Agostino - Genesi 806

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6.17. A che cosa è riferita e che cosa vuole indicare la frase che segue: Poiché Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era l'uomo che la coltivasse 15? È difficile indagarlo. Si potrebbe pensare che Dio creò l'erba dei campi prima che germinasse, poiché ancora non aveva fatto piovere sulla terra; se infatti avesse creato l'erba dopo la pioggia, sarebbe potuto sembrare che fosse germinata a causa della pioggia piuttosto che creata da Dio. Ma che significa ciò? L'erba che spunta dopo la pioggia è forse creata da un altro e non da Dio? Ma come mai non c'era l'uomo che coltivasse la terra? Non aveva forse Dio creato già l'uomo il sesto giorno e non si era forse riposato da tutte le sue opere il settimo giorno? Oppure la Scrittura ricorda questi fatti riprendendo il racconto da principio poiché, quando Dio creò ogni specie di piante selvatiche e ogni specie di piante coltivate, non aveva ancora fatto piovere sulla terra e l'uomo non esisteva ancora? In realtà Dio creò i vegetali nel terzo giorno, l'uomo invece nel sesto. Ma quando Dio fece ogni specie di piante silvestri e ogni specie di piante coltivate prima che germogliassero sulla terra, non solo non esisteva l'uomo che coltivasse la terra, ma sulla terra non c'era neppure l'erba che, secondo l'affermazione della Scrittura, fu creata prima che germogliasse. Creò forse Dio la vegetazione il terzo giorno poiché non c'era ancora l'uomo che la facesse nascere lavorando la terra? Come se tanti alberi e tante specie d'erbe non nascessero sulla terra senza alcun lavoro dell'uomo!

Pioggia e lavoro dell'uomo riguardo alle piante.


6.18. È forse questo il motivo per cui la Scrittura ha esposto i due fatti, che cioè ancora non era piovuto sulla terra e che non c'era ancora l'uomo che la coltivasse? Poiché, anche dove non c'è il lavoro dell'uomo, questi vegetali nascono a causa della pioggia. Ce ne sono però alcuni che anche mediante la pioggia non nascono se non in seguito al lavoro dell'uomo. Ecco perché adesso è necessario il concorso dell'una e dell'altro affinché nascano tutte le piante, mentre allora non c'era né l'una né l'altro e per questo Dio le creò con la potenza del suo Verbo senza bisogno della pioggia e del lavoro dell'uomo. Anche adesso infatti è lui che crea ma ormai con il concorso della pioggia e del lavoro dell'uomo, quantunque non sia nulla né chi pianta né chi irriga, ma è Dio che fa crescere.

La sorgente irrigante la terra, la pioggia e la creazione dei vegetali.


6.19. Che vuol dire dunque ciò che la Scrittura soggiunge: Ma una sorgente zampillava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra ? Quella sorgente che sgorgava con tanta abbondanza sarebbe potuta essere simile a una pioggia per tutta la terra, allo stesso modo che il Nilo lo è per l'Egitto. Perché dunque la Scrittura mette in risalto come importante il fatto che Dio creò quei vegetali prima che piovesse, dal momento che la pioggia sarebbe potuta riuscire utile nella stessa misura della sorgente che irrigava tutta la terra? Ma anche se la sorgente fosse stata un po' meno utile, sarebbero forse nate meno piante, ma non si può dire tuttavia che non ne sarebbero nate affatto. Forse che anche su questo punto la Scrittura, secondo il suo solito parlare con il linguaggio - per così dire - dei deboli, ma adatto ai deboli, inculca qualche insegnamento che può essere capito dai forti? Certamente: con il "giorno", ricordato poco prima, la sacra Scrittura ha voluto indicare l'unico "giorno" creato da Dio e che Dio fece il cielo e la terra allorquando fu creato il "giorno", perché, nei limiti della nostra capacità, comprendessimo che Dio creò tutto in una sola volta, sebbene la precedente enumerazione dei sei giorni sembrasse indicare degli intervalli di tempo; allo stesso modo la sacra Scrittura, dopo aver detto che Dio insieme col cielo e la terra creò ogni specie di piante selvatiche prima che fosse sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che spuntassero, aggiunge: Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra e non c'era ancora l'uomo che la coltivasse, come se dicesse: "Dio (all'inizio) non creò quei vegetali come li crea attualmente quando fa piovere e quando l'uomo lavora". Essi in realtà si sviluppano attraverso spazi di tempo che non esistevano allorché Dio creò nello stesso tempo tutte le cose, con cui cominciarono anche i tempi.

Tutti i germi primordiali sono umidi e crescono con l'umidità.

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7.20. Quanto dunque alla frase che segue: Una sorgente poi sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra, essa ci fa capire - a mio parere - quali esseri vengono creati da quel momento a intervalli di tempo dopo la creazione primordiale, in cui furono create tutte le cose nello stesso tempo. Inoltre la sacra Scrittura giustamente - a mio giudizio -comincia la narrazione dall'elemento d'onde nascono tutte le specie sia degli animali che delle erbe e degli alberi perché sviluppino le loro potenzialità differenti e proprie della natura d'ogni essere. Poiché tutti i semi primordiali, sia quelli dai quali deriva ogni carne, sia quelli dai quali nascono tutti i vegetali, sono umidi e crescono in virtù dell'umidità. In essi ci sono inoltre energie di straordinaria efficacia che portano con sé, derivanti dalle opere compiute da Dio e dalle quali egli si riposò il settimo giorno.

Qual era la "sorgente" di Gen 2, 6?.


7.21. Possiamo tuttavia domandarci a buon diritto che cosa dobbiamo immaginarci che fosse questa sorgente capace d'irrigare la superficie di tutta la terra. Se infatti essa esisteva e fu poi ostruita o s'inaridì, dobbiamo cercarne la causa, poiché adesso noi vediamo che non c'è alcuna sorgente con cui possa irrigarsi tutta la superficie della terra. Fu dunque forse il peccato del genere umano a meritare anche questo castigo, per cui quella sorgente così abbondante sarebbe stata ridotta in modo da togliere dalla terra la produttività ottenuta senza alcuno sforzo e così aumentare la fatica degli agricoltori. Sebbene non la si trovi accennata in nessun passo della Scrittura, si potrebbe fare una simile supposizione umana, se non vi si opponesse il fatto che il peccato dell'uomo, al quale fu imposto il castigo del lavoro faticoso, fu commesso dopo che l'uomo aveva goduto le delizie del paradiso (terrestre). Il paradiso inoltre aveva una sorgente sovrabbondante - di cui si dovrà parlare più accuratamente in seguito a suo luogo - sorgente unica per la sua origine, dalla quale, secondo quanto narra la Scrittura, sgorgavano i quattro fiumi noti a tutti gli uomini. Dov'era dunque questa sorgente e dov'erano questi fiumi, dal momento che quell'unica sorgente traboccante sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra? Poiché non era di certo allora il Ghion - ora chiamato Nilo --, uno dei quattro fiumi, a irrigare l'Egitto quando quella sorgente sgorgava dalla terra e innaffiava largamente non solo l'Egitto ma l'intera superficie della terra.

Seconda ipotesi della spiegazione.


7.22. Dovremo forse credere che Dio volle da principio irrigare tutta la terra con le acque di un'unica enorme sorgente, affinché gli esseri, che aveva creati potenzialmente nella terra, nascessero da quel momento con il concorso delle acque anche nel volgere dei tempi in un numero diverso di giorni secondo la diversità della loro specie? Diremo forse che in seguito, dopo aver piantato il paradiso, ostruì la sorgente e con molte altre sorgenti riempì d'acqua la terra come la vediamo adesso? Diremo invece forse che dall'unica sorgente del paradiso fece scaturire quattro grandi fiumi distinti in modo che non solo la restante terra - piena di differenti specie delle sue creature le quali compiono il loro sviluppo nel tempo con ritmi appropriati a ciascuna specie - avesse anche le proprie sorgenti e i propri fiumi, ma che il paradiso, piantato in un luogo particolare, facesse sgorgare quei quattro fiumi da quella sorgente primordiale? Oppure si dovrà pensare che Dio con quell'unica sorgente del paradiso, che prima sgorgava più abbondante, irrigò tutta la terra e la fecondò perché, nel corso dei tempi, producesse le specie che vi aveva create senza intervalli di tempi e in seguito ridusse lì l'impetuosa ed enorme scaturigine delle acque in modo che ormai per tutta la terra si spandessero sorgenti e fiumi da diverse origini e in seguito, nel territorio di quella sorgente -che ormai non irrigava più tutta la terra ma faceva scaturire solo i quattro ben noti fiumi -piantò il paradiso per collocarvi l'uomo da lui creato?

Entro quali limiti si può congetturare su ciò che la Scrittura tace.

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8.23. La Scrittura non c'informa appieno in che modo, dopo la primordiale creazione degli esseri, trascorsero i tempi e, in seguito, furono governati gli esseri fatti nella creazione primordiale e portati a compimento il sesto giorno. La Scrittura invece ci dice solo - nella misura giudicata opportuna e sufficiente dallo Spirito che ispirava lo scrittore sacro - le notizie che potevano essere utili non solo alla conoscenza delle cose già create, ma anche alla prefigurazione di quelle future. Noi perciò, nella nostra ignoranza, possiamo solo congetturare i possibili eventi che l'autore sacro, pur non ignorandoli, tralasciò di narrare. Noi ci sforzeremo, nei limiti della nostra capacità e con l'aiuto (di Dio), di non dar motivo a pensare che nelle Sacre Scritture vi sia qualche assurdità o contraddizione che urti il sentimento del lettore che, reputando impossibili certi fatti narrati dalla Scrittura, s'allontani dalla fede o non vi si accosti.

Difficoltà riguardo alla "sorgente" di Gn 2, 6.

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9.24. Quando perciò, a proposito di questa sorgente, ci domandiamo come mai ciò che dice la Scrittura: Sgorgava dalla terra e ne irrigava tutta la superficie 20 può sembrare non impossibile, se le ipotesi relative da noi avanzate parranno a qualcuno incapaci (di risolvere il quesito), cerchi da se stesso un'altra spiegazione, purché sia messa in evidenza la veridicità della Scrittura che è senza dubbio verace anche se ciò non è del tutto chiaro. Se infatti vorrà addurre prove per dimostrare che la Scrittura è falsa, o non potrà dir nulla di vero riguardo alla creazione e al governo delle creature oppure, se dirà cose vere, la riterrà falsa poiché non la comprende. Così accadrebbe, se uno sostenesse che tutta la superficie della terra non si sarebbe potuta irrigare con una sola sorgente, per quanto si voglia abbondante, poiché, se non irrigava anche i monti, non sarebbe stata più un'erogazione di fecondità ma l'inondazione di un diluvio: se infatti allora la terra si fosse trovata in questo stato, tutto sarebbe stato mare e la terraferma non sarebbe ancora stata distinta dalle acque.

In che senso intendere quella sorgente.

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10.25. A questo tale si risponde che ciò potrebbe verificarsi in certi periodi di tempo come fa il Nilo che in determinati periodi dell'anno straripa inondando le pianure dell'Egitto e in altri rientra nel suo alveo. Se invece si pensa che il Nilo cresce ogni anno a causa delle acque e delle nevi invernali non so di qual parte ignota e lontana del mondo, che cosa potrebbe dirsi delle alterne maree dell'Oceano, che cosa di certi litorali che sono di volta in volta scoperti per largo tratto e ricoperti poi dalle acque? Per non parlare di quanto si narra della straordinaria intermittenza di certe sorgenti, che in determinati periodi dell'anno traboccano tanto da inondare tutta la regione in cui si trovano, mentre in altri periodi somministrano a mala pena acqua potabile sufficiente (attinta) dai pozzi più profondi? Perché dunque sarebbe incredibile che da una sola sorgente dell'abisso con l'alternanza di flusso e di riflusso fu irrigata allora tutta la terra? Ma forse è proprio questo immenso abisso che la Scrittura ha voluto chiamare "sorgente" e non "sorgenti" a causa dell'unica natura delle acque; non si tratta della massa d'acque chiamata mare, la quale con la sua enorme estensione visibile a tutti e con le sue acque salate lambisce le terre emerse, ma solo di quella contenuta nelle cavità nascoste della terra, dalle quali si diramano le sorgenti e i fiumi attraverso lunghi canaletti e vene e scaturiscono in differenti luoghi. Questa sorgente secondo la Scrittura scaturiva dalla terra attraverso innumerevoli fessure di caverne e di crepacci e irrigava tutta la superficie della terra spargendosi - per così dire - capillarmente, non formando però una superficie continua come quella del mare o di uno stagno, bensì allo stesso modo che vediamo scorrere le acque nel letto dei fiumi o nei meandri dei ruscelli e bagnare le terre vicine con il loro straripare. Chi non accoglierebbe questa congettura se non chi è pervaso da spirito litigioso? L'espressione della Scrittura infatti, secondo cui tutta la superficie della terra era bagnata, si può intendere anche nello stesso senso in cui si può dire che tutta la superficie di un vestito ha un dato colore anche se non ha una tinta unita ma ha quel colore qua e là; e ciò soprattutto perché, essendo allora la terra appena creata, si può pensare che almeno la maggior parte - se non tutta - era pianeggiante e per conseguenza i corsi d'acqua, che ne sgorgavano, potevano dividersi e spargersi più largamente.

Conclusione delle considerazioni sulla "sorgente" di Gen 2, 6.


10.26. Per spiegare quindi l'estensione o l'abbondanza di questa sorgente possiamo avanzare varie ipotesi. O essa aveva una sola scaturigine in qualche parte della terra oppure la Scrittura parla di un'unica sorgente - che sgorgava dalla terra e con tutte le sue diramazioni si spargeva ed irrigava tutta la superficie della terra - per indicare un'unica massa d'acqua contenuta nelle occulte cavità della terra, dalle quali sgorga l'acqua di tutte le sorgenti grandi e piccole. Oppure, poiché la Scrittura non dice: "una sola sorgente scaturiva dalla terra", ma dice: Una sorgente scaturiva dalla terra 21, possiamo anche pensare, come ipotesi più probabile, che la Scrittura usi il singolare per il plurale per farci intendere in questo modo che c'erano molte sorgenti sparse su tutta la terra e irrigavano le loro proprie località e regioni, allo stesso modo che noi diciamo: "il soldato" per indicarne molti, come la Scrittura dice "la locusta" e "la rana" a proposito delle piaghe 22 con cui furono colpiti gli Egiziani, pur essendo sterminato il numero delle locuste e delle rane. Ma non dobbiamo affaticarci più oltre su questo problema.

Creazione del tempo e fuori del tempo.

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11.27. Noi invece dobbiamo considerare assai bene se possiamo ritenere del tutto sicura l'opinione in base alla quale affermavamo che diversa fu l'azione di Dio quando fece le creature nella creazione primordiale, dalle quali si riposò il settimo giorno, e diversa è quella con cui le governa e per cui continua a operare tutt'ora. Allora Dio agì creando tutti gli esseri simultaneamente, senza intervalli di tempo, ora invece, seguendo gli intervalli di tempo per i quali vediamo gli astri muoversi da levante ad occidente, le condizioni atmosferiche mutare dall'estate all'inverno, i semi germogliare, crescere, verdeggiare, disseccare in determinati periodi di giorni, allo stesso modo che anche gli animali son concepiti, sono formati, nascono nei limiti e periodi di tempo stabiliti, e percorrendo le varie età giungono alla vecchiaia e alla morte, e così tutti gli altri esseri temporali. Orbene, chi è che produce tutti questi cambiamenti se non Dio senza alcuno di simili movimenti da parte sua? Egli infatti non è soggetto al tempo. Di conseguenza, tra le opere, da cui Dio si riposò il settimo giorno, e quelle che continua a fare tutt'ora, la Scrittura, inserendo un inciso nel suo racconto, vuol mostrare d'aver terminato d'esporre le prime e comincia a descrivere le seconde. Ecco come la Scrittura mostra di avere esposto le prime: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra; quando fu fatto il giorno Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima ch'esse fossero sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che germogliassero. Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra e non c'era ancora l'uomo che la coltivasse. Ecco invece come comincia la descrizione delle seconde opere: Ora una sorgente sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra. Dalla menzione di quella sorgente e di poi, per tutto il racconto che segue, le cose ivi narrate sono fatte nel corso dei tempi, non tutte insieme.

Tre modi di considerare la creazione.

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12.28. Triplice è dunque il modo di essere delle creature: il primo è quello per cui sono nel Verbo di Dio le ragioni immutabili di tutte le creature, il secondo è quello delle opere fatte da lui e dalle quali si riposò il settimo giorno, il terzo è quello delle opere che continua a compiere tutt'ora dopo di quelle. Di questi tre modi di essere quello che ho ricordato per ultimo ci è noto in qualche maniera tramite i sensi del corpo e la nostra comune esperienza. I primi due invece non sono accessibili né ai nostri sensi né all'umana facoltà di pensare e perciò devono credersi anzitutto sull'autorità di Dio e poi conoscersi in qualche modo attraverso le realtà che ci sono note, secondo la maggiore o minore capacità di ciascun individuo sostenuto dall'aiuto di Dio affinché ci riesca.

Nella sapienza di Dio.

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13.29. La Sapienza di Dio, per mezzo della quale sono state create tutte le cose, conosceva queste cose prima che fossero create. I divini archetipi immutabili ed eterni sono attestati dalla sacra Scrittura che dice: In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio in Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui e nulla è stato fatto senza di lui. Chi sarà dunque tanto insensato da affermare che Dio ha fatto delle cose senza conoscerle? Ora, se le conosceva, come le conosceva se non in se stesso nel quale era il Verbo, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose? Poiché, se le conosceva fuori di sé, chi gliele aveva insegnate? Chi mai infatti ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi è mai stato suo consigliere? Chi mai gli ha dato qualcosa per primo e gli sarà dato il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui e in lui sono tutte le cose.

Tutto è stato creato mediante il Verbo, luce delle anime.


13.30. D'altronde anche le parole che seguono nel Vangelo (di Giovanni) confermano assai chiaramente questa narrazione. Infatti l'Evangelista soggiunge: Ciò che è stato fatto è vita in lui e la vita era la luce degli uomini, poiché certamente le anime razionali, nella cui specie è incluso l'uomo fatto ad immagine di Dio, non hanno altra vera luce propria se non lo stesso Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa e della cui vita esse potranno divenire partecipi dopo che saranno purificate da ogni peccato ed errore.

In qual senso tutte le cose sono vita del Verbo.

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14.31. (La frase di Giovanni) perciò non dev'essere letta così: Ciò che è stato fatto in lui, è vita, separando con una virgola ciò che è stato fatto in lui e aggiungendo poi è vita. Non c'è nulla infatti che non sia stato fatto in lui, dal momento che la Scrittura, dopo aver enumerato molte creature, anche quelle della terra, dice in un Salmo: Hai fatto ogni cosa nella Sapienza, e l'Apostolo afferma: Poiché in lui sono state create tutte le cose nel cielo e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili. Ne verrà di conseguenza che, se punteggeremo il testo in quel modo, anche la stessa terra e tutto ciò ch'essa racchiude sono vita (in lui). Ma se è assurdo dire che tutte quelle cose vivono, quanto più assurdo è dire che sono vita? E ciò soprattutto per il fatto che l'Evangelista determina con precisione di quale specie di vita parli quando soggiunge: e la vita era la luce degli uomini. Dobbiamo quindi separare la frase mettendo una virgola dopo le parole: Ciò che è stato fatto aggiungendo poi (l'inciso) è vita in lui, cioè non è vita in se stesso, vale a dire nella propria natura per cui è avvenuto che esso sia creazione e creatura, ma è vita nel Verbo, poiché tutte le cose che sono state fatte per mezzo di lui le conosceva prima che esistessero. Per conseguenza tutte le cose erano in lui non come creature fatte da lui ma come la vita e la luce degli uomini che non è se non la stessa Sapienza e lo stesso Verbo, cioè l'unigenito Figlio di Dio. Le creature sono dunque vita in Lui nello stesso senso che la Scrittura dice: Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio d'avere la vita in se stesso.

"Vita" delle anime razionali è la luce del Verbo.


14.32. Non si deve inoltre tralasciare neppure il fatto che i manoscritti più corretti hanno: Ciò, che è stato fatto, era vita in lui, di modo che era vita s'intende nel medesimo senso della frase: In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio e il Verbo era Dio. Perciò, ciò che è stato fatto, era già vita in lui, e non una vita qualsiasi - poiché anche delle bestie si dice che vivono, ma non possono godere d'essere partecipi della sapienza - ma la vita che era luce degli uomini. Infatti le anime razionali, una volta purificate dalla sua grazia, possono giungere alla visione di quella luce, di cui non c'è nulla di più eccellente e felice.

In che modo tutte le cose create erano conosciute dal Creatore.

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15.33. Ma anche se leggiamo e comprendiamo il passo (di Giovanni così): Ciò, che è stato fatto, è vita in lui, resta il senso che ciò che per mezzo di lui è stato fatto è vita in lui, la vita per cui Egli vide tutte le cose quando le fece e come le vide così le fece, vedendole non al di fuori di se stesso, ma in se stesso enumerò tutte le cose fatte da lui. La visione che ha lui non è diversa da quella che ha il Padre ma è un'unica visione, come unica è la loro sostanza. Infatti anche nel libro di Giobbe si parla così della Sapienza, per mezzo della quale tutte le cose furono fatte: Ma dove si trova la Sapienza? E dov'è il luogo dell'Intelligenza? Il mortale ne ignora la via ed essa non si trova tra gli uomini. (L'autore sacro dice ancora) poco dopo: Abbiamo sentito parlare della sua gloria. Il Signore (solo) ne fa conoscere la via ed Egli (solo) sa dov'essa si trovi. Egli infatti vede perfettamente tutto ciò che è sotto il cielo e conosce ciò ch'esiste sulla terra, tutto ciò che Egli ha fatto; quando fece il peso dei venti e regolò le acque con misura, e come le vide così le enumerò. Con questi ed altri simili testi si dimostra che tutte le cose, prima d'essere fatte, erano nella conoscenza del Creatore e certamente in un modo superiore lì ove sono nella loro (piena) verità, eternità ed immutabilità. Sebbene debba esser sufficiente a ciascuno conoscere o credere senza esitazione che Dio ha fatto tutte queste cose, tuttavia non penso che ci sia qualcuno tanto stolto da credere che Dio abbia fatto cose che non conosceva. Inoltre, se le conosceva prima di farle, prima d'esser fatte erano certamente in lui, nel modo d'essere con cui vivono e sono vita (in lui) eternamente ed immutabilmente; tuttavia, in quanto cose create, esse hanno la loro esistenza come ogni altra creatura nella sua propria natura.

Con la mente percepiamo più facilmente Dio che le creature.

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16.34. La natura eterna e immutabile di Dio ha l'essere in se stesso come (da lui) fu detto a Mosè: Io sono colui che sono; egli cioè ha l'essere in un modo di gran lunga diverso da quello degli altri esseri che sono stati fatti, poiché esiste veramente e originariamente ciò che esiste sempre allo stesso modo e non solo non muta, ma non può mutare affatto, mentre nulla di ciò, ch'egli fece, esiste come lui e ha originariamente tutte le cose allo stesso modo che è lui. Poiché Dio non potrebbe fare gli altri esseri se, prima di farli, non li conoscesse; e non li conoscerebbe, se non li vedesse, e non li vedrebbe se non li avesse (in sé), e non avrebbe le cose ancora non fatte se non nel modo in cui è lui stesso che non è stato fatto. Sebbene - dico - la sostanza-natura di Dio non possa esprimersi con termini umani e non possa spiegarsi in un modo o in un altro senza ricorrere a espressioni relative allo spazio e al tempo, mentre essa esiste prima di tutti i tempi e fuori da tutti gli spazi, tuttavia è più vicino a noi, lui il Creatore, che non le molteplici cose fatte da lui. In lui infatti noi abbiamo la vita, il movimento e l'essere; la maggior parte di quelle cose, al contrario, sono lontane dal nostro spirito poiché, essendo materiali, hanno una natura diversa e il nostro spirito non è capace di vederle in Dio considerate nelle ragioni causali secondo le quali sono state fatte e perciò non possiamo conoscerne la quantità, la grandezza, la qualità pur non vedendole con i sensi del corpo. Quelle cose infatti sfuggono ai nostri sensi poiché ci sono inaccessibili o sono separate dalla nostra vista e dal nostro tatto ostacolati da altri esseri interposti od opposti. Per conseguenza occorre uno sforzo maggiore per scoprire le cose che non il loro Creatore. È infatti una felicità incomparabilmente superiore conoscere Dio con spirito religioso anche in minima parte che comprendere l'universo nella sua totalità. Ecco perché a ragione nel libro della Sapienza sono rimproverati coloro che indagano questo mondo: Se infatti - dice -furono capaci di sapere tanto da potere scrutare il mondo, come mai non trovarono più facilmente il suo Signore? Poiché le fondamenta della terra sono fuori del nostro campo visivo, ma chi l'ha fondata è vicino al nostro spirito.

Un altro modo di considerare la creazione.

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17.35. Consideriamo ormai le cose fatte da Dio tutte insieme e portate a termine il sesto giorno, dalle quali si riposò il settimo giorno; le sue opere, riguardo alle quali egli agisce fino al presente, saranno da noi considerate in seguito. Egli infatti è prima del tempo: diciamo invece che sono all'origine del tempo le cose che sono da quando cominciò il tempo, come il mondo, mentre diciamo esistenti nel tempo quelle che nascono nel mondo. La Scrittura dunque, dopo aver detto: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui non è stato fatto nulla, poco dopo soggiunge: Egli era in questo mondo, e il mondo è stato fatto per mezzo di lui. Di quest'opera di Dio la Scrittura in un altro passo dice che Dio aveva fatto il mondo a partire da una materia informe. Questo mondo - come abbiamo già ricordato - la Scrittura lo denota generalmente con il nome di "cielo e terra" e dice che è stato creato da Dio quando fu creato il "giorno". Spiegando quel passo ci siamo sforzati - nei limiti delle nostre possibilità -di mostrare che le due affermazioni della Scrittura riguardo alla creazione del mondo possono essere messe d'accordo, nel senso cioè ch'esso non solo fu portato a termine in sei giorni con tutte le cose che contiene, ma altresì che fu creato il "giorno"; in tal modo il racconto della creazione risulta d'accordo con l'affermazione della Scrittura che (Dio) fece ogni cosa simultaneamente.

Nella simultaneità dell'atto creativo: La duplice conoscenza angelica.

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18.36. In questo universo creato da Dio sono molte cose che non conosciamo, sia perché troppo alte nel cielo per poter essere raggiunte dai nostri sensi, sia perché site in regioni della terra forse inabitabili, sia perché nascoste sotto la terra nelle profondità abissali del mare e nelle oscure cavità della terra. Queste cose dunque non esistevano certo prima d'essere fatte. In qual modo, allora, erano note a Dio se non esistevano? D'altronde, in che modo avrebbe fatto cose che gli erano ignote? In realtà Dio non ha fatto nulla che gli fosse ignoto. Dio pertanto ha fatto le cose che già conosceva, non le ha conosciute dopo averle fatte. Di conseguenza prima che fossero fatte, esse erano e non erano; erano nella conoscenza di Dio, ma non erano nella natura loro propria. Ecco perché fu creato il "giorno", al quale potessero farsi conoscere in entrambi i loro modi di essere: in Dio e in se stesse; in Dio mediante una conoscenza - diciamo così - mattutina o diurna, in se stesse mediante una specie di conoscenza vespertina. Quanto a Dio non m'arrischio di dire che egli le conoscesse, dopo averle fatte, in un modo diverso da quello in cui le conobbe per farle, poiché in lui non c'è variazione né ombra di mutamento.

Gli angeli sono messaggeri di Dio, esecutori dei suoi ordini.

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19.37. Per conoscere le cose del mondo di quaggiù Dio non ha certo bisogno di messaggeri come se egli potesse aumentare la sua conoscenza mediante il loro servizio. Egli invece conosce tutte le cose in un modo trascendente e meraviglioso mediante una conoscenza stabile e immutabile. Se Dio ha dei messaggeri, ciò è per il bene nostro e di loro stessi, poiché ubbidire in questo modo a Dio e servirlo per consultarlo circa le cose di quaggiù e sostanza. I messaggeri poi, con termine greco sono chiamati:, termine con cui è denotata l'intera Città celeste, che a nostro parere è il primo "giorno" creato.

Agli angeli fu rivelato il mistero del regno dei cieli dall'origine del tempo.


19.38. Agli angeli non fu nascosto neppure il mistero del regno dei cieli, rivelato nel tempo opportuno per la nostra salvezza, quello cioè per cui, una volta liberati dal nostro terreno pellegrinaggio, ci uniremo alla loro schiera. Che non lo ignorassero risulta dal fatto che la discendenza, che venne al tempo opportuno, fu disposta per mezzo degli angeli nelle mani di un mediatore, cioè mediante il potere di Colui che è il loro Signore sia nella sua natura divina sia in quella di servo. L'Apostolo afferma ugualmente: A me, il minimo tra tutti i santi, è stata data questa grazia, d'annunciare ai pagani le insondabili ricchezze di Cristo e rivelare quale sia il piano provvidenziale del mistero nascosto dall'eternità nella mente di Dio, creatore dell'universo, affinché sia manifestato ai Principati e alle Potestà nei cieli mediante la Chiesa della multiforme sapienza di Dio, formata da lui in Cristo Gesù nostro Signore secondo il suo disegno eterno. Questo mistero dunque è rimasto nascosto dall'eternità in Dio in modo però che per mezzo della Chiesa della multiforme sapienza di Dio fosse manifestata ai Principati nel cielo. La Chiesa infatti esiste originariamente là dove, dopo la risurrezione, dev'essere riunita anche la Chiesa di quaggiù, affinché noi siamo simili agli angeli di Dio. Ad essi perciò questo mistero era noto fin dall'origine dei secoli, poiché nessuna creatura esiste prima dei secoli ma la creazione esiste dall'origine dei secoli in poi. I secoli stessi hanno cominciato ad esistere a partire dalla creazione e questa esiste dai secoli in poi poiché il suo inizio è l'inizio dei secoli. L'unigenito Figlio di Dio, al contrario, esiste prima dei secoli poiché questi sono stati fatti per mezzo di lui. Ecco perché, parlando come la Sapienza identificata con se stesso come la (seconda) Persona (della Trinità) egli dice: Dio mi ha stabilita prima dei secoli, affinché (per mezzo della Sapienza) facesse tutte le cose Colui al quale è stato detto: Tutte le cose tu hai fatto per mezzo della Sapienza.


19.39. Tuttavia il mistero nascosto non è noto solo in Dio ma si manifesta loro anche sulla terra quando esso si compie e (così) si svela; ciò è attestato dal medesimo Apostolo che dice così: E senza dubbio grande è il mistero della bontà di Dio, che si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, fu visto dagli angeli, fu annunciato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria. Inoltre, se non mi sbaglio, sarebbe strano, se tutto quanto la Scrittura afferma essere conosciuto da Dio come in un presente temporale, non lo affermasse nel senso che Dio lo fa conoscere non solo dagli angeli ma anche dagli uomini. Questo modo di esprimersi con cui l'effetto è indicato da chi lo effettua è frequente nelle Sante Scritture, soprattutto quando si attribuisce a Dio qualcosa che, preso in senso letterale, non gli si confà, come proclama il sentimento della verità che presiede alla nostra mente.


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