Agostino - Genesi 1416

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16.21. Quando fu dunque che la superbia fece cadere il diavolo pervertendo la sua natura buona a causa della sua volontà cattiva? La Scrittura non lo dice, tuttavia la ragione dimostra chiaramente che la sua caduta avvenne prima della creazione dell'uomo e che la sua superbia fece nascere in lui l'invidia verso l'uomo. Per chiunque rifletta su questo argomento è infatti evidente che la superbia non nasce dall'invidia ma è piuttosto l'invidia che nasce dalla superbia. Si può anche supporre non senza fondamento che il diavolo cadde a causa della superbia all'origine del tempo e che prima non ci fu alcun tempo in cui visse tranquillo e felice con gli angeli santi ma che si allontanò dal suo Creatore fin dall'inizio della sua creazione. Lo dice il Signore: Egli era omicida fin dal principio e non è stato mai aderente alla verità; le due affermazioni di questa frase dobbiamo intenderle nel senso che non solo il demonio era omicida fin dal principio ma anche che non perseverò nella verità fin dal principio. Egli infatti fu omicida fin dall'inizio in cui l'uomo poté essere ucciso; ma l'uomo non poteva essere ucciso prima ch'esistesse chi potesse essere ucciso. Il diavolo fu dunque omicida fin dal principio poiché uccise il primo uomo, prima del quale non esisteva alcun altro uomo. Egli inoltre non perseverò nella verità e, anche in questo caso, dal primo istante della sua creazione, mentre avrebbe potuto perseverarvi, se l'avesse voluto.

Era felice il demonio prima di peccare?

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17.22. Come si può pensare, infatti, che il demonio abbia vissuto una vita felice tra gli angeli beati? Poiché, se non aveva la prescienza del peccato che avrebbe commesso e del conseguente castigo, cioè della sua apostasia da Dio e del fuoco eterno, è giusto chiedersi perché non avesse quella prescienza. Gli angeli santi infatti non sono incerti della loro vita e felicità eterna. Poiché come potrebbero essere felici, se fossero incerti? Diremo forse che Dio non volle rivelare al diavolo, quand'era ancora un angelo buono, che cosa avrebbe fatto o che cosa avrebbe sofferto, mentre agli altri angeli avrebbe rivelato che sarebbero rimasti nella verità? Se la cosa sta così, il diavolo già (prima del peccato) non era in ugual misura felice, anzi non era nemmeno completamente felice, dal momento che coloro, i quali sono appieno felici, sono sicuri della loro felicità senza che la turbi alcun timore. Ma che male aveva fatto il diavolo per meritare d'esser discriminato tra tutti gli altri angeli sicché Dio non gli rivelasse nemmeno la condizione che gli sarebbe toccata? Forse che Dio castigò il diavolo prima che peccasse? È inammissibile! Dio infatti non condanna gl'innocenti. Oppure il demonio apparteneva forse a un'altra specie di angeli, ai quali Dio non concesse la prescienza del futuro, neppure di quello che riguardava loro stessi? Io però non vedo come potrebbero esser felici gli spiriti che non hanno la sicurezza della loro stessa felicità. Poiché alcuni hanno anche pensato che il diavolo non appartenesse alla specie degli angeli che per la loro sublime natura sono al di sopra dei cieli, ma a quella degli altri angeli che furono creati nel mondo un po' inferiori ai primi e destinati a funzioni particolari. Gli angeli di questa specie avrebbero forse potuto provare attrazione per un piacere illecito, ma se non avessero voluto peccare, avrebbero potuto raffrenare quel piacere con il libero arbitrio come l'uomo, specialmente il primo uomo, che ancora non portava nelle membra il castigo del peccato, dal momento che la loro stessa attrattiva viene vinta con il timor di Dio dai santi uomini ubbidienti a Dio ed aiutati dalla sua grazia.

La felicità dell'uomo nel paradiso.

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18.23. Inoltre il presente quesito sulla felicità, se ciò si deve dire che uno già la possiede pur essendo incerto se essa perdurerà con lui o se un giorno finirà in uno stato di miseria, lo si può sollevare anche a proposito del primo uomo. Poiché, se prevedeva il peccato che avrebbe commesso e il castigo di Dio, come poteva esser felice? Egli perciò (in questa ipotesi) nel paradiso non era felice. Ma è pur vero ch'egli non aveva la prescienza del peccato che avrebbe commesso. Data dunque siffatta ignoranza, due sono i casi: o era incerto della sua felicità - e allora come poteva esser veramente felice? - o la sua certezza si fondava su di una falsa speranza, ed allora come non sarebbe stato stolto?

Quale felicità poteva godere l'uomo nel paradiso.


18.24. Ciononostante il primo uomo aveva ancora un corpo naturale ma, se fosse vissuto nell'ubbidienza, avrebbe dovuto per giunta far parte della società degli angeli e il suo corpo esser cambiato da naturale in spirituale, possiamo farci un'idea di come la sua vita fosse felice in una certa misura, anche se non prevedeva il peccato che avrebbe commesso. Non avevano la prescienza del futuro nemmeno quelle persone a cui l'Apostolo diceva: Voi che siete spirituali, correggete quel tale con spirito di dolcezza; ma tu bada a te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Non è tuttavia né illogico né erroneo dire che quelle persone erano già felici per il fatto stesso ch'erano spirituali non quanto al corpo ma quanto alla giustizia della loro fede, allegre nella speranza, forti nella tribolazione. Con quanta maggior ragione e in quanta più ampia misura era perciò felice l'uomo nel paradiso prima del peccato, quantunque incerto della sua futura caduta, in quanto per la speranza della ricompensa che avrebbe avuto, cioè la trasformazione del proprio corpo, era pieno di tanta gioia che non c'era alcuna sofferenza a sopportare la quale dovesse esercitarsi la pazienza. Sebbene egli non fosse sicuro, in base a una vana presunzione, d'una realtà incerta come uno stolto, ma restando fedele in virtù della speranza, prima di ottenere la vita in cui sarebbe stato del tutto sicuro della sua stessa vita eterna, avrebbe potuto rallegrarsi, come dice la Scrittura, con tremore, e con questa gioia godere nel paradiso di una felicità molto maggiore di quella che hanno i fedeli servi di Dio quaggiù sulla terra, anche se, in qualche misura, minore di quella degli angeli santi che vivono al di sopra dei cieli nella vita eterna, ma nondimeno reale.

Condizione degli angeli prima di peccare.

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19.25. D'altra parte dire che alcuni angeli potrebbero esser felici a modo loro pur essendo incerti del loro peccato e castigo futuro o almeno della loro eterna salvezza senza esser sorretti neppure dalla speranza che anch'essi, con una trasformazione in meglio, giungerebbero alla certezza della loro sorte futura, è una pretesa difficilmente tollerabile, salvo che si dica per caso anche che questi angeli, assegnati a compiere certe funzioni in questo mondo agli ordini degli altri angeli più eminenti e più felici, sono stati creati in modo da ricevere, in cambio della fedele esecuzione dei loro compiti, la felicità più alta di cui potrebbero avere assoluta certezza e così, godendo per tale speranza, non sarebbe illogico dire che essi sono già felici fin d'ora. Se apparteneva a siffatta categoria di angeli il diavolo e cadde in peccato con i suoi compagni, la sua sorte è simile a quella degli uomini che si allontanano dalla giustizia della fede, peccando anch'essi a causa d'una simile superbia o ingannando se stessi o acconsentendo agli inganni del diavolo.

Si può pensare che l'angelo cadde all'inizio della creazione.


19.26. Coloro che ne son capaci sostengano pure, dunque, questa teoria di due categorie d'angeli buoni: l'una degli angeli viventi al di sopra dei cieli, dei quali non fece mai parte l'angelo che cadde e divenne il diavolo, l'altra degli angeli che vivono in questo nostro mondo, al numero dei quali apparteneva il diavolo. Quanto a me, confesso di non trovare, per il momento, come intendere questa distinzione (in due categorie) sulla base delle Scritture. Trovandomi tuttavia incalzato dal quesito se il demonio prevedesse la propria caduta prima che questa avvenisse, per paura di affermare che gli angeli sono o furono un tempo incerti della loro felicità, ho detto che non senza ragione si può pensare che il diavolo cadde all'inizio della creazione, cioè all'inizio del tempo o della propria creazione e che non è mai rimasto nella verità.

Fu forse il diavolo creato cattivo fin dall'origine?

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20.27. Per questo motivo alcuni scrittori pensano che il diavolo non si volse verso il male con il libero arbitrio della sua volontà ma fu creato addirittura nel male, sebbene fosse stato creato dal Signore, sommo e vero Dio, creatore di tutti gli esseri. Per la loro opinione adducono come prova un passo del libro di Giobbe ove, parlando del demonio, sta scritto: Questa è la prima delle opere formate dal Signore, che egli fece perché fosse beffato dagli angeli; con questa frase concorda il seguente versetto del Salmo: Questo è il dragone che tu hai fatto per farti beffe di lui, eccetto che qui il testo dice: che tu hai fatto, diversamente dall'altro testo che dice: la prima delle opere formate dal Signore, come se Dio fin dall'inizio l'avesse fatto così, cioè malvagio, invidioso, seduttore, completamente diavolo, non depravato dalla sua volontà ma creato così.

Si confuta la precedente ipotesi.

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21.28. Certi scrittori si sforzano di dimostrare che questa opinione - secondo la quale il diavolo non si corruppe a causa della propria volontà ma fu creato assai cattivo dallo stesso Signore Iddio - non è contraria all'affermazione della Scrittura che dice: Dio creò tutte le cose ed ecco, esse erano assai buone. Essi affermano anche - e non si tratta di persone prive di spirito o ignoranti - che non solo all'inizio della creazione, ma ancora adesso, benché tante volontà siano corrotte, nondimeno l'insieme di tutti gli esseri creati, cioè tutta la creazione nel suo insieme, è molto buona. Essi però non dicono che nella creazione i malvagi siano buoni ma che con la loro malizia non riescono a deturpare e turbare in alcuna parte la bellezza e l'ordine dell'universo sottomesso al dominio, al potere e alla sapienza di Dio che lo governa; e ciò avviene poiché alla volontà di siffatti individui anche malvagi sono segnati limiti determinati e adeguati ai loro poteri, e c'è una bilancia dei meriti e dei demeriti; in tal modo, anche con essi inseriti nell'ordine e nel posto loro appropriato e giusto, risulta bello l'universo. È tuttavia una verità assai chiara, come possono vedere tutti, quanto è contrario alla giustizia che Dio, senza alcuna colpa precedente, condanni in una creatura ciò che in essa fu creato da lui stesso. È infatti anche certo ed evidente che il demonio e i suoi angeli sono stati condannati, come risulta dal Vangelo in cui il Signore predisse che a coloro, i quali si trovano alla sinistra, avrebbe detto: Andate nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli. Non si deve perciò credere affatto, a proposito del diavolo, che sia la natura creata da Dio a dover essere punita col fuoco eterno ma la sua cattiva volontà personale.

Perché Dio creò il demonio e crea i malvagi.

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22.29. Non dobbiamo nemmeno pensare ch'è la natura del demonio a essere denotata nella frase: Questa è la prima opera formata dal Signore, che egli fece perché fosse schernita dai suoi angeli, essa invece denota il corpo formato d'aria che Dio adattò convenientemente alla volontà malvagia di quello spirito, oppure la giusta disposizione per cui Dio fece sì che il diavolo fosse utile ai buoni anche contro la sua volontà, oppure il fatto che Dio, pur prevedendo che quello spirito sarebbe divenuto cattivo per un atto della propria volontà, nondimeno lo creò senza impedire alla sua bontà di dar la vita e la natura anche ad una volontà che sarebbe divenuta colpevole, prevedendo nello stesso tempo quanto grandi beni avrebbe ricavato dal demonio mediante la sua mirabile bontà e potenza. Il demonio inoltre la Scrittura lo chiama la prima opera formata dal Signore, che egli fece perché fosse schernita dai suoi angeli, non perché lo abbia creato per primo o lo abbia creato malvagio fin dall'origine ma perché, sapendo che il demonio sarebbe diventato malvagio di propria volontà per far del male ai buoni, lo creò proprio per servirsi di lui a vantaggio dei buoni. Questo è il significato delle parole: perché fosse schernito dai suoi angeli, poiché il diavolo viene beffeggiato quando le sue tentazioni, con cui si sforza di corrompere i fedeli servi di Dio, tornano a vantaggio di questi e così la malizia, in cui cadde per sua volontà, diventa utile suo malgrado ai servi di Dio, il quale previde ciò quando lo creò. Ecco perché il diavolo è la prima opera (di Dio) che dev'essere schernita, poiché anche i malvagi sono strumenti dello stesso diavolo e formano (con lui) una specie di corpo, di cui è capo il diavolo. Iddio però, sebbene prevedesse che sarebbero divenuti malvagi, tuttavia li creò per il bene dei suoi servi fedeli; essi vengono beffeggiati come il diavolo quando, nonostante la loro volontà di recar danno, mediante il confronto con loro si offre ai servi di Dio (motivo di) cautela e religiosa umiltà nella sottomissione a Dio, l'intelligenza della grazia, l'occasione di esercitarsi a sopportare i malvagi e mette alla prova l'amore per i nemici. Il diavolo dunque è la prima creatura che viene schernita in questo modo perché precede questi altri malvagi non solo per l'anteriorità nel tempo, ma anche per la superiorità nella malizia. Lo scherno del demonio poi Dio lo effettua mediante gli angeli santi grazie all'azione della provvidenza, con cui governa le creature create, sottomettendo gli angeli cattivi agli angeli buoni, affinché la malizia dei cattivi eserciti il suo potere non nella misura dei suoi sforzi ma nella misura loro permessa. Quanto è detto dell'iniquità degli angeli cattivi vale anche per quella degli uomini malvagi fino a quando anche la nostra giustizia, con cui si vive mediante la fede - la fede esercitata ora tra gli uomini con la pazienza - sarà cambiata in giudizio, affinché anche gli uomini possano giudicare non solo le dodici tribù d'Israele, ma anche gli angeli.

Per la superbia il diavolo decadde dalla felicità che avrebbe goduta.23.30. Se dunque si ammette che il diavolo non è mai restato nella verità, che non condusse mai una vita felice con gli angeli (santi), che cadde fin dal primo istante della propria creazione, ciò non deve intendersi nel senso che si possa pensare che egli non diventò perverso a causa della propria volontà ma che fosse creato malvagio da Dio che è buono. Nel caso contrario non si potrebbe dire che cadde fin dalla sua origine; egli infatti non poteva "cadere" se fosse stato creato cattivo; egli invece si allontanò dalla luce della verità subito dopo essere stato creato, poiché era gonfio di superbia e corrotto, avendo provato compiacimento del proprio potere. Ecco perché non poté godere la dolcezza della vita beata e angelica, non perché non l'avesse ricevuta e poi l'avesse disdegnata, ma perché se ne allontanò e la perse rifiutando di riceverla. Per questo motivo non poté avere nemmeno la previsione della propria caduta, poiché la sapienza è frutto del timore di Dio. Il diavolo invece, essendo empio fin dall'origine e per conseguenza accecato nello spirito, cadde non dalla condizione ricevuta, ma da quella che avrebbe ricevuta; non poté comunque sfuggire neppure

al potere di Colui al quale non volle assoggettarsi e così il peso del suo peccato ha avuto nei suoi riguardi l'effetto di non poter né godere la luce della giustizia, né salvarsi dal giudizio di Dio.

Gli empi, gli apostati di Cristo e della Chiesa sono "corpo" del diavolo.

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24.31. La Scrittura dunque, per mezzo del profeta Isaia dice: Come mai è caduto dal cielo Lucifero, che sorge al mattino? È stato abbattuto a terra colui che mandava ambasciate a tutte le nazioni. Eppure tu dicevi in cuor tuo: "Salirò in cielo, porrò il mio trono sopra le stelle del cielo, sederò su di un monte eccelso, al di sopra dei monti più alti del nord, salirò sulle nubi, sarò simile all'Altissimo!". Ora invece scenderai agli inferi, ecc. Queste parole vengono interpretate come riferite al diavolo simboleggiato nel re di Babilonia. La maggior parte delle cose suddette si riferiscono però al "corpo" del diavolo, a coloro cioè che egli recluta anche dal genere umano, e specialmente a coloro che a lui si uniscono mediante la superbia, ripudiando i comandamenti di Dio. Infatti come nel Vangelo è chiamato "uomo" colui che era il diavolo: Un uomo nemico ha fatto ciò, così uno che era uomo è chiamato "diavolo" in quest'altro passo del Vangelo: Non sono stato forse io ad eleggere voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. Inoltre il corpo di Cristo, che è la Chiesa, è chiamato Cristo -come quando S. Paolo dice: Voi siete discendenti di Abramo, mentre poco prima aveva detto: Le promesse furono fatte ad Abramo e al suo discendente. (La Scrittura) non dice: e ai discendenti, come se si trattasse di molti, ma: al tuo discendente, come a uno solo, cioè Cristo; e ancora: Come il corpo è uno solo, eppure ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. Allo stesso modo anche il corpo del diavolo è chiamato "il diavolo", poiché il diavolo è il capo di esso, cioè della moltitudine degli empi, soprattutto di coloro che - per così dire - cadono dal cielo separandosi da Cristo e dalla Chiesa. A proposito di questo corpo vengono affermate, sotto forma di simbolo, molte cose che convengono non tanto al capo quanto al corpo e alle sue membra. Lucifero, che spuntava al mattino e cadde, può quindi indicare la genìa degli apostati separati da Cristo o dalla Chiesa; codesti individui si cambiano in tenebre avendo perduta la luce che portavano in loro, allo stesso modo che coloro, i quali si convertono a Dio, passano dalle tenebre alla luce; in altre parole, coloro che erano tenebre, diventano luce.

Sono corpo del diavolo anche gli eretici.

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25.32. S'intendono riferite parimenti al diavolo, simboleggiato nel principe di Tiro, le seguenti parole del profeta Ezechiele: Tu sei sigillo di somiglianza e corona di gloria; tu vivevi nelle delizie del paradiso di Dio. Tu eri ornato d'ogni specie di pietre preziose, ecc.; queste espressioni, come le altre che seguono, si riferiscono non tanto allo spirito che è il principe del male, quanto al suo corpo. Ora, la Chiesa è chiamata "Paradiso", come si legge nel Cantico dei cantici: Giardino chiuso, fonte sigillata, pozzo d'acque vive, paradiso pieno di alberi fruttiferi. Da questo paradiso si sono staccati tutti gli eretici separandosene o in modo visibile e materiale o con una separazione occulta e spirituale, benché sembri che rimangano uniti con il corpo della Chiesa; tutti coloro che (si sono separati) sono tornati al loro vomito, sebbene dopo che erano stati rimessi loro tutti i peccati, avessero camminato per un po' di tempo sulla via della giustizia. La loro condizione finale è divenuta peggiore della prima, e sarebbe stato meglio per loro non conoscere la via della giustizia piuttosto che, una volta conosciutala, voltar le spalle al santo comandamento ch'era stato loro consegnato. Questa genìa perversa è denotata dal Signore allorché dice che lo spirito maligno, dopo essere uscito da un uomo, torna con altri sette spiriti e s'installa in quella casa, ch'egli ha trovato già spazzata, e così la condizione finale di quell'uomo è peggiore della prima. A questa genìa d'individui, divenuti ormai corpo del diavolo, possono applicarsi le parole: Dal giorno che tu sei stato creato con i Cherubini - cioè con il trono di Dio, che tradotto significa: "pienezza di scienza" - e: Egli ti pose sul monte santo di Dio - cioè nella Chiesa, e quindi nei Salmi si dice: Egli mi ascoltò dal suo monte santo, tu eri in mezzo a pietre scintillanti - cioè tra i santi dallo spirito fervente, pietre viventi, ti sei comportato senza commettere peccati nei tuoi giorni dal dì che fosti creato, finché in te non furono trovati i tuoi peccati. Queste parole potrebbero essere esaminate più accuratamente e così potrebbe forse mostrarsi che non solo possono avere questo senso ma che non possono averne assolutamente alcun altro.

Conclusione: quattro ipotesi sulla caduta degli angeli.

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26.33. Ma la discussione sarebbe troppo lunga e la questione esigerebbe un altro trattato riservato a questo argomento; per adesso quindi ci basti questo compendio della seguente (quadruplice) alternativa: 1) o il diavolo, fin dal primo istante della sua creazione, per la sua empia superbia, cadde dalla felicità che avrebbe avuta, se lo avesse voluto; 2) o ci sono altri angeli, destinati a funzioni più umili in questo mondo, con i quali era vissuto godendo una certa loro felicità senza avere la prescienza del futuro e dalla compagnia dei quali, per la sua empia superbia, cadde come una specie di arcangelo con gli angeli sottomessi al suo comando - quand'anche fosse in qualche modo possibile addurre quest'ipotesi, ma sarebbe strano che fosse possibile --; 3) o almeno bisognerebbe cercare una ragione che spiegasse come tutti gli angeli santi, nell'ipotesi che il diavolo con i suoi angeli fosse vissuto con loro ugualmente felice per un certo tempo, non avevano ancora nemmeno essi una prescienza sicura della propria felicità perpetua ma la ricevettero solo dopo la caduta del diavolo; 4) o bisognerebbe (infine) cercare per qual demerito il diavolo insieme con i suoi compagni fu separato dagli altri angeli prima del suo peccato, sicché fosse ignaro della sua futura caduta, mentre gli altri angeli erano sicuri della loro perseveranza. Noi tuttavia non dovremmo avere il minimo dubbio non solo che gli angeli peccatori sono stati precipitati in una specie di prigione nell'atmosfera caliginosa che avvolge la terra e vi son detenuti per esser puniti nel giudizio (finale), come assicura l'apostolo (Pietro), ma dobbiamo credere pure che nella beatitudine celeste degli angeli santi non è incerta la loro vita eterna, e questa non sarà incerta neppure per noi, conforme alla misericordia, alla grazia e alla promessa assolutamente fedele di Dio, quando saremo uniti a loro dopo la risurrezione e la trasformazione del nostro corpo terreno. Noi viviamo in virtù di questa speranza e ci sentiamo confortati dalla grazia della sua promessa. Ci sono poi altri quesiti riguardanti il diavolo e cioè: perché Dio lo ha creato pur prevedendo che si sarebbe pervertito; perché Dio, pur essendo onnipotente, non volge la sua volontà verso il bene. Per questi quesiti sarà bene attenersi a quanto abbiamo detto allorché abbiamo trattato gli stessi problemi a proposito degli uomini peccatori per vedere che cosa può essere inteso o creduto, oppure se si trova -se è possibile - una soluzione migliore.

Come il diavolo tentò l'uomo con il serpente e con la donna.

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27.34. Dio, dunque, il cui sovrano potere trascende tutto ciò ch'egli ha creato e che si serve degli angeli santi per far sì che il diavolo rimanga scornato - poiché dalla sua malizia trae vantaggio la Chiesa di Dio - non permise al diavolo di tentare la donna se non per mezzo del serpente, e l'uomo se non mediante la donna. Ma nel caso del serpente fu il demonio a parlare servendosi di quello come di uno strumento eccitando la sua natura come egli poteva eccitarla e come quella poteva essere eccitata per produrre i suoni delle parole e i segni sensibili attraverso i quali la donna comprendesse la volontà del tentatore. Al contrario nel caso della donna, che era una creatura razionale capace di articolare parole per un suo impulso personale, non fu il diavolo a parlare ma fu la donna che pronunciò le parole con cui persuase (l'uomo) sebbene fosse il diavolo a incoraggiarla interiormente con la sua istigazione occulta, come aveva agito esteriormente per mezzo del serpente. Per la verità, se il diavolo avesse agito solo con l'istigazione occulta, come spinse Giuda a consegnare Cristo, la sua azione avrebbe potuto ottenere il suo effetto in un'anima spinta (in tentazione) dalla passione dell'orgoglio per il proprio potere. Il diavolo però - come ho già detto - ha la volontà di tentare (l'uomo) ma non è in suo potere né il fare né il modo di fare ciò. Egli dunque tentò perché gli era stato permesso ed effettuò la tentazione nel modo che gli era stato permesso; non sapeva però che la sua azione sarebbe stata utile a una categoria di persone né voleva questo risultato e per ciò stesso veniva schernito dagli angeli.

Come il serpente poté conversare con la donna.

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28.35. Il serpente perciò non capiva le parole rivolte alla donna che erano proferite per suo mezzo, perché non si deve credere che l'anima del serpente fosse trasformata in una natura razionale, dal momento che neppure gli esseri umani, la cui natura è razionale, sanno ciò che dicono quando il demonio parla in loro nello stato d'ossessione che richiede l'intervento dell'esorcista. Tanto meno si può credere che il serpente avrebbe potuto capire le parole che il diavolo pronunciava per mezzo di esso e dalla sua bocca, dato che non avrebbe compreso le parole che avesse udito pronunciare da un essere umano non invasato dall'ossessione diabolica. Si crede anche che i serpenti odano e comprendano le parole dei Marsi e che sotto l'effetto dei loro incantesimi siano soliti balzar fuori dai loro nascondigli. Anche in questo caso però agisce un potere diabolico per farci conoscere quali esseri la Provvidenza sottomette in ogni luogo ad altri esseri secondo un ordine naturale, e che cosa, con il suo potere sapientissimo, permette perfino a volontà cattive; così avviene che i serpenti siano abituati a essere stimolati dagli incantesimi degli uomini più di alcun altra specie di animali. Anche questa è una prova non piccola che la natura umana fu sedotta alla sua origine dal colloquio del serpente con la donna. I demoni infatti si compiacciono del potere ad essi dato di stimolare i serpenti mediante incantesimi umani per ingannare comunque quanti possono. Questo potere è stato dato loro per mostrare una certa affinità che essi hanno con questa specie di animali e richiamare così alla mente ciò che avvenne all'origine (del genere umano); questo fatto fu permesso affinché i caratteri tipici di ogni tentazione diabolica, simboleggiata nella natura del serpente, fossero fatti conoscere al genere umano, per istruire il quale essi dovevano essere scritti. Ciò apparirà chiaro quando Dio pronuncerà la sua sentenza contro il serpente.

In che senso il diavolo è chiamato "il più prudente", cioè "astuto".

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29.36. La Scrittura perciò chiama il serpente il più avveduto, cioè il più astuto di tutti gli animali, a motivo dell'astuzia del diavolo che in esso e per mezzo di esso compiva l'inganno; così diciamo anche noi che una lingua è accorta o astuta quando è mossa da un individuo per convincere un altro in modo accorto ed astuto a far qualcosa. In realtà questo potere o facoltà non appartiene al membro corporeo chiamato lingua ma di certo allo spirito che se ne serve. Allo stesso modo chiamiamo bugiarda la penna di certi scrittori mentre la facoltà di mentire è propria solo d'un essere vivente e pensante. La penna infatti vien chiamata bugiarda per il fatto che l'adopera un bugiardo per dire bugie, come se chiamassimo bugiardo il serpente poiché il diavolo se ne servì come uno scrittore si serve della sua penna per ingannare.

Il serpente poté parlare alla donna per un prodigio del demonio.


29.37. Ho creduto bene di sottolineare questo particolare, perché nessuno immagini che gli animali privi di ragione abbiano un'intelligenza umana o che tutto a un tratto siano trasformati in animali dotati di ragione. Non vorrei che alcuno cadesse nella ridicola e funesta opinione della trasmigrazione delle anime dagli uomini nelle bestie o di quelle delle bestie negli uomini. Il serpente parlò dunque alla donna come l'asina, su cui cavalcava Balaam, parlò a un uomo, con la sola differenza che nel primo caso era opera del diavolo mentre nel secondo era opera di un angelo. Gli angeli buoni e quelli cattivi compiono alle volte azioni simili, come le compirono Mosè e i maghi del Faraone. Tuttavia anche nel compiere questi prodigi gli angeli buoni sono più potenti mentre gli angeli cattivi non possono compierne alcuno se non è loro permesso da Dio per tramite degli angeli buoni, affinché ciascuno venga ripagato conforme alle disposizioni del proprio cuore o conforme alla grazia concessa da Dio; in ambedue i casi egli agisce con giustizia e bontà secondo la profondità che è nella ricchezza della sapienza e scienza di Dio.

Il dialogo tra il serpente e la donna.

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30.38. Il serpente dunque disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare d'alcun albero del paradiso""? La donna rispose al serpente: "Del frutto degli alberi che sono nel paradiso noi possiamo mangiare, ma quanto al frutto dell'albero che sta al centro del paradiso Dio ha detto: "Non dovete mangiare e non dovete toccarlo, per evitare di morire"". Il primo a rivolgere la domanda fu quindi il serpente e poi la donna rispose in quel modo; sicché la sua trasgressione sarebbe stata inescusabile e in alcun modo si sarebbe potuto affermare che la donna si fosse dimenticata del precetto di Dio, quantunque anche la sola dimenticanza del precetto, specialmente di quell'unico precetto tanto importante, sarebbe stata una negligenza assai colpevole, meritevole di essere punita. Tuttavia la trasgressione del precetto è più evidente quando esso è ritenuto nella memoria e, disprezzando il precetto, vien disprezzato Dio che in certo senso risiede ed è presente in esso. Ecco perché, dopo aver detto: Per coloro che si ricordano dei suoi comandamenti, il Salmista crede necessario aggiungere: affinché li adempiano. Poiché molti li ritengono nella memoria ma per disprezzarli e così il loro peccato di trasgressione è tanto più grave in quanto non c'è alcuna scusa della loro dimenticanza.

Il serpente persuade con la menzogna le persone bramose del proprio potere.


30.39.Rispose, quindi, il serpente alla donna: "Voi non morrete affatto. Dio anzi sapeva che il giorno in cui ne mangerete si apriranno i vostri occhi e sarete simili a dèi, conoscitori del bene e del male". In qual modo queste parole avrebbero potuto persuadere la donna che l'azione proibita da Dio era buona e utile, se già nel suo spirito non ci fosse stato l'amore della propria autonomia e una specie di superba presunzione di se stessa che sarebbe stata messa a nudo ed umiliata mediante la tentazione? Finalmente essa, non soddisfatta delle parole del serpente, si mise ad osservare l'albero e vide che l'albero era buono da mangiare e gradevole agli occhi; e poiché non credeva che mangiandone potesse morire, avrà pensato - a mio avviso - che Dio, dicendo: Se ne mangerete, morrete di certo, avesse parlato (solo) in senso figurato. Prese quindi un frutto dell'albero, ne mangiò e ne diede anche a suo marito che era con lei, offrendoglielo forse anche con alcune parole persuasive, che la Scrittura lascia a noi di capire pur senza riferirle. O forse non c'era più bisogno di persuadere suo marito, dal momento che egli vide che lei non era morta per aver mangiato il frutto?

In che senso si aprirono gli occhi dei progenitori.31.40. Essi, dunque, ne mangiarono. E si aprirono gli occhi ad entrambi. Si aprirono, per veder cosa, se non se stessi con reciproca concupiscenza in castigo del peccato nato dalla morte della carne? Per conseguenza il loro non era più un corpo soltanto naturale, capace di venir trasformato in uno stato più perfetto e spirituale senza dover morire, (come sarebbe avvenuto) qualora si fossero mantenuti obbedienti, ma era ormai un corpo destinato alla morte, in cui la legge delle membra era in contrasto con quella dello spirito. In realtà non erano stati creati con gli occhi chiusi né andavano girando nel paradiso di delizie come ciechi e a tentoni col pericolo di toccare l'albero vietato anche senza saperlo e coglierne i frutti proibiti senza saperlo. In qual modo, allora, furono condotti ad Adamo gli animali e gli uccelli per vedere come li avrebbe chiamati, se non li vedeva? E in qual modo la donna, quando fu fatta, venne condotta davanti al marito e questi disse: Ora essa è osso tratto dalle mie ossa e carne tratta dalla mia carne ecc., se non la vedeva? In qual modo, infine, la donna vide che l'albero era buono da mangiare, piacevole a vedersi e affascinante a conoscersi, se i loro occhi erano chiusi?


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