Agostino - Genesi 1026

Se l'anima si unì al corpo di propria volontà, non prevedeva il futuro.

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26.37. Se le cose stanno così, potremo ammettere altresì che l'anima non fu originariamente creata in uno stato tale da avere la prescienza delle proprie azioni futuribili o buone o cattive. Poiché non è affatto credibile che l'anima potesse avere la tendenza a vivere di propria volontà in un corpo, se avesse preveduto che avrebbe commesso certi peccati per cui sarebbe stata punita giustamente con un castigo eterno. È di certo giusto lodare in tutte le cose il Creatore che ha fatto assai buone tutte le cose. Egli poi non dev'essere lodato solo per gli esseri ai quali ha dato la prescienza, dal momento che viene lodato anche per aver creato le bestie, alle quali è superiore la natura umana anche con i peccatori che si trovano in casa. È infatti la natura umana che deriva da Dio e non l'iniquità nella quale l'uomo s'impaccia da se stesso abusando del libero arbitrio, ma se l'uomo non avesse il libero arbitrio, avrebbe anche minore eccellenza nell'universo. Poiché dobbiamo immaginare una persona che vive santamente anche se priva della prescienza del futuro e in siffatta condizione bisogna osservare come - per l'eccellenza della buona volontà - non venga impedita di vivere rettamente e piacere a Dio, per il fatto che, pur ignorando il futuro, egli vive in virtù della fede. Chi dunque negasse l'esistenza d'una creatura di tale specie tra gli esseri del mondo, si opporrebbe alla bontà di Dio. Chi poi nega che una tale creatura subisce delle pene in castigo dei peccati, è nemico della giustizia di lui.

L'anima viene nel corpo per desiderio naturale.

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27.38. Ma se l'anima viene creata per esser mandata nel corpo, possiamo domandarci se vi sia costretta contro la sua volontà. È però preferibile supporre ch'essa abbia questa volontà per sua natura, cioè che la natura in cui viene creata è tale ch'essa lo vuole, come per noi è naturale il desiderio di vivere; vivere male, al contrario, non appartiene di certo alla natura come una sua proprietà, ma alla volontà perversa, meritevole giustamente di castigo.

L'anima è stata creata con una materia spirituale.


27.39. È dunque inutile chiedersi con quale - diciamo così - quasi-materia è stata fatta l'anima, se possiamo supporre con ragione ch'essa fu creata tra le opere primordiali di Dio, quando fu creato il "giorno" poiché, allo stesso modo che furono creati gli esseri che non esistevano, così fu creata anche l'anima insieme con quelli. Ma se c'era anche una materia formabile, non solo corporale ma altresì spirituale che, rispetto alla sua formazione, avesse una priorità non di tempo ma di origine, come la voce ha priorità rispetto al canto -anch'essa, tuttavia, creata solo da Dio, dal quale ha l'essere ogni cosa - che cosa è più logico supporre se non che l'anima è stata creata mediante una materia spirituale?

Seconda ipotesi: l'anima creata contemporaneamente al corpo.

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28.40. Se uno invece non vuole ammettere che l'anima fu creata solo quando fu infusa nel corpo già formato, veda che cosa può rispondere a chi gli chiede da che cosa fu tratta. Potrà rispondere che Dio fece o fa qualcosa dopo aver portato a termine tutte le opere della creazione; in questo caso deve riflettere come spiegare che l'uomo fu creato il sesto giorno a immagine di Dio - e ciò non può intendersi nel giusto senso se non rispetto all'anima - ossia deve dire in quale sostanza fu creata la ragione causale dell'anima che ancora non esisteva. Oppure risponderà che l'anima fu creata non dal nulla ma da qualcosa già esistente; ma in questo caso incontrerà difficoltà nel cercare quale fosse quella sostanza, se fisica o spirituale e rispondere ai quesiti da me considerati più sopra. Resterà sempre, inoltre, la difficoltà d'indagare ancora in quale sostanza degli esseri, creati originariamente nei sei giorni, Dio fece la ragione casuale dell'anima, che ancora non aveva creata dal nulla o tratta da qualche cosa.

Difficoltà scritturistiche riguardo all'origine e alla creazione dell'anima.


28.41. Se (l'eventuale oppositore) vorrà evitare questa difficoltà dicendo che nel sesto giorno fu anche fatto l'uomo col fango, ma che la Scrittura ricorda ciò in seguito solo per ricapitolare (le opere di Dio), deve considerare che cosa rispondere a proposito della donna, poiché la si dice: Dio li creò maschio e femmina e li benedisse 20. Se infatti risponderà che la donna fu creata venendo tratta da una costola dell'uomo, deve tener presente come potrà affermare che nel sesto giorno furono creati gli uccelli, i quali furono condotti ad Adamo, dal momento che la Scrittura insegna che ogni specie di uccelli fu creata il quinto giorno venendo tratta dalle acque; deve parimenti spiegare come al sesto giorno furono create anche le piante nel paradiso, mentre la Scrittura assegna la creazione di quelle piante al terzo giorno. Deve inoltre considerare che cosa vogliono dire le parole della Scrittura: Il Signore fece germogliare dal suolo ogni sorta d'alberi graditi alla vista e buoni da mangiare 21, come se quelli che aveva fatto germogliare dal suolo il terzo giorno non fossero graditi alla vista e buoni per mangiare, pur essendo tra le opere che fece Dio, e le fece tutte assai buone. Dovrà anche spiegare che cosa vuol dire: Dio formò ancora dal suolo ogni specie delle bestie dei campi e ogni specie d'uccelli del cielo 22, come se ancora non esistessero tutti quegli esseri ch'erano stati prodotti prima o piuttosto come se nessuno di loro fosse stato prodotto in precedenza. Poiché la Scrittura non dice: "E Dio formò dalla terra ogni altra specie di uccelli del cielo", come se questi non fossero quelli che non erano stati prodotti dalla terra il sesto giorno o dall'acqua il quinto giorno; (la Scrittura) dice invece: ogni specie di bestie e ogni specie d'uccelli 23. Quel tale deve inoltre riflettere come Dio fece tutte le cose in sei giorni: nel primo fece il "giorno", nel secondo il firmamento, nel terzo la materia del mare e della terra e anche l'erba e gli alberi germoglianti dalla terra, nel quarto i luminari (del cielo) e le stelle, nel quinto gli animali acquatici, nel sesto quelli terrestri. Ma come mai in seguito la Scrittura dice: Quando fu creato il giorno, Dio creò il cielo e la terra e ogni sorta di verzura dei campi 24, dal momento che, quando fu creato il giorno, Dio non creò se non il giorno stesso? In qual modo inoltre Dio creò ogni specie di verzure dei campi prima che fossero sulla terra, e ogni sorta di fieno prima che germogliasse? Chi infatti non direbbe che il fieno fu creato quando germogliò e non prima che germogliasse 25, se le parole della Scrittura non glielo impedissero? Si ricordi inoltre che la Scrittura dice: Colui che vive in eterno ha creato ogni cosa simultaneamente 26, e veda come si possano dire create simultaneamente cose la cui creazione è separata da spazi temporali non solo di ore ma anche di giorni. Egli dovrebbe preoccuparsi anche di mostrare come sono vere ambedue le affermazioni che possono sembrare contrarie, cioè che Dio si riposò da tutte le sue opere il settimo giorno, come afferma il libro della Genesi 27 e che Dio agisce senza interruzione, come afferma il Signore 28. Consideri altresì come la Scrittura dice essere state iniziate le medesime opere che dice essere state portate a compimento.

In qual modo Dio ha fatto le cose presenti e le future?


28.42. A motivo di tutte queste affermazioni della sacra Scrittura, di cui nessuno, tranne gli infedeli e gli empi, mette in dubbio la veracità, siamo stati indotti ad affermare che all'origine del mondo Dio creò dapprima tutti gli esseri simultaneamente, alcuni direttamente nella propria natura, altri nelle loro cause preesistenti. In tal modo l'Onnipotente creò non solo gli esseri presenti ma anche quelli futuri e si riposò dopo averli creati, affinché in seguito, avendone cura e governandoli, creasse anche l'ordine dei tempi e degli esseri temporali, poiché da una parte li aveva portati a compimento nel senso che aveva determinato i limiti di tutte le specie di creature e dall'altra li aveva cominciati in relazione alla loro propagazione attraverso i secoli e così, per il fatto di averli portati a termine, si riposò, e per il fatto di averli cominciati, agisce ancora al presente. Ma se queste affermazioni (della Scrittura) possono essere interpretate in un senso migliore, non solo non mi oppongo, ma lo accetto anche favorevolmente.

Conclusione: verità certe e opinioni discutibili riguardo all'anima.


28.43. Riguardo tuttavia all'anima che Dio infuse all'uomo soffiando col suo alito sul volto di lui, non affermo per ora nulla di definitivo, tranne quanto segue: essa proviene da Dio ma senza essere la sostanza di lui; è incorporea, non è - in altre parole - un corpo ma uno spirito; questo spirito però non è generato né procede dalla sostanza di Dio, ma è stato creato da lui, in modo però che nessuna natura corporea o anima irrazionale fosse trasformata nella sua natura e perciò è tratto dal nulla; l'anima è immortale secondo un certo modo di vita ch'essa non può perdere affatto; tuttavia, a causa d'una certa mutabilità per cui può diventare peggiore o migliore, si potrebbe pensare altresì che è mortale, poiché la vera immortalità la possiede solo Colui del quale la Scrittura dice in senso specifico: Il solo che possiede l'immortalità. Le altre spiegazioni da me esposte e dibattute in questo libro dovrebbero riuscire utili al lettore nel senso che o può sapere come siano da indagare, senza affermare nulla di avventato, le cose che la Scrittura non esprime con chiarezza, oppure, se questo mio modo di ricercare non gli piace, sa qual è il metodo da me usato nella ricerca in modo che se può insegnarmene (uno migliore), non me lo rifiuti, e se invece non lo può, ricerchi insieme con me qualcuno dal quale possiamo imparare ambedue.


1 - (Gn 2,7).
2 - (Gn 2,7).
3 - Is 57,16 (sec. LXX).
4 - Is 57,17 (sec. LXX).
5 - Ps 48,13. 21.
6 - Ps 73,19.
7 - Ps 48,13.
8 - Ps 73,19.
9 - Cf. Mt 7,15; Ps 90,13.
10 - (Gn 2,7).
11 - (Gn 1,21).
12 - (Gn 2,7).
13 - Cf. CICERONE, Tuscul. 1,10,22. 17,41. 26,65. 27,66.
14 - (Gn 1,26).
15 - (Gn 1,27).
16 - Cf. Sap 7,24-25.
17 - Cf. Sap 8,1.
18 - Cf. Rom 9,11.
19 - Cf. 2 Cor 5,10.
20 - (Gn 1,27-28).
21 - (Gn 2,9).
22 - (Gn 2,19).
23 - (Gn 2,4-5).
24 - Cf. (Gn 2,4-5).
25 - Eccli 18,1.
26 - Cf. (Gn 2,2).
27 - Cf. Io 5,17.
28 - 1 Tim 6,16.



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LIBRO OTTAVO

Il paradiso terrestre: realtà o figura?

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1.1. Dio inoltre piantò il paradiso in Eden nell'Oriente e vi collocò l'uomo che aveva formato 1. So bene che molti autori hanno scritto molto a proposito del paradiso: tre sono tuttavia le opinioni, diciamo così, più comuni su questo argomento. La prima è quella di coloro che vogliono intendere il "paradiso" unicamente in senso letterale; la seconda quella di coloro che lo intendono solo in senso allegorico; la terza è quella di coloro che prendono il "paradiso" in entrambi i sensi: cioè ora in senso letterale, ora in senso allegorico. Per dirla dunque in breve, confesso che a me piace la terza opinione. Conforme a questa opinione mi sono accinto adesso a parlare del paradiso, come il Signore si degnerà di concedermi. Ecco: l'uomo ch'era stato fatto con il fango della terra - cosa questa che indica certamente il corpo umano - fu collocato nel paradiso materiale. Adamo è, sì, simbolo di un'altra persona secondo l'affermazione dell'Apostolo - ossia ch'egli è figura del secondo Adamo 2 - ma qui lo prendiamo nel senso di un "uomo" costituito nella sua propria natura, che visse un determinato numero di anni e, dopo aver generato una sua numerosa discendenza, morì allo stesso modo in cui muoiono gli altri uomini, sebbene non fosse nato da genitori come tutti gli altri, ma fatto di terra, com'era conveniente al primo uomo. Per conseguenza si dovrà anche ritenere che il paradiso ove Dio collocò l'uomo, non è altro che una località, cioè una contrada, dove potesse dimorare un uomo terrestre.

Senso letterale e senso allegorico nei libri della Scrittura.


1.2. Effettivamente in questi libri il racconto non è scritto nel genere letterario in cui le realtà sono prese in senso figurato, come nel Cantico dei cantici, ma nel senso letterale di fatti realmente accaduti, come nei Libri dei Re e negli altri di tal genere. Ma in detti libri vengono esposti fatti che càpitano abitualmente nella vita umana e perciò vengono intesi senza difficoltà, anzi di primo acchito, in senso letterale, di modo che se ne può trarre poi il significato allegorico ch'essi hanno di avvenimenti anche futuri. Nella Genesi, al contrario, poiché vi sono esposti fatti che non càpitano a lettori abituati a considerare solo il corso ordinario della natura, alcuni vogliono intenderli non in senso proprio, ma in senso figurato; per conseguenza pretendono che la storia, cioè la narrazione di fatti accaduti realmente, cominci solo dal punto in cui Adamo ed Eva, dopo essere stati espulsi dal paradiso, si unirono nell'amplesso sessuale e generarono figli. Come se per la nostra esperienza fossero fatti ordinari la lunga vita di Adamo ed Eva, o la traslazione di Enoch o il parto d'una donna anziana e sterile o altri fatti di tal genere.

Obiezione: il racconto di fatti meravigliosi diverso da quello della creazione.


1.3. Ma - obiettano essi - c'è differenza tra un racconto di fatti meravigliosi e quello della creazione delle creature. Nel primo caso la singolarità degli stessi fatti dimostra che v'è diversità tra quelli che sono - per così dire - i modi in cui avvengono i fatti naturali e i modi in cui avvengono i miracoli, ch'essi chiamano "fatti meravigliosi"; nel secondo caso ci vien posta sotto gli occhi la creazione delle nature. A questi tali si risponde che anche la stessa creazione è insolita per il fatto ch'essa è la prima. Che c'è infatti tanto privo di esempi e senza pari nella costituzione del mondo quanto il mondo stesso? Bisogna forse credere che Dio non ha creato il mondo per il fatto che non crea più altri mondi? oppure credere che non ha creato il sole per il fatto che non crea più altri soli? Ecco la risposta che per la verità dovrebbe darsi a quanti provano imbarazzo per queste obiezioni a proposito non solo del paradiso ma dell'uomo stesso. Orbene, poiché credono che l'uomo fu creato da Dio come non è stato creato nessun altro, come mai rifiutano di credere che il paradiso fu creato allo stesso modo che adesso vengono create le foreste?

I fatti narrati con termini concreti sono da intendere anzitutto in senso proprio.


1.4. Mi rivolgo naturalmente a coloro che accettano l'autorità delle Scritture: alcuni di essi infatti vogliono intendere il paradiso non in senso proprio, ma in senso figurato. Con quelli invece che respingono in blocco le Scritture che stiamo interpretando, abbiamo trattato in un'altra opera in modo diverso; ma ciononostante anche nella suddetta opera nostra noi difendiamo - nei limiti della nostra capacità - il senso letterale; in tal modo coloro, che senza alcun motivo razionale, rifiutano di credere questi fatti per ostinazione o per ottusità mentale, non possono trovare alcuna ragione per dimostrare che sono falsi. D'altra parte alcuni dei nostri scrittori, che credono nelle divine Scritture, rifiutano d'intendere il paradiso nel senso letterale, cioè come un luogo assai ameno, ombreggiato da alberi carichi di frutti e in pari tempo spazioso fecondato da una sorgente abbondante mentre vedono tanti e tanto vasti boschetti verdeggianti arricchirsi di rami senza alcun concorso dell'uomo ma solo grazie all'occulta azione di Dio. Io mi stupisco come mai (questi scrittori) credono che l'uomo fu creato in un modo completamente estraneo alla loro esperienza. Oppure, se anche l'uomo si deve intendere in senso figurato, chi mai generò Caino, Abele e Set? Esistettero forse anch'essi solo in senso figurato e non erano uomini nati da uomini? Questi pensatori considerino quindi più attentamente ove li condurrebbe la loro opinione preconcetta e si sforzino con noi d'intendere in senso proprio i fatti narrati. Chi, infatti, non li approverebbe allorché intendono che cosa questi fatti indicano anche in senso figurato, riguardo alle realtà spirituali o ai sentimenti o agli eventi futuri? Naturalmente, se non fosse affatto possibile salvaguardare la verità della fede prendendo anche in senso letterale le cose della Genesi che qui commentiamo e sono denotate con termini di significato materiale, quale alternativa ci resterebbe che prenderle in senso figurato, anziché accusare empiamente la sacra Scrittura? Se, al contrario, anche prendendo queste cose in senso letterale, non solo non impediscono ma servono a difendere con più valide prove il racconto della sacra Scrittura, io penso che non ci sarà nessuno tanto ostinato nella sua opinione contraria alla fede che, vedendo che sono narrate in senso letterale, conforme alla norma della fede, preferisca restare nella sua precedente opinione se per caso gli fosse sembrato che quelle cose non potevano esser prese se non in senso figurato.

Perché Agostino espose allegoricamente la Genesi contro i Manichei.

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2.5. Io stesso, poco dopo la mia conversione, scrissi due libri contro i manichei i quali sono in errore non perché intendono questi libri dell'Antico Testamento in senso diverso da quello dovuto, ma perché li rigettano del tutto e, nel rifiutarli, ne fanno oggetto di bestemmie sacrileghe. Allora io desideravo confutare subito le loro aberrazioni o stimolarli a cercare nelle Sacre Scritture, da essi aborrite, la fede insegnata da Cristo e consegnata nei Vangeli. In quel tempo però non mi si presentava alla mente in qual modo tutti quei fatti potessero intendersi in senso proprio, anzi mi pareva che non fosse possibile o lo fosse solo a stento e difficilmente. Per questo, affinché la mia opera non subisse ritardi, spiegai quale fosse il senso figurato dei fatti, di cui non riuscivo a trovare il senso letterale e lo feci con la maggiore brevità e chiarezza possibili, al fine di evitare che i manichei rimanessero scoraggiati dalla prolissità della mia opera o dall'oscurità della discussione e non si curassero di prenderla nelle loro mani. Mi ricordavo tuttavia dello scopo che mi ero proposto e che non ero in grado di raggiungere: quello cioè d'intendere tutti i fatti dapprima non già in senso figurato, ma in senso proprio e, perché non disperavo del tutto di poterli intendere anche in senso proprio, esposi lo stesso pensiero nella prima parte del secondo libro, ove dico: Senza dubbio se uno desidera intendere tutti i fatti (della Genesi) solo alla lettera, intenderli cioè non diversamente da ciò che significa la lettera, e può evitare di esprimere concetti falsi ed empi, affermando invece dottrine pienamente conformi alla fede cattolica, non solo non dev'essere visto di malocchio, ma considerato un interprete eccellente e assai lodevole. Se invece non ci è data alcuna possibilità d'intendere i racconti della Genesi in un senso religioso e degno di Dio se non credendo che essi ci son presentati in figure ed enigmi, dobbiamo attenerci all'autorità degli Apostoli, dai quali sono spiegati tanti enigmi dell'Antico Testamento, e mantenere il metodo esegetico intrapreso con l'aiuto di Colui che ci esorta a chiedere, cercare e bussare, per potere spiegare in conformità con la fede cattolica tutte le realtà sia di genere storico, sia di genere profetico, senza pregiudicare una spiegazione più esatta e più accurata fatta da noi o da altri, ai quali il Signore si degnerà di manifestarla. Così dicevo allora. Adesso invece il Signore ha voluto che, guardando più addentro e considerando più attentamente quei testi, pensassi non senza fondatezza - a mio parere - che potessi mostrare anch'io che quei fatti sono stati scritti in senso proprio anziché in quello allegorico. Perciò come abbiamo voluto mostrare questo senso letterale per i testi precedenti, allo stesso modo cerchiamo d'esaminare anche i testi seguenti relativi al paradiso.

La piantagione degli alberi nel paradiso.

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3.6. Dio dunque piantò il paradiso in un luogo di delizie - questo è il significato di "Eden" -nell'Oriente e vi pose l'uomo che aveva formato. Così afferma la Scrittura, poiché così avvenne. La Scrittura poi riprende il racconto stesso che aveva esposto brevemente, per mostrare come ciò avvenne, come cioè Dio piantò il giardino e vi pose l'uomo che aveva formato. Ecco infatti come prosegue il testo: Dio inoltre fece germogliare ancora dalla terra ogni specie di alberi belli a vedersi e buoni a mangiarsi. La Scrittura non dice: "Dio inoltre fece germogliare dalla terra un altro albero o gli altri alberi", ma dice: Dio inoltre fece germogliare ancora dalla terra ogni specie di alberi belli a vedersi e buoni a mangiarsi. La terra dunque aveva già prodotto, cioè al terzo giorno, ogni specie di alberi graditi alla vista e buoni per il nutrimento. Dio infatti il sesto giorno aveva detto: Ecco, io vi ho dato ogni specie di erba che si semina e produttrice di seme, che si trova su tutta la faccia della terra e ogni sorta d'alberi fruttiferi aventi in sé il frutto produttore di seme: ciò sarà per vostro nutrimento. Può forse essere dunque che "allora" Dio diede agli uomini una cosa e "ora" ha voluto darne un'altra? Io non lo credo. Ma siccome questi alberi piantati nel giardino sono della stessa specie di quelli che la terra aveva già prodotti il terzo giorno, essa li produsse ancora al tempo fissato. Poiché quando la Scrittura afferma che la terra produsse le piante il terzo giorno, esse erano state create "allora" sulla terra nei loro princìpi causali, nel senso cioè che "allora" la terra aveva ricevuto il potere latente di produrre le piante, lo stesso potere grazie al quale avviene che ancora "adesso" la terra produce quelle piante in modo palese e a termine determinato.

In che modo Dio parlava creando le ragioni causali degli esseri.


3.7. Per conseguenza le parole dette da Dio il sesto giorno: Ecco, io vi ho dato ogni specie d'erba che si semina e produttrice di seme, che si trova su tutta la faccia della terra 8 ecc., non furono pronunciate da Dio mediante la voce risonante nel tempo, ma per mezzo della sua potenza creatrice che è nel suo Verbo; tuttavia solo con suoni emessi nel tempo si può dire agli uomini ciò che Dio disse senza servirsi di suoni misurabili nel tempo. Sarebbe infatti avvenuto che l'uomo, già plasmato col fango e fatto un essere vivente mediante il soffio di Dio e tutti i membri del genere umano discendenti da lui avrebbero dovuto servirsi, per il loro nutrimento, dei frutti delle piante che sarebbero spuntate dalla terra in virtù della potenzialità generatrice già ricevuta dalla terra. Dio perciò, deponendo nelle creature le ragioni causali (di quelle erbe e piante) che poi sarebbero esistite, come se già esistessero, parlava mediante la propria intima e trascendente verità, che nessuno ha mai vista o udita 9, ma che il suo Spirito ha rivelato allo scrittore sacro.

L'albero della vita.

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4.8. Le parole che seguono: Dio inoltre piantò l'albero della vita nel centro del paradiso e l'albero della conoscenza del bene e del male 10 dobbiamo considerarle con particolare attenzione per non essere costretti a intenderle in senso allegorico, come se questi alberi non esistessero (davvero) e, sotto il nome di alberi, simboleggiassero un'altra realtà. La Scrittura infatti dice della sapienza: Albero della vita è per tutti coloro che l'abbracciano con amore 11.

Tuttavia, sebbene esista in cielo la Gerusalemme eterna, anche sulla terra è fondata una città che di quella è simbolo. Anche Sara e Agar, sebbene fossero figura dei due Testamenti 12, erano tuttavia anche due donne. Inoltre, sebbene Cristo ci bagni con l'acqua spirituale mediante la passione sofferta sul legno della croce, era tuttavia anche la roccia che, percossa da un legno, fece scaturire acqua per il popolo assetato 13 e perciò la Scrittura può dire che la roccia era Cristo 14. Tutte quelle cose simboleggiavano qualcos'altro diverso da ciò ch'esse erano, ma tuttavia erano anch'esse delle realtà materiali. E quando l'agiografo ne parlava, il suo non era un parlare figurato, ma il racconto preciso di fatti reali che prefiguravano realtà future. V'era dunque un albero della vita, come v'era una roccia ch'era Cristo; Dio poi non volle che l'uomo vivesse nel paradiso senza simboli di realtà spirituali, presentati a lui mediante cose materiali. L'uomo aveva dunque negli altri alberi il suo nutrimento, ma in quello della vita c'era un simbolo. E che cosa simboleggiava, se non la sapienza, di cui la Scrittura dice: Albero della vita è per tutti coloro che l'abbracciano con amore 15? Allo stesso modo, di Cristo si potrebbe dire ch'è la roccia da cui sgorga la sorgente per tutti coloro che hanno sete di lui. Giustamente egli vien chiamato con il nome di ciò ch'era simbolo di lui prima della sua venuta. Egli è l'agnello che viene immolato a Pasqua; tuttavia quell'immolazione non solo era prefigurata mediante il nome ma anche mediante un'azione reale. Poiché non può dirsi che quell'agnello non fosse un agnello: era senza dubbio un agnello che veniva ucciso e mangiato 16. Tuttavia con quell'azione reale veniva prefigurata anche un'altra realtà diversa. Quel fatto era diverso da quello del vitello ingrassato che fu immolato per il banchetto in onore del figlio minore 17 per il suo ritorno a casa. In quest'ultimo caso il racconto per se stesso ha un senso figurato e non si tratta di un fatto realmente accaduto avente un senso figurato. Non fu l'Evangelista a narrare quel fatto ma fu lo stesso Signore a raccontarlo; l'Evangelista al contrario narra che fu il Signore a raccontare quella parabola. Ecco dunque perché anche ciò che narra l'Evangelista, che cioè il Signore fece quel racconto, è anch'esso un fatto reale, ma il racconto fatto dal Signore in persona era una parabola, a proposito della quale non si esige mai che le cose espresse a parole si possano dimostrare come fatti avvenuti anche alla lettera. Cristo è anche la pietra consacrata con l'olio da Giacobbe, e la pietra scartata dai costruttori, ma divenuta pietra angolare 18. Nel primo caso però c'è anche una relazione a un fatto realmente accaduto, mentre nel secondo si tratta solo di un fatto predetto in un linguaggio figurato. Il primo è un fatto accaduto nel passato e narrato dallo scrittore sacro; il secondo invece è solo la predizione di avvenimenti futuri.

L'albero della vita insieme realtà concreta e simbolo.

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5.9. Così anche la Sapienza, cioè lo stesso Cristo, è l'albero di vita nel paradiso spirituale, ove il Signore inviò dalla croce il buon ladrone, ma nel paradiso materiale fu creato anche un albero di vita che avrebbe simboleggiato la Sapienza. Questo afferma la Scrittura che, narrando i fatti accaduti al loro tempo, narra parimenti che anche l'uomo, creato con un corpo e vivente nel suo corpo, fu posto nel paradiso. Oppure, se c'è chi pensa che le anime, dopo essere uscite dal corpo, sono trattenute in luoghi materialmente visibili, sebbene siano prive del loro corpo, sostenga pure la sua opinione. Tra i fautori di questa teoria non mancheranno di quelli che arrivano a sostenere che anche il ricco tormentato dalla sete era in un luogo sicuramente materiale e non esitano a dichiarare che l'anima stessa è assolutamente corporea per il fatto che la lingua del ricco (epulone) era riarsa e bramava una goccia d'acqua dal dito di Lazzaro. Io con costoro non voglio discutere a vanvera riguardo a una questione così difficile: è meglio aver dubbi su cose misteriose che discutere su quelle incerte. Io non dubito affatto che il ricco (epulone) si trovava nel castigo del fuoco ardente mentre il povero (Lazzaro) si trovava nella gioia del refrigerio. Ma in che senso dobbiamo intendere le fiamme dell'inferno, il seno di Abramo, la lingua (arida e riarsa) del ricco, il dito del povero, il refrigerio della goccia d'acqua? È forse possibile trovare a stento una risposta a questi problemi da chi li indaga con spirito pacato, mentre non sarà mai possibile a coloro che discutono con acrimonia. Noi perciò dobbiamo rispondere in fretta per non attardarci in una questione difficile e che richiede lunghi discorsi. Se le anime anche dopo la loro dipartita dal corpo sono trattenute in luoghi materiali, il buon ladrone poté essere introdotto nel paradiso, ove fu posto il primo uomo vivente nel suo corpo. Ciò detto, aggiungo che mediante un passo più appropriato delle Scritture, se lo esigerà la necessità d'una spiegazione, spero di precisare in qualche modo ciò che potrò venire a conoscere con le mie indagini o esprimere il mio pensiero riguardo a questo argomento.

L'albero della vita era reale ma anche simbolo della sapienza.


5.10. Tuttavia, che la Sapienza non è un corpo e perciò neppure un albero, non solo non lo dubito io ma penso che non lo dubiti nessuno. Era però possibile che la Sapienza avrebbe potuto esser simboleggiata nel paradiso terrestre mediante un albero, per mezzo cioè d'una creatura materiale usata - per così dire - come un simbolo; ma questa ipotesi crede non doverla accettare chi non vede quante realtà materiali nelle Scritture sono simbolo di realtà spirituali, oppure chi sostiene che il primo uomo non avrebbe dovuto regolare la propria vita conforme a un simbolo siffatto, mentre invece vede un simbolo di tal genere l'Apostolo parlando della donna - che di certo è stata tratta da una costola dell'uomo - dicendo che l'affermazione della Scrittura: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una carne sola 21 è un mistero grande in rapporto a Cristo e alla Chiesa 22. È strano e assai difficile a tollerarsi che alcuni vogliano intendere il "paradiso" solo in senso figurato e non ammettano che sia stato fatto anche come figura di un'altra realtà. Ma se a proposito di Agar e di Sara, d'Ismaele e d'Isacco si ammette che sono anch'essi persone reali e tuttavia sono anche delle figure simboliche, io non vedo perché non ammettere che anche l'albero di vita non solo era un vero albero e tuttavia era anche simbolo della Sapienza.



Di che natura era il cibo offerto da quell'albero.


5.11. Si deve inoltre notare che il cibo dell'albero di vita, benché fosse materiale, era tuttavia di tal natura da rinvigorire il corpo umano dandogli una sanità duratura, non come uno degli altri alimenti, ma grazie ad un influsso misterioso che conservava (sempre) sano il corpo. Infatti, benché quello fosse di certo un pane ordinario, tuttavia in un'altra occasione ebbe un potere maggiore, poiché con una sola piccola focaccia Dio preservò un uomo dall'inedia per lo spazio di quaranta giorni. Esiteremo forse noi a credere che Dio, mediante il frutto di un albero, destinato ad essere figura d'un cibo più eccellente, potesse dare all'uomo il potere di preservare il proprio corpo dal deterioramento fisico, causato da malattie o dall'età, o dal cadere anche nella morte, dal momento che diede al cibo dell'uomo una proprietà tanto meravigliosa che la farina e l'olio, contenuti in recipienti di terracotta, potessero ristorare le forze mancanti senza che venissero a mancare essi stessi ? Adesso venga pure fuori uno della genìa degli attaccabrighe a dire che Dio avrebbe dovuto compiere simili miracoli nelle nostre regioni ma non avrebbe dovuto compierli nel paradiso terrestre, come se creare nel paradiso l'uomo con il fango o la donna traendola da una costola dell'uomo non fosse un miracolo più grande di quello di risuscitare i morti sulla nostra terra.

L'albero della conoscenza del bene e del male.

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6.12. Dobbiamo ora considerare l'albero della conoscenza del bene e del male. Anche quest'albero era certamente visibile e materiale come tutti gli altri alberi. Non dobbiamo dunque dubitare che fosse un albero, ma cercare il motivo per cui ebbe questo nome. Quanto a me, considerando più e più volte il problema, non posso dire quanto approvi l'opinione di quegli scrittori i quali affermano che il frutto di quell'albero non era dannoso - poiché Dio che aveva fatto ogni cosa molto buona, non aveva creato nulla di cattivo nel paradiso - ma che per l'uomo il male fu l'aver trasgredito il precetto di Dio. Era invece conveniente che all'uomo, posto sotto il dominio di Dio suo Signore, fosse vietato qualcosa in modo che proprio l'ubbidienza fosse per lui la virtù mediante la quale potesse piacere al proprio Signore. Io posso dire con tutta verità che l'unica virtù di ogni creatura ragionevole operante sotto il dominio di Dio è l'ubbidienza, mentre la radice e il più grande di tutti i vizi è la superbia per cui uno usa il proprio potere per la propria rovina e questo vizio si chiama disubbidienza. L'uomo dunque non avrebbe avuto alcuna possibilità di rendersi conto o di accorgersi d'essere soggetto al Signore, se non gli fosse stato impartito un precetto. L'albero perciò non era cattivo, ma ebbe il nome di albero della conoscenza del bene e del male perché, se l'uomo ne avesse mangiato il frutto dopo il divieto, quell'albero sarebbe divenuto l'occasione della futura trasgressione del precetto e a causa della trasgressione l'uomo avrebbe compreso - mediante il castigo che avrebbe sperimentato - la differenza che c'è tra il bene dell'ubbidienza e il male della disubbidienza. Ecco perché neppure qui la Scrittura parla d'un simbolo, ma dobbiamo prendere l'albero nel senso letterale e concreto, al quale fu imposto il nome suddetto non a causa dei frutti o dei pomi che nascevano da esso, bensì a causa dell'effetto che ne sarebbe seguito, se fosse stato toccato contro il divieto (di Dio).


Agostino - Genesi 1026