Agostino - Genesi 1317

1317 Sg 8,19-20 17.30. Vediamo dunque adesso, per quanto lo permettano i limiti richiesti da quest'opera da noi intrapresa, il significato del passo citato più sopra di cui abbiamo differito la spiegazione. Nel libro della Sapienza sta scritto: Io ero un ragazzo di nobile indole ed ebbi in sorte un'anima buona e, poiché ero buono oltre il comune, entrai in un corpo senza macchia. Questo testo sembra essere in favore di coloro i quali affermano che le anime non sono prodotte dai genitori, ma provengono e discendono nei corpi inviatevi da Dio. D'altra parte a questa opinione è contraria l'affermazione: Ebbi in sorte un'anima buona, poiché quelli che la sostengono senza alcun dubbio credono che le anime inviate da Dio nei corpi derivano, per così dire, come ruscelli da un'unica sorgente, oppure che sono fatte di natura uguale e non che alcune sono buone o più buone e altre non buone o meno buone. D'onde viene allora che le anime siano alcune buone o più buone, altre invece o non buone o meno buone, se non a causa della loro condotta morale scelta dal loro libero arbitrio o a causa del diverso temperamento fisico essendo ciascuna oppressa più o meno dal corpo che corrompe e aggrava l'anima ? Ma non solo nessuna di queste anime individuali, prima di venire nei corpi, aveva compiuto alcuna azione per cui si potesse distinguere la loro condotta, ma neppure a causa dell'unione dell'anima con un corpo meno opprimente l'agiografo poteva dire che la sua era buona, dal momento che afferma: Ebbi in sorte un'anima buona. E poiché ero buono oltre il comune, entrai in un corpo senza macchia. In realtà egli dice d'essersi unito alla bontà in virtù della quale egli era buono, avendo naturalmente ricevuto in sorte un'anima buona in modo da andare in un corpo senza macchia. La bontà, per cui egli era buono, derivava perciò da un'altra origine prima di venire nel corpo, ma certamente egli non era buono a causa di una condotta morale diversa - perché non esiste alcun merito anteriore alla vita vissuta - né a causa d'un corpo diverso, poiché egli era buono ancor prima di entrare nel corpo. D'onde proviene dunque la suddetta bontà?

Continua la spiegazione di @Sg 8,19-20@.


17.31. Questo testo però, benché le parole: Entrai in un corpo non paiono avere un significato favorevole per i sostenitori dell'opinione che le anime derivino dalla prima anima peccatrice, tuttavia per quanto riguarda il resto della frase s'accorda in modo appropriato alla loro opinione poiché, dopo aver detto: Ero un ragazzo di nobile indole, spiegando per quali motivi era di buona indole, soggiunge immediatamente: ebbi in sorte un'anima buona, avendola cioè o dall'indole o dal temperamento fisico del padre. In seguito egli dice: Poiché ero buono oltre il comune, entrai in un corpo senza macchia. Se queste parole s'intendono del corpo materno, neppure la frase: entrai in un corpo sarà contraria a questa opinione poiché può intendersi che l'anima, trasmessa dall'anima e dal corpo del padre, entrò nel corpo della madre senza macchia, che a questo proposito deriverebbe dal sangue mestruale - poiché dicono che da questo sangue è aggravata l'indole naturale del bambino - o dal contagio d'una unione adulterina. Anche le espressioni del libro (della Sapienza) sono pertanto piuttosto favorevoli ai sostenitori della trasmissione delle anime oppure, se possono interpretarle anch'essi a proprio favore i sostenitori dell'opinione contraria, pendono in favore ora degli uni, ora degli altri.

Può quel testo applicarsi all'anima e al corpo di Cristo?

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18.32. Se volessimo intendere queste espressioni come riferite al Signore in relazione alla natura umana assunta dal Verbo, nel contesto medesimo (del libro della Sapienza) ci sono affermazioni che non sono applicabili alla sua sublime Persona, soprattutto quella seguente, in cui il medesimo agiografo -nello stesso libro poco prima del passo di cui trattiamo adesso -confessa d'essere stato formato con il sangue derivato dal seme di un uomo. Questo modo di nascere è tuttavia assolutamente diverso dal parto della Vergine, poiché nessun cristiano dubita ch'ella concepì la carne di Cristo senza il concorso di seme virile. Ora però anche nei Salmi c'è un passo in cui è detto: Hanno forato le mie mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa. Essi mi hanno guardato e osservato. Si sono divise le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. Queste espressioni si applicano in senso proprio solo a lui; ma nel medesimo Salmo è detto anche: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontano dalla mia salvezza son le parole dei miei peccati. Queste parole al contrario non si applicano a Cristo se non in modo figurato, perché egli ha trasfigurato in se stesso l'umile natura del nostro corpo essendo noi membra del suo corpo. Inoltre nel Vangelo leggiamo: Il bambino cresceva in età e in sapienza. Se perciò anche le parole che leggiamo nel contesto complessivo di questa frase del libro della Sapienza possono essere riferite al medesimo Signore a causa dell'umile natura di servo (qual egli era) e dell'unità del corpo della Chiesa con il suo capo, chi era d'indole più nobile di quel Bambino la cui sapienza a dodici anni faceva stupire gli anziani ? E qual anima era più eccellente di quella di Cristo? Ma anche se i sostenitori del generazionismo avessero ragione (dei loro avversari) non con argomentazioni e dispute litigiose ma con (autentiche) prove, non ne verrebbe di conseguenza doversi credere che anche l'anima di Cristo sia derivata per via di generazione dall'anima peccatrice del primo uomo, poiché è da escludere che a causa della disubbidienza del primo uomo sia costituito peccatore anche Cristo, quando con l'ubbidienza di lui solo molti sono stati liberati dalla colpa e sono costituiti giusti. E qual grembo più puro di quello della Vergine, la cui carne, benché proveniente da una procreazione inquinata dal peccato, non ha tuttavia concepito mediante questa sorgente inquinata dal peccato? Per conseguenza neppure il corpo di Cristo è stato seminato nel ventre di Maria in forza della legge che, insita nelle membra del nostro corpo mortale, si oppone alla legge dello spirito. I santi Patriarchi che vivevano nel matrimonio seppero frenare questa legge e ne allentarono il freno solo fino al punto che era loro permesso per l'unione sessuale tra i coniugi, ma ciononostante ne subirono l'impulso impetuoso solo fin dove era lecito. Per conseguenza, sebbene il corpo di Cristo sia stato preso dalla carne d'una donna concepita mediante la trasmissione d'una carne di peccato, poiché esso non fu concepito nella madre allo stesso modo ch'era stata concepita lei, non era neppure essa carne di peccato ma solo simile alla carne di peccato. Poiché a causa di ciò egli non contrasse la colpa meritevole di morte che si manifesta nei moti carnali involontari che sono contrari ai desideri dello spirito, sebbene debbano esser vinti con la volontà. Egli, al contrario, ricevette da lei un corpo immune da qualunque contagio di peccato, ma capace di propagare il prezzo della morte da lui non meritata e di manifestare la risurrezione promessa, insegnandoci così a non aver paura dell'una e a nutrire speranza per l'altra.

Da chi ebbe Cristo l'anima?


18.33. Se pertanto mi fosse chiesto da quale sorgente ricevette la sua anima Gesù Cristo, preferirei sentire su questo punto autori più qualificati e più dotti di me; tuttavia nella misura in cui io posso capire, risponderei ben volentieri che l'ha ricevuta piuttosto "(da Colui) dal quale la ricevette Adamo", che "da Adamo". Se infatti la polvere presa dalla terra, in cui nessun uomo aveva lavorato, meritò d'essere animata da Dio, quanto più convenientemente il corpo preso da una carne, in cui ugualmente nessun uomo aveva lavorato, ebbe in sorte un'anima buona! Nel primo caso infatti sarebbe stato innalzato un uomo che sarebbe caduto, nel secondo invece sarebbe disceso un uomo che lo avrebbe risollevato! Ecco perché forse (l'autore della Sapienza) dice: Ebbi in sorte un'anima buona - nell'ipotesi che queste parole dovessero essere applicate a Cristo - perché di solito è dato da Dio ciò che è dato in sorte; oppure - come dobbiamo affermare con sicurezza - perché non pensassimo che l'anima di Cristo sia stata elevata, a causa di alcune opere precedenti, a un'eccellenza tanto sublime che insieme con essa il Verbo si facesse carne e abitasse in mezzo a noi, si aggiunse il termine "sorte" per allontanare da noi il pensiero che ci fossero in essa meriti precedenti.

L'anima di Cristo non era nei lombi di Abramo.

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19.34. Nella Lettera indirizzata agli Ebrei c'è un passo che merita d'essere considerato attentamente. (L'autore della Lettera) per mostrare la differenza tra il sacerdozio di Cristo e quello di Levi si serve di Melchisedec in cui era la prefigurazione della realtà futura quando dice: Considerate dunque quanto è grande questo personaggio al quale il patriarca Abramo diede la decima del meglio del bottino. È vero che anche i discendenti di Levi, quando diventano sacerdoti, devono esigere secondo la legge la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, sebbene siano anch'essi discendenti di Abramo. Melchisedec invece non era uno della stirpe di Levi, eppure prese la decima da Abramo e fu lui a benedire Abramo il quale aveva ricevuto le promesse da Dio. Ora, è fuor di discussione ch'è il meno importante a ricevere la benedizione da chi è più importante. Inoltre, mentre nel caso (dei sacerdoti) di Levi ricevono le decime uomini mortali, nel caso di Melchisedec la riceve uno che, secondo la testimonianza (della sacra Scrittura) vive. Anzi, come è doveroso affermare, anche Levi, che pure riscuote la decima, la pagò lui stesso a Melchisedec nella persona di Abramo essendo ancora nei lombi del suo antenato. Se dunque questo fatto, a sì gran distanza di tempo, ha valore ancora per dimostrare quanto il sacerdozio di Cristo è superiore a quello di Levi, poiché Cristo sacerdote fu prefigurato da Melchisedec che ricevette la decima da Abramo, nella cui persona pagò la decima anche lo stesso Levi, certamente Cristo non gliela pagò. Ma se Levi ebbe da pagare la decima per il fatto ch'era nei lombi di Abramo, per lo stesso motivo non ebbe da pagarla Cristo poiché non era nei lombi di Abramo. Ora, invece, se ammettiamo che Levi era nei lombi d'Abramo non quanto all'anima bensì unicamente quanto alla carne, vi era anche Cristo, poiché anche Cristo, quanto alla carne, è discendente di Abramo. Pagò quindi la decima anche lui. Perché dunque quel passo adduce, come prova della gran differenza del sacerdozio di Cristo da quello di Levi, il fatto che Levi pagò la decima a Melchisedec poiché era nei lombi di Abramo, nei quali era anche Cristo, e perciò pagarono la decima ugualmente tutti e due? Ma il motivo è che noi dobbiamo intendere che Cristo non vi era in un certo qual modo; eppure chi potrebbe negare che Cristo vi era quanto alla carne? Non vi era quindi quanto all'anima. L'anima di Cristo non deriva per trasmissione generativa dall'anima peccatrice di Adamo, altrimenti sarebbe stata anch'essa in Abramo.

Può quel testo suffragare il traducianesimo per gli altri uomini tranne Cristo?

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20.35. A questo punto escono fuori i sostenitori del traducianismo e dicono che la loro opinione viene confermata se è certo che Levi, anche quanto all'anima, era nei lombi d'Abramo, nella cui persona pagò la decima a Melchisedec sicché, a proposito del pagamento della decima, si può distinguere il caso di Cristo da quello di Levi. Poiché, se Cristo non pagò la decima e, tuttavia, quanto alla carne, era nei lombi di Abramo, ne segue che non vi era quanto all'anima e perciò Levi era in Abramo quanto all'anima. Questa conclusione non ha per me un gran peso, poiché sono più disposto a continuare la discussione degli argomenti addotti dagli uni e dagli altri anziché a confermare per ora l'una delle due tesi. Ho voluto frattanto mostrare con questo testo della sacra Scrittura che l'anima di Cristo non deriva per generazione e non è trasmessa dall'anima di Adamo. I sostenitori dell'opinione contraria troveranno forse che cosa rispondere riguardo alle restanti anime umane e dire - un argomento che ha un peso non indifferente anche per me - che, sebbene l'anima di nessun essere umano sia nei lombi del proprio antenato, tuttavia Levi che - per quanto attiene alla carne - era nei lombi di Abramo, pagò la decima, mentre Cristo, anch'egli presente quanto alla carne, non la pagò. Levi infatti era presente nei lombi di Abramo in ragione della causa seminale per cui era destinato a nascere nel grembo della madre mediante l'amplesso carnale dei genitori, mentre la carne di Cristo non era in quei lombi secondo la ragione seminale, sebbene vi fosse la carne di Maria a causa di quella stessa ragione. Ecco perché né Levi né Cristo erano nei lombi d'Abramo quanto all'anima; al contrario sia Levi che Cristo vi erano rispetto alla carne, ma Levi in forza della concupiscenza carnale, Cristo invece solo quanto alla sua sostanza corporale. Essendo infatti nel seme non solo l'elemento corporeo visibile, ma anche il principio formativo invisibile, l'uno e l'altro arrivarono da Abramo o anche dallo stesso Adamo al corpo di Maria, poiché fu anch'esso concepito e generato in quel modo. Cristo tuttavia prese la sostanza visibile della sua carne dalla carne della Vergine, ma il principio formativo del suo concepimento non derivò dal seme di un uomo, bensì in modo di gran lunga diverso e dall'alto. Per conseguenza riguardo a ciò ch'egli ricevette da sua Madre era anch'egli nei lombi di Abramo.

Argomento per la prima opinione.


20.36. In Abramo pagò dunque la decima Levi che - sebbene solo in rapporto alla carne -era tuttavia nei suoi lombi, come anche Abramo stesso era stato nei lombi di suo padre; in altre parole egli nacque da suo padre Abramo allo stesso modo ch'era nato dal proprio padre lo stesso Abramo mediante la legge insita nelle membra e contrastante con la legge dello spirito, e in forza della concupiscenza invisibile, anche se i casti ed onesti diritti del matrimonio non permettono che abbia il sopravvento la concupiscenza se non nella misura in cui possono provvedere per mezzo di essa alla continuazione della specie (umana). Non pagò invece la decima in Abramo nemmeno Colui la carne del quale non trasse da quell'origine l'ardore passionale del peccato, ma solo la materia del rimedio che doveva arrecargli. Poiché l'azione di pagare la decima, essendo destinata ad essere figura del rimedio, ciò che fu pagato nella carne di Abramo fu pagato da chi doveva esser guarito, non da Colui dal quale sarebbe stato guarito. Infatti la medesima carne non solo di Abramo, ma anche quella del primo e terrestre uomo, aveva nello stesso tempo non solo la ferita del peccato, ma il rimedio della ferita: la ferita del peccato nella legge delle membra opposta alla legge dello spirito, legge trasmessa, per così dire, per ragioni seminali attraverso ogni carne derivante per generazione da quell'origine; il rimedio della ferita invece l'aveva nel corpo che fu preso da quello della Vergine - sorgente da cui derivò solo la materia corporea - senza l'intervento della concupiscenza ma per mezzo di un principio causale divino di concezione e di formazione perché potesse condividere (con gli uomini) la morte, ma non il peccato e dar loro un esempio non equivoco della risurrezione. Io penso perciò che anche i sostenitori del traducianismo siano d'accordo con me che l'anima di Cristo non deriva per generazione dall'anima peccatrice del primo uomo. Essi infatti sostengono che attraverso il seme del padre nell'atto dell'unione sessuale venga trasmesso anche il germe dell'anima - genere di concepimento, questo, a cui Cristo è estraneo - e che, se fosse stato anche lui in Abramo quanto all'anima, avrebbe pagato la decima anche lui. Che invece egli non pagasse la decima lo attesta la Scrittura, visto che anche in base a questo fatto distingue il suo sacerdozio da quello di Levi.

Agostino confessa d'essere indeciso tra le due tesi.

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21.37. Forse costoro replicheranno: Allo stesso modo che Cristo sarebbe potuto essere in Abramo quanto alla carne senza pagar la decima, perché mai non sarebbe potuto esserci anche quanto all'anima senza pagar la decima? Riguardo a ciò si risponde: Poiché la sostanza dell'anima, certamente semplice, non aumenta con il crescere del corpo e ciò lo ammettono perfino coloro i quali pensano che l'anima è un corpo, nel numero dei quali sono soprattutto coloro che credono che l'anima derivi dai genitori. In un seme può esserci quindi una forza invisibile che ne regola lo sviluppo secondo un principio incorporeo: questa forza può vedersi non con gli occhi ma con l'intelligenza e così distinguerla dalla materia corporea che si percepisce con la vista o con il tatto. La massa del corpo umano che senza dubbio è incomparabilmente più grande della piccola massa del seme, dimostra assai chiaramente che da quella massa può considerarsi a parte un qualche elemento che non ha la forza seminale ma solo la sostanza corporale; sostanza corporale che fu assunta dalla potenza di Dio per formare la carne di Cristo senza farla derivare dalla generazione (umana) mediante l'uomo carnale. Ma chi oserebbe affermare che l'anima abbia l'uno e l'altro dei due elementi, cioè la materia visibile del seme e l'occulto principio formativo del seme? Ma perché dovrei affaticarmi a trattare un argomento di cui è forse impossibile convincere alcuno a parole salvo che sia una persona d'ingegno sì grande ed elevato, capace di prevenire gli sforzi di chi parla senza che abbia bisogno di aspettare la fine del suo discorso? Riassumerò quindi brevemente il mio pensiero: se l'anima di Cristo fosse potuta derivare da un'altra anima - e io penso che il lettore ha capito quanto dicevo della generazione parlando del corpo - l'anima di Cristo proviene per via di generazione in modo però da non aver contratto la macchia del peccato; se invece non è potuta derivare da quell'origine senza la colpa del peccato, essa non deriva di lì. Infine, quanto all'origine delle altre anime, se cioè derivino dai genitori oppure da Dio, lo dimostrino con evidenza coloro che ne saranno capaci. Io, per parte mia, sono ancora perplesso tra le due ipotesi, propendendo ora verso l'una ora verso l'altra con questa sola riserva: io cioè non credo che l'anima sia un corpo o una proprietà del corpo o, se così può dirsi, un accordo delle sue varie parti, chiamato dai greci. Spero inoltre, se Dio aiuta la mia intelligenza, che non crederò mai a simili ciance che venga a contarmi un ciarlatano qualunque.

Si esamina il testo di @Jn 3,6@.

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22.38. C'è anche un altro testo degno di considerazione che possono citare a proprio favore coloro i quali pensano che le anime vengono da Dio. È il testo in cui il Signore dice: Ciò che è nato dalla carne è carne e ciò che è nato dallo spirito è spirito. "Che c'è - dicono essi - più decisivo di questa affermazione per provare che l'anima non può nascere dalla carne? Che cos'altro infatti è l'anima se non lo spirito vitale che è certamente creato, non il Creatore?". Contro costoro gli altri replicano: "Che cos'altro pensiamo noi, dal momento che affermiamo che la carne deriva dalla carne, l'anima dall'anima?". L'uomo è infatti composto dell'una e dell'altra e noi pensiamo che da lui derivano l'una e l'altra, e cioè la carne dalla carne dell'uomo che fa l'atto (carnale) e lo spirito dallo spirito dell'uomo che concupisce? Per non dire adesso che il Signore parlava non della generazione carnale, ma della rigenerazione spirituale.

Conclusione: nessun testo allegato è decisivo per l'una o l'altra opinione.

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23.39. Dopo aver discusso a fondo questi testi, per quanto ce lo ha permesso il tempo, io potrei asserire che il peso delle ragioni e dei testi addotti da una parte e dall'altra è uguale o quasi uguale, se non fosse che l'opinione di coloro che pensano che le anime sono generate dai genitori, ha un peso maggiore per riguardo al(la pratica del) battesimo dei bambini. Che cosa possa rispondersi ai loro argomenti per ora non mi si presenta alla mente. Se mai in seguito Dio mi darà una soluzione e mi concederà la possibilità anche di esporla per iscritto a vantaggio di coloro che s'interessano di simili argomenti, lo farò ben volentieri. Per ora tuttavia dichiaro anzitutto che non si deve disprezzare l'argomento tratto dal battesimo dei bambini al fine d'evitare che si trascuri di confutarlo in qualche modo se è contrario alla verità. Ci troviamo infatti di fronte alla seguente alternativa: non si deve fare alcuna indagine sulla questione che stiamo trattando in modo che alla nostra fede basti che sappiamo qual è la mèta che dobbiamo raggiungere vivendo nel timor di Dio anche se ignoriamo d'onde veniamo; oppure, se è arrogante l'anima razionale che brama ardentemente di conoscere anche la propria origine, metta da parte l'ostinazione nel disputare ed usi la diligenza nell'indagare, l'umiltà nel domandare, la perseveranza nel bussare alla porta; in tal modo, se Dio - il quale sa meglio di noi ciò ch'è il nostro bene - sa che questo ci è utile, ci darà anche questo, lui che dà cose buone ai suoi figli. Non si deve tuttavia disprezzare affatto l'usanza della Chiesa nostra madre di battezzare i bambini né giudicarla in alcun modo inutile né prestarle assolutamente fede qualora non fosse una tradizione trasmessa dagli Apostoli. Anche la tenera età dei bambini ha in proprio favore una testimonianza di gran peso, essendo stata la prima ad avere il merito di versare il sangue per Cristo.

Che cosa devono evitare i fautori del traducianesimo.

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24.40. Io tuttavia esorto con tutte le mie forze quanti si sono già lasciati convincere da questa opinione - per cui credono che le anime ci vengano trasmesse dai genitori per via di generazione - di considerare con tutta l'attenzione loro possibile se stessi e capire quindi che le loro anime non sono corpi. Nessuna sostanza infatti è più simile (a Dio) dell'anima, fatta a immagine di lui; se venisse considerata attentamente, essa potrebbe farci capire anche (la natura di) Dio, immutabile e trascendente tutta la creazione, e farcelo pensare incorporeo. Al contrario, una volta ammesso che l'anima sia un corpo, non v'è nulla di più simile o forse di più logico che l'immaginare che anche Dio sia un corpo. Assuefatti perciò alle realtà materiali e immersi sotto le impressioni dei sensi, quei tali rifiutano di credere che l'anima sia una sostanza diversa da un corpo, per paura che, se non è un corpo, sia un nulla e perciò tanto più temono di pensare che Dio non sia un corpo quanto più temono di pensare che Dio sia un nulla. Costoro si lasciano talmente trascinare da immagini (d'oggetti sensibili) o da fantasmi d'immagini che la potenza cogitativa dell'anima forma derivandole dagli oggetti materiali e, per conseguenza, senza immagini e fantasmi di tal genere, essi temono di andare a finire in una sorta di vuoto. È quindi inevitabile che nella loro mente essi dipingano, per così dire, con forme e colori la giustizia e la sapienza, non essendo capaci di concepirle incorporee; quando tuttavia dalla giustizia o dalla sapienza sono spinti a lodarle o a far qualcosa conforme ad esse, non sanno dire con quale colore o statura, con quali lineamenti o forma le abbiano viste. Ma su questo argomento abbiamo già parlato a lungo altre volte e, se Dio vorrà, ne riparleremo qualora l'occasione parrà esigerlo. Per ora, come avevamo cominciato a dire, se alcuni non dubitano che le anime derivano per generazione dai genitori oppure dubitano che sia così, non abbiano tuttavia l'audacia di pensare o affermare che l'anima è un corpo, soprattutto per il motivo che dicevo, ossia perché non pensino che anche Dio non sia altro che un corpo, sia pure perfettissimo, avente una sua propria natura particolare superiore a tutte le altre nature, ma tuttavia un corpo.

L'errore di Tertulliano riguardo all'anima.

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25.41. Tertulliano dunque credeva che l'anima fosse un corpo soltanto perché egli non riusciva a concepire l'anima come una sostanza incorporea e perciò temeva che fosse un nulla se non fosse un corpo; egli quindi non riuscì neppure ad avere un'idea diversa riguardo a Dio. Ma siccome era uno spirito acuto, fu talora costretto a cedere all'evidenza della verità contro la propria opinione. Che cosa infatti avrebbe potuto dire di più vero di ciò che afferma in un passo: Tutto ciò che è corporeo è soggetto a patire ? Avrebbe dunque dovuto cambiare l'opinione espressa in precedenza, secondo la quale aveva affermato che anche Dio è un corpo. Io infatti non posso pensare che fosse arrivato a un tal punto di pazzia da credere capace di patire anche la natura di Dio tanto che si potrebbe credere che Cristo, non solo nella sua carne o nella sua carne e anima, ma proprio in quanto Verbo per mezzo del quale furono fatte tutte le cose, fosse capace di patire e soggetto a mutamento: i detti errori dovrebbero essere banditi dalla mente d'un cristiano. Allo stesso modo, mentre dà all'anima anche un colore simile a quello del cielo luminoso, quando arriva (a parlare) dei sensi e si sforza di fornire l'anima dei suoi organi dei sensi come (se fosse) un corpo, dice: Questa sarà l'uomo interiore, l'altro invece è l'uomo esteriore; sono due uomini ma formano un sol uomo; anche l'uomo interiore ha i propri occhi e i propri orecchi con cui il popolo avrebbe dovuto udire e vedere il Signore; egli possiede anche tutte le altre membra di cui si serve per pensare e che usa nei suoi sogni.

Stranezze e contraddizioni nell'opinione di Tertulliano sull'anima.


25.42. Ecco qui quale specie di orecchi e di occhi con cui il popolo avrebbe dovuto ascoltare e vedere il Signore! Quelli d cui si serve l'anima nei sogni, mentre, se uno vedesse lo stesso Tertulliano in sogno, non oserebbe mai dire di essere stato visto da lui e d'aver parlato con lui, poiché egli stesso a sua volta non lo avrebbe visto. Infine, se l'anima vede se stessa in sogno quando vaga attraverso varie immagini da essa viste mentre le membra del proprio corpo giacciono naturalmente in un luogo determinato, chi mai ha visto l'anima di colore simile all'azzurro del cielo e luminoso, se non forse come tutti gli altri oggetti ch'essa vede similmente sotto false apparenze? Poiché uno può vedere l'anima anche in questo modo. Ma non sia mai che, quando si sarà svegliato, egli creda che l'anima sia realmente come l'ha vista in sogno! Altrimenti, quando vedrà se stesso essere diverso, o l'anima sua sarà cambiata o ciò che è visto nel sogno non è la sostanza dell'anima ma l'immagine incorporea di un corpo formata in modo misterioso come nell'immaginazione. Quale Etiope non vede se stesso di un altro colore, non resta piuttosto sorpreso se gli torna in mente il sogno? Non so però se si sarebbe mai visto di colore cilestrino e luminoso, se non avesse mai letto o udito quest'opinione di Tertulliano!

Dio non è simile alle immagini con cui si manifestò allo spirito dei suoi servi.


25.43. Ma che dire del fatto che alcuni si lasciano influenzare da siffatte visioni e pretendono di persuaderci per mezzo delle Scritture che non l'anima (soltanto), ma Dio stesso è simile alle immagini con cui si manifestò allo spirito dei suoi servi fedeli, simile alle immagini con cui lo si esprime nel linguaggio allegorico? Quelle visioni hanno infatti delle somiglianze con siffatte espressioni allegoriche. Questi pensatori però, dicendo così, sbagliano mentre formano nel loro cuore immagini illusorie d'una vana opinione senza comprendere che quei fedeli servi di Dio giudicarono quelle loro visioni come le avrebbero giudicate se le avessero lette o udite descritte per ispirazione divina in linguaggio figurato. Così le sette spighe e le sette vacche sono sette anni e così pure la tovaglia, tenuta su fissata alle quattro estremità come un piatto pieno d'ogni specie di animali, è tutto il mondo con tutti i popoli; e così dicasi di tutte le altre cose, specialmente di quelle incorporee rappresentate non da realtà ma da immagini materiali.

Pensiero di Tertulliano sulla crescita dell'anima.

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26.44. Tertulliano tuttavia fu restìo ad affermare che la sostanza dell'anima cresce come il corpo, esprimendo anche il motivo del suo timore: Per paura, cioè, che si dica che decresce anche la sua sostanza e in tal modo si pensi che possa arrivare alla sua completa estinzione. Ciononostante, siccome immagina che l'anima, diffusa nello spazio di tutto il corpo, non trova un limite alla sua crescita poiché sostiene che, derivata da un seme microscopico, arriva ad avere la stessa grandezza del corpo, dice: Ma la sua potenza vitale, in cui si trovano insite le sue proprietà naturali, si sviluppa gradualmente con il corpo conservando la quantità della sostanza ricevuta alla sua origine quando fu infusa (nell'uomo). Noi forse non comprenderemmo queste espressioni se non le avesse chiarite con un paragone. Prendi - dice -una certa quantità d'oro e d'argento, una massa ancora grezza; esso è in uno stato di compattezza per cui è meno estesa di quanto sarà in seguito, ma ciononostante nei limiti della sua dimensione contiene tutto ciò che appartiene alla natura dell'oro o dell'argento. In seguito, quando la massa viene ridotta in una lamina, divien più grande di quanto non era in principio a causa dell'allargamento di quella determinata massa, non a causa di un incremento ch'essa acquista mentre viene distesa in una lamina senza essere accresciuta, benché riceva un incremento anche così mentre vien laminata. Essa infatti può aumentare nelle sue dimensioni, ma non lo può nella sua costituzione sostanziale. Allora acquista risalto anche lo splendore dell'oro o dell'argento pur già presente anche nella massa, ma in uno stato piuttosto oscuro, pur senza mancare del tutto. Allora al metallo si dànno anche forme diverse secondo la sua malleabilità in base alla quale lo modella l'artigiano senza aggiungere alla massa null'altro che la forma. Di tale qualità deve quindi esser giudicato anche l'accrescimento dell'anima che non è un aumento sostanziale, ma che suscita le sue potenzialità.

Assurdità nell'opinione di Tertulliano.


26.45. Chi avrebbe potuto credere che questo scrittore sarebbe potuto essere tanto eloquente nell'esprimere una tale opinione? Ma siffatte espressioni devono farci rabbrividire di paura anziché suscitare il nostro riso. Sarebbe stato forse costretto a formulare una simile opinione, se avesse potuto pensare che può esistere qualcosa anche senza essere un corpo? Che c'è poi di più assurdo che immaginare la massa di un metallo qualunque capace di crescere in una dimensione mentre viene laminata senza decrescere in un'altra, capace d'essere estesa in larghezza senza diminuire di spessore? O si può forse pensare un corpo che, rimanendo con le medesime dimensioni, possa crescere in volume senza che diminuisca la sua densità? In qual modo allora l'anima proveniente da un minuscolo seme potrà riempire l'intera massa del corpo animato da essa, se anch'essa è un corpo la cui sostanza non cresce senza l'aggiunta d'alcuna specie? In qual modo - ripeto - riempirà la carne, da essa resa viva, senza perdere la sua densità in proporzione della massa del corpo da essa animato? Evidentemente Tertulliano temeva che l'anima crescendo potesse perire a forza di diminuire in densità e non temeva che potesse perire a forza d'assottigliarsi, a forza di crescere! Ma perché intrattenermi più a lungo su questo soggetto, dal momento che da una parte il mio discorso si estende oltre i limiti richiesti dalla necessità di concludere e, d'altra parte, il mio pensiero su ciò, che ritengo certo o su cui rimango ancora in dubbio o sul perché io dubito, è ormai assai chiaro? Si deve perciò concludere questo volume per esaminare poi i testi che seguono.


1 - (Gn 2,23).
2 - (Gn 1,27).
3 - (Gn 1,27).
4 - Ez 37,9-10.
5 - Io 20,22.
6 - Cf. Sap 1,7.
7 - Is 57,16.
8 - Ps 32,15.
9 - Eph 2,8-10.
10 - Ps 50,12.
11 - Zac 12,1.
12 - Sap 8,19-20.
13 - Rom 9,10.
14 - Ps 103,29-30.
15 - Cf. 2 Mac 7,23.
16 - Ps 102,14.
17 - Eccli 10,9.
18 - Cf. Rom 10,3.
19 - Cf. Iob 30,19.
20 - Ps 102,14.
21 - Gal 2,20.
22 - Eccle 12,7.
23 - Cf. (Gn 2,7).
24 - Cf. (Gn 3,19).
25 - Ps 67,39.
26 - Rom 5,12.
27 - Rom 5,18-19.
28 - Gal 5,17.
29 - Cf. Ps 83,3.
30 - Eccli 1,26.
31 - Gal 5,17.
32 - Lc 3,6.
33 - Cf. Eph 2,3.
34 - Rom 6,12-13.
35 - Ier 1,5.
36 - Cf. Rom 9,11.
37 - Cf. Rom 5,19.
38 - Sap 4,11.
39 - 1 Cor 15,22.
40 - Rom 5,19.
41 - Rom 5,12.
42 - Sap 8,19-20.
43 - Cf. Sap 9,15.
44 - Cf. Sap 7,2.
45 - Ps 21,18-19.
46 - Ps 21,2.
47 - Lc 2,40.
48 - Cf. Lc 2,42-52.
49 - Cf. Gal 5,17.
50 - Sap 8,19.
51 - Cf. Io 1,14.
52 - Io 3,6.
53 - Cf. Rom 7,23.
54 - Io 3,6.
55 - Cf. Mt 7,7.
56 - Cf. Mt 7,11.
57 - TERTULL., De anima 7,4.
58 - TERTULL., De anima 9,5.
59 - TERTULL., De anima 9,8.
60 - Cf. (Gn 41,26.
61 - Cf. Act 10,11.
62 - TERTULL., De anima 37,5.
63 - TERTULL., De anima 37,5.
64 - TERTULL., De anima 37,6-7.


Agostino - Genesi 1317