", non è tuttavia fuori luogo considerare la perfezione del numero sei alla stregua della natura intrinseca dei numeri, osservando la quale con l'intelligenza noi contiamo le cose da noi percepite anche mediante i sensi del corpo e le disponiamo in un ordine numerico.

La perfezione del numero sei.

702
2.2. Il primo numero perfetto che noi troviamo è il sei perché è uguale alla somma delle sue parti; ci sono infatti altri numeri perfetti ma lo sono per altre cause e ragioni. Diciamo quindi che il numero sei è perfetto per la ragione che è uguale alla somma delle sue "parti" ed esattamente alla somma delle "parti" che, moltiplicate, possono formare il numero di cui sono "parti", poiché una "parte" di questa specie può essere chiamata "divisore". Il numero tre può dirsi infatti una "parte" di sei, di cui è la metà, ma è anche un componente di tutti gli altri numeri che gli sono superiori. Così, ad esempio, il numero 3 è la parte maggiore di 4 e di 5 in quanto il 4 può essere scomposto in 3 + 1 e il 5 in 3 + 2. Il 3 inoltre è anche un componente di 7, di 8, di 9 o di tutti gli altri numeri più grandi, componente non maggiore o uguale alla metà, ma inferiore. In realtà il 7 può scomporsi in 3 + 4 e l'8 in 3 + 5, il 9 in 3 + 6; ma il 3 non può dirsi aliquota di nessuno dei detti numeri, tranne solo del 9, di cui è la terza parte, e del 6 di cui è la metà. Pertanto nessuno dei numeri, che ho ricordati, è multiplo di 3, eccetto il 6 e il 9; poiché il primo è il prodotto di 2 x 3, e 9 il prodotto di 3 x 3.

Il numero sei è il primo dei numeri perfetti.


2.3. Il numero sei dunque, come avevo detto all'inizio, è uguale alla somma dei suoi divisori. Ci sono in realtà alcuni numeri i cui divisori addizionati insieme fanno una somma inferiore o superiore; in base però a intervalli calcolati con precisione s'incontrano in quantità minore numeri che si completano addizionando i loro divisori, la cui somma non è né inferiore né superiore ma corrisponde precisamente al numero stesso di cui sono divisori. Il primo di questi numeri è il sei. Tra i numeri infatti l'uno non ha divisori, poiché tra i numeri di cui ci serviamo per i nostri computi, l'uno è il solo a non avere né la metà né un'altra parte, ma è veramente, puramente e semplicemente uno. Del due è divisore l'uno, che n'è la metà, ma non ha alcun altro divisore. Il tre invece ha due componenti: l'uno dei quali può dirsi suo divisore - e cioè l'uno che n'è la terza parte - e un altro più grande, cioè il due, che non può dirsi suo divisore; non si possono dunque computare come parti di cui trattiamo, che possano cioè chiamarsi divisori. Proseguiamo: il quattro ha due divisori, cioè l'uno, ch'è un quarto di esso, e il due che ne è la metà; ma la somma di entrambi, cioè 1 + 2 fa 3 e non 4. Non corrisponde quindi alla somma dei suoi divisori, poiché la loro addizione dà un numero inferiore. Il cinque ha un solo divisore, e precisamente l'unità, che è la quinta parte di esso (5:5), poiché né il 2, ch'è il minore dei suoi componenti, né il 3, che ne è il maggiore, possono dirsi divisori di 5. Il sei al contrario ha tre divisori: la sua sesta parte (6:6), la sua terza parte (6:3) e la sua metà (6:2): un sesto di 6 è 1, un terzo di 6 è 2 e la metà di 6 è 3 (= 1; = 2; = 3). Questi numeri, cioè 1, 2, 3, addizionati insieme, compongono esattamente il numero 6.

Esame degli altri numeri.


2.4. Viene ora il numero sette. Questo ha come suo divisore soltanto la sua settima parte (7:7) cioè l'unità; 8 ne ha tre: la sua ottava parte (8:8), la quarta (8:4) e la metà (8:2), cioè 1, 2 e 4; ma questi, addizionati insieme fanno 7, numero inferiore, non già uguale a 8. Il nove ha due divisori: la sua nona parte (9:9), cioè l'unità, e la sua terza parte, cioè 3: questi due numeri addizionati insieme fanno 4, che è molto inferiore al 9. Il dieci ha tre divisori: l'1, la sua decima parte (10:10), il 2, la sua quinta parte (10:5) e il 5, la sua metà (10:2); questi tre numeri addizionati insieme fanno 8 e non 10. L'undici ha come divisore soltanto la sua undicesima parte (11:11), come il sette non ha altro divisore che la sua settima parte (7:7), e il cinque solo la sua quinta parte (5:5), il tre la sua terza parte, e il due la sua metà (2:2) cioè l'unità, che è il divisore di tutti i numeri. Il dodici non risulta dall'addizione dei suoi divisori ma ne è superato poiché la somma di essi fa un numero superiore in quanto arriva al totale di 16. In realtà il 12 ha cinque parti: la sua dodicesima, la sua sesta, la sua quarta, la sua terza e la sua metà. Infatti 12:12 corrisponde a 1, 12:6 a 2, 12:4 a 3, 12:3 a 4, 12:2 a 6. Ma 1 + 2 + 3 + 4+ 6 addizionati fanno 16.

Diverso rapporto tra numeri perfetti, imperfetti e più che perfetti.


2.5. Ma per non tirare in lungo la discussione, dirò che nella serie infinita dei numeri se ne trovano parecchi i quali hanno come divisori soltanto l'unità - come il 3, il 5 e tutti gli altri della stessa specie - oppure altri che hanno parecchi divisori i quali, riuniti in una totalità addizionandoli insieme, danno una somma inferiore - come l'8 e il 9 e moltissimi altri -oppure superiore, come il 12 e il 18 e moltissimi altri simili a questi. Di numeri aventi questa caratteristica se ne trovano molto più numerosi di quelli chiamati perfetti per il fatto che sono formati dalla somma dei loro divisori. Dopo il 6, per esempio, risultante allo stesso modo composto della somma dei suoi divisori s'incontra il 28, poiché ne ha cinque 28:28, 28:14, 28:7, 28:4, 28:2 e cioè 1, 2, 4, 7 e 14: questi numeri, addizionati insieme, danno il medesimo numero. Ma quanto più progredisce la serie dei numeri, tanto più a distanza, tanto più, proporzionalmente, grande si trovano i numeri che corrispondono alla somma dei loro divisori, e sono chiamati "perfetti". Al contrario i numeri, i cui divisori addizionati insieme danno un totale inferiore ai medesimi, sono chiamati "imperfetti", mentre quelli, i cui divisori danno un totale superiore, sono chiamati "piuccheperfetti".

Ordine della creazione secondo i numeri.


2.6. In un numero perfetto di giorni, cioè in sei, completò Dio le opere fatte da lui. Così infatti sta scritto: E Dio nel sesto giorno portò a termine le opere fatte da lui. Su questo numero tanto più si fissa la mia attenzione quando considero anche la serie ordinata in cui furono fatte le opere. Poiché allo stesso modo che i divisori del medesimo numero si elevano gradualmente fino al trigono - infatti 1, 2 e 3 si susseguono in modo che nessun altro numero può essere interposto tra loro, ciascuno dei quali è divisore di 6, che risulta dalla loro somma, e cioè l'1, ch'è la sua sesta parte, il 2, che n'è la terza, e il 3 che n'è la metà - così il primo giorno fu creata la luce, nei due seguenti fu fatta la creazione di questo mondo: in uno di questi la parte superiore, vale a dire il firmamento, in un altro la parte inferiore, vale a dire il mare e la terra. La parte superiore Dio la lasciò tuttavia priva d'ogni specie di alimenti corporali, poiché non aveva intenzione di porvi alcun corpo che avesse bisogno dei cibi materiali; al contrario, la parte inferiore che aveva deciso di abbellire d'animali adatti a essa, Dio l'arricchì in precedenza di cibi necessari a soddisfare i loro bisogni. Nei restanti tre giorni furono dunque creati gli esseri visibili che, in virtù di movimenti particolari e appropriati, si muovono in questo mondo, cioè in questo universo visibile formato da tutti gli elementi. Dapprima creò le stelle nel firmamento, poiché questo era stato creato prima, e in seguito gli esseri animati nella parte inferiore secondo quanto esigeva l'ordine stesso delle cose, in un giorno le creature delle acque, in un altro giorno quelle della terra. Ma nessuno è così pazzo da osar dire che Dio, se avesse voluto, non avrebbe potuto creare tutte le cose in un sol giorno oppure, se avesse voluto, in due giorni: nel primo giorno la creatura spirituale, e il secondo giorno la creatura corporale, oppure in un giorno il cielo con tutte le creature celesti, e nel seguente la terra con tutto ciò che è in essa. E tutto ciò Dio lo creò quando volle, in qualunque periodo di tempo volle, e come volle; chi oserebbe dire che qualcosa avrebbe potuto opporsi alla sua volontà?:Sg 11,21: Hai disposto ogni cosa secondo misura, numero e peso.

703
3.7. Quando perciò leggiamo che Dio portò a termine tutte le opere (della creazione) in sei giorni e, nel considerare il numero 6, scopriamo ch'esso è un numero perfetto e che l'ordine delle creature fatte si snoda in modo da apparire come la distinzione progressiva degli stessi divisori che compongono questo numero, ci dovrebbe venire in mente anche l'espressione rivolta a Dio in un altro passo delle Scritture: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso. Dovremmo altresì domandarci - e lo possiamo se invocheremo l'aiuto di Dio che ce lo concederà e ce ne infonderà le forze - se queste tre proprietà (delle cose): misura, numero e peso - secondo le quali la Scrittura afferma che Dio ha disposto ogni cosa - erano in qualche luogo prima che fosse creato l'universo oppure furono create anch'esse e, se già esistevano, dov'erano. In effetti prima della creazione non esisteva nulla all'infuori del Creatore. Esse dunque erano in Lui. Ma come? Poiché noi leggiamo che anche queste cose, che sono create, erano in Lui. Identificheremo forse quelle proprietà con Lui stesso, o invece diremo forse che le opere della creazione sono, per così dire, in Lui che le guida e le governa? Ma in qual modo quelle proprietà possono essere identificate con Dio? Egli infatti non è né misura, né numero, né peso, né tutte queste proprietà insieme. Oppure si deve forse pensare che Dio sia da identificare con queste proprietà come noi le conosciamo nelle creature, e cioè il limite nelle cose che noi misuriamo, il numero nelle cose che noi contiamo, il peso nelle cose che noi sentiamo? Dovremo forse, al contrario, pensare che, nel senso in cui la misura assegna a ciascuna cosa il suo limite, il numero dà a ciascuna cosa la sua forma specifica, e il peso trascina ogni cosa al suo riposo e alla sua stabilità, è Dio che s'identifica con queste tre perfezioni nel senso fondamentale, vero e unico, poiché è Lui a limitare, a dare la forma specifica e a dare ordine a ogni cosa? Ecco perché la frase: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso nel modo che poté esprimersi l'intelligenza e il linguaggio dell'uomo non significa altro che: "Tu hai disposto ogni cosa in te stesso".


3.8. È un beneficio cospicuo e concesso a pochi oltrepassare tutto ciò che può essere misurato, per contemplare la Misura senza misura, oltrepassare tutto ciò che può essere numerato, per contemplare il Numero senza numero, oltrepassare tutto ciò che può essere peccato, per contemplare il Peso senza peso.

Misura, numero e peso della realtà morale e spirituale; numero senza numero.

704
4. In effetti misura, numero e peso non si possono percepire soltanto nelle pietre, negli alberi e nelle altre masse terrestri o celesti di tal genere, qualunque sia la loro grandezza. C'è anche una misura che regola un'azione e le impedisce di svolgersi senza controllo e di là dai limiti; c'è anche un numero dei sentimenti dell'animo e delle virtù, mediante il quale l'anima è tenuta lontano dalla deformità della stoltezza e ricondotta alla forma e alla bellezza della sapienza; e c'è anche un peso della volontà e dell'amore, per mezzo del quale appare quanto occorra pesare ogni cosa nel desiderarla, nell'evitarla, nel valutarla preferibile o trascurabile. Ma questa misura delle anime e delle intelligenze è determinata da un'altra Misura, questo numero è formato da un altro Numero e questo peso è attratto da un altro Peso. La Misura senza misura è quella alla quale si adatta ciò che viene da essa, mentre essa non viene da nessuna altra cosa; il Numero senza numero è quello in base al quale è formata ogni cosa, ma esso non viene formato; il Peso senza peso è quello al quale sono attirati per riposarvisi, coloro il cui riposo è gioia purissima, ma esso non è attirato più verso alcuna altra cosa.

In qual senso intendere i termini suddetti.

4.9. Ma chi sa il significato dei termini "misura", "numero" e "peso" unicamente in rapporto ad oggetti visibili, li conosce solo come può comprenderli uno schiavo. Costui pertanto deve elevarsi al di sopra di tutto ciò che conosce in questo modo oppure, se non è capace, non deve attaccarsi agli stessi termini, a proposito dei quali non può che avere pensieri grossolani. Queste cose infatti sono tanto più care a chi le vede nelle realtà di lassù, quanto meno è carne lui stesso nelle cose di quaggiù. Se però uno rifiuta di usare questi termini, di cui ha imparato il senso in rapporto a realtà infime e assai spregevoli, per denotare realtà sublimi al fine di contemplare le quali si sforza di purificare il suo spirito, non dev'essere costretto a farlo, poiché - purché s'intenda ciò che si deve intendere - non bisogna preoccuparsi molto dei termini che si usano. Importante è invece sapere quale rapporto di somiglianza intercorre tra le realtà inferiori e quelle superiori. In caso contrario la ragione non potrebbe partire logicamente dalle realtà di quaggiù e sforzarsi di tendere verso (quelle di) lassù.

Si spiega Sg 11,21.

Sg 11,21

4.10. Ma allora, se uno dice che sono cose create la misura, il numero e il peso, con cui la Scrittura attesta che Dio ha disposto ogni cosa, e se Dio ha disposto ogni cosa per mezzo di esse, con che cosa Dio ha disposto le tre medesime cose? Se con altre cose, come mai tutte le cose sono state disposte mediante quelle, quando quelle stesse sarebbero state disposte mediante altre cose? Non si può dunque dubitare che quelle tre perfezioni con le quali sono state disposte tutte le cose sono fuori delle cose, che sono state disposte.

In Dio la ragione della misura, del numero e del peso, secondo cui tutto è stato disposto.

705
5.11. Ma si potrebbe forse pensare che la frase della Scrittura: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso, equivale a quest'altra: "Tu hai disposto tutte le cose in modo che avessero misura, numero e peso"? Poiché, se la Scrittura dicesse: "Tu hai disposto tutte le cose materiali con dei colori", non ne seguirebbe doversi pensare che la Sapienza divina, dalla quale sono state fatte tutte le cose, avesse prima in sé dei colori con cui avrebbe poi fatto le cose materiali; ma la frase: "Tu hai disposto tutte le cose materiali con dei colori" dovrebbe essere intesa nel senso di: "Tu hai disposto tutte le cose materiali in modo che avessero dei colori". Come se il fatto che Dio creatore ha disposto tutte le cose materiali con dei colori -disposte cioè in modo che fossero colorate - potesse avere un senso diverso dal seguente: nella Sapienza di Colui che dispone (con ordine) ogni cosa non mancò una certa "ragione" dei colori da distribuire nelle diverse cose materiali, sebbene in rapporto a essa il termine "colore" non convenga. Questo è in realtà quanto avevo in mente dicendo che non ci si deve preoccupare dei termini, purché si sia d'accordo sulle cose.

Ipotesi per spiegare Sg 11,21.

Sg 11,21
5.12. Supponiamo dunque che la frase della Scrittura: Tu hai disposto ogni cosa con misura, numero e peso 6 voglia dire che le creature sono state disposte in modo che abbia ciascuna le proprie misure, i propri numeri e il proprio peso, capaci di cambiamento conforme alla mutabilità di ciascuna specie in rapporto a quella proprietà, aumentando o diminuendo, divenendo più numerose o più rare, più leggere o più pesanti secondo la disposizione di Dio; diremo forse che, allo stesso modo che le cose mutano, così è mutevole lo stesso disegno di Dio, secondo il quale ha disposto le creature? Allontani egli da noi un'idea così pazza!

Allorché dunque le cose venivano disposte in modo che avessero la loro misura, il proprio numero e peso, ove le vedeva Dio che le disponeva in quel modo? Egli non vedeva fuori di se stesso, come vediamo noi, con gli occhi le cose materiali, che certamente non esistevano ancora quando venivano disposte per essere create. E neppure vedeva le cose in se stesso come noi vediamo nella mente le immagini sensibili delle cose materiali che non sono davanti ai nostri occhi, ma che rammentiamo al nostro spirito immaginando gli oggetti già visti o formati a partire da quelli già visti. In qual modo vedeva dunque Dio le cose per disporle così? In qual altro modo se non nel modo che può lui solo?

706
6.13. Ciononostante anche noi siamo mortali e peccatori, e il nostro corpo appesantisce l'anima e la nostra abitazione terrestre è un gravame per l'anima dai molti pensieri; ma, anche se avessimo il cuore del tutto puro e l'anima del tutto limpida e fossimo già uguali agli angeli santi, sicuramente non conosceremmo l'essenza di Dio com'essa conosce se medesima.

Dove vedeva Dio le cose da disporre?

707
7. Ciononostante noi non vediamo questa perfezione del numero sei né fuori di noi, come i nostri occhi vedono le cose materiali, né dentro di noi come ci rappresentiamo i fantasmi dei corpi e le immagini degli oggetti visibili, ma in un altro modo di gran lunga diverso. Poiché allo sguardo dello spirito può presentarsi - è vero - come una specie di piccole immagini corporee quando pensiamo alla posizione del numero sei tra gli altri numeri o alla sua divisione in parti, ma la ragione, più penetrante e più vigorosa, poiché le trascende, rigetta tali immagini e contempla interiormente l'intimo significato del numero. Grazie a questa intuizione la ragione afferma con sicurezza che ciò che, a proposito dei numeri, chiamiamo l'unità, è indivisibile, mentre non esistono cose materiali se non divisibili all'infinito, e che passeranno più facilmente il cielo e la terra creati secondo il numero sei anziché sia possibile che questo numero non corrisponda alla somma delle sue parti. Lo spirito umano ringrazi quindi sempre il Creatore, che l'ha creato capace di vedere ciò che non è in grado di vedere nessun uccello, nessuna bestia, che pure vedono come noi il cielo, la terra, le stelle, il mare, la terraferma e tutto ciò che vi si trova.


Agostino - Genesi 621