Agostino - Genesi 707

Dio compì le sue opere in sei giorni. Perché il sei? È numero perfetto?

7.14. Noi quindi non possiamo dire che il sei è un numero perfetto per il fatto che Dio ha compiuto tutte le sue opere in sei giorni, ma possiamo dire che Dio ha compiuto le sue opere in sei giorni per il fatto che il sei è un numero perfetto. Questo numero perciò sarebbe perfetto anche se queste opere non ci fossero state; se invece esso non fosse perfetto, Dio non avrebbe compiuto le sue opere attenendosi a questo numero.

Come intendere il riposo di Dio al settimo giorno.

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8.15. Passiamo ora all'affermazione della Scrittura secondo la quale nel settimo giorno Dio si riposò da tutte le opere che aveva fatto e benedisse e dichiarò sacro questo giorno poiché in esso egli si era riposato da tutte le sue opere. Ma per cercare d'affermare con l'intelletto la verità di questa affermazione nella misura della nostra capacità e dell'aiuto che ci darà Dio, dobbiamo prima scacciare dal nostro spirito ogni congettura d'interpretazione carnale. Poiché è forse lecito dire o credere che Dio si affaticasse nell'agire quando fece le creature descritte nella Scrittura, dal momento che gli bastò pronunciare una sola parola e quelle erano fatte? In realtà neppure l'uomo s'affatica se, dovendo compiere qualche opera, questa è subito fatta appena egli pronuncia una parola. È bensì vero che le parole umane sono proferite mediante suoni di modo che un discorso prolungato affatica: quando tuttavia le parole sono tanto poche quanto quelle che leggiamo nella Scrittura, allorché Dio disse: Vi sia la luce; vi sia il firmamento, e così via fino al termine delle opere che Dio compì il sesto giorno, sarebbe il colmo della pazzia pensare che per un uomo, a più forte ragione per Dio, quelle parole fossero causa di fatica.

Interpretazione figurata.

8.16. Si potrebbe forse affermare che Dio si affaticasse non già nel pronunciare l'ordine ch'esistessero le creature che furono fatte sull'istante, ma forse nel riflettere e considerare che cosa avrebbe dovuto fare? Si potrebbe forse affermare allora che, liberato, per così dire, da quella preoccupazione col compiere la creazione, Dio si sarebbe riposato e, in considerazione di ciò, avrebbe voluto benedire e dichiarare sacro il giorno in cui per la prima volta si sarebbe liberato da ogni preoccupazione e da quello sforzo? Ma ragionare così è una gran pazzia, poiché in Dio è incomparabile e ineffabile tanto la facoltà quanto la facilità di creare le cose.

Dio si riposò, è un'espressione con il verbo causativo.

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9. Qual altra soluzione ci resta per interpretare questo riposo se non forse quella che Dio alle creature razionali, tra cui creò anche l'uomo, ha offerto il loro riposo in se stesso dopo che saranno perfezionate dal dono dello Spirito Santo - che diffonde la sua carità nei nostri cuori 9 -affinché la tendenza del desiderio ci trascini là ove, quando ci arriveremo, potremo riposarci, non dovremo cioè cercare più nient'altro? Allo stesso modo infatti ch'è giusto dire ch'è Dio a fare tutto ciò che facciamo noi, in virtù della sua azione in noi, così è giusto dire che Dio si riposa quando siamo noi a riposarci per suo dono.

9.17. Questa interpretazione è giusta poiché è vero e non occorre un grande sforzo per capire che la Scrittura dice che Dio si riposa quando fa sì che noi ci riposiamo, allo stesso modo che si dice che egli conosce quando fa in modo che noi conosciamo. Dio infatti non conosce nel tempo una cosa che precedentemente ignorasse e tuttavia dice ad Abramo: Ora so che temi Dio, frase che noi prendiamo soltanto nel senso seguente: "Ora ho fatto sì che tu conoscessi". Quando parliamo di cose che non succedono a Dio come se gli succedessero, mediante queste figure retoriche riconosciamo ch'è lui a far sì che accadano a noi, purché si tratti solo di cose lodevoli e nella misura consentita dal modo di parlare della Scrittura. Poiché a proposito di Dio non dobbiamo fare alla leggera alcuna affermazione che non leggiamo nella sua Scrittura.

Altre espressioni della sacra Scrittura con verbi causativi.

9.18. Io penso che l'Apostolo usa una simile figura retorica quando esorta dicendo: Non rattristate lo Spirito Santo di Dio, col quale siete stati segnati per il giorno della redenzione. Poiché la natura dello Spirito Santo, in virtù della quale esistono tutti gli esseri che esistono, non può venire rattristata in quanto possiede una beatitudine eterna e immutabile o, meglio, per il fatto ch'è essa stessa l'eterna e immutabile beatitudine; ma egli abita nei fedeli in modo da riempirli di carità, grazie alla quale gli uomini non possono non rallegrarsi fin d'ora del progresso (spirituale) e delle opere buone dei fedeli e, per conseguenza, neppure non rattristarsi dei falli o dei peccati di coloro della cui fede e pietà essi provavano gioia. Siffatta tristezza è lodevole poiché viene dall'amore soprannaturale infuso dallo Spirito Santo. Ecco perché la Scrittura dice che lo Spirito Santo in persona viene rattristato da coloro i quali, con le loro azioni, agiscono in modo da rattristare i buoni cristiani per il semplice motivo che questi posseggono lo Spirito Santo, grazie al cui dono sono così buoni da sentirsi addolorati a causa dei cattivi, soprattutto di quelli ch'essi hanno conosciuti o ritenuti buoni. Siffatta tristezza non solo non è per nulla riprovevole, ma è anche lodevole ed encomiabile.

Si spiega un'altra metonimia di Ga 4,9.

Ga 4,9

9.19. Un'altra stupenda espressione di tal genere usa di nuovo il medesimo Apostolo quando afferma: Ora però voi conoscete Dio o meglio siete conosciuti da Dio. Non fu, infatti, allora che Dio li conobbe avendoli conosciuti, naturalmente, prima della creazione del mondo; ma poiché era stato allora ch'essi lo avevano conosciuto per grazia di Dio, non in virtù dei loro meriti o del loro potere, l'Apostolo preferì usare un'espressione figurata dicendo ch'erano stati conosciuti da Dio al momento in cui concesse loro di esser conosciuto da essi e preferì correggersi come se avesse espresso il concetto poco esattamente quando aveva parlato in senso proprio, anziché permetter loro d'arrogarsi un potere ch'era stato concesso loro da Dio.

Si chiede se Dio poté riposare in senso proprio.

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10.20. Ad alcuni dunque basterà forse questa interpretazione del passo ove si dice che Dio si riposò da tutte le sue opere molto buone da lui fatte, prendendolo nel senso ch'è lui a farci riposare quando avremo fatto opere buone. Quanto a noi però, dopo aver intrapreso l'attento esame di questa frase delle Scritture, ci sentiamo spinti a cercare in qual modo poté riposarsi anche Dio, sebbene con l'accennare al suo riposo c'inviti a sperare di trovare in lui il nostro riposo futuro. Infatti allo stesso modo ch'è stato lui a creare il cielo e la terra e quanto in essi si trova, e a portare a termine ogni cosa il sesto giorno - e non si può dire che siamo stati noi a creare alcuna di quelle cose in virtù d'un suo dono per cui le creassimo e perciò la Scrittura direbbe: Dio compì nel sesto giorno tutte le opere che aveva fatte, nel senso che sarebbe stato lui a concederci di portarle a termine - così anche la frase della Scrittura: Dio si riposò il settimo giorno da tutte le opere ch'gli aveva fatte, non dobbiamo intenderla precisamente del nostro riposo che otterremo per un dono della sua grazia, ma intenderla anzitutto del suo riposo che prese il settimo giorno dopo aver compiuto le sue opere: per conseguenza deve prima mostrarsi che quanto dice la Scrittura è realmente accaduto e in seguito, se c'è bisogno, si può insegnare che quel fatto è simbolo di qualche altra cosa. È, sì, giusto dire: "Allo stesso modo che Dio, dopo aver compiuto le sue opere buone, si riposò, così ci riposeremo anche noi dopo che avremo compiuto le nostre opere buone", ma per la stessa ragione è giusto esigere che, allo stesso modo che abbiamo trattato delle opere di Dio che sono, con tutta evidenza, opera sua, così dobbiamo trattare sufficientemente del riposo di Dio che dalla Scrittura è mostrato propriamente suo.

In che modo può essere vero che Dio si riposò al settimo giorno e che ancora adesso continua ad agire.

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11.21. Proprio per un motivo assai giusto siamo quindi spinti ad indagare, se ne saremo capaci, e a spiegare come sono vere le due affermazioni, cioè quella della Genesi in cui si dice che il settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatte, e quella del Vangelo in cui il Signore in persona, dal quale sono state fatte tutte le cose, dice: Il Padre mio opera sempre e così faccio anch'io. Così infatti egli rispose a coloro che gli facevano le loro rimostranze di non osservare il sabato, com'era prescritto fin dai tempi antichi dall'autorità di questo passo della Scrittura relativo al riposo di Dio. Può dirsi però con fondatezza che l'osservanza del sabato fu prescritta ai Giudei a causa della sua funzione profetica che prefigurava il riposo spirituale che Dio, mediante quel simbolo recante un significato misterioso, servendosi del proprio riposo come esempio, prometteva ai fedeli che fanno opere buone. Anche il Signore Gesù Cristo, che soffrì solo quando lo volle, confermò il simbolismo di quel riposo nella sua sepoltura. Egli infatti riposò nel sepolcro il giorno di sabato e passò tutto quel giorno in una specie di santa inoperosità, dopo che nel sesto giorno, cioè nella Parasceve, chiamata il sesto giorno della settimana, aveva portato a compimento tutte le sue opere quando sul patibolo della croce fu compiuto tutto ciò che le Scritture avevano predetto di lui. Questa infatti è la parola usata da lui quando disse: Tutto è compiuto; e chinato il capo spirò. Che c'è dunque di strano se Dio, volendo anche in tal modo prefigurare il giorno in cui il Cristo si sarebbe riposato nel sepolcro, si riposò dalle sue opere quel solo giorno per produrre in seguito la successione dei secoli? E ciò perché fosse vera anche l'affermazione della Scrittura: Il Padre mio opera sempre.

Un altro modo di conciliare il riposo di Dio e la sua continua attività.

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12.22. Si potrebbe anche pensare che Dio si riposò dal creare altre specie di creature poiché in seguito non creò più nuove specie, ma da allora egli opera fino al presente e continuerà anche dopo a operare governando le medesime specie di esseri che furono create allora; nondimeno neppure in quello stesso settimo giorno Dio cessò di governare con la sua potenza il cielo, la terra e tutti gli altri esseri ch'egli aveva creato, altrimenti sarebbero caduti nel nulla. In effetti la potenza del Creatore e l'energia dell'Onnipotente e dell'Onnipresente è la causa per cui sussiste ogni creatura; se questa energia cessasse un sol momento di governare gli esseri creati, finirebbe allo stesso tempo anche la loro essenza, e ogni natura cadrebbe nel nulla. Poiché Dio non è come un costruttore che, dopo aver costruito un edificio, se ne va, ma la sua opera sussiste anche quando egli cessa di agire e se ne va; il mondo invece non potrebbe continuare a esistere neppure un batter d'occhio se Dio gli sottraesse la sua azione reggitrice.

Ancora lo stesso argomento.

12.23. Ecco perché anche l'affermazione del Signore: Il Padre mio opera ancora fino al presente 18 mostra una - diciamo così - continuazione dell'opera del Padre, grazie alla quale mantiene e governa tutto il creato. Diverso infatti potrebbe essere il senso di queste parole, se il Signore avesse detto: "e opera adesso", poiché non sarebbe necessario che l'intendessimo come continuazione della stessa opera. Ma un altro è il senso che ci è imposto dall'espressione: fino al presente, vale a dire: "dal momento in cui egli operò creando tutte le cose". Inoltre quando la Scrittura dice riguardo alla Sapienza di Dio: Si estende da un confine all'altro con forza e governa con bontà ogni cosa 19, della quale la stessa Scrittura dice parimenti: il suo movimento è più veloce di tutti i moti 20, appare assai evidente, a chi bene osserva, ch'essa comunica questo medesimo suo movimento, incomparabile e ineffabile - che potremmo chiamare stabile se potessimo concepire un simile attributo - alle cose per disporle con bontà; se però questo movimento venisse loro sottratto, se cioè Dio cessasse di esercitare questa sua azione, le cose scomparirebbero immediatamente. Quanto poi all'affermazione che fa l'Apostolo parlando di Dio agli Ateniesi: È in lui che noi abbiamo la vita, il movimento e l'essere 21, se viene intesa chiaramente nella misura concessa alla mente umana, essa suffraga la convinzione per cui crediamo e affermiamo che Dio agisce continuamente riguardo agli esseri da lui creati. Noi infatti non esistiamo in lui come un elemento che costituisca la sua natura nel senso in cui la Scrittura dice ch'egli ha la vita in se stesso 22; ma pur essendo esseri certamente differenti da lui, noi siamo in lui solo perché egli effettua ciò mediante la sua azione e quest'azione è quella per cui egli mantiene tutto e per cui la sua Sapienza si estende da un confine all'altro con forza e governa tutto con bontà; è in virtù di questo divino governo che noi abbiamo la vita, il movimento e il nostro essere in lui. Per conseguenza, se Dio sottraesse alle creature questa sua virtù operativa, noi cesseremmo di vivere, di muoverci e di essere. È chiaro dunque che Dio non ha cessato nemmeno per un sol giorno la sua azione di governare le creature da lui create, per evitare che perdessero sull'istante i loro movimenti naturali mediante i quali si muovono e vivono e così sono nature complete e ciascuna continua a rimanere nello stato ch'essa ha conforme alla sua propria specie; altrimenti le creature cesserebbero completamente di esistere, se fosse loro tolto il movimento della divina Sapienza con cui Dio governa tutto con bontà. Noi perciò intendiamo il fatto che Dio si riposò da tutte le sue opere che aveva fatte, nel senso che da quel momento in poi non creò più nessun'altra natura nuova, non nel senso che cessò dal mantenere e governare gli esseri da lui creati. È dunque vero non solo che Dio si riposò il settimo giorno 23, ma altresì ch'egli continua ad agire fino al presente 24.

Il sabato giudaico e quello cristiano.

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13.24. Le opere buone di Dio noi le vediamo, ma il suo riposo lo vedremo quando avremo compiuto le nostre opere buone. Per simboleggiare questo riposo Dio prescrisse l'osservanza d'un dato giorno al popolo ebraico: precetto che gli Ebrei eseguivano in modo così carnale che incolparono il Signore, nostro Salvatore, quando lo videro compiere delle azioni in quel giorno, e perciò diede loro una risposta del tutto giusta ricordando loro l'attività del Padre, con il quale anch'egli operava ugualmente non solo per governare tutte le creature ma anche per procurare la stessa nostra salvezza. Ora invece, nel tempo in cui è stata rivelata la grazia, l'osservanza del sabato, ch'era simboleggiata nel riposo d'un giorno determinato, è stata abrogata per i fedeli. Infatti nel presente ordine della grazia è ormai osservato un sabato eterno da chi compie tutto il bene che fa nella speranza del riposo futuro e non si vanta delle proprie azioni buone come d'un bene ch'egli possederebbe senza averlo ricevuto. In tal modo quando egli riceve il sacramento del battesimo nel suo vero significato, intendendolo cioè come il giorno del sabato, ossia come il giorno del riposo di nostro Signore nel sepolcro, egli si riposa dalle sue opere precedenti sicché, percorrendo ormai il cammino d'una vita nuova, riconosca che ad agire in lui è Dio il quale è attivo e si riposa nello stesso tempo somministrando da una parte il governo conveniente alla creatura e dall'altra possedendo in se stesso un'eterna tranquillità.

Perché Dio consacrò il giorno del suo riposo.

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14.25. In breve, Dio non sentì stanchezza quando creò, né ristorò le sue forze quando cessò di creare, ma per mezzo della sua Scrittura volle solo esortarci a bramare il riposo col rivelarci di aver dichiarato sacro il giorno in cui si riposò da tutte le sue opere. Poiché in nessun (passo del racconto) di tutti i sei giorni, in cui furono create tutte le cose, si legge che dichiarasse sacra alcuna sua opera, e neppure prima (del racconto) degli stessi sei giorni, ove sta scritto: Nel principio Dio creò il cielo e la terra, la Scrittura aggiunse: E li dichiarò sacri; ma Dio volle dichiarare sacro questo giorno in cui si riposò da tutte le opere che aveva fatte, come se anche per lui, che non prova alcuna fatica nell'agire, il riposo è più importante dell'azione. Questa verità riferita all'uomo ci è insegnata dal Vangelo quando il nostro Salvatore afferma che la parte di Maria, la quale seduta ai suoi piedi si riposava nell'ascoltare la sua parola, era migliore di quella di Marta, sebbene questa fosse occupata in molte faccende per servirlo, e così facesse un'opera buona. Ma in qual senso esista, a proposito di Dio, questa superiorità del riposo sull'azione e in qual modo intenderla è difficile dirlo, anche se con la riflessione si può arrivare a capire un poco perché Dio dichiarò sacro il giorno del suo riposo, mentre non dichiarò sacro alcun altro giorno della sua opera, neppure il sesto, in cui creò l'uomo e contemporaneamente portò a termine tutte le cose. E innanzitutto, di quale specie è lo stesso riposo di Dio? Qual è l'intelligenza umana il cui acume sarebbe capace di comprenderlo? E tuttavia, se questo riposo non fosse una realtà, la sacra Scrittura non ne parlerebbe affatto. Io, comunque, esporrò la mia opinione personale, premettendo le seguenti verità sicure: Dio non ha goduto una specie di riposo temporale come dopo una fatica o come dopo la fine sospirata d'un suo lavoro; inoltre le Scritture che a buon diritto occupano un posto superiore ad ogni altro scritto per la loro eccezionale autorità, non hanno affermato, né senza motivo né a torto, che Dio si riposò il settimo giorno da tutte le opere che aveva fatte e perciò dichiarò sacro quel giorno.

Si risolve la questione precedente.

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15.26. È senza dubbio un difetto e una debolezza dell'anima quello di compiacersi delle proprie opere al punto di riposarsi in esse anziché trovar riposo da esse in se stessa, poiché essa possiede certamente una facoltà con cui quelle opere sono compiute, facoltà superiore alle stesse opere compiute. Per questo motivo il passo della Scrittura in cui si dice che Dio si riposò da tutte le opere che aveva compiute ci fa capire che Dio non si compiacque di nessuna sua opera come se avesse avuto bisogno di compierla o gli sarebbe mancato qualcosa non facendola, o sarebbe stato più beato facendola. Poiché tutto ciò che deriva da Dio è di tal natura che gli è debitore del proprio essere, mentre Dio non è debitore della propria felicità a nulla che deriva da lui stesso; ecco perché, amando se stesso al di sopra delle cose fatte da lui, non dichiarò sacro il giorno in cui cominciò a farle né quello in cui le portò a termine, perché non si pensasse che fosse aumentata la sua gioia di farle o d'averle fatte, ma consacrò il giorno in cui si riposò in se stesso dopo averle fatte. Egli, certamente, non è stato mai privo di questo riposo, ma ce ne ha rivelato il senso mediante il settimo giorno. Con ciò ha voluto anche mostrarci che solo i perfetti possono conseguire il suo riposo, dal momento che, per inculcarcelo, destinò solo il giorno che seguì al compimento di tutte le cose. Poiché egli, ch'è sempre in riposo, si riposò riguardo a noi quando ci fece conoscere d'essersi riposato.

Dio non ha bisogno delle opere da lui fatte.

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16.27. Occorre considerare attentamente anche il fatto ch'era necessario che ci fosse rivelato il riposo di Dio, per cui egli è felice per virtù propria, affinché noi comprendessimo in qual senso è detto che Dio si riposa in noi. Quest'affermazione va presa solo nel senso che Dio ci rende partecipi del riposo ch'egli ha in se stesso. Il riposo di Dio, quindi, se viene inteso come si deve, consiste nel non aver bisogno d'alcun bene estraneo; anche per noi quindi il riposo è in lui, poiché noi pure siamo resi felici dal bene ch'è lui stesso, mentre Dio non è reso felice dal bene che siamo noi. Anche noi infatti siamo un bene creato da lui, che ha fatto tutte le cose molto buone, tra le quali ha fatto anche noi. D'altra parte fuori di lui non esiste alcun essere buono, di cui egli non sia il creatore e perciò non ha bisogno d'alcun altro bene all'infuori di lui, poiché non ha bisogno del bene da lui creato. È questo il suo riposo da tutte le opere ch'egli ha fatto. Di quali beni avrebbe potuto Dio gloriarsi di non aver bisogno, se non ne avesse fatto alcuno? Si potrebbe infatti anche dire che Dio non ha bisogno d'alcun bene non per il fatto che si riposerebbe in se stesso dalle opere fatte, ma perché non ne avrebbe fatta assolutamente nessuna; ma nell'ipotesi che Dio non potesse creare cose buone, non avrebbe alcuna potenza; se invece ne avesse la potenza e non le facesse, avrebbe una gran gelosia. Poiché dunque Dio è onnipotente e buono, ha fatto tutte le cose molto buone; ma, poiché è perfettamente felice per il bene che è lui stesso, si riposò in se stesso da tutte le opere che aveva fatte, in virtù cioè del riposo di cui godette sempre. D'altronde, se la Scrittura dicesse che Dio si riposò dalle opere che doveva fare, noi non potremmo intendere ciò se non nel senso che non le fece; se d'altra parte non dicesse che si riposò dalle opere già fatte, ci persuaderebbe in modo meno convincente che Dio non ha bisogno delle cose fatte da lui.

Ecco perché si riposò dopo il sesto giorno.


16.28. Se uno chiedesse: "Quale giorno, se non il settimo, era opportuno per farci capire questo insegnamento?", lo comprenderà se rammenterà come la perfezione del numero sei, di cui abbiamo parlato più sopra, è adatta a rappresentare la perfezione della creazione. Se infatti la creazione doveva essere portata a perfezione secondo il numero sei - come lo fu in realtà - e se ci doveva essere fatto conoscere il riposo di Dio con cui ci fosse mostrato ch'egli non è reso felice dalle sue creature neppure dopo ch'esse sono state portate a termine, era ovvio che in questo racconto della rivelazione il giorno da dichiarare sacro doveva essere quello che viene dopo il sesto, per eccitarci a desiderare questo riposo, e così trovare noi pure il nostro riposo in lui.

Il nostro riposo in Dio.

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17.29. Ora, se desiderassimo somigliare a Dio, in modo da riposarci anche noi dalle nostre opere in noi stessi allo stesso modo ch'egli si riposò dalle sue opere in se stesso, questa somiglianza non sarebbe santa, poiché noi dobbiamo riposarci in un bene immutabile e per noi questo bene è Colui che ci ha fatti. Questo sarà quindi il nostro supremo riposo completamente privo d'orgoglio e veramente santo. Per conseguenza, come Dio si riposò da tutte le sue opere, poiché per lui non le sue opere, ma è lui stesso il suo proprio bene e fonte della propria felicità, così anche noi dobbiamo sperare di trovare in lui solo il nostro riposo da tutte le opere non solo nostre ma anche sue; è questo ciò che dobbiamo desiderare dopo aver compiuto le opere buone che, sebbene si trovino in noi, le riconosciamo come sue anziché nostre. In tal modo si riposerà anche lui, dopo aver compiuto le sue opere buone, quando ci concederà di riposarci in lui in seguito alle opere buone che faremo dopo essere stati giustificati da lui. È un gran dono di Dio l'aver ricevuto l'esistenza da lui, ma sarà un dono più grande l'avere in lui il riposo, allo stesso modo che Dio è felice non perché fece le sue opere, ma perché non avendo bisogno neppure delle opere fatte, si riposò in se stesso anziché in esse. Ecco perché Dio dichiarò sacro non il giorno del suo operare, ma quello del suo riposo, poiché volle farci capire d'esser felice non già per aver fatto quelle opere ma per il fatto di non aver bisogno delle opere da lui compiute.

Conclusione: Dio si riposa sempre in se stesso poiché trova la sua felicità solo in se stesso.


17.30. Che cosa c'è dunque di più semplice e facile a dirsi, ma anche più sublime e più difficile a concepirsi che Dio riposantesi da tutte le opere che aveva compiute? E dove mai Dio si riposa se non in se stesso, poiché è beato solo in se stesso? E quando, se non sempre? Rispetto però ai giorni riguardo ai quali la Scrittura narra il compimento delle cose create da Dio, dalle quali è distinto il racconto del riposo di Dio, quando mai Dio si riposò se non nel settimo, quello successivo al perfetto compimento delle creature? Dio infatti si riposa dopo aver portato a termine la creazione delle creature, ma, per poter essere più felice, non ha bisogno di esse neppure dopo averle compiute.

Perché il riposo di Dio non ha mattino né sera.

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18.31. Per quanto riguarda Dio è bensì vero che il suo riposo non ha né mattina né sera poiché non si apre con un inizio né si conchiude con una fine, ma per quanto riguarda le opere portate a compimento da Dio, il suo riposo ha un mattino ma non una sera, poiché la creatura perfetta ha una specie d'inizio della sua conversione verso il riposo del Creatore, ma essa non ha una fine paragonabile al termine della sua perfezione come l'hanno gli esseri che sono stati creati. Di conseguenza il riposo di Dio non comincia per lo stesso Dio ma per la perfezione delle cose create da lui, cosicché ciò ch'è portato alla perfezione da lui comincia a riposare in lui e ad avere in lui il mattino - poiché per quanto concerne il suo genere è limitato come da una sera - ma considerato in Dio non può aver più sera, per il fatto che non ci sarà nulla di più perfetto di quella perfezione.

Prima spiegazione: la fine del giorno è la sera, cioè la notte, e l'altro inizio è il mattino.


18.32. Nell'interpretare i giorni della creazione noi prendevamo la sera nel senso ch'essa indicasse il limite della natura creata e il mattino seguente come indicante l'inizio di un'altra natura che doveva essere creata. Per conseguenza la sera del quinto giorno è il termine della creazione compiuta il quinto giorno, mentre il mattino susseguente alla sera dello stesso quinto giorno è l'inizio della creazione che doveva essere fatta il sesto giorno; compiuta la creazione di questo giorno venne di seguito la sera che fu per esso una specie di termine. E poiché non era rimasto nient'altro da creare, dopo quella sera venne il mattino affinché fosse non l'inizio della creazione d'un'altra creatura, ma l'inizio del riposo di tutte le creature nel riposo del Creatore. Poiché cielo e terra e tutto ciò che essi contengono, ossia tutto il mondo creato, spirituale e materiale, non sussiste in se stesso ma in Colui del quale la Scrittura dice: In lui viviamo, ci muoviamo e siamo, poiché, sebbene ciascuna parte possa essere nell'intero di cui è parte, tuttavia lo stesso intero è soltanto in Colui dal quale è stato creato. Non è quindi illogico pensare che al termine del sesto giorno successe il mattino alla sera non a significare l'inizio della creazione di un'altra creatura come nei giorni precedenti, bensì ad indicare l'inizio della permanenza e del riposo di tutto ciò ch'è stato creato nel riposo di Colui che l'ha creato. In Dio questo riposo non ha né inizio né fine; nella creatura invece ha un inizio ma non ha un termine. Per la stessa creatura il settimo giorno cominciò quindi con un mattino ma non termina con alcuna sera.

I giorni della creazione e quelli della nostra settimana.


18.33. In effetti, se negli altri (sei) giorni (della creazione) la sera e il mattino indicano l'avvicendarsi dei tempi come quello che si compie nell'attuale durata d'ogni giorno, non vedo che cosa avrebbe impedito che anche il settimo giorno terminasse con una sera, e la notte terminasse con un mattino e di conseguenza la Scrittura - come per gli altri giorni - dicesse: "E fu sera e fu mattino: settimo giorno", dal momento che anch'esso è uno dei giorni - sette in tutto -, la cui ripetizione forma i mesi, gli anni e i secoli. In questa ipotesi il mattino successivo al settimo giorno sarebbe l'inizio dell'ottavo, di cui non sarebbe stato più necessario parlare in seguito, poiché sarebbe stato identico al primo, al quale si torna e dal quale ricomincia la serie dei giorni della settimana. È dunque più probabile che i giorni della nostra settimana, sebbene uguali per nome e numero a quelli della creazione, succedendosi gli uni agli altri, determinino con il loro corso la durata dei tempi, mentre quegli altri primi sei giorni si sarebbero svolti secondo un modo particolare a noi sconosciuto e inusitato durante la creazione stessa degli esseri. In quei primi sei giorni la sera e il mattino, come la luce e le tenebre, ossia il giorno e la notte, non davano origine ai nostri giorni attraverso i giri del sole: ciò siamo certamente costretti ad ammettere, almeno per i tre giorni ricordati e nominati prima della creazione dei luminari del cielo.

Come intendere il riposo di Dio e quello della creatura.


18.34. Per questo motivo, quali che fossero in quei giorni la sera e il mattino, non si deve credere affatto che in quel mattino, successivo alla sera del sesto giorno, cominciasse il riposo di Dio - saremmo, in questo caso, sospettati d'immaginarci in modo sciocco e temerario che un bene temporale potesse sopraggiungere all'Eterno e all'Immutabile - ma si deve credere che il riposo di Dio, con cui si riposa in se stesso ed è felice grazie al bene ch'è lui stesso per se stesso, non ha per lui né principio né fine. Al contrario, il riposo di Dio, in quanto proprio della creazione portata a compimento, ha un inizio, poiché ciascun essere, nei limiti della propria natura, trova la sua perfezione non tanto nell'universo, di cui è parte, quanto piuttosto in Colui dal quale ha l'esistenza e nel quale sussiste lo stesso universo: solo in questo modo può aver riposo, mantenere cioè il grado del proprio peso. Per conseguenza tutto l'universo delle creature, che fu compiuto in sei giorni, ha nella sua natura una condizione diversa da quella che ha nell'ordine od orientamento per cui esso è in Dio, non come lo è Dio, ma tuttavia in modo da non trovare il riposo della propria stabilità se non nel riposo di Dio, il quale all'infuori di se stesso non agogna alcun altro bene per riposarvisi una volta che l'abbia raggiunto. Egli perciò, rimanendo in sé stesso, trae a sé tutto ciò ch'è fatto da lui affinché ogni creatura abbia in sé il limite della propria natura per cui essa non è ciò ch'è lui ma abbia in lui il luogo del proprio riposo, grazie al quale rimane ciò ch'essa è. So che il termine "luogo", da me usato, è improprio poiché in senso proprio è usato per lo spazio occupato dai corpi. Ma, poiché anche gli stessi corpi non restano fermi se non nel luogo in cui arrivano come spinti dal desiderio ch'è una specie di peso e, una volta trovatolo, sono in riposo, non è illegittimo usare questo termine trasportandolo dal senso concreto a quello spirituale, e parlare di luogo in questo senso, benché si tratti d'una cosa assai diversa.

Perché al mattino del settimo giorno non segue la sera.


18.35. A mio parere, dunque, l'inizio del riposo nel Creatore goduto dalla creazione è significato nel mattino che venne dopo la sera del sesto giorno, poiché non avrebbe potuto riposarsi in lui se non dopo essere stata compiuta. Ecco perché, dopo che nel sesto giorno era stata compiuta la creazione di tutti gli esseri, alla sera successe il mattino a indicare il momento in cui la creazione finalmente terminata cominciò a riposarsi in Colui dal quale era stata creata. In questo inizio essa trovò Dio riposante in se stesso e in lui trovò ove poter riposarsi anch'essa in modo tanto più stabile e sicuro quanto più aveva essa bisogno di lui per riposarsi, e non lui di essa per il proprio riposo. Ma poiché tutto il mondo creato, nonostante ciò che potrà divenire a causa dei suoi mutamenti, di qualunque genere essi saranno, non cesserà di esistere e perciò rimarrà sempre nel suo Creatore, per conseguenza a quel mattino non seguì alcuna sera.


18.36. Ciò abbiamo esposto al fine di spiegare perché il settimo giorno, in cui Dio si riposò da tutte le sue opere, ebbe il mattino dopo la sera del sesto ma non ebbe la sera.

Perché il settimo giorno non ebbe la sera: seconda spiegazione.


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