Agostino - Commento Gv 36

36

OMELIA 36

(Jn 8,15-18)

Jn 8,15-18


La medicina che ci guarisce.

Se in Cristo riconosci soltanto la divinità, rifiuti la medicina che ti ha guarito; se riconosci soltanto l'umanità rinneghi la potenza che ti ha creato. Se egli si è umiliato fino alla morte di croce, ha sospeso la potenza per manifestare la misericordia.

1. Fra i quattro Vangeli, o meglio fra i quattro libri dell'unico Vangelo, il santo apostolo Giovanni, giustamente paragonato all'aquila per la sua intelligenza delle cose spirituali, più degli altri tre ha elevato il suo annuncio ad altezze vertiginose, deciso a trascinare nel suo volo anche i nostri cuori. Gli altri tre evangelisti, infatti, hanno seguito il Signore nella sua vita terrena considerandolo quasi solo nel suo aspetto di uomo ed hanno detto poco della sua divinità; mentre questi, quasi sdegnasse di camminare sulla terra - come subito ci appare dalle prime battute - di colpo si sollevo al di sopra della terra e degli spazi celesti, al di sopra delle stesse schiere angeliche e di tutti gli ordini delle potenze invisibili, e pervenne a colui per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose dicendo: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. E ancora: Tutto è stato fatto per mezzo di lui e niente senza di lui è stato fatto (Jn 1,1-3). A tale sublimità di esordio adeguo tutto il Vangelo, e come nessun altro parlo della divinità del Signore. Con profusione comunico ciò che aveva bevuto alla fonte. Non per nulla si dice di lui in questo medesimo Vangelo che nell'ultima Cena stava appoggiato sul cuore del Signore (Jn 13,23): da quel cuore segretamente attinse e, ciò che segretamente aveva attinto, pubblicamente proclamo, affinché fosse nota a tutti i popoli non solo l'incarnazione del Figlio di Dio, la sua passione e risurrezione, ma altresi ciò che era prima dell'incarnazione: Unigenito del Padre, Verbo del Padre, coeterno a colui che lo genero, uguale a colui che lo mando, ma diventato inferiore nella medesima missione affinché il Padre risultasse maggiore di lui.

(La medicina che ci guarisce e la potenza che ci ha creati.)

2. 2. Tutto ciò che avete sentito dell'umile condizione del Signore Gesù Cristo, è da considerare nella logica del mistero dell'incarnazione, conseguenza di ciò che egli è diventato per noi, non di ciò che era quando ci creo. Tutto cio invece che di sublime, di superiore ad ogni creatura, di divino, di uguale e coeterno al Padre, di lui sentirete o leggerete in questo Vangelo, sappiatelo riferire alla sua natura divina, non alla sua natura di servo. Ora, se voi che potete capire - non tutti potete capire, ma tutti potete credere -, vi atterrete a questa regola, con sicurezza, come chi cammina nella luce, potrete affrontare le calunnie che nascono dalle tenebre dell'eresia. Non sono mancati, infatti, quelli che, tenendo conto unicamente delle testimonianze evangeliche che si riferiscono all'umiltà di Cristo, sono rimasti sordi di fronte alle testimonianze che si riferiscono alla sua divinità; e appunto perché sordi, hanno parlato a sproposito. Altri invece, tenendo conto unicamente di ciò che è stato detto intorno alla grandezza del Signore, anche se hanno letto quanto riguarda la sua misericordia che lo spinse a farsi uomo per noi, non vi hanno creduto, o lo hanno considerato come inventato dagli uomini e falso, sostenendo che Cristo nostro Signore era soltanto Dio e non anche uomo. Per opposti motivi, entrambi sono in errore. La fede cattolica, invece, mantenendosi nella verità da una parte e dall'altra e predicando ciò che crede, ha sempre ritenuto e creduto che Cristo è Dio ed è uomo; poiché l'una e l'altra verità risulta dalla Scrittura, l'una e l'altra è certa. Se affermi che Cristo è soltanto Dio, vieni a negare la

medicina con cui sei stato risanato; se dici che Cristo è soltanto uomo, vieni a negare la potenza con cui sei stato creato. L'una e l'altra verità tieni dunque per certa, o anima fedele, o cuore cattolico; l'una e l'altra verità ritieni saldamente, l'una e l'altra credi, l'una e l'altra fedelmente professa: che Cristo è Dio, che Cristo è uomo. Come Dio, Cristo è uguale al Padre, è una cosa sola con il Padre; come uomo è nato dalla Vergine, assumendo dell'uomo la natura mortale senza contrarne il peccato.

3. Questi Giudei dunque vedevano l'uomo, senza capire né credere che era Dio. Fra le altre cose, avete sentito che cosa gli dissero: Tu rendi testimonianza a te stesso; la tua testimonianza non è vera (Jn 8,13). Avete sentito anche la sua risposta. Vi è stata letta ieri, e noi, secondo le nostre forze, ve l'abbiamo spiegata. Oggi sono state lette queste sue parole: Voi giudicate secondo la carne (Jn 8,15). Ecco perché mi dite: Tu rendi testimonianza a te stesso e la tua testimonianza non è vera, perché voi giudicate secondo la carne, perché non capite Dio e vi fermate all'uomo, e perseguitando l'uomo offendete Dio che in esso è nascosto. Voi giudicate secondo la carne; e per il fatto che io rendo testimonianza a me stesso, voi mi considerate arrogante. Ogni uomo, infatti, quando vuole rendere testimonianza a se stesso, appare arrogante e superbo. Non a caso sta scritto: Non sia la tua bocca a lodarti, ma la bocca del tuo prossimo (Prv 27,2). Ma questo vale per l'uomo. Noi, infatti, siamo deboli e ci rivolgiamo a degli esseri deboli come noi. Possiamo dire la verità e mentire; senza dubbio si deve dire la verità, tuttavia se vogliamo possiamo mentire. La luce non può mentire: non è possibile scoprire tenebre di menzogna nello splendore della luce divina. Colui che parlava era la luce, era la verità; ma la luce splendeva nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno compresa; perciò giudicavano secondo la carne: Voi giudicate secondo la carne.

(Prima salvatore poi giudice.)

2. 4. Io non giudico nessuno (Jn 8,15). Sicché non giudica nessuno il Signore nostro Gesù Cristo? Non è lui che noi professiamo essere risorto da morte il terzo giorno, asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, donde verrà a giudicare i vivi e i morti? Non è questa la nostra fede, di cui l'Apostolo dice: Col cuore si crede per la giustizia, con la bocca si fa professione di fede per la salvezza (Rm 10,10)? Allora, con la nostra confessione contraddiciamo Dio? Noi diciamo che egli verrà a giudicare i vivi e i morti, mentre egli dice: Io non giudico nessuno. Questa difficoltà si può risolvere in due modi. Dice: Io non giudico nessuno nel senso che non giudica nessuno "ora", come dice in un altro passo: Io non sono venuto per giudicare il mondo ma per salvarlo (Jn 12,47): non intende, cioè, negare il giudizio ma differirlo; oppure, siccome prima ha detto: Voi giudicate secondo la carne, aggiunge: io non giudico nessuno, sottinteso "secondo la carne". Non ci rimane dunque alcun dubbio contrario alla fede che abbiamo e che professiamo su Cristo come giudice. Dapprima Cristo è venuto a salvare, poi verrà a giudicare: condannando nel suo giudizio coloro che non hanno voluto essere salvati e conducendo alla vita coloro che, credendo, non hanno rifiutato la salvezza. Il primo avvento di nostro Signore Gesù Cristo è quindi di salvezza, non di giudizio. Se fosse venuto subito per giudicare, non avrebbe trovato nessuno cui dare un giusto premio. Ma siccome vide che tutti erano peccatori e assolutamente nessuno esente dalla morte meritata dal peccato, doveva prima elargire la misericordia e poi pronunciare il giudizio. Di lui il salmo aveva cantato: Cantero la tua misericordia e il tuo giudizio, Signore (Ps 100,1). Non dice, il salmista, "il giudizio e la misericordia"; perché se ci fosse stato prima il giudizio, non ci sarebbe stata alcuna misericordia; ma prima la misericordia e poi il giudizio. Che significa "prima la misericordia"? Il creatore dell'uomo ha voluto essere uomo: si è fatto ciò che egli aveva fatto, affinché non perisse la sua creatura. Che cosa si può aggiungere a tale misericordia? Eppure egli vi aggiunse qualcosa. Non si accontento di farsi uomo, ma volle essere anche riprovato dagli uomini; non si accontento di farsi riprovare, volle anche essere oltraggiato; non si accontento di farsi oltraggiare, si fece anche uccidere; e, come se neppure questo bastasse, volle subire la morte di croce. così quando l'Apostolo parla della sua obbedienza fino alla morte, gli sembra poco dire: Si fece obbediente fino alla morte; e siccome non si trattava di una morte qualsiasi, aggiunge: fino alla morte di croce (Ph 2,8). Fra tutte le morti non ce n'era una peggiore di quella della croce. Tanto che per indicare i dolori più atroci si usa il termine "cruciatus", che deriva da croce. I crocifissi che pendevano dal legno inchiodati alle mani e ai piedi, erano condannati a morire di morte lenta. La crocifissione non provocava subito la morte: si rimaneva vivi a lungo sulla croce, e non perché si volesse prolungare la vita ma perché fosse ritardata la morte, e così il dolore non cessasse troppo presto. E' poco dire che egli volle morire per noi, accetto di farsi crocifiggere facendosi obbediente fino alla morte di croce. Colui che avrebbe annientato la morte, scelse il peggiore e il più ignominioso genere di morte: con la sua orribile morte uccise ogni morte. Era la morte più orribile per i Giudei, i quali non si rendevano conto che appunto per questo era stata scelta dal Signore. Egli avrebbe fatto della sua croce un vessillo, e l'avrebbe posta sulla fronte dei fedeli come trofeo di vittoria sul diavolo, tanto che l'Apostolo dice: Non sia mai che io mi glori d'altro all'infuori della croce del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso ed io lo sono per il mondo (Ga 6,14). Niente era allora così insopportabile nella carne, niente è adesso così glorioso sulla fronte come il segno della croce. Che cosa non riserverà ai suoi fedeli colui che ha conferito tanto onore al suo supplizio? I Romani stessi ormai non usano più la croce come supplizio ritenendo che, dopo essere stata tanto onorata dal Signore, sarebbe fare onore ad un criminale crocifiggendolo. Colui dunque che è venuto al mondo per essere crocifisso, non giudico nessuno, anzi sopporto i malvagi. Si assoggetto al giudizio ingiusto per poter giudicare con giustizia. Ma l'assoggettarsi al giudizio ingiusto è stato un atto di misericordia; e umiliandosi fino alla morte di croce, rinvio l'esercizio della sua potenza manifestando la sua misericordia. In che senso rinvio l'esercizio della sua potenza? Perché non volle discendere dalla croce, egli che poté poi risorgere dal sepolcro. E in che modo manifesto la sua misericordia? Perché pendendo dalla croce disse: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34). perciò le parole Io non giudico nessuno possono significare che non era venuto a giudicare ma a salvare il mondo; oppure avere quest'altro senso: poiché, come ho già ricordato, le parole Io non giudico nessuno fanno seguito alle altre Voi giudicate secondo la carne, vogliono forse farci intendere che il Cristo non giudica nessuno secondo la carne, come secondo la carne egli stesso è stato giudicato dagli uomini.

5. E affinché riconosciate che Cristo è anche giudice, ascoltate ciò che segue: Anche se giudico, il mio giudizio è vero. Eccoti anche il giudice; ma, per non sentirlo giudice, riconoscilo salvatore. E per quale motivo disse che il suo giudizio è vero? Perché - dice -io non sono solo, ma è con me il Padre che mi ha mandato (Jn 8,16). Vi dicevo, o fratelli, che l'evangelista Giovanni vola così in alto che è difficile seguirlo con la nostra intelligenza. Giova richiamare a vostra Carità il simbolo dell'evangelista che vola più in alto. Nella profezia di Ezechiele, come anche nell'Apocalisse dello stesso Giovanni autore di questo Vangelo, si parla di un animale a quattro facce: di uomo, di vitello, di leone e di aquila (Ez 1,5-10 Ap 4,6-7). Quanti prima di noi si sono occupati dei simboli delle sacre Scritture, solitamente hanno visto in questo animale, o meglio in questi animali, i quattro Evangelisti. Il leone è simbolo del re, in quanto il leone, a motivo della sua terribile forza e potenza, viene considerato il re degli animali. Questa figura rappresenta Matteo che, nella genealogia del Signore, attraverso la successione dei re, dimostra che il Signore discende per via regia dal seme del re Davide. Luca, che esordisce dal sacrificio del sacerdote Zaccaria padre di Giovanni Battista, viene simboleggiato dal vitello, essendo il vitello la vittima principale del sacrificio sacerdotale. Marco giustamente viene caratterizzato dalla figura dell'uomo, perché né parla del potere regale né esordisce dalla dignità sacerdotale, ma precisamente da Cristo come uomo. Si può dire che questi tre evangelisti non si sono scostati dalle cose terrestri, cioè da quanto ha compiuto in terra il Signore nostro Gesù Cristo: come se camminassero con lui sulla terra, parlano pochissimo della sua divinità. Rimane l'aquila, cioè Giovanni, l'araldo delle cose più sublimi, colui che contempla con occhio sicuro la luce invisibile ed eterna. Si dice che il giovane aquilotto viene addestrato in questo modo: il padre con i suoi artigli lo tiene sospeso in alto e lo pone di fronte al sole; l'aquilotto che riesce a fissare il sole fermamente, viene riconosciuto come figlio; quello che sbatte gli occhi viene considerato bastardo e lasciato andare. Pensate dunque quali cose sublimi abbia dovuto annunciare colui che è stato paragonato all'aquila. E tuttavia noi, così terra terra, deboli e di poco conto, osiamo commentare e spiegare queste cose, con la speranza anche di poterle capire quando le meditiamo, e di essere capiti quando le esponiamo.

6. Perché dico questo? Qualcuno forse, sentendomi parlare cosi, giustamente mi dirà: Allora deponi quel libro! perché lo prendi in mano e osi commentarlo, se non sei all'altezza? Rispondo: ci sono troppi eretici, e Dio ha permesso che ci fossero perché non ci nutrissimo sempre di latte, rimanendo infantili e immaturi. Non avendo tenuto in debito conto la divinità di Cristo, sono caduti in interpretazioni arbitrarie, in nome delle quali hanno suscitato in mezzo ai fedeli cattolici problemi delicatissimi, provocando dubbi, agitazioni e disorientamenti. Si è reso allora necessario che degli uomini spirituali, che hanno letto il Vangelo e hanno inteso rettamente la divinità di nostro Signore Gesù Cristo, opponessero alle armi del diavolo le armi di Cristo e apertamente, con tutte le forze, attaccassero battaglia in difesa della divinità di Cristo contro i falsi e menzogneri dottori, onde evitare che a causa del loro silenzio altri perissero. Quanti hanno immaginato che nostro Signore Gesù Cristo, o fosse di una sostanza diversa da quella del Padre o esistesse soltanto il Cristo, si da essere egli stesso Padre Figlio e Spirito Santo; quanti, d'altra parte, si sono ostinati a pensare che il Cristo fosse soltanto uomo e non Dio fatto uomo, o un Dio mutevole nella sua divinità, o un Dio che insieme non fosse anche uomo, hanno fatto naufragio nella fede, e sono stati allontanati dal porto della Chiesa, affinché con la loro irrequietezza non sfasciassero le barche che erano con loro. Questa considerazione ha costretto anche noi, che siamo così piccoli e, per quanto dipende da noi assolutamente indegni, ma, per sua misericordia, chiamati a far parte del numero dei suoi ministri, a non tacere ciò che voi potrete capire e godere insieme con me; e se ancora non riuscirete a capire, credendo potrete rimanere sicuri nel porto.

(La fede purifica perché si possa vedere.)

2. 7. Diro allora: chi può capisca, chi non può creda. Diro con il Signore: Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno; cioè non giudico nessuno ora, oppure non giudico nessuno secondo la carne. E se anche giudico, il mio giudizio è vero. Perché il tuo giudizio è vero? Perché non sono solo - risponde -ma è con me il Padre che mi ha mandato. Allora, Signore Gesù, se tu fossi solo sarebbe falso il tuo giudizio; e perciò giudichi secondo verità perché non sei solo, ma è con te il Padre che ti ha mandato? Che posso rispondere io? Risponda egli stesso: Il mio giudizio è vero. Perché è vero? Perché non sono solo, ma è con me il Padre che mi ha mandato. Ma se il Padre è con te, come ha fatto a mandarti? Ti ha mandato ed è con te, cosicché, anche mandato, non ti sei allontanato da lui e, venuto in mezzo a noi, sei rimasto lo stesso presso di lui? Come si può credere cio? come si può capire? A queste due domande rispondo cosi: giustamente ti domandi come si può capire, ma non altrettanto giustamente ti domandi come si può credere. Che anzi il fatto di non capire subito, ti fa esercitare quella che propriamente si chiama fede; infatti, se immediatamente ti fosse dato di capire, non avresti bisogno di credere, perché vedresti con i tuoi occhi. Appunto perché non capisci, credi; ma credendo diventi capace di

capire; infatti, se non credi, non riuscirai mai a capire, perché diventerai sempre meno capace. Lascia che la fede ti purifichi, affinché ti sia concesso di giungere alla piena intelligenza. Il mio giudizio è vero, - dice il Signore -perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. Allora, Signore Gesù Cristo nostro Dio, la tua venuta è la tua incarnazione? così vedo, così capisco; o meglio così credo, se è presunzione dire "così capisco". Davvero nostro Signore Gesù Cristo è qui: o meglio, un tempo era qui secondo la carne, adesso è qui secondo la divinità; era col Padre e dal Padre non si è mai allontanato. Quando dunque si dice che è stato mandato ed è venuto in mezzo a noi, ci si riferisce alla sua incarnazione, poiché il Padre non si è incarnato.

(Scilla e Cariddi.)

1. 8. Ci sono degli eretici, chiamati sabelliani e anche patripassiani, i quali sostengono che anche il Padre soffri la passione. Tu, o cattolico, non essere patripassiano, non saresti nel giusto. Tieni presente che la missione del Figlio consiste nella sua incarnazione; non credere, pero, che il Padre si sia incarnato, e non credere neanche che il Padre si sia allontanato dal Figlio incarnato. Il Figlio portava la carne e il Padre era col Figlio. Se il Padre era in cielo e il Figlio in terra, come poteva il Padre essere col Figlio? Perché tanto il Padre che il Figlio erano dovunque: Dio non è in cielo senza essere anche in terra. Ascolta colui che voleva sfuggire al giudizio di Dio e non trovava dove rifugiarsi: Dove andro, lontano dal tuo spirito, - dice -e dove fuggiro lontano dal tuo cospetto? Se salgo in cielo, là tu ci sei. E siccome si trattava della terra, ascolta ciò che segue: se scendero nell'inferno, ti ci trovo (Ps 138,7-8). Se dunque si afferma che si trova anche nell'inferno, che luogo rimane dove non sia? E' Dio stesso che per bocca del profeta dichiara: Io riempio il cielo e la terra (Ger 23,24). E' dunque dappertutto colui che in nessun luogo può essere circoscritto. Non allontanarti da lui, ed egli sarà sempre con te. Se vuoi raggiungerlo, non essere pigro nell'amarlo; infatti tu corri a lui, non con i piedi, ma con l'affetto del cuore. Andrai a lui rimanendo dove sei, se credi in lui e lo ami. Quindi è dappertutto, e se è dappertutto come può non essere col Figlio? Non sarà col Figlio colui che è anche con te, se credi in lui?

2. 9. In che senso dunque è vero il suo giudizio, se non perché è il vero Figlio di Dio? Egli dice: Anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma è con me il Padre che mi ha mandato, come a dire: il mio giudizio è vero perché sono Figlio di Dio. Come dimostri che sei Figlio di Dio? Perché non sono solo, ma è con me il Padre che mi ha mandato. Vergognati, sabelliano, stai ascoltando "Figlio" e stai ascoltando "Padre". Il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio. Non dice: Io sono il Padre e sono anche il Figlio; ma dice: Io non sono solo. Perché non sei solo? Perché è con me il Padre. Sono io e il Padre che mi ha mandato. Ascolta bene: Sono io e colui che mi ha mandato. Distingui bene le persone, se non vuoi sacrificarne una delle due. Distinguile con l'intelligenza, non separarle con l'incredulità, di modo che fuggendo Cariddi tu non cada in Scilla. Eri come inghiottito nel gorgo dell'empietà dei sabelliani, se sei arrivato a dire che il Padre è la stessa persona del Figlio; adesso hai imparato: Non sono solo - dice il Signore -ma io e il Padre che mi ha mandato. Riconosci che il Padre è il Padre e il Figlio è il Figlio. Renditene conto, ma guardati anche dal dire: il Padre è maggiore e il Figlio è minore; attento a non dire che il Padre è oro e il Figlio è argento. C'è una sola sostanza, una sola divinità, una sola coeternità, perfetta uguaglianza, nessuna diversità. Se solamente crederai che Cristo è altra cosa da ciò che è il Padre, pero non della medesima natura, avrai evitato Cariddi, ma finirai negli scogli di Scilla. Naviga nel mezzo, evitando l'una e l'altra costa, ambedue pericolose. Il Padre è il Padre e il Figlio è il Figlio. Se sei arrivato ad ammettere che il Padre è il Padre e il Figlio è il Figlio, sei riuscito ad evitare il gorgo che travolge; e perché allora vuoi andare verso l'altra parte dicendo: una cosa è il Padre e un'altra cosa è il Figlio? E' esatto dire che è un altro, ma è sbagliato dire che è di diversa natura. Infatti il Figlio è un altro, poiché egli non è il Padre; e un altro è il Padre, poiché egli non è il Figlio; non sono tuttavia di natura diversa, perché il Padre e il Figlio sono la medesima natura. Che vuol dire la medesima natura? Vuol dire che sono un solo Dio. Hai sentito: Non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato: ascolta ora come devi credere al Padre e al Figlio. Ascolta lo stesso Figlio: Io e il Padre siamo una cosa sola (Jn 10,30). Non ha detto: Io sono il Padre, oppure: Io e il Padre è uno solo, ma siccome ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola, tieni conto di ambedue le espressioni: una cosa sola e siamo, e così eviterai Scilla e Cariddi. Con la prima di queste due espressioni, cioè una cosa sola, ti salva da Ario; con la seconda, cioè siamo, ti salva da Sabellio. Se è una cosa sola, vuol dire che non è diverso; dicendo siamo, comprende il Padre e il Figlio. Siamo infatti non si dice di uno solo; e una cosa sola non si dice di cose diverse. E' per questo, dice, che il mio giudizio è vero, perché, a dirla in breve, io sono il Figlio di Dio. Riusciro a persuaderti chiaramente che io sono Figlio di Dio, e capirai anche che con me è il Padre; non sono un figlio che vive separato dal Padre; non sono qui senza essere con lui; e lui non è lassù senza essere qui con me; ho preso la forma di servo ma non ho perduto la forma di Dio (cf. Ph 2,7); dunque non sono solo - dice -ma io e il Padre che mi ha mandato.

10. Ha parlato del giudizio, ed ora parla della testimonianza. Nella vostra legge sta scritto - dice -che la testimonianza di due persone è vera. Ora sono io a rendere testimonianza di me stesso, e c'è anche il Padre, che mi ha mandato, a testimoniare di me (Jn 8,17-18). Avrebbero dovuto tener conto del riferimento alla loro legge; ma erano maldisposti. Quando, o miei fratelli, Dio dice: Un fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o tre testimoni (Dt 19,5 Mt 18,16), ci pone un problema grosso e, a mio parere, assai misterioso. Si deve cercare la verità per mezzo di due testimoni? Questa, certo, è la consuetudine del genere umano, anche se può accadere che i due testimoni mentiscano. La casta Susanna fu accusata da due falsi testimoni (Da 13,34-62): forse che non erano falsi per il fatto che erano due? Ma perché parliamo di due o tre, quando tutto un popolo menti contro Cristo (Lc 23,1)? Ora, se un popolo, formato da una grande moltitudine di persone, si dimostro falso testimone, come si ha da intendere che la verità dovrà essere stabilita sulla parola di due o tre persone, se non che questa affermazione contiene una misteriosa allusione alla Trinità, in cui si trova la fonte indefettibile della verità? Vuoi ottenere una sentenza favorevole? Procurati la testimonianza di due o tre persone: del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Infatti quando Susanna, donna casta e sposa fedele, era accusata dai due falsi testimoni, la Trinità la difendeva nel segreto della sua coscienza; e fu la Trinità che dal segreto suscito un testimone in Daniele e convinse i due di falsità. Ora, siccome nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera, accettate la nostra testimonianza, se non volete subire il giudizio di condanna. Infatti, io non giudico nessuno - dice il Signore -ma rendo testimonianza a me stesso, cioè rinvio il giudizio, ma non rinvio la testimonianza.

(Invochiamo la testimonianza di Dio.)

11. Contro le accuse degli uomini e le basse insinuazioni del genere umano, prendiamoci come giudice Dio; scegliamo lui, o fratelli, come testimone. Non disdegna di essere testimone colui che è giudice; non riceve una promozione diventando giudice, poiché, essendo ora testimone, sarà anche giudice. E' testimone perché non ha bisogno d'altri per conoscere chi sei. E' giudice perché ha il potere di dare la morte e di donare la vita, di condannare e di assolvere, di precipitare nell'inferno e di innalzare al cielo, di mandarci col diavolo e di incoronarci insieme agli angeli. Avendo questo potere, è giudice. Ma siccome per conoscerti non ha bisogno di testimonianze, colui che allora ti giudicherà ora ti vede. Non potrai ingannarlo quando si metterà a giudicarti. Non potrai ricorrere a falsi testimoni che ingannino quel giudice, quando si metterà a giudicarti. Dio ti dice: quando mi disprezzavi, vedevo; e quando rifiutavi di credere, non sfuggivi al mio giudizio: Io differivo, ma non lo annullavo. Non hai voluto dare ascolto a ciò che ho comandato, subirai ciò che ho predetto. Se invece ascolterai ciò che ti comando, non dovrai subire i mali predetti, ma avrai i beni promessi.

1. 12. Non deve impressionare la frase: Il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato, mentre altrove ha detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Jn 5,22). Già abbiamo discusso su queste parole del Vangelo, ed ora ci limitiamo a ricordarvi che esse non significano affatto che il Padre non sarà insieme con il Figlio a giudicare, ma significano che ai buoni e ai cattivi, convocati per il giudizio, apparirà solo il Figlio, in quella forma nella quale pati e risuscito e ascese al cielo, secondo l'annuncio dato dagli angeli ai discepoli che contemplavano la sua ascensione: Verrà così come l'avete visto andare in cielo (Ac 1,11); cioè verrà per giudicare in quella forma di uomo in cui fu giudicato, affinché si compia la profezia: Vedranno colui che hanno trafitto (Za 12,10). Se invece andremo con i giusti alla vita eterna, lo vedremo come egli è, e allora questo non sarà il giudizio dei vivi e dei morti, ma soltanto il premio dei vivi.

2. 13. Né deve fare difficoltà la frase: Nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera, quasi si possa pensare che quella non fosse la legge di Dio, non avendo detto "nella legge di Dio" ma nella vostra legge. Si sappia che ha detto nella vostra legge come a dire: nella legge che a voi è stata data. E da chi è stata data, se non da Dio? Allo stesso modo che noi diciamo il nostro pane quotidiano e dacci oggi (Mt 6,11).

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OMELIA 37

(Jn 8,19)

Jn 8,19,20


Nessuno l'arresto, perché non era ancora giunta la sua ora.

Non era ancora giunta la sua ora: l'ora della sua morte da lui voluta, non da altri decisa. Non dunque un'ora fatale, ma l'ora da lui voluta e, secondo un disegno divino, preparata.

1. Ciò che il santo Vangelo dice con poche parole, non può essere spiegato brevemente, se si vuole intendere ciò che si ascolta. Le parole del Signore sono poche ma dicono molto, e non si deve considerare il loro numero ma il loro peso, né la loro sobrietà deve impedirci di penetrarne la profondità. Quanti eravate presenti ieri, avete sentito che si è cercato di spiegare le parole:

Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E se anche giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma siamo io e il Padre che mi ha mandato. Nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera; ora sono io a rendere testimonianza di me stesso, e c'è anche il Padre, che mi ha mandato, a testimoniare di me (Jn 8,15-18). Il discorso che ieri abbiamo rivolto alle vostre orecchie e al vostro spirito, era su queste parole. Quando il Signore le ebbe pronunciate, quelli che ascoltarono Voi giudicate secondo la carne, dimostrarono che era vero quanto il Signore diceva di loro, rivolgendogli la domanda: Dov'è tuo padre? Intendevano il Padre di Cristo in senso carnale, perché giudicavano le parole di Cristo secondo la carne. In effetti colui che parlava era manifesto come carne, era occulto come Verbo; era manifesto come uomo, era occulto come Dio. Vedevano il vestito e disprezzavano colui che lo indossava; lo disprezzavano perché non lo conoscevano; non lo conoscevano perché non lo vedevano; non lo vedevano perché erano ciechi; erano ciechi perché non credevano.

2. 2. Vediamo la risposta del Signore. Essi domandano: Dov'è tuo padre? Ti abbiamo sentito dire: Non sono solo, ma siamo io e il Padre che mi ha mandato; noi vediamo te solo, non vediamo tuo padre con te; come fai a dire che non sei solo, ma sei con tuo padre? oppure, mostraci che tuo padre è con te. E il Signore: Come posso mostrarvi il Padre, se voi non vedete neppure me? Questo è ciò che segue, questa è la risposta che egli ha dato e che noi già abbiamo commentato. Notate la sua risposta: Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche mio Padre (Jn 8,19). Voi domandate: Dov'è tuo padre? come se già mi conosceste, come se io fossi soltanto ciò che voi vedete; ma siccome non mi conoscete, perciò non vi mostro mio Padre. Voi mi considerate un semplice uomo e cercate mio Padre come un uomo, perché voi giudicate secondo la carne. Siccome pero io sono una cosa secondo ciò che voi vedete e un'altra cosa secondo ciò che voi non vedete, parlo di mio Padre, a voi sconosciuto, io che sono per voi altrettanto sconosciuto: prima dovete conoscere me, e allora conoscerete anche mio Padre.

3. 3. Se conosceste me, forse conoscereste anche mio Padre (Jn 8,19). Egli, che sa tutto, dicendo forse, non esprime un dubbio ma un rimprovero. Infatti, l'avverbio forse che di per sé esprime un dubbio, si può usare anche in tono di rimprovero: l'avverbio ha senso dubitativo quando viene usato da un uomo, che dubita perché non sa; ma sulla bocca di Dio, al quale nulla è nascosto, non può essere espressione di incertezza da parte della divinità, ma suona rimprovero per l'incredulità degli uomini. Gli uomini stessi, qualche volta, esprimono un dubbio a riguardo di cose di cui sono più che sicuri, e lo fanno a scopo di rimprovero, usano cioè l'avverbio dubitativo pur non avendo alcun dubbio nel cuore; come se tu, essendo in collera con il tuo servo, gli dicessi: Tu mi disprezzi, ma non dimenticare che forse io sono il tuo padrone. E' in questo senso che l'Apostolo dice a taluni suoi denigratori: Credo di avere anch'io lo Spirito di Dio (1Co 7,40); chi dice credo sembra dubitare, ma quello dell'Apostolo non era un dubbio, era un rimprovero. E lo stesso Cristo Signore, in altra occasione, rimproverando l'infedeltà futura del genere umano, dice: Quando verrà il Figlio dell'uomo, credi forse che troverà della fede in terra? (Lc 18,8).

4. Suppongo che abbiate capito in che senso egli dice forse, di modo che nessuno di quelli che pesano le parole e analizzano le sillabe, da intenditore venga a criticare la parola usata dal Verbo di Dio e, correggendo il Verbo di Dio, perda la sua eloquenza rimanendo muto. Chi infatti è in grado di parlare come parla il Verbo che era in principio presso Dio? Non fermarti alle parole, con la pretesa di voler misurare con queste tue parole comuni e logore quel Verbo che è Dio. Tu ascolti il Verbo e non gli presti attenzione; ma ascolta Dio che dice: In principio era il Verbo, e temi. Ti richiami al tuo linguaggio, e dici fra te: che cosa è la parola, che consistenza avrà mai la parola? E' un suono che passa: risuona nell'aria, colpisce l'orecchio, e non è più. Ascolta ancora: Il Verbo era presso Dio; permaneva, non cessava come un suono. Forse ancora lo tieni in poco conto; ebbene: Il Verbo era Dio (Jn 1,1). Anche in te, o uomo, quando la parola è nel tuo cuore, è una cosa diversa dal suono; ma la parola che è in te, per arrivare a me ha bisogno del suono, come di un veicolo: prende il suono e vi monta su come se fosse un veicolo, corre attraverso l'aria e arriva a me, senza allontanarsi da te; il suono invece, per venire a me, si allontana da te e nemmeno presso di me rimane. La parola dunque, che era nel tuo cuore, si è forse dileguata col cessar del suono? Hai detto ciò che pensavi, e perché ciò che stava nascosto dentro di te giungesse fino a me hai pronunciato delle sillabe; il suono delle sillabe ha portato al mio orecchio il tuo pensiero, e attraverso il mio orecchio il tuo pensiero è sceso nel mio cuore. Il suono intercorso è volato via; quella parola, pero, che ha preso il suono, prima che risuonasse era dentro di te; dopo che l'hai pronunciata è dentro di me, senza essersi allontanata da te. Tieni conto di questo, tu che analizzi i suoni. Tu che non riesci a spiegarti il verbo, la parola dell'uomo, disprezzi il Verbo di Dio?

(Colui che ha fatto tutto, sa tutto.)

2. 5. Colui per mezzo del quale tutto è stato fatto sa tutto, e il suo dubbio non è che un rimprovero. Le sue parole: Se conosceste me, forse conoscereste anche mio Padre suonano rimprovero per gli increduli. Simile espressione ha usato per i discepoli, ma non in forma dubitativa, perché non c'era motivo di rimproverare la loro incredulità. Infatti ciò che in questa occasione ha detto ai Giudei: Se conosceste me, forse conoscereste anche mio Padre, lo ha detto anche ai discepoli, quando Filippo si rivolse a lui e gli chiese: Signore, mostraci il Padre e ci basta (Jn 14,8); in altre parole: Noi ormai ti abbiamo conosciuto, ti sei mostrato a noi e noi ti abbiamo visto, ti sei degnato di sceglierci e noi ti abbiamo seguito, abbiamo visto i tuoi miracoli, abbiamo ascoltato le tue parole di salvezza, abbiamo ascoltato i tuoi precetti, speriamo nelle tue promesse, e la tua stessa presenza è stata per noi un bene immenso; ma tuttavia, siccome te ti conosciamo, mentre il Padre ancora non lo conosciamo, desideriamo ardentemente di vedere lui che ancora non conosciamo; l'aver conosciuto te non ci basta, finché non avremo conosciuto anche il Padre. Mostraci il Padre e ci basta! E il Signore, affinché si rendessero conto che ancora non conoscevano ciò che credevano ormai di conoscere, rispose: Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi ha veduto me ha veduto il Padre (Jn 14,9). Queste parole esprimono forse un dubbio? Ha forse detto: Chi ha veduto me, forse ha veduto anche il Padre? Perché? Perché il Signore si rivolgeva ad un fedele, non ad un persecutore della fede, e perciò non doveva rimproverare ma soltanto insegnare. Confrontiamo le due espressioni: Chi ha veduto me, ha veduto il Padre e Se conosceste me, conoscereste anche mio Padre; togliamo da questa l'avverbio che si riferisce all'incredulità degli ascoltatori, e le due frasi sono identiche.

(Evitare l'uno e l'altro scoglio.)

1. 6. Già ieri facevamo osservare alla vostra Carità che non avremmo voluto metterci a spiegare le affermazioni che l'evangelista Giovanni fa narrandoci ciò che apprese dal Signore, se non fossimo costretti dalle interpretazioni che ne danno gli eretici. Ieri brevemente abbiamo anche informato la vostra Carità che esistono degli eretici chiamati patripassiani, o, dal loro corifeo, sabelliani. Costoro sostengono che il Padre è lo stesso che il Figlio; i nomi sono diversi ma la persona è la stessa. Quando vuole è Padre e quando vuole è Figlio; ma è sempre la stessa e unica persona. Ci sono poi altri eretici che si chiamano ariani. Essi confessano che nostro Signore Gesù Cristo è il Figlio unico del Padre; che questo è il Padre del Figlio e quello il Figlio del Padre; che il Padre non è il Figlio e il Figlio non è il Padre: riconoscono la generazione del Figlio da parte del Padre, ma negano l'uguaglianza del Figlio col Padre. Noi, cioè la fede cattolica proveniente dall'insegnamento degli Apostoli, piantata in noi, ricevuta da noi attraverso una successione ininterrotta, e che integra deve essere da noi trasmessa ai posteri, in mezzo ad entrambi gli errori mantiene salda la verità. Secondo l'errore dei sabelliani esiste una sola persona: il Padre è la stessa persona del Figlio; secondo l'errore degli ariani il Padre e il Figlio non sono la stessa persona, pero il Figlio non solo è un'altra persona ma anche un'altra natura. Tu che sei in mezzo, che dici? Hai superato la posizione sabelliana, supera anche quella ariana. Il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio: sono distinte le persone ma identica è la natura, perché Io e il Padre - dice il Signore -siamo una cosa sola (Jn 10,30), così come ieri ho cercato di spiegarvi. Sentendo siamo, si ritiri confuso il sabelliano; sentendo una cosa sola, si ritiri confuso l'ariano. Diriga il cattolico, fra l'uno e l'altro errore, la barca della sua fede evitando il naufragio nell'uno come nell'altro scoglio. Tu dunque sostieni ciò che afferma il Vangelo: Io e il Padre siamo una cosa sola: non dunque una natura diversa, perché una cosa sola; non una sola persona, perché siamo.

2. 7. Poco prima il Signore aveva detto: Il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato, come a dire: Il mio giudizio è vero, perché sono Figlio di Dio, perché dico la verità, perché sono la verità stessa. Quelli, intendendo le sue parole in senso carnale, chiedono: Dov'è tuo padre? (Jn 8,19). Ascolta bene, ariano, la risposta del Signore: Voi non conoscete né me né mio Padre; perché se voi conosceste me, conoscereste anche mio Padre. Che significa se conosceste me, conoscereste anche mio Padre, se non questo: Io e il Padre siamo una cosa sola? Quando vedi uno che somiglia ad un altro (intenda la vostra Carità: mi riferisco a cose di tutti i giorni e non dovrebbe riuscirvi difficile ciò che vi è familiare), quando dunque vedi uno che somiglia ad un altro, e tu conosci quello cui somiglia, meravigliato dici: come somiglia questa persona a quell'altra! Non diresti cosi, se non si trattasse di due persone distinte. Uno che non conosce quello cui tu dici che somiglia, chiede: è vero che gli somiglia? e tu rispondi: come, non lo conosci? E lui: no, non lo conosco. Allora tu, cercando di farglielo conoscere mediante quello che ha davanti agli occhi, gli dici: vedendo questo vedi quello. Dicendo così non hai voluto certo affermare che sono una medesima persona, negando che sono due. E' perché si assomigliano molto che hai potuto rispondere: conoscendo questo conosci anche quello; sono infatti così somiglianti che tra loro non c'è alcuna differenza. Così anche il Signore ha detto: Se conosceste me, conoscereste anche mio Padre, non perché il Padre sia il Figlio, ma perché il Figlio è simile al Padre. Si vergogni l'ariano. Ringrazi il Signore per non essere caduto nell'errore sabelliano e per non essere patripassiano: non sostiene che il Padre stesso rivestito di carne è venuto in mezzo agli uomini, che ha sofferto la passione, che è risuscitato e che è salito al cielo come presso se stesso; questo non lo dice; riconosce con me che il Padre è il Padre e che il Figlio è il Figlio. Pero, fratello mio, se ti sei salvato da questo naufragio, perché t'incammini verso l'altro? Il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio; perché dici che non è somigliante, che è diverso, che è altra sostanza? Se non fosse simile, come potrebbe dire ai suoi discepoli: chi ha visto me, ha visto il Padre? Come potrebbe dire ai Giudei: Se conosceste me, conoscereste anche mio Padre? Come potrebbe esser vero questo se non fosse vero anche quest'altro: Io e il Padre siamo una cosa sola?

(Non c'è fatalità nella vita del Signore.)

1. 8. Gesù pronunzio queste parole nel Tesoro, insegnando nel tempio (Jn 8,20), con grande coraggio, senza alcun timore; poiché se non avesse voluto non avrebbe patito, dato che non si sarebbe neppure incarnato, se non avesse voluto. Quale è infatti il seguito del Vangelo? E nessuno lo arresto, perché non era ancora giunta la sua ora. Taluni, al sentire questo, credono che Cristo Signore fosse soggetto al fato, e dicono: ecco qui la prova. Oh, se il tuo cuore non fosse fatuo, non crederesti al fato! Se è vero che la parola fato viene dal latino "fando", che vuol dire parlando, come può essere soggetto al fato il Verbo di Dio nel quale sono tutte le cose che furono create? Dio non creo nulla che già non conoscesse: era nel suo Verbo tutto ciò che è stato creato. Il mondo è stato creato: è stato creato, ma già in lui esisteva. Come ha potuto essere creato se già in lui esisteva? Allo stesso modo che il costruttore edifica una casa che già prima esisteva come progetto nella sua mente; e li, anzi, esisteva nel modo migliore, senza deterioramenti, senza crolli. Il costruttore per realizzare il suo progetto fabbrica la casa, e la casa che fabbrica proviene da quella che egli ha nella mente; anche se la casa crolla, il progetto rimane in piedi. Così presso il Verbo di Dio erano tutte le cose che sono state create poiché Dio tutte le ha fatte con sapienza e tutte gli erano note (Ps 103,24): non le conobbe facendole, ma le fece perché le conosceva. A noi sono note perché sono state fatte; ma non sarebbero state fatte se a lui non fossero già note. Prima d'ogni cosa, dunque, c'era il Verbo. E prima del Verbo che cosa c'era? Assolutamente nulla. Se ci fosse stato qualcosa prima, non si potrebbe dire: In principio era il Verbo (Jn 1,1); si dovrebbe dire: In principio fu creato il Verbo. Infatti cosa dice Mosè del mondo? In principio Dio creo il cielo e la terra (Gn 1,1); creo ciò che non era: se creo ciò che non era, prima che cosa c'era? In principio era il Verbo. E come hanno avuto origine il cielo e la terra? Tutto è stato fatto per mezzo di lui (Jn 1,3). Tu dunque sottometti Cristo al fato. Ma dove si trova il fato? Nel cielo, tu dici, nell'ordine e nella rotazione delle stelle. Come può essere soggetto al fato colui per mezzo del quale sono stati creati il cielo e le stelle, dal momento che la tua volontà, se sei saggio, trascende anche le stelle? E forse perché sai che la carne di Cristo è stata sotto il cielo, tu credi che anche il suo potere sia soggetto al cielo?

2. 9. Ascolta, o stolto: Non era ancora giunta la sua ora (Jn 8,20), significa non l'ora nella quale sarebbe stato costretto a morire, ma l'ora nella quale avrebbe accettato di farsi uccidere. Egli sapeva quando sarebbe dovuto morire; aveva presente tutto ciò che era stato predetto di lui e ne attendeva il compimento prima che iniziasse la sua passione; di modo che quando tutto si fosse compiuto, solo allora sarebbe cominciata la sua passione, secondo un piano prestabilito e non per fatale necessità. Per rendervene conto, ascoltate ancora: tra le altre cose che di lui furono predette, sta anche scritto: Mi presentarono del fiele, e nella mia sete mi fecero bere dell'aceto (Ps 68,28). Dal Vangelo sappiamo come si realizzo questa profezia. Prima gli dettero del fiele: egli lo prese, lo assaggio e non volle berlo. Poi, mentre pendeva dalla croce, affinché si compissero tutte le cose predette, disse: Ho sete (Jn 19,28). Presero allora una spugna imbevuta di aceto, la legarono ad una canna e gliel'accostarono alle labbra. Ne prese e disse: E' compiuto. Che significa E' compiuto? Significa: Si è compiuto tutto ciò che è stato vaticinato prima della mia passione: cosa faccio ancora qui? E subito, dopo aver detto: E' compiuto, chinato il capo, rese lo spirito (Jn 19,30). Forse che quei briganti, crocifissi con lui, spirarono quando vollero? Erano trattenuti dai vincoli della carne, perché non erano creatori della carne: inchiodati, i loro tormenti si prolungavano, perché non erano in grado di dominare la loro debolezza. Il Signore, invece, quando volle prese carne nel grembo della Vergine; quando volle si presento agli uomini; visse tra gli uomini finché volle; quando volle abbandono la carne. Tutto questo è frutto di potenza, non di necessità. Egli aspettava quest'ora, non come un'ora fatale, ma un'ora disposta dalla sua volontà, in modo che si compisse tutto ciò che doveva compiersi prima della sua passione. Come poteva essere soggetto al fato colui che, in altra occasione, aveva detto: Ho il potere di dare la mia vita e ho il potere di riprenderla di nuovo; nessuno me la può togliere ma da me stesso la do, e di nuovo la riprendo (Jn 10,18)? E mostro questo potere quando i Giudei lo cercavano per arrestarlo. Chi cercate? disse. E quelli: Gesù. E lui: Sono io. Udita questa voce, indietreggiarono e caddero in terra (Jn 18,4-6).

(Tratteneva la potenza, per insegnare la pazienza.)

10. Si obietterà: Se c'era in lui questo potere, perché quando egli pendeva dalla croce e i Giudei lo insultavano dicendo: Se è Figlio di Dio, scenda dalla croce (Mt 27,40), perché non scese dimostrando così la sua potenza? Perché voleva insegnare la pazienza, e per questo rinviava la dimostrazione di potenza. Se infatti fosse disceso cedendo alle loro pressioni, si sarebbe potuto pensare che fosse stato sopraffatto dal dolore degli oltraggi. perciò non scese, rimase inchiodato, per andarsene quando volle. Era forse difficile scendere dalla croce per lui che poté risorgere dal sepolcro? Cerchiamo dunque di capire noi, per i quali si è compiuto questo disegno, che il potere di nostro Signore Gesù Cristo, allora occulto, si manifesterà nel giudizio, del quale è detto: Dio verrà in maniera palese, il nostro Dio verrà e non tacerà (Ps 49,3). Cosa significa verrà in maniera palese? Che il nostro Dio, cioè il Cristo, come è venuto prima in maniera occulta, verrà poi in maniera palese. E non tacerà. Che significa non tacerà? Che prima ha taciuto. Quando ha taciuto? Quando è stato giudicato; affinché si compisse ciò che il profeta aveva predetto: Come pecora condotta al macello, e come agnello muto davanti al tosatore, non ha aperto bocca (Is 53,7). Se non avesse voluto non avrebbe patito; se non avesse patito, il suo sangue non sarebbe stato versato; e se il suo sangue non fosse stato versato il mondo non sarebbe stato redento. Rendiamo dunque grazie tanto alla potenza della sua divinità che alla misericordia della sua debolezza. Grazie all'occulta potenza ignota ai Giudei, egli poté dire loro: Voi non conoscete né me né mio Padre; mentre è la debolezza della carne da lui assunta, che i Giudei conoscevano assieme al suo luogo d'origine, che in altra occasione gli ha fatto dire: Voi mi conoscete e sapete anche di dove sono (Jn 7,28). Nel Cristo teniamo sempre presente l'una e l'altra origine: quella per cui egli è uguale al Padre e quella per cui il Padre è più grande di lui; quella per cui egli è il Verbo e quella per cui è carne, quella per cui è Dio e quella per cui è uomo; ma uno è Cristo, Dio e uomo.


Agostino - Commento Gv 36