Agostino - Genesi 1431

"Aprire gli occhi" qui e nell'episodio di Emmaus significa "conoscere".

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31.41. Non dobbiamo, tuttavia, intendere in senso figurato un intero passo sulla base d'una sola frase metaforica. Altri vedrà in qual senso il serpente disse: Si apriranno i vostri occhi. Lo scrittore sacro racconta che il serpente disse così, ma lascia al lettore considerare in qual senso, proprio o simbolico, lo disse. Quanto invece alla frase riferita dalla Scrittura: E si aprirono i loro occhi e si accorsero d'esser nudi, è stata scritta come sono narrati tutti gli altri fatti realmente avvenuti e perciò non ci devono indurre a considerarli come un racconto allegorico. Poiché neppure l'Evangelista introduceva (nel suo racconto) parole dette da un'altra persona in senso figurato e nemmeno narrava, secondo il proprio arbitrio, fatti realmente accaduti quando, a proposito dei due discepoli (di Emmaus), di cui uno era Cleofa, dice che, dopo che il Signore ebbe spezzato il pane, si aprirono i loro occhi e lo riconobbero, mentre non lo avevano riconosciuto durante la via. Naturalmente l'Evangelista non vuol dire che camminavano ad occhi chiusi, ma solo che non avevano potuto riconoscerlo. Come dunque in quel passo del Vangelo, così neppure in questo passo (della Genesi) si tratta di un racconto in senso figurato, sebbene la Scrittura usi una frase metaforica parlando di "occhi aperti" - che erano aperti anche prima - per indicare che si aprirono allora nel senso che videro e compresero ciò a cui prima non avevano fatto attenzione. Quando infatti (i nostri progenitori) furono spinti da una temeraria curiosità a trasgredire il precetto, bramosi di sperimentare cose a loro nascoste e sapere qual conseguenza sarebbe derivata dal toccare il frutto proibito e provar piacere a infrangere i vincoli della proibizione con l'usare una funesta libertà credendo probabilmente che non ne sarebbe seguita la morte ch'essi avevano temuta. Dobbiamo infatti pensare che il frutto di quell'albero fosse d'una specie simile a quella dei frutti degli altri alberi ch'essi avevano sperimentato essere innocui. Essi perciò credettero piuttosto che Dio avrebbe potuto perdonare facilmente il loro peccato anziché sopportare con pazienza di non conoscere di che specie fosse il frutto o perché Dio avesse proibito di mangiarne. Appena dunque trasgredirono il precetto, si trovarono completamente nudi interiormente, abbandonati dalla grazia che avevano offeso con una sfrontata arroganza e con orgoglioso amore per la propria indipendenza. Gettando allora uno sguardo sulle proprie membra essi provarono un movimento di concupiscenza ch'era loro ignoto.

La morte e la concupiscenza sopraggiunte dopo la trasgressione del precetto divino.

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32.42. Ai progenitori sopraggiunse la mortalità lo stesso giorno in cui compirono l'azione che Dio aveva proibita. Poiché essi persero la loro condizione privilegiata conservata anche grazie al nutrimento dell'albero della vita, che avrebbe potuto preservarli dalle malattie e dal processo d'invecchiamento. Nel loro corpo infatti - sebbene fosse ancora un corpo naturale ma destinato a trasformarsi in seguito in uno stato più perfetto - tuttavia nell'alimento dell'albero della vita veniva già simboleggiato il mistero che si attua negli angeli grazie al nutrimento spirituale fornito dalla Sapienza. L'albero della vita era infatti il simbolo di quel nutrimento che nutre gli angeli e mediante la loro partecipazione all'eternità li preserva dalla corruzione. Una volta dunque che (i nostri progenitori) ebbero perduta questa condizione, il loro corpo assunse la proprietà d'essere esposto alle malattie e destinato alla morte, che è insita anche nel corpo degli animali e per questo furono soggetti allo stesso movimento a causa del quale c'è negli animali il desiderio d'accoppiarsi in modo che a coloro che muoiono succedano altri che nascono. Eppure anche nello stesso castigo l'anima razionale rivelò l'innata sua nobiltà quando si vergognò dell'impulso animale che provava nelle membra del suo corpo, e infuse in quell'impulso un senso di pudore, non solo perché in esso provava qualcosa (d'indecente) che non aveva provato mai prima d'allora, ma anche perché quell'impulso vergognoso proveniva dalla trasgressione del precetto. Fu allora che l'uomo capì di qual grazia era rivestito prima, quando, pur essendo nudo, non provava alcun movimento indecente. Fu allora che si avverò (la parola del Salmista): Nella tua bontà, Signore, avevi dato stabilità alla mia gloria; ma tu hai voltato da me il tuo volto e io sono rimasto turbato. Così, dunque, a causa di quel turbamento i nostri progenitori s'affrettarono a procurarsi foglie di fico che intrecciarono per farsene cinture e, poiché avevano lasciato (volontariamente) ciò che doveva costituire la loro gloria, coprirono ciò che doveva costituire la loro vergogna. Io non credo che, ricorrendo a quelle foglie, pensassero che fosse conveniente coprire con esse le loro membra che sentivano già il prurito della concupiscenza, ma nel loro stato di turbamento furono spinti a quell'atto da un impulso occulto, di modo che anche a loro insaputa esso fu un segnodel loro castigo che, dopo essere stato provato, doveva convincerli del loro peccato, e, venendo narrato dalla Scrittura, avrebbe dato un insegnamento al lettore.

In che modo Dio parlava ai progenitori.33.43. E udirono la voce di Dio, il Signore, che passeggiava nel paradiso verso sera. Proprio a quell'ora infatti era opportuno che ( i nostri progenitori), i quali si erano allontanati dalla luce della verità, fossero visitati (da Dio). Iddio era forse solito in precedenza conversare con loro interiormente in modi esprimibili o piuttosto inesprimibili (con parole umane), come parla anche agli angeli illuminando le loro menti con la sua verità immutabile, in cui la loro intelligenza conosce simultaneamente tutto ciò che avviene non simultaneamente nel corso del tempo. Forse, dico, Dio parlava con loro allo stesso modo, sebbene non partecipassero della Sapienza divina nella stessa misura che la partecipano gli angeli, ma tuttavia nella misura consentita all'uomo e in proporzione, quanto si voglia minore ma sempre nella stessa maniera, Dio li visitava e conversava con loro. Forse Dio parlava con loro in un altro modo, come quello in cui Dio si serve delle creature o nell'estasi dello spirito con immagini corporali, o nei sensi corporei con qualche oggetto fatto presente per essere visto o far sentire la sua voce nella nube mediante i suoi angeli. Allora però, quando (i nostri progenitori) udirono la voce di Dio che passeggiava nel paradiso all'imbrunire, si trattò di un'apparizione visibile effettuata mediante una creatura, poiché non dobbiamo credere che la sostanza invisibile e presente dappertutto nella sua totalità, qual è quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, apparisse ai loro sensi corporei movendosi nello spazio e nel tempo.

La vergogna dei progenitori.

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33.44.Adamo e sua moglie si nascosero allora dalla faccia di Dio, il Signore, in mezzo agli alberi del paradiso. Allorché Dio volge via il suo volto dall'intimo dell'uomo e questi rimane turbato, non dobbiamo stupirci che l'uomo compia delle azioni simili a quelle d'un pazzo a causa di una grande vergogna e paura. Adamo ed Eva, spinti anche da un occulto istinto, che non li lasciava in pace, compirono delle azioni di cui non comprendevano il significato ma che sarebbero state comprese dai loro discendenti per i quali sono stati narrati dalla Scrittura.

Dio interroga, cioè rimprovera Adamo.34.45. Dio, il Signore, chiamò poi Adamo e gli chiese: "Dove sei?". Questa domanda è formulata da Colui che rimprovera, non da uno che ignora. Naturalmente riveste anche un significato particolare il fatto che, allo stesso modo che il precetto fu dato all'uomo perché per suo mezzo arrivasse alla donna, così l'uomo fu il primo ad essere interrogato; poiché il precetto emanato dal Signore arrivò alla donna per mezzo dell'uomo, il peccato al contrario derivò dal demonio e per mezzo della donna arrivò all'uomo. Questi fatti sono pieni di significati simbolici intesi non dalle persone in cui si compirono i fatti ma dall'onnipotente Sapienza di Dio che agiva per mezzo di esse. Ora però non si tratta di svelare quei significati ma di affermare la realtà dei fatti.

Si esamina la risposta di Adamo.

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34.46. Adamo allora rispose: Ho udito la tua voce nel paradiso e ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto 73. È assai probabile che Dio fosse solito apparire ai primi due esseri umani sotto forma umana mediante una creatura adatta a tale effetto. Egli tuttavia, elevando la loro attenzione alle cose celesti, non permise mai ad essi di accorgersi della loro nudità se non dopo che, in seguito al peccato, provarono nelle loro membra l'impulso di cui ebbero vergogna conforme alla legge delle membra che è castigo del peccato. Essi dunque, provarono il turbamento che di solito provano gli uomini sotto lo sguardo degli altri; la passione che li turbava, come castigo del peccato, li spingeva a desiderare di sfuggire allo sguardo di Colui al quale non può sfuggire nulla e di nascondere il loro corpo a Colui che scruta i cuori. Ma che c'è di strano se coloro i quali, per la loro superbia, desiderano essere come dèi, vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore stolto si ottenebrò? Nella loro prosperità affermarono d'essere sapienti, ma quando Dio volse via da loro la sua faccia, essi diventarono stolti. Poiché, se avevano già vergogna di se stessi alla presenza l'uno dell'altro - e per questo s'erano procurati delle cinture - molto maggior paura sentivano, anche se coperti da esse, d'esser visti da Colui che, mosso da una specie di condiscendenza familiare, prendeva, al fine di vederli, l'aspetto d'una creatura visibile con occhi simili a quelli umani. Se infatti Dio appariva in quel modo affinché essi conversassero - per così dire - con lui come con un altro uomo, come fece Abramo presso la quercia di Mambre, dopo il peccato si sentivano oppressi di vergogna proprio a causa di quella specie d'amicizia, che dava loro confidenza prima del peccato. Essi inoltre non osavano più mostrare a quegli occhi la nudità che offendeva anche i loro stessi occhi.

La scusa di Adamo piena di superbia.

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35.47. Il Signore, dunque, volendo poi interrogare i colpevoli, come si usa nei tribunali, prima d'irrogare loro un castigo più grave di quello per cui erano già costretti a vergognarsi, chiese: Chi t'ha fatto conoscere ch'eri nudo, se non il fatto d'aver mangiato dell'unico albero di cui ti avevo ordinato di non mangiare? Ecco il peccato per cui la morte, concepita conforme alla sentenza di Dio che l'aveva comminata con questo castigo, indusse i progenitori a guardar le membra con la concupiscenza appena che - come dice la Scrittura - s'aprirono i loro occhi e ne seguì un sentimento di vergogna. E Adamo rispose: La donna che mi hai dato per compagna, mi ha dato un frutto dell'albero e io ne ho mangiato. Quale superbia! Disse forse: "Ho peccato"? Adamo ha la deformità della confusione, ma gli manca l'umiltà della confessione. Questi particolari sono riferiti dalla Scrittura perché le stesse interrogazioni furono fatte appunto per essere tramandate per iscritto fedelmente a nostro insegnamento, poiché se fossero state tramandate in modo menzognero, non ci sarebbero state d'insegnamento. Esse mirano a farci riflettere su quale (grave) malattia sia la superbia di cui sono malati oggi gli uomini che si sforzano di attribuire al Creatore qualsiasi male che hanno potuto fare. La donna - rispose -che hai data con me, cioè che mi hai data perché mi fosse compagna, è stata essa a darmi un frutto dell'albero e io ne ho mangiato, come se la donna gli fosse stata data per questo e non piuttosto perché ubbidisse a suo marito e ambedue ubbidissero a Dio!

Nemmeno Eva, rimproverata da Dio, confessa il peccato.


35.48.Allora Dio, il Signore, disse alla donna: "Perché hai fatto ciò?". La donna rispose: "Il serpente mi ha sedotta e io ho mangiato". Neppure lei confessa il peccato ma lo fa ricadere su l'altro al quale, sebbene il senso di lei sia differente da quello di Adamo, è uguale nella superbia. Da essi tuttavia nacque - ma non l'imitò - uno che, pur essendo stato provato da innumerevoli sventure, disse e dirà sino alla fine del mondo: Ho detto: "Abbi pietà di me, Signore; guarisci l'anima mia, poiché ho peccato contro di te". Sarebbe stato preferibile che essi fossero così! Ma il Signore non aveva ancora schiacciato la testa dei peccatori. Sarebbero dovuti sopravvenire ancora affanni, dolori, morte e ogni specie di tribolazioni di questo mondo e la grazia di Dio con cui, al momento opportuno, egli viene in aiuto agli uomini ai quali mostra con l'afflizione che non devono presumere di se stessi. Il serpente -disse la donna -mi ha sedotta e io ho mangiato, come se l'istigazione di qualcuno dovesse esser preferita al precetto di Dio!


Il serpente non viene né interrogato né rimproverato ma è maledetto.

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36.49. E Dio, il Signore, disse al serpente: "Poiché hai fatto ciò, sarai maledetto più di tutti gli animali e di tutte le bestie selvatiche esistenti sulla terra. Dovrai procedere sul tuo petto e con il tuo ventre e dovrai mangiare terra per tutti i giorni della tua vita. Io porrò ostilità tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua. Essa cercherà di colpire la tua testa e tu cercherai di colpire il suo calcagno". Tutta questa sentenza ha un suo senso figurato, e l'attendibilità dell'agiografo e la veridicità del racconto esigono da noi di non dubitare che sia stata (realmente) pronunciata. Dio, il Signore, disse al serpente sono le sole parole dell'agiografo e devono essere intese in senso proprio. È quindi vero che così fu detto al serpente. Le altre parole sono di Dio; è lasciata al lettore la libertà di (interpretarle e) vedere se devono essere intese in senso proprio o in senso figurato, come abbiamo detto al principio di questo libro. Se pertanto non fu chiesto al serpente perché aveva compiuto quell'azione, è evidente che il serpente non aveva agito per un impulso della propria natura e volontà ma ad agire -servendosi di lui e per mezzo di lui e in lui - era stato il diavolo, già destinato al fuoco eterno a causa del suo peccato d'empietà e di superbia. Orbene, le parole rivolte al serpente e allo stesso tempo a colui che aveva agito per mezzo del serpente, hanno senza dubbio un senso figurato. In esse infatti viene descritto il tentatore quale sarebbe stato per il genere umano, poiché il genere umano cominciò a propagarsi quando fu pronunciata questa sentenza apparentemente contro il serpente ma di fatto contro il diavolo. In qual modo quindi si debbano intendere queste parole, pronunciate in senso figurato, lo abbiamo spiegato - nella misura in cui siamo stati capaci - nei due libri su La Genesi difesa contro i Manichei, già pubblicata; se poi potremo dare in qualche altra opera spiegazioni più precise ed appropriate lo faremo con l'aiuto di Dio. Per adesso tuttavia la nostra attenzione non dev'essere distolta senza necessità verso un lavoro differente da quello che abbiamo intrapreso.

Il castigo della donna: esser soggetta al marito.

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37.50. Alla donna poi disse: "Renderò assai numerose le tue sofferenze e le tue doglie; con dolore partorirai i figli e la tua passione ti spingerà verso tuo marito, ma egli avrà il dominio su di te". Anche queste parole rivolte da Dio alla donna è molto più appropriato intenderle in un senso figurato e profetico. La donna tuttavia non aveva ancora partorito e inoltre le doglie e i travagli del parto derivano unicamente da questo corpo destinato alla morte - che fu concepita a causa della trasgressione del precetto - e le sue membra erano senza dubbio ancora quelle di un corpo naturale ma che, se l'uomo non avesse peccato, era destinato a non morire e a vivere in un altro stato più felice, finché dopo una vita intemerata avrebbe meritato d'essere trasformato in un corpo più perfetto, come abbiamo già fatto vedere più sopra in parecchi passi. Questo castigo può quindi essere inteso in senso letterale, anche se rimane da vedere come possa essere intesa in senso proprio la frase: La tua passione ti volgerà verso tuo marito ma egli avrà il dominio su di te. Poiché non dobbiamo credere che (la donna) anche prima del peccato fosse stata creata in modo da non essere sottomessa a suo marito e da non volgersi verso di lui nel servirlo. Tuttavia possiamo pensare con ragione che una tale soggezione, di cui qui si parla, sia una condizione simile alla schiavitù, anziché un legame di dilezione, e così anch'essa - per cui gli uomini divennero in seguito schiavi di altri uomini - si dimostra derivante dal castigo del peccato. L'Apostolo infatti dice: Siate a servizio gli uni degli altri, ma non avrebbe detto affatto: "Dominate gli uni su gli altri". Gli sposi possono rendersi reciproci servizi mossi dalla carità, ma l'Apostolo non permette alla donna di avere il dominio sull'uomo. La sentenza pronunciata da Dio conferì questo potere piuttosto all'uomo, ma a far sì che la donna meritasse d'aver come capo e signore il proprio marito non fu la sua natura ma il suo peccato; se però quest'ordine non fosse mantenuto, la natura si corromperebbe di più e aumenterebbe il peccato.

Quale fu il castigo di Adamo e perché questi chiamò "vita" la moglie.

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38.51. Al marito della donna allora Dio disse: Poiché hai dato ascolto alle parole di tua moglie e hai mangiato dell'unico albero che ti avevo proibito di mangiare, maledetta sarà la terra nei tuoi lavori; con dolore ne trarrai nutrimento tutti i giorni della tua vita; spine e rovi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto dovrai mangiare il tuo pane finché non tornerai alla terra da cui sei stato tratto, poiché tu sei terra e alla terra ritornerai 86. Chi non sa che queste sono le fatiche del genere umano sulla terra? È inoltre certo che non sarebbe stato così, qualora l'uomo avesse conservato la felicità che godeva nel paradiso; non dobbiamo quindi esitare a intendere queste parole anzitutto in senso proprio. Dobbiamo tuttavia salvaguardare e considerare attentamente il senso profetico che ha di mira, soprattutto in questo passo, la parola di Dio. Poiché non è senza motivo che lo stesso Adamo, in virtù di una mirabile ispirazione, chiamò allora sua moglie con il nome di "Vita", soggiungendo anche: poiché essa è la madre di tutti i viventi. Queste parole infatti non sono dell'agiografo che narra o afferma, ma sono da intendere quali parole dello stesso uomo. Dicendo: poiché è la madre di tutti i viventi indicò in un certo modo il motivo per cui aveva imposto quel nome, perché cioè l'aveva chiamata "Vita".

Significato simbolico delle tuniche di pelle.39.52. Dio, il Signore, fece poi per Adamo e sua moglie tuniche di pelle e li rivestì. Anche questa azione fu compiuta perché avesse un significato simbolico, ma nondimeno fu un fatto reale, allo stesso modo che le parole furono pronunciate perché avessero un significato simbolico ma tuttavia furono pronunciate realmente. Come ho già detto altre volte, e non mi stanco di ripetere, al narratore di eventi effettivamente accaduti si richiede che narri i fatti realmente accaduti e le parole realmente pronunciate. Ora, allo stesso modo che nel considerare i fatti s'indaga che cosa accadde e qual è il suo significato, così anche nel considerare che cosa fu detto e qual è il suo senso. Sia che un'espressione riferita dallo storico sia stata detta in un senso figurato o in senso proprio, tuttavia il fatto che è stata detta non dev'essere considerato come un'espressione figurata.

Le parole di @Gn 3,22@ sono la condanna dell'orgoglio.

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39.53.E Dio disse: "Ecco che Adamo è divenuto come uno di noi; poiché conosce il bene e il male. Ora, poiché queste parole, quale che ne sia il significato e il modo in cui furono dette, fu Dio che le disse, non può intendersi diversamente se nell'espressione: Uno di noi il plurale non lo si prende in rapporto alla Trinità, nel medesimo senso in cui era stato detto: Facciamo l'uomo e anche come il Signore si riferisse a se stesso e al Padre nell'espressione Verremo e prenderemo dimora in lui. Dio replicò dunque alla superba ambizione di Adamo mostrandogli il risultato di quanto aveva bramato per suggestione del serpente che aveva detto: Voi sarete come dèi. Ecco - disse Dio -che Adamo è diventato come uno di noi. Queste sono le parole che disse Dio, non tanto per farsi beffe di Adamo, quanto per distogliere dalla superbia gli altri esseri umani per i quali sono state tramandate dalla Scrittura. Adamo - disse Dio -è diventato come uno di noi, poiché conosce il bene e il male. Che cos'altro dobbiamo vedere in questa frase se non un esempio che ci è stato proposto per inculcarci timore, in quanto Adamo non solo non divenne come voleva divenire ma non seppe mantenersi neppure nello stato in cui era stato creato?

Adamo espulso dal paradiso.

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40.54. E ora - disse Dio -bisogna impedirgli di stendere la mano e prendere dall'albero della vita, di mangiarne e così vivere per sempre. Dio, il Signore, lo scacciò dal paradiso di delizie perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. Le parole della prima frase furono dette da Dio ma poi vien raccontato il fatto che fu la conseguenza di ciò che era stato detto. L'uomo rimase privo non solo della vita che avrebbe ricevuto con gli angeli, se avesse osservato il precetto, ma anche della vita che menava nel paradiso ove il suo corpo godeva d'una condizione privilegiata di felicità e perciò dovette essere allontanato in ogni modo dall'albero della vita, e questo non solo perché quell'albero manteneva il suo corpo in quello stato di felicità grazie alla virtù invisibile di una realtà visibile, ma anche perché esso era anche un sacramento dell'invisibile sapienza. L'uomo dunque doveva essere allontanato da quell'albero sia perché ormai egli era destinato alla morte, sia anche perché era - diciamo così - scomunicato (dal paradiso) allo stesso modo che anche nel paradiso di quaggiù, che è la Chiesa, talvolta alcuni fedeli vengono allontanati dai sacramenti visibili dell'altare a norma della disciplina ecclesiastica.

Il paradiso terrestre e quello spirituale.40.55. (Dio) scacciò Adamo e lo collocò nella parte opposta al paradiso di delizie. Anche quest'azione fu compiuta realmente, ma aveva anche lo scopo di simboleggiare un'altra realtà giacché prefigurava l'uomo peccatore vivente nello stato di miseria opposto al paradiso, che rappresentava anche la felicità nel senso spirituale. (Dio inoltre) collocò i cherubini e la spada di fiamma e roteante per custodire la via all'albero della vita. Anche ciò dobbiamo credere che accadde nel paradiso visibile con l'intervento delle potenze celesti sicché mediante il ministero degli angeli vi fu posto una specie di bastione di fuoco. Non dobbiamo però dubitare che ciò fu fatto non senza un motivo, dal momento che aveva un significato simbolico anche riguardo al paradiso spirituale.

Opinioni sulla natura del primo peccato: a) brama intempestiva della conoscenza.

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41.56. Non ignoro poi che certi esegeti pensano che i nostri progenitori avrebbero avuto fretta di soddisfare il loro desiderio di conoscere il bene e il male e avrebbero desiderato d'avere prima del tempo conveniente ciò che era loro serbato più tardi per un'occasione più opportuna; quegli esegeti pensano inoltre che il tentatore l'indusse ad offendere Dio appropriandosi, prima del tempo, d'un bene non ancora destinato a loro. Così i progenitori, dopo essere stati espulsi dal paradiso e condannati, furono privati dei vantaggi d'un bene, di cui avrebbero potuto godere, se si fossero avvicinati a tempo debito, come voleva Dio. Se questi esegeti preferissero intendere quell'albero non in senso proprio, cioè nel senso d'un vero albero con veri frutti, ma in senso figurato, dovrebbero offrire una soluzione conforme alla retta fede e alla ragione.

b) ridicolo far consistere il primo peccato nella prematura unione maritale.


41.57. Alcuni esegeti hanno anche pensato che la prima coppia umana anticipò, con una specie di furto, le nozze e si unì nell'amplesso coniugale prima di essere stata unita in matrimonio dal suo Creatore, amplesso di cui sarebbe stato simbolo il nome di "albero" che era stato loro vietato di toccare fino al tempo opportuno per accoppiarsi. Come se dovessimo credere che, se fossero stati creati in un'età per cui dovessero aspettare il completo sviluppo della pubertà, o come se la loro unione non fosse permessa appena possibile mentre, se non fosse stata possibile, non sarebbe certamente dovuta avvenire. O forse la sposa doveva essere consegnata dal padre e bisognava aspettare la solennità delle promesse pronunciate dagli sposi, il banchetto con una folla d'invitati, la stima della dote e la stesura del contratto matrimoniale? Tutto ciò è ridicolo e prescinde anche dal senso letterale dei fatti narrati, che abbiamo intrapreso a difendere e che abbiamo difeso nella misura che Dio ha voluto concederci.

Eva intermediaria del peccato di Adamo.

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42.58. Ma c'è un problema più difficile. Se Adamo era già spirituale quanto all'anima intellettiva, seppure non ancora quanto al corpo, in che modo avrebbe potuto prestar fede alle parole del serpente, che cioè Dio aveva proibito di mangiare del frutto dell'albero perché egli sapeva che, se lo avessero fatto, sarebbero divenuti come dèi mediante la conoscenza del bene e del male? Come se il Creatore avesse voluto rifiutare per gelosia un sì gran bene alla sua creatura! Sarebbe strano se un uomo, dotato d'intelligenza spirituale, avesse potuto prestar fede a una siffatta insinuazione! O bisognerebbe forse dire che precisamente Adamo non avrebbe prestato fede (al serpente) e perciò gli fu avvicinata (dal serpente) la donna ch'era meno intelligente e forse viveva ancora secondo il senso della carne e non secondo l'inclinazione dello spirito, e questo sarebbe il motivo per cui l'Apostolo non le attribuisce d'essere immagine di Dio? Dice infatti: L'uomo non ha bisogno di coprirsi il capo, perché è immagine e gloria di Dio; la donna invece è (solo) gloria dell'uomo, non nel senso che lo spirito della donna non possa ricevere la stessa immagine, poiché l'Apostolo, riguardo a questa grazia, dice che noi non siamo né maschi né femmine, ma forse nel senso che la donna non aveva ricevuto ancora questa prerogativa che si ottiene con la conoscenza di Dio e che avrebbe ricevuta un po' alla volta sotto la guida e l'insegnamento dell'uomo. Non senza ragione infatti l'Apostolo dice: Poiché prima è stato creato Adamo e poi Eva; inoltre non fu Adamo a lasciarsi ingannare, ma fu la donna che si lasciò ingannare e disubbidì all'ordine di Dio; in altre parole fu per mezzo della donna che si rese trasgressore (del precetto divino) anche l'uomo. D'altra parte l'Apostolo chiama trasgressore anche l'uomo, quando dice: Con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di Colui che doveva venire, tuttavia non dice che fu ingannato. Infatti, interrogato da Dio, Adamo non rispose: "La donna che mi hai dato per compagna mi ha ingannato ed io ho mangiato", ma: Essa mi ha dato del frutto dell'albero e io ho mangiato; la donna al contrario dice: Il serpente mi ha ingannata.

Anche Salomone pervertito dall'amore delle sue donne.


42.59. Allo stesso modo si può forse pensare che Salomone, un personaggio di sì straordinaria sapienza, credesse che ci fosse un qualche vantaggio nell'adorare gli idoli? Ma egli non ebbe la forza di resistere all'amore delle donne che lo trascinavano a questa empietà e fece quel che sapeva non doversi fare per non contristare quelle ch'erano l'oggetto del suo amore mortifero, per le quali si struggeva e si pervertiva. Così pure fu il caso di Adamo. Dopo che sua moglie, essendo stata ingannata, ebbe mangiato del frutto e ne ebbe dato a lui perché ne mangiassero insieme, egli non volle contristarla, poiché pensava che senza il suo conforto ella potesse struggersi di dolore se si fosse sentita estraniata dal suo cuore e finisse per morire a causa di quella discordanza. Per la verità egli non fu sopraffatto dalla concupiscenza carnale che non aveva ancora provata, dato che la legge delle membra non si opponeva alla legge dello spirito, ma fu vittima d'una specie di benevolenza che è propria dell'amicizia, a causa della quale molto spesso accade che si offende Dio per evitare di rendersi nemico un amico. Che non avrebbe dovuto agire in quel modo lo dimostra il risultato che fu la giusta sentenza pronunciata da Dio (contro di lui).

Adamo fu ingannato come Eva ma in modo diverso.


42.60. Anch'egli dunque fu ingannato sebbene in un altro modo. Ma io penso che non potesse affatto essere ingannato con l'astuzia del serpente con cui fu ingannata la donna. L'Apostolo chiama in senso proprio "inganno" quello per cui fu creduto vero, pur essendo falso, ciò che veniva consigliato, come (l'insinuazione) che Dio avrebbe proibito di toccare quell'albero perché sapeva che, se lo avessero toccato, sarebbero divenuti simili a dèi, come se rifiutasse per gelosia la divinità a coloro ch'egli aveva creati come uomini. Ma, anche se per orgoglio dello spirito - che non sarebbe potuto sfuggire a Dio che scruta i cuori - l'uomo, vedendo che la donna non era morta per aver mangiato il frutto, si lasciò indurre da un desiderio disordinato a farne l'esperienza, come abbiamo spiegato più sopra. Io tuttavia penso che Adamo, se già era dotato d'intelligenza spirituale, non poteva credere affatto che Dio avesse proibito loro per gelosia di mangiare il frutto di quell'albero. Ma perché dilungarci su questo argomento? I nostri progenitori furono indotti a commettere quel peccato nel modo che potevano commetterlo persone dotate delle caratteristiche loro proprie. Il fatto ci è stato tramandato dalla Scrittura come era opportuno che fosse letto da tutti, sebbene fosse inteso solo da pochi nel senso che sarebbe necessario.

1 - (Gn 2,25-24).
2 - (Gn 2,25).
3 - (Gn 2,25).
4 - Cf. Rom 7,23.
5 - (Gn 3,1).
6 - Cf. Ier 4,22.
7 - Cf. Lc 16,8.
8 - Cf. Rom 13,1.
9 - Iac 4,6.
10 - Prov. 16,18.
11 - Ps 29,7.
12 - Ps 29,8-9.
13 - Iac 1,14-15.
14 - Gal 6,1.
15 - Cf. Rom 11,20.
16 - Rom 9,22-23.
17 - 2 Cor 10,17.
18 - Cf. Rom 12,3.
19 - Ps 110,2.
20 - Cf. Iac 1,15.
21 - Cf. (Gn 1,20-26).
22 - Cf. Mt 8,32.
23 - Eccli 10,15.
24 - 1 Tim 6,10.
25 - 2 Tim 3,2.
26 - 1 Cor 13,5.
27 - 1 Cor 13,4.
28 - Io 8,44.
29 - Gal 6,1.
30 - Rom 12,12.
31 - Ps 2,11.
32 - Cf. Io 8,44.
33 - Iob 40,14 (sec. LXX).
34 - Ps 103,26.
35 - (Gn 1,31).
36 - Mt 25,41.
37 - Iob 40,19 (sec. LXX).
38 - Cf. Rom 1,17; Mt 19,28; Lc 22,30; 1 Cor 6,3.
39 - Cf. Io 8,44.
40 - Is 14,12-15.
41 - Mt 13,28.
42 - Io 6,71.
43 - Gal 3,29.
44 - Gal 3,16.
45 - 1 Cor 12,12.
46 - Ez 28,12-13.
47 - Cant 4,12-13.
48 - Prov 26,11; 2 Pt 2,21-22.
49 - Cf. Mt 12,43-45.
50 - Ps 3,5.
51 - Ez 28,14.
52 - Ez 28,15.
53 - Cf. 2 Pt 2,4.
54 - Cf. Io 13,2.
55 - (Gn 3,1).
56 - Cf. Num 22,28.
57 - Cf. Ex 7,10-11.
58 - Cf. Rom 11,33.
59 - (Gn 3,1-3).
60 - Ps 102,18.
61 - (Gn 3,4-5).
62 - (Gn 3,6).
63 - (Gn 3,3).
64 - (Gn 3,7).
65 - Cf. Rom 7,23.
66 - (Gn 2,23).
67 - (Gn 3,7).
68 - Cf. Lc 24,13-31.
69 - Ps 29,8.
70 - (Gn 3,8).
71 - (Gn 3,8).
72 - (Gn 3,9).
73 - (Gn 3,10).
74 - Cf. Rom 1,21-22.
75 - Cf. (Gn 18,1).
76 - (Gn 3,11).
77 - (Gn 3,12).
78 - (Gn 3,13).
79 - Ps 40,5.
80 - Cf. Ps 128,4.
81 - (Gn 3,14-15).
82 - Cf. De Gn c. Man. 2,17,26-18,28.
83 - (Gn 3,16).
84 - Gal 5,13.
85 - Cf. 1 Tim 2,12.
86 - (Gn 3,17-19).
87 - (Gn 3,20).
88 - (Gn 3,21).
89 - (Gn 3,22).
90 - (Gn 1,26).
91 - Io 14,23.
92 - (Gn 3,24).
93 - (Gn 3,22-23.
94 - (Gn 3,24).
95 - (Gn 3,24).
96 - 1 Cor 11,7.
97 - Cf. Gal 3,27-28.
98 - 1 Tim 2,13-14.
99 - Rom 5,14.
100 - (Gn 3,12-13).
101 - Cf. 3 Reg 11,4.



Agostino - Genesi 1431