Agostino - Genesi 1400

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LIBRO UNDECIMO

La tentazione e la caduta dell'uomo in Gen 2, 25 - 3, 24.

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1.1. Ora Adamo ed (Eva) sua moglie erano tutti e due nudi, ma non provavano vergogna. Il serpente però era il più astuto di tutti gli animali della terra fatti dal Signore. Il serpente disse alla donna: È forse vero che Dio vi ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del paradiso? La donna rispose al serpente: Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma riguardo al frutto dell'albero sito nel mezzo del paradiso Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per evitare di morire. Ma il serpente rispose alla donna: Voi non morrete affatto. Poiché Dio sapeva che il giorno in cui ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male. La donna allora osservò l'albero ch'era buono da mangiare, era delizia per gli occhi e bello da contemplare, e prendendo del suo frutto ne mangiò e poi ne diede anche al marito, ch'era con lei, e ne mangiarono. Si aprirono allora gli occhi di ambedue e s'accorsero d'essere nudi; intrecciarono perciò foglie di fico e se ne fecero cinture intorno ai fianchi. Udirono poi la voce del Signore Dio che passeggiava nel paradiso verso sera. Allora Adamo e sua moglie si nascosero dalla presenza del Signore Iddio in mezzo agli alberi del paradiso. Ma il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito la tua voce mentre passeggiavi nel paradiso e ho avuto paura, poiché sono nudo, e mi sono nascosto. Ma Dio gli rispose: Chi ti ha fatto sapere che sei nudo se non il fatto che hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato di non mangiare? Rispose Adamo: La donna, che mi hai dato per compagna, è stata lei a darmi dell'albero e io ne ho mangiato. Il Signore Iddio allora disse alla donna: Perché hai fatto ciò? Rispose la donna: Il serpente mi ha ingannata, e io ho mangiato. Allora il Signore Iddio disse al serpente: Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto fra tutti gli animali e tutte le bestie selvatiche che sono sulla terra. Sul tuo petto e sul tuo ventre dovrai strisciare e polvere dovrai mangiare tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua e la sua discendenza. Essa insidierà la tua testa e tu insidierai il suo tallone. Alla donna invece disse: Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore dovrai partorire figli; il tuo istinto ti spingerà verso tuo marito, ma egli ti dominerà. Ad Adamo poi disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui solo ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne ricaverai il tuo cibo tutti i giorni della tua vita; essa produrrà per te spini e rovi e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra tornerai. Adamo poi chiamò "Vita" sua moglie poiché essa è la madre di tutti i viventi. Il Signore Iddio fece per Adamo e per la moglie tuniche di pelle e li vestì. Dio allora disse: Ecco, Adamo è divenuto come uno di noi avendo la conoscenza del bene e del male. Ora bisogna proibirgli che stenda la sua mano e prenda dall'albero della vita e ne mangi e (così) viva per sempre. Il Signore Iddio allora lo scacciò dal paradiso di delizie e lo pose nella parte opposta al paradiso di delizie e stabilì dei cherubini e la spada di fiamma roteante per custodire l'accesso all'albero della vita.

Senso letterale e senso allegorico nella sacra Scrittura.


1.2. Prima di spiegare frase per frase il succitato testo della Scrittura, credo opportuno ripetere qui l'avvertimento che credo di avere già fatto anche in un altro passo della presente opera, che cioè da noi deve esigersi di difendere il senso letterale dei fatti narrati dall'autore sacro. Se però tra le espressioni preferite da Dio e da qualsivoglia persona chiamata da Dio al ministero di profeta, se ne trova qualcuna che non può esser presa alla lettera senza che risulti assurda, non c'è dubbio che deve essere intesa in senso figurato, indicante qualcos'altro di natura simbolica; non è lecito tuttavia dubitare che (quell'espressione) sia parola di Dio. Ciò lo esige l'attendibilità del narratore e la promessa del commentatore.

Perché i progenitori non si vergognavano della loro nudità.


1.3.Tutti e due erano nudi

2. È vero: i corpi dei due (primi) esseri umani, che vivevano nel paradiso, erano completamente nudi. Ma non provavano vergogna. Perché si sarebbero dovuti vergognare, dal momento che non sperimentavano nelle loro membra alcuna legge in guerra con la legge del loro spirito ? Quella legge fu inflitta loro come pena del peccato dopo che fu commessa la trasgressione, quando la disubbidienza si appropriò di ciò ch'era stato proibito e la giustizia punì il peccato commesso. Prima che ciò avvenisse, essi erano nudi -come dice la Scrittura - e non sentivano vergogna; nel loro corpo non c'era alcun moto di cui dovessero vergognarsi; pensavano di non aver nulla da velare poiché non avevano provato alcun moto da frenare. In qual modo avrebbero procreato figli è già stato discusso in precedenza, poiché prima che morissero, la morte già era germinata nel corpo di quelle persone disubbidienti, fomentando la ribellione delle loro membra disubbidienti con un giustissimo contrappasso. Questa non era ancora la condizione d'Adamo e di Eva quando erano entrambi nudi ma senza provarne vergogna.

Di che specie era e donde proveniva l'astuzia del serpente.

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2.4. C'era però il serpente, il più astuto, è vero, ma solo fra tutti gli animali fatti dal Signore Iddio. Ora, è in senso traslato che il serpente è chiamato il più accorto o, secondo parecchi manoscritti latini, il più saggio, non già in senso proprio, come s'intende di solito la parola "sapienza" quando è riferita a Dio, a un angelo o a un'anima razionale, ma nel senso in cui potrebbero chiamarsi "sapienti" anche le api e le formiche, poiché le loro opere manifestano una sorta di sapienza. Questo serpente per altro potrebbe dirsi "il più sapiente" degli animali non a motivo della sua anima irrazionale, ma dello spirito d'un altro essere, ossia dello spirito diabolico. Poiché per quanto in basso siano stati precipitati gli angeli ribelli dalla loro dimora celeste a causa della loro perversità e della loro superbia, tuttavia per la loro natura sono superiori a tutte le bestie a causa dell'eccellenza della loro ragione. Che c'è dunque di strano se il diavolo, entrando nel serpente e sottomettendolo alla sua suggestione, comunicandogli il proprio spirito alla maniera in cui sogliono essere invasati i profeti dei demoni, l'aveva reso "il più sapiente" di tutte le bestie che vivono in virtù di un'anima viva ma irrazionale. Ma è in senso improprio che si parla di "sapienza" a proposito di un malvagio, come si parla di "astuzia" a proposito d'una persona buona. Poiché in senso proprio e secondo l'uso più corrente, almeno nella lingua latina, si chiamano "sapienti" le persone lodevoli, mentre per "astuti" s'intendono coloro che usano il loro senno per il male. Ecco perché alcuni, come si può vedere su molti manoscritti, hanno tradotto secondo l'esigenza della lingua latina non la parola ma piuttosto l'idea, e così hanno preferito chiamare il serpente "il più astuto", anziché "il più sapiente" di tutti gli animali. Quale sia il senso proprio di questo termine nell'ebraico, se cioè in quella lingua alcuni si possono chiamare e intendere "sapienti" in rapporto al male non in senso improprio ma in senso proprio, se la vedano gli specialisti in quella lingua. Noi tuttavia leggiamo chiaramente in un altro passo delle Sacre Scritture di alcuni chiamati "sapienti" in rapporto al male e non al bene; e il Signore afferma che i figli di questo mondo sono più sapienti dei figli della luce per provvedere alla loro vita futura sebbene in modo fraudolento e non secondo giustizia.

Il diavolo poteva sedurre solo per mezzo del serpente.

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3.5. Noi però non dobbiamo immaginare affatto che il diavolo si scegliesse di proprio arbitrio e potere il serpente per tentare l'uomo e persuaderlo a commettere il peccato ma, essendo insito in lui il desiderio d'ingannare a causa della sua perversa e invidiosa volontà, non poté soddisfarlo se non mediante l'animale con cui gli fu permesso di appagarlo. In ciascuno infatti la perversa volontà di recar danno può derivare anche dalla propria anima, ma il poterlo compiere non deriva se non da Dio e ciò a motivo d'una giustizia occulta e profonda, poiché in Dio non c'è ingiustizia.

Perché fu permessa la tentazione.

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4.6. Se dunque si chiede perché Dio permise che fosse tentato l'uomo ch'egli prevedeva avrebbe dato il consenso al tentatore, io non posso scandagliare la profondità dei disegni divini e confesso che (la soluzione) del problema sorpassa di molto le mie forze. Può esserci dunque forse una causa occulta, la cui conoscenza è riservata - non per i loro meriti ma piuttosto per una grazia di Dio - a persone più valenti e più sante di me; ma tuttavia, nei limiti della facoltà che Dio mi concede di capire o mi permette di dire, non mi pare che l'uomo sarebbe stato degno di gran lode, se fosse stato in grado di vivere rettamente per la semplice ragione che nessuno lo avrebbe persuaso a vivere male, dal momento che nella sua natura aveva il potere e, nel suo potere, la capacità di volere per non acconsentire ai consigli del tentatore, sempre però con l'aiuto di Colui che resiste ai superbi, ma concede la sua grazia agli umili. Perché dunque Dio non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato, sebbene prevedesse che avrebbe acconsentito (alla tentazione)? L'uomo infatti, in quell'occasione, avrebbe agito di propria volontà e avrebbe, così, commesso la colpa e avrebbe dovuto subire il castigo per essere restituito nell'ordine della giustizia di Dio? In tal modo Dio avrebbe mostrato all'anima, per istruzione dei suoi servi futuri, quanto rettamente egli si serve delle volontà anche perverse delle anime quando queste si servono delle loro nature buone per fare il male.

L'uomo soggiacque alla tentazione per la superbia.

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5.7. Non si deve però immaginare nemmeno che il tentatore avrebbe potuto far cadere l'uomo, se prima non fosse sorto nell'animo dell'uomo un sentimento di superbia ch'egli avrebbe dovuto reprimere; mediante l'umiliazione causata dal peccato avrebbe così imparato quanto falsamente presumesse di se stesso. È assolutamente vero ciò che dice la sacra Scrittura: Prima della rovina lo spirito s'insuperbisce e prima della gloria si umilia. Questa è forse la voce dell'uomo che risuona nel Salmo: Nella mia abbondanza io dissi: Non sarò scosso in eterno. In seguito, dopo aver imparato per esperienza qual male ha in sé la superba presunzione del proprio potere e qual bene ha in sé l'aiuto della grazia, dice: Signore, per la tua volontà avevi dato valore alla mia dignità; ma poi hai distolto la tua faccia da me e io ne sono rimasto sconvolto. Ma sia che questa espressione si riferisca al primo uomo, sia che si riferisca a un altro, tuttavia si doveva dare una lezione all'anima che si esalta e presume troppo di quella che crede una forza propria - anche facendole sperimentare il castigo - per mostrarle in qual misero stato viene a trovarsi una creatura quando si allontana dal proprio Creatore. Con ciò viene messo fortemente in rilievo qual bene è Dio, dal momento che non si sente felice nessuno che si allontana da lui; infatti da una parte coloro, che ripongono il loro godimento nei piaceri mortiferi, non possono sentirsi esenti dalla paura di soffrire; da un'altra parte coloro i quali, come drogati e resi insensibili dall'eccessiva loro superbia, non si accorgono affatto della sventura della loro apostasia, appaiono molto più infelici di coloro che sanno riconoscere la loro diserzione da Dio; in tal modo, se rifiutano di prendere il rimedio per evitare siffatte sventure, serviranno d'esempio per farle evitare ad altri. Ecco perché l'apostolo Giacomo dice: Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce: la concupiscenza poi concepisce e genera il peccato, e il peccato, una volta commesso, genera la morte. Ne segue che, quando è guarita l'enfiagione della superbia, l'uomo si rialza se la volontà di rimanere fedele a Dio, che gli era mancata prima della prova, la possiede dopo la prova per tornare a Dio.

Utilità della tentazione.

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6.8. Ora, alcuni rimangono imbarazzati al pensiero che Dio abbia permesso questa tentazione del primo uomo, come se non vedessero che adesso tutto il genere umano viene continuamente tentato dalle insidie del demonio. Perché Dio permette anche ciò? Forse perché in questo modo viene messo alla prova e si fa esercitare la virtù, e la palma della vittoria di non consentire alla tentazione è più gloriosa di quella di non aver potuto essere tentati. Poiché anche quegli stessi, che hanno abbandonato il Creatore, seguono il loro tentatore e tentano sempre più coloro che restano fedeli alla parola di Dio e offrono ai loro tentatori - per farli resistere alla passione - l'esempio di come evitare la tentazione e infondono in loro un santo timore per combattere la superbia. Ecco il motivo per cui l'Apostolo dice: Vigilando su te stesso per non cadere anche tu nella tentazione 14. È sorprendente come tutte le Sacre Scritture si premurano di raccomandarci continuamente l'umiltà, con cui ci sottomettiamo al Creatore ed evitiamo di credere che non abbiamo bisogno del suo aiuto presumendo delle nostre forze. Poiché dunque anche i peccatori contribuiscono al progresso dei virtuosi e gli empi al progresso dei timorati di Dio, non ha senso dire: "Dio non avrebbe dovuto creare coloro che prevedeva sarebbero stati cattivi". Perché mai, infatti, non avrebbe dovuto creare coloro che egli prevedeva sarebbero di giovamento ai buoni affinché da una parte nascessero per essere utili ad esercitare e ammaestrare la volontà dei buoni e, d'altra parte, ricevessero anch'essi un giusto castigo per la cattiva loro volontà?

Perché l'uomo non fu creato impeccabile.

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7.9. "Dio - dicono alcuni - avrebbe dovuto creare l'uomo di tal natura che gli fosse assolutamente estranea la volontà di peccare". Ora, io ammetto che è migliore la natura a cui è assolutamente estranea la volontà di peccare; ma ammettano anch'essi a loro volta che, se da un lato non è cattiva una natura fatta in modo che poteva non peccare qualora non lo avesse voluto, dall'altro lato è giusto il verdetto con cui essa fu punita, dal momento che aveva peccato con il suo libero arbitrio senz'esservi costretta. Allo stesso modo quindi che la retta ragione c'insegna che è migliore la natura, alla quale non piace assolutamente nulla d'illecito, così la retta ragione c'insegna nondimeno che è buona anche la natura che ha in suo potere di reprimere il piacere illecito qualora esso sorga (nell'animo) in modo da rallegrarsi non solo delle altre sue azioni lecite e buone ma anche della repressione dello stesso piacere cattivo. Poiché quindi questa natura è buona ma l'altra è migliore, perché mai Dio avrebbe dovuto creare quella sola e non piuttosto l'una e l'altra? Per conseguenza coloro, che erano pronti a lodar Dio d'aver creato solo la prima (specie di creature), dovrebbero lodarlo ancora di più per aver creato l'una e l'altra; l'una infatti si trova nei santi angeli, l'altra negli uomini santi. Coloro invece che hanno scelto per sé di mettersi dalla parte del male, hanno corrotto la loro natura degna di lode; il fatto poi che Dio prevedeva la loro condotta non è certo una ragione che non avrebbero dovuto esser creati. Anch'essi infatti hanno (tra gli esseri) il loro posto che devono occupare per l'utilità dei fedeli servi di Dio. Poiché Dio non ha bisogno della bontà d'alcun uomo retto, tanto meno dell'iniquità di un malvagio.

Perché Dio crea individui che prevede di condannare.

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8.10. Chi, dopo seria riflessione potrebbe dire: "Dio avrebbe fatto meglio a non creare uno che egli prevedeva sarebbe potuto esser corretto per mezzo del peccato d'un altro anziché creare anche uno che prevedeva sarebbe dovuto essere condannato per il suo peccato"? Ciò infatti equivale a dire: "Sarebbe meglio che non ci fosse alcuno che per la misericordia di Dio venisse premiato per aver fatto buon uso del peccato di un altro, anziché esistesse un malvagio che fosse castigato giustamente per il proprio peccato". Quando la ragione ci mostra senz'ombra di dubbio due beni non ugualmente buoni, ma uno migliore dell'altro, i tardi di mente non comprendono che, quando dicono: "Questi due beni dovrebbero essere uguali", non dicono altro che: "Dovrebbe esistere solo il bene migliore". In tal modo, desiderando stabilire l'uguaglianza tra le diverse specie di buoni, ne diminuiscono il numero e, aumentandone a dismisura quello d'una sola specie, sopprimono l'altra specie. Chi mai però darebbe ascolto a costoro, se dicessero: "Siccome il senso della vista è più eccellente dell'udito, ci dovrebbero essere quattro occhi ma non dovrebbero esserci le orecchie"? Così pure, se è più eccellente la creatura razionale che senza alcuna paura del castigo e senz'alcuna superbia si sottomette a Dio, e se al contrario tra gli uomini è stato creato un altro fatto in modo che possa riconoscere i benefici di Dio soltanto vedendo il castigo d'un altro - e perciò non monti in superbia ma abbia timore, ossia non presuma di sé ma riponga la sua fiducia in Dio - chi, se fosse sano di mente, potrebbe dire: "Questa creatura dovrebbe essere uguale a quell'altra", senza capire che non direbbe nient'altro che: "Non dovrebbe esistere questa creatura ma solo quell'altra"? Siffatte affermazioni sono espressioni d'individui ignoranti e sciocchi. Perché mai Dio non avrebbe dovuto creare anche coloro che prevedeva sarebbero stati malvagi, volendo manifestare la sua collera e far crescere la sua potenza, sopportando perciò con grande pazienza vasi di collera già pronti per la perdizione, al fine di far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia predisposti da 16 17 lui per la gloria ? Così però chi si vanta non deve vantarsi se non nel Signore, sapendo che non da lui ma da Dio dipende la propria esistenza ma che anche la propria felicità dipende solo da Colui dal quale ha il proprio essere.

Lo stesso argomento.

8.11. È perciò molto irragionevole dire: "Non dovrebbero esistere individui ai quali Dio concederebbe il gran beneficio della sua misericordia, se non potessero esistere senza ch'esistessero anche quelli per mezzo dei quali egli potesse manifestare la giustizia del suo castigo".

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9. Perché mai, infatti, non dovrebbero esistere piuttosto ambedue queste specie di persone, dal momento che per mezzo dell'una e dell'altra vien fatta conoscere - com'è doveroso - la bontà e l'equità di Dio?

Prescienza di Dio e libertà dell'uomo.


9.12. Ma qualcuno potrebbe obiettare: "Se Dio avesse voluto, sarebbero stati buoni anche i cattivi". Quanto è meglio, invece, che Dio abbia voluto così: che cioè gli uomini fossero come vogliono essere, ma che i buoni non restassero senza il premio né i malvagi senza il castigo, e con ciò stesso fossero utili agli altri! "Ma Dio - replicheranno - prevedeva che la volontà di siffatti individui sarebbe stata cattiva". Sì, la prevedeva di certo e, poiché la sua prescienza non può sbagliare, cattiva era la volontà di essi, non quella di Dio. "Perché allora creò individui che prevedeva sarebbero stati malvagi?". Perché, allo stesso modo che prevedeva il male che avrebbero commesso, così prevedeva anche qual bene avrebbe ricavato dalle loro cattive azioni. Egli infatti li creò formandoli sì da lasciar loro la facoltà di compiere anch'essi qualcosa per cui, qualunque cosa avessero scelto anche in modo colpevole, avrebbero potuto costatare che l'azione di Dio nei loro riguardi era degna di lode. Proprio da loro infatti deriva la loro cattiva volontà, da lui invece la natura buona e il giusto castigo che rappresenta la funzione meritata da essi, e cioè: per gli altri un mezzo perché siano messi alla prova e un esempio per incutere timore.

Perché Dio non converte i malvagi.

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10.13. "Ma Dio - si replica - dal momento che è onnipotente, avrebbe potuto volgere al bene anche le volontà dei malvagi". Lo avrebbe potuto certamente. "E perché allora non lo fece?". Perché non lo volle. "E perché non lo volle?". Il motivo per cui non lo volle è un segreto che sa lui solo. Non dobbiamo infatti sapere più di quanto dobbiamo sapere. Credo tuttavia d'aver dimostrato assai chiaramente poco più sopra che non è un bene di poco pregio una creatura razionale, anche quella che evita il male riflettendo sulla sorte dei malvagi. Ora questa specie di creature non esisterebbe di certo, se Dio avesse convertito tutte le volontà malvage verso il bene e non avesse inflitto il meritato castigo ad alcuna violazione della legge di Dio; in tal modo non ci sarebbe che la sola specie delle persone che progrediscono nella virtù senza bisogno di considerare i peccati o il castigo dei malvagi. Così, col pretesto d'ingrandire il numero delle persone più perfette, verrebbe diminuito il numero delle diverse specie dei buoni.

Il castigo dei malvagi serve alla correzione degli altri.

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11.14. "Tra le opere di Dio - obiettano ancora - ce n'è dunque qualcuna che ha bisogno del male di un'altra creatura perché quell'altra progredisca nel bene?". Certi individui, a causa di una non so quale passione per la controversia, son divenuti pertanto talmente sordi e ciechi da non udire o vedere qual gran numero di persone si correggono quando alcuni sono stati puniti? Qual pagano, qual Giudeo, qual eretico non lo sperimenta ogni giorno nella propria famiglia? Ma quando si viene a discutere e indagare la verità, questi individui si rifiutano di riflettere e comprendere da quale opera della divina Provvidenza viene l'impulso d'infliggere loro il castigo in modo che, anche se coloro che vengono puniti non si correggono, nondimeno temeranno il loro esempio tutti gli altri, e il giusto castigo dei malvagi servirà alla salute dei buoni. È forse Dio la causa della malizia e della malvagità di coloro mediante il cui giusto castigo viene in aiuto a coloro che ha stabilito di soccorrere con questo mezzo? No davvero! Iddio tuttavia, pur prevedendo che quegli individui sarebbero stati cattivi a causa dei loro vizi personali, non si astenne dal crearli destinandoli all'utilità di quest'altre persone da lui create in modo che non potrebbero progredire nel bene senza riflettere sulla sorte dei malvagi. Se infatti questi non esistessero, non gioverebbero a nulla. È forse un piccolo bene che esistano questi individui che per lo meno sono utili all'altra categoria di persone? Chi desidera che non esistano siffatti individui, non cerca altro che di non essere lui stesso nel numero dei medesimi.

Prescienza e provvidenza di Dio.11.15.Grandi sono le opere del Signore, da ricercare in tutte le sue volontà! Egli prevede coloro che saranno buoni e li crea; prevede coloro che saranno cattivi e li crea, dando se stesso ai buoni affinché possano trovare la loro gioia in lui; ma anche ai cattivi egli concede generosamente molti dei suoi doni, perdonandoli con misericordia, castigandoli con giustizia, e in modo analogo castigandoli con misericordia e perdonandoli con giustizia, senza temer nulla dalla malizia di nessuno né aver bisogno della giustizia di nessuno; senza cercare per se stesso alcun vantaggio neppure dalle azioni dei buoni, ma avendo di mira il vantaggio dei buoni procurato anche con il castigo dei cattivi, Perché dunque non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato perché con quella tentazione si rivelasse, fosse convinto di peccato e punito quando il superbo desiderio d'essere padrone di se stesso avesse partorito ciò ch'esso aveva concepito e sarebbe rimasto pieno di vergogna a causa del peccato commesso e con il suo giusto castigo avrebbe distolto dal peccato di superbia e disubbidienza gli uomini avvenire per i quali era stato stabilito che quei fatti dovevano essere messi in iscritto e fatti conoscere.

Perché il demonio tentò per mezzo del serpente.

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12.16. Se poi si chiede perché Dio permise al diavolo di tentare (l'uomo) mediante il serpente a preferenza (di altri animali), chi non vede che quel fatto avvenne precisamente per indicare qualcosa d'importante, come ricorda la Scrittura, la quale ha un'autorità così grande che, nel suo parlare ispirato da Dio, si basa su tanti argomenti divini quante sono le profezie adempiute e di cui il mondo è ormai ripieno? Non che il diavolo volesse simbolizzare qualcosa per la nostra intenzione, ma siccome non avrebbe potuto avvicinarsi all'uomo per tentarlo se non ne avesse avuto il permesso, avrebbe forse potuto farlo con un mezzo diverso da quello con cui gli era permesso di accostarglisi? Per conseguenza qualunque cosa, di cui era simbolo il serpente, dev'essere attribuita alla divina Provvidenza, in dipendenza della quale anche il diavolo ha sì il perverso desiderio di nuocere ma, quanto al potere di effettuarlo, ha solo quello concessogli (da Dio) per far cadere o mandare in rovina i vasi di collera o per umiliare o anche mettere alla prova i vasi di misericordia. Noi sappiamo donde deriva la natura del serpente: la terra, alla parola del Signore, produsse tutti gli animali e le bestie e i serpenti. Tutte queste creature, dotate di un'anima vivente ma irrazionale, per una legge di gerarchia voluta da Dio, sono sottomesse a tutte le creature razionali, buona o cattiva che sia la loro volontà. Che c'è dunque di strano se Dio permise al demonio di compiere un'zione per mezzo del serpente, dal momento che Cristo stesso permise ai demoni d'entrare nei porci ?

La natura del demonio è buona perché creata da Dio.

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13.17. D'ordinario si discute piuttosto con maggior sottigliezza della natura del demonio. Alcuni eretici infatti, urtati dal fatto che la sua volontà è malvagia, si sforzano di presentarlo assolutamente estraneo alla creazione del sommo e vero Dio e attribuirgli un altro principio che, secondo essi, sarebbe contrario a Dio. Essi non riescono a capire che tutto ciò che esiste, in quanto è una sostanza, non solo è un bene ma non potrebbe avere l'esistenza se non dal vero Dio da cui deriva ogni bene; che al contrario, quando si preferiscono i beni inferiori a quelli superiori, ciò avviene per un impulso disordinato della cattiva volontà; così avvenne che lo spirito della creatura razionale, compiacendosi del proprio potere, a causa della sua eccellenza si gonfiò di superbia e perciò cadde dalla felicità del paradiso spirituale struggendosi di gelosia. Tuttavia nel caso di questo spirito è un bene il fatto stesso di vivere e vivificare un corpo, si tratti d'un corpo materiato d'aria, come quello che vivifica lo spirito dello stesso diavolo o dei demoni, sia che si tratti d'un corpo terrestre come quello vivificato dall'anima di qualunque uomo anche se malvagio e perverso. Per conseguenza costoro, negando che un essere fatto da Dio pecchi di propria volontà, affermano che la sostanza di Dio stesso è stata corrotta e pervertita dapprima per necessità e in seguito irreparabilmente di propria volontà. Ma di questo dissennatissimo errore abbiamo già parlato a lungo in altre occasioni.

La superbia, causa della caduta degli angeli.

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14.18. Nella presente opera, al contrario, noi dobbiamo indagare che cosa bisogna dire a proposito del diavolo attenendoci alla sacra Scrittura. In primo luogo dobbiamo indagare se proprio all'origine del mondo il diavolo, poiché s'era compiaciuto del proprio potere, si separò da quella comunità e carità in virtù della quale sono beati gli angeli che godono di Dio, o se rimase per qualche tempo nella santa comunità degli angeli anche lui ugualmente giusto ed ugualmente beato. Alcuni infatti affermano ch'egli fu precipitato dalla dimore celeste perché aveva avuto invidia dell'uomo fatto ad immagine di Dio. L'invidia infatti è una conseguenza della superbia, non la precede, perché causa della superbia non è l'invidia, ma causa dell'invidia è la superbia. Poiché dunque la superbia è l'amore della propria eccellenza, l'invidia invece è l'odio della felicità altrui, è evidente quale dei due vizi ha origine dall'altro. Chiunque infatti ama la propria eccellenza invidia i propri pari perché sono uguali a lui e invidia quelli che gli sono inferiori perché non arrivino allo stesso livello o quelli che gli sono superiori per il fatto di non essere uguale a loro. È quindi a causa della superbia che si è invidiosi, non a causa dell'invidia che si è superbi.

La superbia e l'amor proprio fonti d'ogni male.

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15.19. A ragione la Scrittura definisce la superbia principio del peccato, dicendo: Principio di ogni peccato è la superbia. Con questo testo concorda pienamente anche ciò che dice l'Apostolo: L'avarizia ò la radice di tutti i mali, se per "avarizia" intendiamo in senso generico la "brama" di chi desidera qualcosa che oltrepassa ciò che è necessario a motivo della propria eccellenza e di un certo amore per il proprio interesse personale, amore al quale la lingua latina ha dato saggiamente la qualifica di privatus, cioè di "amore egoistico", aggettivo usato evidentemente per indicare più una perdita anziché un guadagno; ogni privazione infatti comporta una perdita. Per questo fatto dunque la superba brama di elevarsi viene precipitata nel bisogno e nella miseria poiché, a causa del funesto amore di sé, dalla ricerca del bene comune si restringe al proprio bene individuale. L'avarizia però, nel senso specifico del termine, è il vizio che più comunemente si chiama "brama del denaro". Ma l'Apostolo, indicando con il termine specifico il senso generico, con la frase: L'avarizia è la radice di tutti i mali voleva far intendere ogni specie di avidità. Fu infatti a causa di questo vizio che cadde il demonio il quale non aveva certamente la brama del denaro, ma quella del proprio potere. È per questo che l'amore perverso di se stessi priva della comunione degli angeli santi lo spirito gonfio di superbia e questo rimane oppresso dal suo misero stato mentre desidera appagare le sue brame compiendo l'iniquità. Ecco perché, dopo aver detto in un altro passo: Ci saranno uomini amanti di se stessi, l'Apostolo soggiunge immediatamente: amanti del denaro, scendendo dal concetto generico di avidità, la cui sorgente è la superbia, a questo senso specifico che si riferisce propriamente agli uomini. Anche gli uomini, infatti, non sarebbero avidi di denaro, se non si reputassero tanto superiori quanto più sono ricchi. A questo perverso amore si oppone la carità che non cerca il proprio interesse, cioè non si compiace della propria eccellenza; a ragione perciò non si gonfia d'orgoglio.

I due amori e le due città.


15.20. Di questi due amori l'uno è puro, l'altro impuro; l'uno sociale, l'altro privato; l'uno sollecito nel servire al bene comune in vista della città celeste, l'altro pronto a subordinare anche il bene comune al proprio potere in vista di una dominazione arrogante; l'uno è sottomesso a Dio, l'altro è nemico di Dio; tranquillo l'uno, turbolento l'altro; pacifico l'uno, l'altro litigioso; amichevole l'uno, l'altro invidioso; l'uno che vuole per il prossimo ciò che vuole per sé, l'altro che vuole sottomettere il prossimo a se stesso; l'uno che governa il prossimo per l'utilità del prossimo, l'altro per il proprio interesse. Questi due amori si manifestarono dapprima tra gli angeli: l'uno nei buoni, l'altro nei cattivi, e segnarono la distinzione tra le due città fondate nel genere umano sotto l'ammirabile ed ineffabile provvidenza di Dio, che governa ed ordina tutto ciò che è creato da lui: e cioè la città dei giusti l'una, la città dei cattivi l'altra. Inoltre, mentre queste due città sono mescolate in un certo senso nel tempo, si svolge la vita presente finché non saranno separate nell'ultimo giudizio: l'una per raggiungere la vita eterna in compagnia con gli angeli buoni sotto il proprio re, l'altra per essere mandata nel fuoco eterno con il suo re in compagnia degli angeli cattivi. Di queste due città parleremo più a lungo forse in un'altra opera, se il Signore vorrà.

Quando avvenne la caduta del demonio.


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