Agostino - Commento Gv 14

14

OMELIA 14

(Jn 3,29-36)

Jn 3,29-36


Lui deve crescere, io diminuire.

Cristo è nato quando cominciava ad allungarsi il giorno, Giovanni è nato quando il giorno cominciava a raccorciarsi. La creazione stessa ha confermato la testimonianza di Giovanni. Cresca in noi la gloria di Dio e diminuisca la nostra gloria, affinché in Dio cresca anche la nostra gloria.

1. La lettura di questo passo del santo Vangelo fa risaltare la grandezza divina di nostro Signore Gesù Cristo e l'umiltà dell'uomo che merito di esser chiamato amico dello sposo, insegnandoci a misurare la differenza che c'è tra un uomo che è soltanto uomo, e un uomo che è Dio. Infatti, l'uomo-Dio nostro Signore Gesù Cristo, è Dio prima di tutti i secoli, ed è uomo nel nostro secolo; Dio da parte del Padre, uomo da parte della Vergine: tuttavia un solo e medesimo Signore e Salvatore Gesù Cristo, Figlio di Dio, Dio e uomo. Giovanni, invece, uomo dotato di grazia singolare, fu inviato avanti a lui, e fu illuminato da colui che è la luce. Di Giovanni, infatti, è detto: Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (Jn 1,8). Anch'egli può esser chiamato luce, e giustamente, ma non in quanto illumina, bensi in quanto è illuminato. Una cosa infatti è la luce che illumina, un'altra è la luce che è illuminata: anche i nostri occhi si chiamano luci, e purtuttavia, benché aperti, al buio non vedono. La luce che illumina, invece, è luce per se stessa, è luce a se stessa, e non ha bisogno d'altra luce per risplendere, ma di essa hanno bisogno le altre, per illuminare.

(Chi vuol godere di sé, sarà sempre triste.)

2. 2. Avete sentito dunque la confessione di Giovanni, quando si recarono da lui per provocarne la gelosia nei confronti di Gesù, attorno al quale si raccoglievano numerosi i discepoli. Gli dissero, come se fosse un invidioso: Ecco, lui fa più discepoli di te. Ma Giovanni riconobbe ciò che egli era, e per questo merito di appartenere a Cristo, perché non oso dire che lui era il Cristo. Giovanni disse precisamente cosi: Nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo. Dunque è Cristo che dà, e l'uomo riceve. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: non sono io il Cristo, ma sono stato mandato innanzi a lui. E' lo sposo che ha la sposa; ma l'amico dello sposo, che gli sta accanto e lo ascolta, è felice alla voce dello sposo (Jn 3,27-29). Non cerco in sé la sua gioia. Chi vuol trovare in sé la propria gioia, sarà sempre triste; chi invece cerca la propria gioia in Dio, sarà sempre contento, perché Dio è eterno. Vuoi essere sempre contento? aderisci a colui che è eterno. Tale dichiarazione fece di sé Giovanni. L'amico dello sposo - disse - è felice alla voce dello sposo, non alla sua; sta in piedi accanto a lui e lo ascolta. Se cade, è perché non lo ascolta: di colui che cadde, del diavolo, è detto: non rimase nella verità (Jn 8,44). L'amico dello sposo, quindi, deve stare li in piedi e ascoltare. Che significa stare in piedi? Significa permanere nella grazia ricevuta dal Signore. E ascolta la voce di lui, che lo rende felice. Così era Giovanni: conosceva la fonte della sua felicità, non pretendeva di essere ciò che non era; sapeva di essere un illuminato, non colui che illumina. L'evangelista dice del Signore: Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Jn 1,9). Ogni uomo, quindi anche Giovanni, perché anch'egli è un uomo. Anche se fra i nati di donna nessuno è più grande di Giovanni (Mt 11,11), tuttavia anche lui è un nato di donna. Si può forse paragonare a colui che nacque perché volle, con una natività quindi unica e singolare, come unico e singolare era colui che nasceva? Ambedue le nascite del Signore, infatti, sono fuori del corso normale della

natura, tanto la divina come l'umana: la divina senza madre, l'umana senza padre. Giovanni quindi era uno dei tanti, ma dotato di grazia superiore, così che tra i nati di donna non sorse uno più grande di lui. Egli rese a nostro Signore Gesù Cristo una singolare testimonianza, chiamando Cristo lo sposo, e se stesso amico dello sposo, indegno pero di sciogliere a lui i legacci dei calzari. A questo proposito la vostra Carità ha già sentito molte cose. Vediamo ora il seguito, che presenta notevoli difficoltà. Ma, poiché lo stesso Giovanni ci ricorda che nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo, tutto ciò che non comprendiamo, chiediamolo a colui che dal cielo elargisce i suoi doni: siamo uomini, e non possiamo arrogarci alcunché, se non ci viene dato da colui che non è soltanto uomo.

1. 3. Segue l'affermazione di Giovanni: Questa, dunque, è la mia gioia, ed è giunta al colmo (Jn 3,29). In che cosa consiste la sua gioia? Nell'ascoltare la voce dello sposo. La mia gioia è al colmo, ho la mia grazia, non ne voglio di più, per non perdere anche quella che ho ricevuto. In che cosa consiste questa gioia? Sono felice alla voce dello sposo. Comprenda, dunque, l'uomo che non deve godere della sua sapienza, ma della sapienza che ha ricevuto da Dio. Non cerchi niente di più, e non perderà ciò che ha ricevuto. Molti infatti divennero stolti, perché affermarono di essere sapienti. L'Apostolo li rimprovera quando dice: Perché ciò che di Dio si può conoscere è palese ad essi, avendoglielo Iddio stesso manifestato. Ascoltate cosa dice a proposito di certuni, ingrati ed empi: ... Iddio lo ha loro manifestato. Si, gli attributi invisibili di lui, l'eterna sua potenza e la sua divinità, fin dalla creazione del mondo si possono intuire con la mente, attraverso le sue opere, sicché sono senza scusa. Perché sono senza scusa? Perché, pur avendo conosciuto Iddio... - non dice, perché non hanno conosciuto Iddio - pur avendo conosciuto Iddio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore insensato s'offusco. Essi, che pretendevano d'esser sapienti, diventarono stolti (Rm 1,19-22). Avendo infatti conosciuto Iddio, avrebbero dovuto altresi riconoscere che soltanto Dio li aveva resi sapienti. Non avrebbero dovuto, quindi, attribuire a se stessi ciò che da se stessi non avevano, ma a colui dal quale tutto avevano ricevuto. E cosi, non avendogli reso grazie, diventarono stolti. Agli ingrati Dio tolse ciò che aveva dato loro gratuitamente. Ma Giovanni non volle essere uno di questi. Egli si mostro grato a Dio: riconobbe di aver ricevuto e dichiaro di essere felice alla voce dello sposo, dicendo: Questa è la mia gioia, ed è giunta al colmo.

2. 4. Lui deve crescere, io diminuire (Jn 3,30). Che vuol dire? Lui deve essere esaltato ed io umiliato. Come può crescere Gesù? Come può crescere Dio? Chi è perfetto non cresce. Dio né cresce né diminuisce. Se potesse crescere, non sarebbe perfetto; se potesse diminuire, non sarebbe Dio. Come può crescere Gesù che è Dio? Se ci si riferisce all'età, poiché egli si è degnato di farsi uomo, è stato anche bambino; e, benché Verbo di Dio, giacque infante nel presepio, e, benché fosse il creatore di sua madre, nell'infanzia succhio il latte materno. Siccome dunque Gesù crebbe in età secondo la carne, forse per questo è stato detto: Lui deve crescere, io diminuire. Ma c'è un altro fatto: Giovanni e Gesù, per quanto riguarda la nascita corporale, erano coetanei; c'era tra loro soltanto la differenza di sei mesi (Lc 1,36), ed erano cresciuti insieme. E se nostro Signore Gesù Cristo avesse voluto rimanere più a lungo qui in terra e tenere con sé Giovanni, come erano cresciuti insieme così insieme sarebbero potuti invecchiare. Perché, allora Lui deve crescere, io diminuire? Anzitutto, dato che il Signore aveva già trent'anni (Lc 3,23), forse che un giovane di trent'anni può ancora crescere? A questa età un uomo comincia a declinare, passando alla maturità e poi alla vecchiaia. Ma ancorché fossero stati fanciulli tutti e due, Giovanni non avrebbe detto: Lui deve crescere, io diminuire; avrebbe detto: dobbiamo crescere insieme. Ma entrambi avevano già trent'anni: sei mesi di differenza non sono granché: è una differenza che non si nota, ma che risulta soltanto dalla lettura del Vangelo.

(Lascia crescere Dio in te.)

1. 5. Che significa dunque Lui deve crescere, io diminuire? C'è qui un grande mistero. La vostra Carità cerchi di comprendere. Prima della venuta del Signore Gesù, l'uomo riponeva in se stesso la sua gloria. E' venuto questo uomo per abbassare la gloria dell'uomo, e far crescere la gloria di Dio. Egli infatti è venuto senza peccato e ha trovato tutti col peccato. Ora, se egli è venuto per rimettere i peccati, Dio sarà generoso, ma l'uomo dovrà confessare i suoi peccati. Nella confessione l'uomo esprime la sua umiltà, nella misericordia Dio manifesta la sua grandezza. Se dunque egli è venuto per rimettere i peccati dell'uomo, riconosca, l'uomo, la sua umile condizione, affinché Dio faccia risplendere la sua misericordia. Egli deve crescere, io diminuire. Cioè, egli deve dare, io ricevere; egli deve essere glorificato, io devo confessarlo. Riconosca l'uomo la sua posizione, la confessi a Dio, e ascolti l'Apostolo che dice all'uomo superbo e pieno di sé, che cerca di mettersi al di sopra degli altri: Che cosa hai tu che non l'abbia ricevuto? e se appunto l'hai ricevuto, perché te ne glori, come se non l'avessi ricevuto (1Co 4,7)? Riconosca dunque l'uomo, che voleva attribuire a sé ciò che non era suo, riconosca che quanto ha lo ha ricevuto, e si umili; è bene per lui che in lui Dio sia glorificato. Diminuisca in se stesso, per poter crescere in Dio. Anche nella loro rispettiva passione, Cristo e Giovanni hanno confermato questa testimonianza e questa verità: Giovanni infatti fu decapitato, mentre Cristo fu innalzato sulla croce; sicché anche li apparve la verità delle parole: Lui deve crescere, io diminuire. Inoltre, Cristo nacque quando i giorni cominciano a crescere, Giovanni nacque quando i giorni cominciano a decrescere. La natura stessa e le rispettive "passioni" confermano le parole di Giovanni: Lui deve crescere, io diminuire. Cresca dunque in noi la gloria di Dio, e diminuisca la nostra gloria, così che anch'essa cresca in Dio. E' quanto afferma l'Apostolo, è quanto afferma la Sacra Scrittura: Chi si gloria, si glori nel Signore (1Co 1,31 Ier 1Co 9,23-24). Vuoi gloriarti in te stesso? Vuoi crescere, ma cresci male, a tuo danno. Ora, crescere male è un menomarsi. Sia dunque Dio a crescere in te, Dio che è sempre perfetto. Quanto più conosci Dio, e quanto più lo accogli in te, tanto più apparirà che Dio cresce in te; in sé pero non diminuisce, essendo sempre perfetto. Ieri lo conoscevi un poco, oggi lo conosci un poco di più, domani lo conoscerai ancora meglio: è la luce stessa di Dio che cresce in te, così che in qualche modo Dio cresce in te, lui che rimane sempre perfetto. E' come se uno, avendo iniziata la cura per guarire gli occhi da una vecchia cecità, cominciasse a vedere un pochino di luce, e il giorno appresso un po' di più, e il terzo giorno un po' di più ancora: egli avrà l'impressione che la luce cresca, mentre la luce è perfetta, sia che egli veda, sia che non veda. Così è dell'uomo interiore, il quale progredisce in Dio, e gli sembra che Dio cresca in lui; in verità egli diminuisce, decadendo dalla sua gloria per elevarsi alla gloria di Dio.

2. 6. Ciò che abbiamo udito appare ormai in maniera chiara e precisa. Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti. Ecco cosa dice Giovanni di Cristo. E di sé che cosa dice? Chi è dalla terra è terrestre, e terrestre è il suo linguaggio. Chi viene dal cielo, è al di sopra di tutti (Jn 3,31): questi è Cristo. Chi - invece -viene dalla terra è terrestre, e terrestre è il suo linguaggio: questi è Giovanni. Ma è tutto qui: Giovanni è dalla terra e terrestre è il suo linguaggio? Tutta la testimonianza che egli rende al Cristo è un linguaggio terrestre? Giovanni non ha udito, forse, voci divine, quando rese testimonianza a Cristo? come può dunque essere terrestre il suo linguaggio? E' che Giovanni parla di sé in quanto uomo. L'uomo, in quanto tale, è dalla terra e terrestre è il suo linguaggio; e se poi dice qualcosa di divino, vuol dire che è stato illuminato da Dio. Se non fosse stato illuminato, in quanto terrestre parlerebbe un linguaggio solo terrestre. Una cosa, dunque, è la grazia di Dio, un'altra cosa la natura dell'uomo. Esamina la natura dell'uomo: nasce, cresce e impara a comportarsi da uomo. Che cosa può apprendere dalla terra se non cio che è terrestre? Umano è il suo linguaggio, umana la sua conoscenza, umana la sua sapienza; carnale com'è, giudica secondo la carne, pensa secondo la carne: ecco tutto l'uomo.

Viene la grazia di Dio e rischiara le sue tenebre, come dice il salmo: Tu, o Signore, farai risplendere la mia lucerna; mio Dio, rischiara le mie tenebre (Ps 17,29). Assume, la grazia, questa mente umana e la converte nella sua luce; uno, allora, comincia a dire ciò che dice l'Apostolo: Non io pero, bensi la grazia di Dio con me (1Co 15,10); e: ormai non vivo più io, ma è Cristo che vive in me (Ga 2,20). Che è quanto dire: Lui deve crescere, io diminuire. Giovanni quindi, per quel che è proprio di Giovanni, viene dalla terra e terrestre è il suo linguaggio. Se qualcosa di divino hai ascoltato da Giovanni, proviene da chi illumina, non da chi riceve luce.

(Dilata il tuo cuore.)

7. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta, e nessuno accetta la sua testimonianza (Jn 3,31-32). Chi viene dal cielo ed è al di sopra di tutti, è il Signore nostro Gesù Cristo, del quale prima è stato detto: Nessuno ascese in cielo, se non colui che dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Jn 3,13). Egli è al di sopra di tutti, e ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta. Anche il Figlio di Dio, infatti, ha un Padre: ha un Padre, e ascolta dal Padre. E che cosa ascolta dal Padre? Chi può spiegarcelo? Come può la mia lingua, come può il mio cuore esser capace, il cuore intendere e la lingua esprimere, ciò che il Figlio ascolta dal Padre? Forse il Figlio ha udito il Verbo del Padre? Ma il Figlio è il Verbo stesso del Padre. Vedete come si esaurisce qui ogni sforzo umano, come vien meno ogni ricerca del nostro cuore, e tutta la concentrazione della nostra mente caliginosa. Sento la Scrittura affermare che il Figlio attesta ciò che ha udito dal Padre (Jn 3,32 Jn 8,26); e sento ancora la Scrittura affermare che lo stesso Figlio è il Verbo del Padre: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Jn 1,1). Le parole che noi pronunciamo volano via. Hai appena pronunciato una parola, che già è passata: produce un suono e subito cade nel silenzio. Puoi forse correre dietro al suono e fermarlo? Il tuo pensiero invece rimane, e dal pensiero che rimane, trai le molte parole che dici e passano. Che cosa voglio dire con questo, o fratelli? che Dio, parla adoperando voce, suoni, sillabe? Se si serve di tutto questo, in che lingua parla? in ebraico? in greco? in latino? Le diverse lingue sono necessarie là dove ci sono popoli diversi. Ma qui non si può dire che Dio si esprima in questa o in quella lingua. Rivolgi l'attenzione al tuo cuore. Quando concepisci la parola che intendi pronunciare (parlo come posso di ciò che osserviamo in noi, non come riusciamo a comprenderlo), quando dunque concepisci la parola che intendi pronunciare, vuoi esprimere una cosa, e la concezione stessa della cosa nel tuo cuore è già parola: non è ancora venuta fuori, ma è già nata nel tuo cuore e sta per uscire. Tu, pero, tieni conto della persona alla quale ti rivolgi, della persona con la quale stai parlando: se è un latino, cerchi un'espressione latina; se è un greco, parole greche; se è un punico, ti domandi se conosci la lingua punica. A seconda di chi ti ascolta, usi una lingua o un'altra per proferire la parola concepita; ciò che hai concepito nel cuore, pero, non è legato a nessuna lingua. Ora, poiché Dio, quando parla, non si serve di nessuna lingua e non ricorre ad alcuna determinata espressione, come ha potuto farsi ascoltare dal Figlio, dal momento che Dio ha "detto" il suo medesimo Figlio? Ascolta. La parola che tu stai per pronunciare è presso di te, è nel tuo cuore dove spiritualmente l'hai concepita. La tua anima è spirito, e quindi anche la parola che tu hai concepito è spirituale: non ha ancora acquistato un suono da poterla dividere in sillabe, ma rimane come è stata concepita nel cuore e nello specchio della mente. E' così che Dio ha concepito il suo Verbo, cioè ha generato suo Figlio. Con questa differenza, che tu, quando concepisci una parola nel tuo cuore sei legato al tempo che passa, mentre Dio ha generato fuori del tempo il Figlio per mezzo del quale creo tutti i tempi. Ora siccome il Figlio è il Verbo di Dio, e il Figlio ci ha parlato; essendo egli il Verbo del Padre, è venuto a dirci, non la sua parola, ma la Parola del Padre. Certo, Giovanni ha detto questo in modo degno e adeguato, e noi lo abbiamo spiegato come abbiamo potuto. Chi non è riuscito a formarsi nella sua mente un'idea adeguata di una cosa tanto sublime, sa a chi rivolgersi; sa dove bussare, presso chi cercare, a chi domandare e da chi ricevere.

8. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta, e nessuno accetta la sua testimonianza. Se proprio nessuno accetta la sua testimonianza, a che scopo è venuto? "Nessuno" va inteso, non in senso assoluto, ma in senso relativo. C'è un popolo destinato all'ira di Dio, che sarà dannato insieme al diavolo: di questo popolo nessuno accoglie la testimonianza di Cristo. Se "nessuno" si dovesse intendere in senso assoluto, vorrebbe dire che nessun uomo accetta la sua testimonianza; il che viene smentito da quanto segue: Chi accetta la sua testimonianza, conferma che Dio è veritiero (Jn 3,33). Ora, se tu stesso affermi che chi accetta la sua testimonianza, conferma che Dio è veritiero, è certo che "nessuno" non si deve intendere in senso assoluto. Se interrogassimo Giovanni, egli ci risponderebbe che non a caso ha detto "nessuno". Esiste infatti un popolo nato all'ira di Dio e a ciò preconosciuto. Dio conosce quelli che crederanno e quelli che non crederanno; conosce chi sarà perseverante nella fede e chi verrà meno; già sono contati da Dio quelli che giungeranno alla vita eterna; Dio conosce già quel popolo che ha distinto dal resto degli uomini. Dio, che sa tutto questo, ha fatto conoscere per mezzo del suo Spirito ai profeti, e lo ha fatto conoscere anche a Giovanni. Giovanni dunque scrutava, ma non con il suo occhio. In se stesso infatti egli era terrestre, e terrestre era il suo linguaggio. Ma in virtù della grazia dello Spirito, che aveva ricevuto da Dio, vide un popolo empio e infedele; e, considerandolo nella sua infedeltà, disse: Nessuno accetta la testimonianza di colui che è venuto dal cielo. Nessuno fra chi? Nessuno fra coloro che staranno alla sinistra, ai quali sarà detto: Andate nel fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli. E invece quelli che accettano la sua testimonianza? Sono coloro che saranno alla destra, ai quali sarà detto: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno che è stato preparato per voi fin dall'origine del mondo (Mt 25,41 Mt 34). Dunque, Giovanni in spirito vide separati quei due popoli che sulla terra sono mescolati; egli separo, in forza del carisma profetico, separo nella sua visione ciò che ancora non è separato; vide due popoli: il popolo dei fedeli e il popolo degli infedeli. Considero gli infedeli e disse: Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta, e nessuno accetta la sua testimonianza. Poi, spostandosi da sinistra e volgendo lo sguardo a destra, continuo e disse: Chi accetta la sua testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Che vuol dire conferma che Dio è veritiero? Vuol dire che l'uomo è menzognero, e Dio è veritiero. Nessun uomo infatti può dire la verità, se non è illuminato da colui che non può mentire. Dio è veritiero, e Cristo è Dio. Ne vuoi la prova? Accetta la sua testimonianza, e ti convincerai che chi accetta la sua testimonianza conferma che Dio è veritiero. Quello stesso, cioè, che è venuto dal cielo ed è al di sopra di tutti, questi è Dio veritiero. Ma se ancora non hai compreso che egli è Dio, vuol dire che ancora non hai accettato la sua testimonianza; accettala, e apponi la tua firma: impegnando la tua fiducia, giungerai a convincerti che Dio è veritiero.

(La Trinità è fonte di pace e di unità.)

2. 9. Colui infatti che Dio ha mandato, parla il linguaggio di Dio (Jn 3,34). Egli è vero Dio, e Dio lo ha mandato: Dio ha mandato Dio. Uniscili insieme, e avrai un solo Dio: il vero Dio mandato da Dio. Domanda chi è ciascuno di essi: Dio; domanda chi sono tutti e due insieme: Dio. Non che ciascuno sia Dio e insieme presi siano due dèi, ma ogni singola persona è Dio, e tutti e due insieme Dio. E' tale infatti la pienezza della carità dello Spirito Santo nella Trinità, e così grande è la pace dell'unità, che se mi chiederete chi è ciascuno, vi rispondero: Dio; e se mi domanderete che è la Trinità, vi rispondero: Dio. Se infatti lo spirito dell'uomo, quando si unisce intimamente a Dio, forma con lui un solo spirito, secondo l'esplicita affermazione dell'Apostolo: Chi si unisce al Signore, è un solo spirito con lui (1Co 6,17), quanto più il Figlio, eguale al Padre e a lui intimamente unito, è insieme con lui un solo Dio? Ascoltate un'altra testimonianza. Voi sapete che la moltitudine dei credenti vendevano quanto possedevano e ne deponevano il ricavato ai piedi degli Apostoli, affinché fosse distribuito a ciascuno secondo il bisogno. Ebbene, che cosa dice la Scrittura di quella comunità di cristiani? Dice che avevano un'anima sola ed un cuore solo nel Signore (Ac 4,32). Se dunque la carità fece di tante anime un'anima sola e di tanti cuori un cuore solo, quanto potente sarà la carità che unisce il Padre e il Figlio? Certamente più potente di quella che esisteva tra quelle persone che avevano un cuore solo. E se in virtù della carità il cuore di molti fratelli è diventato uno e una è diventata la loro anima, oserai dire che Dio Padre e Dio Figlio sono due? Se fossero due dèi, vorrebbe dire che la carità fra loro è imperfetta. Se infatti qui tra noi la carità è capace di far si che la tua anima e quella del tuo amico siano un'anima sola, come è possibile che nella Trinità il Padre e il Figlio non siano un Dio solo? Una fede autentica non potrà mai pensarlo. Quanto poi quella carità sia elevata, potete capirlo da questo: molte sono le anime di molti uomini, ma se questi si amano, formano un'anima sola. Con tutto ciò le loro anime rimangono molte, perché la loro unione è sempre imperfetta; mentre nella Trinità non potrai mai parlare di due o tre dèi, ma sempre di un solo Dio. Qui hai l'esempio di una carità così elevata e così perfetta, che non può essercene una maggiore.

1. 10. Colui infatti che Dio ha mandato, parla il linguaggio di Dio (Jn 3,34). Giovanni diceva questo di Cristo, certamente per distinguersi da lui. Ma, forse che anche Giovanni non fu mandato da Dio? Non ci aveva detto egli stesso: Sono stato mandato innanzi a lui (Jn 3,28), e ancora: ... Chi mi ha mandato a battezzare nell'acqua... (Jn 1,33)? E di Giovanni non fu detto: Ecco, io mando il mio angelo innanzi a te, e ti preparerà la via (Ml 3,1 Mt 11-10)? Non parla forse il linguaggio di Dio, egli del quale fu detto che era più che un profeta (Mt 11,9)? Ma se anch'egli fu mandato da Dio e anch'egli parla il linguaggio di Dio, come dobbiamo intendere questa distinzione che egli pone tra se stesso e Cristo, quando dice di lui: Colui che Dio ha mandato parla il linguaggio di Dio? Ma guarda che cosa aggiunge: perché Dio concede lo Spirito senza misura (Jn 3,34). Che cosa vuol dire: Dio concede lo Spirito senza misura? Sappiamo che agli uomini Dio concede lo Spirito con misura. Ascolta l'Apostolo che dice: secondo la misura del dono di Cristo (Ep 4,7). Cioè, agli uomini Dio concede lo Spirito con misura, al suo unigenito Figlio senza misura. In che senso Dio concede agli uomini lo Spirito con misura? A uno infatti per mezzo dello Spirito è concesso il discorso di sapienza; a un altro il discorso di conoscenza secondo il medesimo Spirito; a un altro la fede, nel medesimo Spirito; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro generi di lingue; a un altro i carismi di guarigione. Son forse tutti apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti maestri? Forse tutti fanno dei miracoli? Forse tutti hanno carismi di guarigione? Forse tutti parlano in lingue? Forse tutti le interpretano? (1Co 12,8-10 1Co 12,29-30). Uno dunque ha questo, un altro ha quello; e ciò che ha uno, non ha l'altro. C'è una misura, esiste una certa divisione di doni. Agli uomini, dunque, i doni vengono concessi con misura, e la concordia fa di loro un solo corpo. Come la mano ha la facoltà di agire, l'occhio di vedere, l'orecchio di udire, il piede di camminare; e tuttavia è una sola l'anima che muove tutto, la mano perché agisca, il piede perché cammini, l'orecchio perché oda, l'occhio perché veda; cosi, diversi sono anche i doni che hanno i fedeli, distribuiti come a membra del corpo secondo la misura che a ciascuno è propria. Ma Cristo che dona lo Spirito, lui lo riceve senza misura.

(Inviando il Figlio, il Padre ha inviato un altro se stesso.)

2. 11. Ascoltate Giovanni che prosegue, riferendosi al Figlio: Dio infatti concede lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato tutto in mano (Jn 3,34-35). Ha aggiunto: Gli ha dato tutto in mano, affinché anche qui tu abbia a notare la distinzione che viene indicata dall'affermazione: Il Padre ama il Figlio. Infatti, il Padre non ama anche Giovanni? E tuttavia, non gli ha dato tutto in mano. Il Padre non ama Paolo? e tuttavia, non gli ha dato tutto in mano. Il Padre ama il Figlio, ma lo ama come Padre il Figlio, non come padrone il servo; lo ama come Figlio unigenito, non come figlio adottivo. Per questo gli ha dato tutto in mano. Cosa vuol dire tutto? Vuol dire che il Figlio è potente quanto il Padre: il Padre infatti genero uguale a sé colui per il quale non sarebbe stata una preda l'essere, nella forma di Dio, alla pari con Dio (cf. Ph 2,6). Il Padre ama il Figlio e gli ha dato tutto in mano. Essendosi dunque degnato di mandarci il Figlio, non pensiamo che ci sia stato mandato uno inferiore al Padre; mandando il Figlio, il Padre ci ha mandato un altro se stesso.

1. 12. Così i discepoli, quando ancora credevano il Padre più grande del Figlio, di cui vedevano la carne senza riuscire a intendere la divinità, gli dissero: Signore, mostraci il Padre, e ci basta (Jn 14,8). Come a dire: Te ormai ti conosciamo, e ti benediciamo per averci consentito di conoscerti, ti rendiamo grazie perché ti sei manifestato a noi. Ma il Padre non lo conosciamo ancora; perciò il nostro cuore arde ed è preso come da una santa brama di vedere tuo Padre che ti ha mandato; mostracelo, e nient'altro ti chiederemo, perché ci basta vedere colui del quale nessuno può essere più grande. Desiderio nobile e anelito sincero, ma scarsa intelligenza. Notando infatti, il medesimo Signore Gesù, come cercassero cose grandi mentre erano piccoli, e considerando se stesso grande fra i piccoli e insieme piccolo fra i piccoli, rispose a Filippo, uno dei suoi discepoli che aveva espresso quel desiderio: Da tanto tempo sono con voi, e non mi hai conosciuto, Filippo? Filippo, a sua volta, avrebbe potuto rispondergli: Te ormai ti conosciamo; ti abbiamo forse chiesto di mostrare te a noi? Abbiamo conosciuto te, ora cerchiamo il Padre. Gesù immediatamente soggiunse: Chi ha veduto me, ha veduto il Padre (Jn 14,9). Ora, se colui che fu mandato è uguale al Padre, non giudichiamolo dalla debolezza della carne, ma consideriamo che la maestà si è rivestita di carne, senza soccombere al peso della carne. Infatti, dimorando come Dio presso il Padre, si è fatto uomo tra gli uomini affinché tu diventassi capace di accogliere Dio per mezzo di lui che si è fatto uomo. L'uomo infatti poteva vedere l'uomo, ma non era in grado di accogliere Dio. E perché l'uomo non era in grado di accogliere Dio? Perché non possedeva la capacità di vederlo con gli occhi del cuore. L'uomo aveva qualcosa dentro che era malato, e qualcosa fuori che era sano: gli occhi del corpo erano sani, mentre gli occhi del cuore erano malati. Il Figlio si è fatto uomo per essere visibile agli occhi del corpo affinché tu, credendo in colui che fu possibile vedere corporalmente, fossi guarito per poter vedere chi non eri in grado di vedere spiritualmente. Da tanto tempo sono con voi, e non mi avete conosciuto, Filippo? Chi ha veduto me, ha veduto il Padre. Perché i discepoli non lo vedevano? Ecco, vedevano Gesù, ma non vedevano il Padre; vedevano la sua carne, ma la sua maestà rimaneva loro nascosta. Ciò che vedevano i discepoli, che lo amavano, lo videro anche i Giudei, che lo crocifissero. L'essere suo totale era dentro, e così misteriosamente dentro nella carne che egli continuava a dimorare presso il Padre: perché non lascio il Padre quando venne nella carne.

2. 13. Chi ragiona ancora secondo la carne, non può comprendere ciò che dico. In attesa di poter comprendere, cominci a credere, ascoltando quanto segue: Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi si rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma la collera di Dio rimane su di lui (Jn 3,36). Non dice: l'ira di Dio viene su di lui, ma l'ira di Dio rimane su di lui. Quanti nascono mortali portano con sé l'ira di Dio. Quale ira di Dio? Quella che colpi il primo Adamo. Allorché il primo uomo pecco e si senti dire: Sarai colpito dalla morte (Gn 2,17), divento mortale, e noi pure si comincio a nascere mortali sotto il peso dell'ira di Dio. E' venuto poi il Figlio senza peccato, e si è rivestito di carne, si è rivestito di mortalità. Se egli ha voluto partecipare con noi dell'ira di Dio, esiteremo noi a partecipare con lui della grazia di Dio? Ecco perché su colui che non crede nel Figlio rimane l'ira di Dio. Quale ira di Dio? Quella di cui parla l'Apostolo: Eravamo anche noi, per natura, figli dell'ira come gli altri (Ep 2,3). Tutti figli dell'ira, perché discendiamo dalla maledizione della morte. Credi in Cristo, che per te si è fatto mortale, affinché tu possa raggiungere lui immortale; quando infatti avrai raggiunto la sua immortalità, cesserai anche tu di essere mortale. Egli viveva e tu eri morto; è morto affinché tu possa vivere. Ci ha recato la grazia di Dio, ci ha liberati dall'ira di Dio. Dio ha vinto la morte affinché la morte non vincesse l'uomo.

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OMELIA 15

(Jn 4,1-42)

Jn 4,1-42


Gesù al pozzo di Giacobbe.

Incominciano i misteri. Non per nulla si stanca Gesù, non per nulla si stanca la forza di Dio. Ci troviamo di fronte a un Gesù forte e di fronte a un Gesù debole. La forza di Cristo ci ha creati, la sua debolezza ci ha ricreati. Ci ha creati con la sua forza, è venuto a cercarci con la sua debolezza.

1. 1. Non suona nuovo alle orecchie della vostra Carità il fatto che l'evangelista Giovanni com'aquila voli più alto di tutti, elevandosi al di sopra della caligine della terra, fino a fissare fermamente gli occhi nella luce della verità. Con l'aiuto del Signore e per mezzo del nostro ministero, molte pagine del suo Vangelo vi sono già state commentate; seguendo l'ordine viene questo passo, che oggi è stato letto. Ciò che con l'aiuto del Signore sto per dire, servirà a ricordare a molti di voi ciò che già sapete, piuttosto che a insegnarvi altre cose. Ma non per questo deve essere minore la vostra attenzione, pur se si tratta di richiamare alla mente cose già note. E' stato letto - e abbiamo in mano il testo che dobbiamo spiegare - che il Signore Gesù parlava con una donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. In quella occasione egli espose grandi misteri e preannunzio cose sublimi. L'anima che ha fame trova qui di che pascersi, l'anima affaticata trova di che ristorarsi.

2. Quando il Signore seppe che i Farisei avevano sentito dire che Gesù faceva più discepoli e ne battezzava più di Giovanni, - sebbene non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli -lascio la Giudea e ritorno in Galilea (Jn 4,1-3). Qui non ci sono difficoltà, e non dobbiamo soffermarci in ciò che è chiaro, affinché non ci manchi il tempo per affrontare e chiarire ciò che è oscuro. Se il Signore avesse saputo che i Farisei si interessavano del fatto che egli faceva più discepoli e ne battezzava più di Giovanni, con l'intenzione di valersene per seguirlo e diventare anche loro suoi discepoli e farsi battezzare da lui, certamente non avrebbe lasciato la Giudea, ma vi sarebbe rimasto per loro. Avendo conosciuto, invece, le loro cattive intenzioni, in quanto essi non si erano informati per seguirlo ma per perseguitarlo, per questo egli lascio la Giudea. Avrebbe potuto certamente restarvi, senza farsi prendere da quelli, se lo avesse voluto; se lo avesse voluto non sarebbe stato ucciso: avrebbe potuto anche non nascere, se così avesse voluto. Ma, siccome in ogni cosa che egli faceva come uomo, voleva offrire un esempio agli uomini che avrebbero creduto in lui, quel Maestro buono lascio la Giudea non per timore, ma per darci un insegnamento. Cosi, un servo di Dio non pecca, se si rifugia in altro luogo di fronte al furore dei suoi persecutori o di quelli che cercano di fargli del male; ma se il Signore non avesse mostrato con il suo esempio che questo modo di agire è legittimo, quel servo di Dio avrebbe potuto credere che comportandosi così faceva male.

(Gesù battezza tuttora.)

2. 3. Puo forse fare difficoltà il fatto che l'evangelista dica: Gesù battezzava più gente di Giovanni, e, dopo aver affermato che Gesù battezzava, subito dopo aggiunge: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli. Che significa? Forse che Giovanni prima si era sbagliato, e poi si è corretto aggiungendo: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli? O piuttosto non sono vere ambedue le cose, che Gesù battezzava e non battezzava? Battezzava, infatti, perché era lui che purificava dai peccati, e non battezzava, perché non era lui che immergeva nell'acqua. I discepoli esercitavano il ministero corporale, egli interveniva con la potenza della sua maestà. Poteva forse smettere di battezzare lui che non smette mai di purificare? lui del quale il medesimo evangelista per bocca di Giovanni Battista ha detto: E' lui quello che battezza (Jn 1,33)? E' Gesù, dunque, che tuttora battezza, e battezzerà finché ci sarà uno da battezzare. Si accosti sicuro l'uomo al ministro inferiore, poiché ha un maestro superiore.

1. 4. Qualcuno potrà osservare: Cristo battezza si spiritualmente, ma non fisicamente. Come se qualcuno potesse ricevere il sacramento del battesimo, sia pure nella sua realtà fisica e visibile, come dono di un altro che non sia il Cristo. Vuoi convincerti che è lui che battezza, non solo mediante lo Spirito ma anche mediante l'acqua? Ascolta l'Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per essa onde santificarla, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e così farsi comparire davanti, tutta splendente, la Chiesa, senza macchia o ruga o alcunché di simile (Ep 5,25-27). In che modo Cristo purifica la sua Chiesa? Con il lavacro dell'acqua mediante la parola. Che cos'è il battesimo di Cristo? Lavacro di acqua accompagnato dalla parola. Togli l'acqua, non c'è battesimo; togli la parola, non c'è battesimo.

2. 5. Dopo questa introduzione al colloquio con la samaritana, vediamo il resto, così denso di significati e gravido di misteri. Ora, era necessario - dice l'evangelista -che egli passasse attraverso la Samaria. Giunge, dunque, in una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Li c'era il pozzo di Giacobbe (Jn 4,4-6). C'era un pozzo. Ora, un pozzo è anche una sorgente, ma non ogni sorgente è un pozzo. Dove c'è dell'acqua che scaturisce dalla terra, ad uso di chi l'attinge, diciamo che li c'è una sorgente; se essa è a portata di mano e alla superficie del suolo, la chiamiamo semplicemente sorgente; se invece si trova in profondità, sotto la superficie del suolo, allora si chiama pozzo, pur restando sempre una sorgente.

6. Gesù, dunque, stanco per il viaggio, stava così a sedere sul pozzo. Era circa l'ora sesta (Jn 4,6). Cominciano i misteri. Non per nulla, infatti, Gesù si stanca; non per nulla si stanca la forza di Dio; non per nulla si stanca colui che, quando siamo affaticati, ci ristora, quando è lontano ci abbattiamo, quando è vicino ci sentiamo sostenuti. Comunque Gesù è stanco, stanco del viaggio, e si mette a sedere; si mette a sedere sul pozzo, ed è l'ora sesta quando, stanco, si mette a sedere. Tutto ciò vuol suggerirci qualcosa, vuol rivelarci qualcosa; richiama la nostra attenzione, c'invita a bussare. Ci apra, a noi e a voi, quello stesso che si è degnato esortarci dicendo: Bussate e vi sarà aperto (Mt 7,7). E' per te che Gesù si è stancato nel viaggio. Vediamo Gesù pieno di forza, e lo vediamo debole; è forte e debole: forte perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Vuoi vedere com'è forte il Figlio di Dio? Tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente fu fatto senza di lui; e tutto senza fatica. Chi, dunque, è più forte di lui che ha fatto tutte le cose senza fatica? Vuoi vedere ora la sua debolezza? Il Verbo si è fatto carne e abito fra noi (Jn 1,1 Jn 3 Jn 14). La forza di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato. La forza di Cristo ha chiamato all'esistenza ciò che non era, la debolezza di Cristo ha impedito che si perdesse ciò che esisteva. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci.

(Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto.)

3. 7. E' con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini: egli stesso del resto si è paragonato alla gallina: Quante volte - dice a Gerusalemme -ho voluto raccogliere

i tuoi figli sotto le ali, come la gallina i suoi pulcini, e tu non l'hai voluto! (Mt 23,37). Non vedete, o fratelli, come la gallina partecipa alla debolezza dei suoi pulcini? Nessun altro uccello esprime così evidentemente la sua maternità. Abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi passeri che fanno il nido; vediamo rondini, cicogne, colombe fare il nido; ma soltanto quando sono nel nido, ci accorgiamo che sono madri. La gallina, invece, si fa talmente debole con i suoi piccoli, che, anche quando i pulcini non le vanno dietro, anche se non vedi i figli, ti accorgi che è madre. Le ali abbassate, le piume ispide, la voce roca, in tutto così dimessa e trascurata, è tale che, anche quando - come ho detto - non vedi i pulcini, t'accorgi tuttavia che è madre. Così era Gesù, debole e stanco per il cammino. Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto. Perché, come potrebbe muoversi colui che è dovunque e che da nessuna parte è assente? Se va, se viene, se viene a noi, è perché ha assunto la forma della carne visibile. Poiché dunque si è degnato di venire a noi apparendo in forma di servo per la carne assunta, questa stessa carne assunta è il suo cammino. perciò stanco per il cammino, che altro significa se non affaticato nella carne? Gesù è debole nella carne, ma tu non devi essere debole; dalla debolezza di lui devi attingere la forza, perché la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Co 1,25).

(La sua debolezza è la nostra forza.)

1. 8. Mediante questa immagine, Adamo, che era figura di colui che doveva venire (Rm 5,14), ci offri il segno di un grande mistero; anzi fu Dio stesso ad offrircelo nella persona di Adamo. Infatti, mentre dormiva, merito di ricevere la sposa che Dio aveva formato dal suo fianco (Gn 2,21); perché da Cristo, addormentato sulla croce, sarebbe nata la Chiesa, allorché dal costato di lui che pendeva dalla croce, colpito dalla lancia, fluirono i sacramenti della Chiesa (Jn 19,34). Perché ho voluto richiamare il fatto di Adamo, o fratelli? Per dirvi che la debolezza di Cristo ci rende forti. Quel fatto era una grande profezia di Cristo. Dio avrebbe potuto togliere all'uomo un pezzo di carne per formare la donna, e forse ci sarebbe parso più conveniente: con la donna, infatti, veniva creato il sesso più debole, e ciò che è debole si sarebbe potuto formare meglio con la carne che con l'osso, che della carne è più forte. Invece Dio non prese della carne per formare la donna: tolse un osso, con esso formo la donna, e riempi il posto dell'osso con carne. Avrebbe potuto rimpiazzare l'osso con un altro osso, avrebbe potuto, per formare la donna, prendere non una costola, ma carne di Adamo. Che cosa ci volle significare? La donna fu formata nell'osso come un essere forte; Adamo fu formato nella carne come un essere debole. Qui c'è il mistero di Cristo e della Chiesa: la debolezza di Cristo è la nostra forza.

9. Ma perché nell'ora sesta? Perché era la sesta età del mondo. Il Vangelo calcola come prima ora la prima età del mondo, che va da Adamo fino a Noè; la seconda, da Noè fino ad Abramo; la terza, da Abramo fino a Davide; la quarta, da Davide fino all'esilio babilonese; la quinta, dall'esilio babilonese fino al battesimo di Giovanni, con cui comincia la sesta età. Perché ti meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al pozzo. Arrivo stanco, perché portava il peso della carne debole. Era l'ora sesta, perché era la sesta età del mondo. E giunse al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora. Per questo è detto nel salmo: Dal profondo ho gridato a te, o Signore (Ps 129,1). Si è seduto, perché, come ho detto, si è umiliato.

(La samaritana figura della Chiesa.)

2. 10. Arriva una donna. E' figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere giustificata: questo il tema della conversazione. Arriva senza sapere nulla e trova Gesù, il quale attacca discorso con lei. Vediamo su che cosa e con quale intenzione. Arriva una donna

samaritana ad attingere acqua (Jn 4,7). I Samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano stranieri, benché abitassero una terra vicina. Sarebbe lungo raccontare l'origine dei Samaritani; per non diffonderci troppo, magari trascurando il necessario, vi basti sapere che i Samaritani erano stranieri. Non vi sembrerà arbitraria questa mia affermazione, se tenete conto di quanto lo stesso Signore Gesù dice a proposito di quel samaritano, uno dei dieci lebbrosi che egli aveva mondati, e che fu il solo a tornare indietro per ringraziarlo: Non sono stati mondati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato uno che tornasse per dare gloria a Dio al di fuori di questo straniero? (Lc 17,17-18). E' significativo il fatto che questa donna, che rappresentava la Chiesa, provenisse da un popolo straniero per i Giudei: la Chiesa infatti sarebbe sorta dai Gentili, che per i Giudei erano stranieri. Ascoltiamo, allora, noi stessi in lei, in lei riconosciamoci e in lei rendiamo grazie a Dio, per noi. Ella infatti era una figura, non la verità: prefigurava la verità che lei stessa divento; poiché credette in colui che voleva farne la figura di noi. Dunque, viene ad attingere acqua. Era venuta soltanto per attingere acqua, come son soliti fare gli uomini e le donne.

11. Gesù le dice: Dammi da bere. I suoi discepoli erano andati in città per acquistare provviste. La donna samaritana, dunque, gli dice: Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana? I Giudei, infatti, non sono in buoni rapporti con i Samaritani (Jn 4,7-9). Ecco la prova che i Samaritani erano stranieri. I Giudei non si servivano assolutamente dei loro recipienti; e la donna, che portava con sé un recipiente per attingere l'acqua, si stupi che un giudeo le chiedesse da bere, cosa che i Giudei non erano soliti fare. Ma, in realtà, colui che chiedeva da bere, aveva sete della fede di quella donna.

(Il dono di Dio è lo Spirito Santo.)

2. 12. Ascolta, adesso, chi è colui che chiede da bere. Gesù rispose: Se conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice "dammi da bere", l'avresti pregato tu, ed egli ti avrebbe dato un'acqua viva (Jn 4,10). Chiede da bere, e promette da bere. E' bisognoso come uno che aspetta di ricevere, ed è nell'abbondanza come uno che è in grado di saziare. Se conoscessi - dice -il dono di Dio. Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma il Signore parla alla donna in maniera ancora velata, solo a poco a poco penetra nel cuore di lei. Intanto la istruisce. Che c'è di più soave e di più amabile di questa esortazione: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice "dammi da bere", l'avresti pregato tu, ed egli ti avrebbe dato un'acqua viva? Finora la tiene sulla corda. Infatti, comunemente si chiama acqua viva quella che zampilla dalla sorgente. L'acqua piovana, che si raccoglie nei fossi o nelle cisterne, non vien chiamata acqua viva. Potrebbe anche essere acqua di sorgente, ma se è stata raccolta in qualche luogo e non è più in comunicazione con la sorgente, essendone tagliata fuori, non si può più chiamare acqua viva. Acqua viva si chiama solo quella che si attinge alla sorgente. Ora, tale era l'acqua che si trovava in quel pozzo. Come poteva allora Cristo promettere ciò che chiedeva?

3. 13. Tuttavia, interdetta, la donna esclamo: Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo (Jn 4,11). Come vedete, acqua viva per lei è l'acqua del pozzo. Tu mi vuoi dare acqua viva, ma io possiedo la brocca con cui attingere, mentre tu no. Qui c'è l'acqua viva, ma tu come fai a darmela? Pur intendendo un'altra cosa e ragionando secondo la carne, tuttavia bussava alla porta, in attesa che il Maestro aprisse ciò ch'era chiuso. Bussava più per curiosità che per amore della verità. Era ancora da compiangere, non ancora in condizione d'essere illuminata.

4. 14. Il Signore parla più chiaramente dell'acqua viva. La donna gli aveva detto: Saresti tu più grande del padre nostro Giacobbe, che ci ha dato il pozzo e ha bevuto da esso, lui e i suoi figli e le sue greggi? Tu non puoi darmi di quest'acqua viva perché non hai un recipiente per attingere; forse vuoi promettermi l'acqua di un'altra sorgente? Saresti da più del nostro padre, che ha scavato questo pozzo e se n'è servito insieme ai suoi? Ci spieghi, dunque, il Signore che cosa intende per acqua viva. Rispose Gesù: Chiunque beve di quest'acqua avrà sete ancora; ma chi beve l'acqua che io gli daro non avrà sete in eterno: l'acqua che io gli daro diverrà in lui sorgente d'acqua zampillante per la vita eterna (Jn 4,12-14). Il Signore ha parlato in modo più chiaro: Diverrà in lui sorgente d'acqua zampillante per la vita eterna. Chi beve di quest'acqua non avrà sete in eterno. Nulla è più evidente che egli non prometteva un'acqua visibile, ma un'acqua misteriosa. Nulla è più evidente che il suo linguaggio non era materiale ma spirituale.

1. 15. Tuttavia la samaritana continua ad intendere il linguaggio di Gesù in senso materiale. E' allettata dalla prospettiva di non dover più patir la sete, e crede di poter intendere in questo senso materiale la promessa del Signore. Certamente il Signore estinguerà la nostra sete, ma lo farà quando i morti risorgeranno. La samaritana, invece, voleva che si realizzasse fin d'ora quello che un tempo il Signore aveva concesso al suo servo Elia, il quale per quaranta giorni non pati né fame né sete (cf. 1R 19,8). Colui che aveva concesso questo per quaranta giorni, perché non poteva concederlo per sempre? A questo aspirava la samaritana: a non aver più alcun bisogno, a non dover più faticare. Ogni giorno doveva recarsi a quella sorgente, venir via carica, e di nuovo ritornare alla sorgente non appena l'acqua attinta era esaurita; e tutti i giorni la stessa fatica, perché quel bisogno, momentaneamente soddisfatto, non si estingueva. Aspirando solo a non dover più patire la sete, prega Gesù che le dia quest'acqua viva (Jn 4,15).

2. 16. Ma non dimentichiamo che il Signore prometteva un dono spirituale. Che vuol dire: Chi beve di quest'acqua avrà sete ancora? Questo vale per l'acqua naturale, e vale pure per ciò che essa significa. L'acqua del pozzo è simbolo dei piaceri mondani nella loro profondità tenebrosa; è da li che gli uomini li attingono con l'anfora della cupidigia. Quasi ricurvi, affondano la loro cupidigia per poterne attingere il piacere fino in fondo; e gustano questo piacere che hanno fatto precedere dalla cupidigia. Chi infatti non manda avanti la cupidigia, non può giungere al piacere. Fa' conto, dunque, che la cupidigia sia l'anfora e il piacere sia l'acqua profonda. Ebbene, quando uno giunge ai piaceri di questo mondo: il mangiare, il bere, il bagno, gli spettacoli, gli amplessi carnali; credi che non avrà di nuovo sete? Ecco perché il Signore dice: Chi beve di quest'acqua, avrà sete ancora; chi invece beve dell'acqua che gli daro io, non avrà sete in eterno. Saremo saziati - dice il salmo -con i beni della tua casa (Ps 64,5). Allora, qual è l'acqua che ci darà lui se non quella di cui è stato detto: Presso di te è la sorgente della vita? E come potranno aver sete coloro che saranno inebriati dall'abbondanza della tua casa (Ps 35,10 Ps 9)?

3. 17. Il Signore prometteva abbondanza e pienezza di Spirito Santo, e quella ancora non capiva; e siccome non capiva, che cosa rispondeva? Gli dice la donna: Signore, dammi codesta acqua affinché non abbia più sete e non venga fin qui ad attingere (Jn 4,15). Il bisogno la costringeva alla fatica, che la sua debolezza mal sopportava. Oh, se avesse sentito l'invito: Venite a me, quanti siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorero (Mt 11,28)! Infatti Gesù le diceva queste cose, perché non si affaticasse più. Ma lei ancora non capiva.

4. 18. Volendo che finalmente capisse, Gesù le dice: Va', chiama tuo marito e torna qui (Jn 4,16). Che vuol dire: chiama tuo marito? Voleva darle quell'acqua per mezzo di suo marito? Oppure, siccome non riusciva a capire, voleva ammaestrarla per mezzo di suo marito, secondo quanto l'Apostolo raccomanda alle donne: Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti (1Co 14,35)? Ma l'Apostolo dice: Interroghino i loro mariti a casa, dove non c'è Gesù che insegna; e poi si trattava delle donne, alle quali l'Apostolo vietava che parlassero nelle adunanze. Ma qui era presente Gesù in persona, e parlava ad una donna che era presente: che bisogno c'era di parlarle per mezzo di suo marito? Forse aveva parlato attraverso un uomo a Maria, quando ella stava seduta ai suoi piedi e accoglieva la sua parola, mentre Marta era tutta indaffarata e mormorava per la felicità di sua sorella (Lc 10,39-40)? Quindi, fratelli miei, ascoltiamo e cerchiamo di capire che cosa intendeva il Signore quando disse alla donna: Chiama tuo marito. Forse anche all'anima nostra dice: Chiama tuo marito. Chi può essere il marito dell'anima? Perché non dire subito che Gesù stesso è il vero marito dell'anima? Facciamo attenzione, perché quanto stiamo per dire difficilmente può essere capito da chi non è attento; facciamo dunque attenzione per capire: il marito dell'anima potrebbe essere l'intelletto.

19. Gesù vedendo dunque che quella donna non capiva, e volendo che capisse, chiama - le dice -tuo marito. Ecco perché tu non capisci ciò che dico, perché il tuo intelletto non è presente; io parlo secondo lo spirito, e tu ascolti secondo la carne. Ciò che dico non ha relazione alcuna né con il godimento delle orecchie, né con quello degli occhi, né dell'olfatto, né del gusto, né del tatto; solo lo spirito può cogliere ciò che dico, solo l'intelletto; ma se il tuo intelletto non è qui presente, come puoi intendere ciò che dico? Chiama tuo marito, rendi presente il tuo intelletto. A che ti serve avere l'anima? Non è gran cosa, ce l'hanno anche le bestie. Perché tu sei superiore ad esse? Perché hai l'intelletto che le bestie non hanno. Che vuol dire dunque: Chiama tuo marito? Tu non mi capisci, non mi intendi; io, ti parlo del dono di Dio e tu pensi a cose materiali; non vuoi più soffrire la sete materiale, mentre io mi riferisco allo spirito; il tuo intelletto è assente, chiama tuo marito. Non voler essere come il cavallo ed il mulo, che non hanno intelletto (Ps 31,9). Dunque, fratelli miei, avere l'anima e non avere l'intelletto, cioè non usarlo e non vivere conforme ad esso, è un vivere da bestie. C'è infatti in noi qualcosa che abbiamo in comune con le bestie, per cui viviamo nella carne, ma l'intelletto deve governarlo. L'intelletto regge dall'alto i movimenti dell'anima che si muove secondo la carne, e desidera effondersi senza misura nei piaceri della carne. Chi merita il nome di marito? Chi regge, o chi è retto? Senza dubbio, quando la vita è ben ordinata, chi regge l'anima è l'intelletto, che fa parte dell'anima stessa. L'intelletto non è infatti qualcosa di diverso dall'anima; così come l'occhio non è una cosa diversa dalla carne, essendo un organo della carne. Ma pur essendo l'occhio parte della carne, esso solo gode della luce; le altre membra del corpo possono essere inondate di luce, ma non possono percepirla; soltanto l'occhio può essere inondato di luce e goderne. Cosi, ciò che chiamiamo intelletto è una facoltà della nostra anima. Questa facoltà dell'anima che si chiama intelletto o mente, viene illuminata da una luce superiore. Questa luce superiore, da cui la mente umana viene illuminata, è Dio. Era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Jn 1,9). Questa luce era Cristo, questa luce parlava con la samaritana; ma essa non era presente con l'intelletto, perché potesse essere illuminata da quella luce: e non solo per essere inondata da essa, ma per poterne godere. Insomma, è come se il Signore volesse dirle: colui che io voglio illuminare, non è qui; chiama tuo marito; usa l'intelletto mediante il quale potrai essere illuminata, e dal quale potrai essere guidata. Dunque, fate conto che l'anima, senza l'intelletto, sia la donna, e che l'intelletto sia come il marito. Ma questo marito non potrà guidare bene la sua donna, se non è a sua volta governato da chi è superiore a lui. Il capo della donna infatti è l'uomo, il capo dell'uomo è Cristo (cf. 1Co 11,3). Il capo dell'uomo parlava con la donna, ma l'uomo non era presente. E' come se il Signore volesse dire: Fa' venire il tuo capo, affinché esso accolga il suo capo; quindi, chiama tuo marito e torna qui; cioè, prestami attenzione, sii presente; perché, non intendendo la voce della verità qui presente, è come se tu fossi assente. Sii presente, ma non da sola; vieni qua insieme a tuo marito.

20. La donna che ancora non aveva chiamato quel marito, non comprende ancora, ed essendo assente il marito ragiona ancora secondo la carne. Dice: Non ho marito. E il Signore prosegue nel suo linguaggio denso di mistero. Bisogna tener presente che davvero in quel momento la samaritana non aveva marito, ma conviveva con un marito illegittimo, che quindi più che un marito era un adultero. Le dice Gesù: Hai ben detto "non ho marito". Ma allora perché, o Signore, hai detto: Chiama tuo marito? Il Signore sapeva che la donna non aveva marito; e affinché ella non credesse che il Signore le aveva detto: Hai ben detto "non ho marito", perché l'aveva appreso da lei e non perché questo lo sapesse in quanto era Dio, aggiunge una cosa che la donna non aveva detto: Hai avuto, infatti, cinque mariti e quello che hai adesso non è tuo marito; in questo hai detto la verità (Jn 4,17-18).

1. 21. Ed ecco che anche a proposito dei cinque mariti, ci costringe ad approfondire il significato di questo fatto. Non è assurda né improbabile l'interpretazione di molti, che hanno creduto di scorgere nei cinque mariti di questa donna i cinque libri di Mosè, utilizzati anche dai Samaritani, i quali vivevano sotto la medesima Legge e praticavano anche la circoncisione. Ma ciò che segue e cioè: quello che hai adesso non è tuo marito, c'induce a scorgere nei primi cinque mariti dell'anima i cinque sensi del corpo. Infatti, quando uno nasce, prima di giungere all'uso dello spirito e della ragione, è guidato unicamente dai cinque sensi del corpo. L'anima del bambino ricerca o fugge soltanto ciò che ascolta, ciò che si vede, ciò che odora, che gusta, che tocca. Ricerca tutto ciò che alletta questi cinque sensi, rifugge da tutto ciò che li offende. Il piacere attrae questi cinque sensi, e il dolore li ferisce. L'anima vive dapprima secondo questi cinque sensi come fossero mariti, perché da essi è guidata. E perché vengono chiamati mariti? Perché sono legittimi. Sono stati creati da Dio, e da Dio donati all'anima. L'anima che è guidata da questi cinque sensi e agisce sotto la tutela di questi cinque mariti, è ancora debole; ma quando sarà giunta all'età della discrezione, se accetta il metodo più maturo e l'insegnamento della sapienza, a quei cinque mariti vedrà succedere il marito vero e legittimo, che è migliore dei precedenti, e che la guiderà meglio: egli la guiderà all'eternità, la educherà e l'addestrerà per l'eternità. I cinque sensi, invece, non ci indirizzano all'eternità, ma solo a ricercare o a fuggire le cose temporali. Quando, poi, l'intelletto iniziato alla sapienza, comincerà a guidare l'anima, allora essa saprà non soltanto scansare la fossa e camminare su strada sicura che gli occhi possono mostrare all'anima debole; non soltanto saprà godere voci armoniose rifiutando quelle stonate; o dilettarsi di odori gradevoli rifiutando quelli sgradevoli; o ancora lasciarsi prendere da ciò che è dolce, offesa da ciò che è amaro; o lasciarsi accarezzare da ciò che è morbido difendendosi da ciò che è ruvido. L'anima malferma ha ancora bisogno di tutto questo. Quale sarà, invece, la funzione dell'intelletto? Non insegnerà a discernere il bianco dal nero, ma il giusto dall'ingiusto, il bene dal male, l'utile dall'inutile, la castità dall'impudicizia, perché ami quella ed eviti questa; la carità dall'odio, perché coltivi quella e rifugga da questo.

2. 22. Questo marito non aveva preso, nella samaritana, il posto di quei cinque mariti. E dove esso non prende il loro posto, domina l'errore. Infatti, quando l'anima acquista la capacità di ragionare, una delle due: o è guidata da una mente sapiente o è guidata dall'errore. L'errore, pero, non guida ma conduce alla rovina. Così quella donna andava ancora errando dietro i cinque sensi, e l'errore l'agitava violentemente. Quell'errore, pero, non era il marito legittimo, ma un adultero; perciò il Signore le dice: Hai ben detto "non ho marito"; hai avuto, infatti, cinque mariti. Dapprima sei stata guidata dai sensi della carne; poi sei giunta all'età in cui si deve usare la ragione, e non hai raggiunto la sapienza, anzi sei caduta nell'errore; perciò, dopo quei cinque mariti, quello che adesso hai non è tuo marito. E se non era un marito, cosa era se non un adultero? Dunque, chiama, ma non l'adultero, chiama tuo marito, affinché con l'intelletto tu possa comprendermi, e l'errore non debba procurarti una falsa opinione di me. Infatti quella donna viveva ancora nell'errore, aspirando all'acqua terrena, dopo che già il Signore le aveva parlato dello Spirito Santo. E perché viveva ancora nell'errore, se non perché era unita ad un adultero invece che al vero marito? Via, dunque, l'adultero che ti corrompe, e va' a chiamare tuo

marito. Chiamalo, e torna qui con lui, e mi comprenderai.

1. 23. Gli dice la donna: Signore, vedo che sei un profeta (Jn 4,19). Comincia ad arrivare il marito, ma non è ancora arrivato del tutto. Considerava il Signore un profeta; ed in effetti, egli era profeta; parlando di se stesso aveva detto: Un profeta è disprezzato soltanto nella sua patria (Mt 13,57). E a proposito di lui era stato detto a Mosè: Io suscitero loro un profeta, di mezzo ai loro fratelli, simile a te (Dt 18,18). S'intende simile quanto alla natura umana, non quanto alla potenza della maestà. Vediamo dunque che il Signore Gesù è stato chiamato profeta. perciò quella donna non è più tanto lontana dal vero: Vedo - ella dice -che sei un profeta. Ha cominciato a chiamare il marito e a mandar via l'adultero: Vedo che sei un profeta. E comincia a parlare di ciò che per lei costituiva un grosso problema. Era in corso una discussione vivace tra i Samaritani e i Giudei, per il fatto che i Giudei adoravano Dio nel tempio costruito da Salomone, mentre i Samaritani, esclusi, non adoravano Dio in quel tempio. perciò i Giudei si ritenevano migliori per il fatto che adoravano Dio nel tempio. I Giudei, infatti, non sono in buoni rapporti con i Samaritani, i quali a loro volta dicevano: Come potete vantarvi e ritenervi migliori di noi, solo per il fatto che voi avete un tempio e noi no? Forse che i nostri padri, che piacquero a Dio, lo hanno adorato in quel tempio? non lo hanno forse adorato su questo monte dove noi abitiamo? Dunque siamo più nel giusto noi, che preghiamo Dio su questo monte dove lo hanno pregato i nostri padri. Gli uni e gli altri contendevano tra loro, privi, gli uni e gli altri, della conoscenza di Dio perché non avevano marito: e si gonfiavano gli uni nei confronti degli altri, i Giudei per il tempio, i Samaritani per il monte.

24. Ma il Signore che cosa insegna alla donna, adesso che il marito di questa comincia ad essere presente? Gli dice la donna: Signore, vedo che sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte e voi dite che il luogo dove si deve adorare è a Gerusalemme. Le dice Gesù: Credi a me, o donna ... (Jn 4,19-21). La Chiesa verrà, come è stato detto nel Cantico dei Cantici, verrà, e proseguirà il suo cammino, prendendo le mosse dalla fede (Ct 4,8 sec. LXX). Verrà, per andare oltre, e non potrà andare oltre, se non cominciando dalla fede. E la donna, presente ormai il marito, merita di sentirsi dire: Donna, credi a me. E' presente ormai in te colui che è in grado di credere, perché è presente tuo marito. Hai cominciato ad essere presente con l'intelletto, quando mi hai chiamato profeta. Donna, credi a me, perché se non crederete, non potrete capire (Is 7,9 sec. LXX). Dunque, ... donna, credi a me, è giunto il tempo in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noialtri adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene il tempo ... Quando verrà? ed è adesso. Quale tempo? quello in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; lo adoreranno, non su questo monte, non nel tempio, ma in spirito e verità. Il Padre, infatti, tali vuole i suoi adoratori. Perché il Padre cerca chi lo adori, non sul monte, non nel tempio, ma in spirito e verità? Perché Dio è spirito. Se Dio fosse corpo, sarebbe stato necessario adorarlo sul monte, perché il monte è corporeo; sarebbe stato necessario adorarlo nel tempio, perché il tempio è materiale. Invece, Dio è spirito, e i suoi adoratori devono adorarlo in spirito e verità (Jn 4,21-24).

(Offri te stesso a Dio come tempio.)

2. 25. E' chiaro ciò che abbiamo sentito. Eravamo usciti fuori, e siamo stati riportati dentro. Oh se potessi trovare, dicevi, un monte alto e solitario! credo, infatti, che Dio sta in alto, e potrà più facilmente ascoltarmi se lo preghero su un monte. E tu pensi davvero di essere più vicino a Dio perché stai su un monte, e che più presto ti potrà esaudire, quasi tu lo invocassi da vicino? Certo, Dio abita in alto; ma guarda le umili creature (Ps 137,6). Il Signore è vicino; ma a chi?

forse a quelli che stanno in alto? No: Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore contrito (Ps 33,19). Cosa mirabile! Egli abita in alto, e si avvicina agli umili: riguarda all'umile, e da lontano conosce il superbo. Vede i superbi da lontano, e tanto meno si avvicina a loro quanto più essi si ritengono alti. E tu cercavi un monte? Discendi, se vuoi raggiungere Dio. Ma se vuoi ascendere, ascendi; solo non cercare un monte. C'è un salmo che parla di ascensioni nel cuore, nella valle del pianto (Ps 83,6-7). La valle è in basso. Cerca di raccoglierti dentro di te. E se vuoi trovare un luogo alto, un luogo santo, offriti a Dio come tempio nel tuo intimo. Santo, infatti, è il tempio di Dio, che siete voi (1Co 3,17). Vuoi pregare nel tempio? prega dentro di te; ma cerca prima di essere tempio di Dio, affinché egli possa esaudire chi prega nel suo tempio.

1. 26. Viene l'ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Noialtri adoriamo quel che conosciamo, voi adorate quel che non conoscete; perché la salvezza viene dai Giudei. I Giudei sono certamente dei privilegiati; ma questo non significa che i Samaritani siano dei reprobi. Considera quelli come il muro al quale ne è stato aggiunto un altro, affinché, pacificati nella pietra angolare che è Cristo, fossero uniti insieme. Il primo, sono i Giudei; l'altro, i Gentili. Erano lontani l'uno dall'altro, questi muri, fino a quando non furono riuniti nella pietra angolare. Gli stranieri, certo, erano ospiti, ed erano estranei all'alleanza di Dio (cf. Ep 2,12-22). E' in questo senso che Gesù dice: Noialtri adoriamo quel che conosciamo. Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi a tutti i Giudei, ai Giudei reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei Giudei di cui facevano parte gli Apostoli, i Profeti, e tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli Apostoli (cf. Ac 4,34-35). Iddio, infatti, non ha rigettato il suo popolo, da lui stesso eletto in anticipo (Rm 11,2).

2. 27. Al sentir questo, la donna interviene. Già aveva riconosciuto il Signore come profeta; ma le dichiarazioni del suo interlocutore sono più che di un profeta. E notate cosa risponde. Gli dice la donna: So che il Messia, che si chiama Cristo, deve venire; quando verrà lui ci annunzierà tutte queste cose (Jn 4,25). Quali cose? Adesso i Giudei si battono ancora per il tempio e noi per il monte; quando il Messia verrà, ripudierà il monte e distruggerà il tempio, e c'insegnerà davvero ad adorare in spirito e verità. Ella sapeva dunque chi poteva ammaestrarla, ma ancora non si rendeva conto che il maestro era già li con lei. Pero, ormai era degna che egli le si rivelasse. Messia vuol dire unto; unto in greco è Cristo, e in ebraico Messia; e nella lingua punica, "Messe" significa "ungi". Queste tre lingue, l'ebraico il punico e il siriano, hanno tra loro molte affinità.

3. 28. Dunque la donna gli dice: So che il Messia, che si chiama Cristo, deve venire; quando verrà lui ci annunzierà tutte queste cose. Le dice Gesù: Sono io, io che ti parlo. La samaritana ha chiamato il marito, il marito è diventato capo della donna, Cristo è diventato capo dell'uomo (1Co 11,3). Ormai la fede ha ristabilito l'ordine nella donna, e la guida verso una vita degna. A questa dichiarazione: Sono io, io che ti parlo, che altro poteva aggiungere questa donna alla quale Cristo Signore aveva voluto manifestarsi dicendole: Credi a me?

4. 29. Nel frattempo, sopraggiunsero i suoi discepoli e furono sorpresi che egli parlasse con una donna. Si meravigliarono che egli cercasse una che era perduta, lui che era venuto a cercare ciò che era perduto. Si meravigliarono di una cosa buona, non pensarono male. Nessuno, pero, disse: Che cerchi? o: Perché parli con lei? (Jn 4,27).

5. 30. La donna, dunque, lascio la sua anfora. Dopo aver udito: Sono io, io che ti parlo e dopo aver accolto nel cuore Cristo Signore, che altro avrebbe potuto fare se non abbandonare l'anfora e correre ad annunziare la buona novella? Getto via la cupidigia e corse ad annunziare la verità. Imparino quanti vogliono annunciare il Vangelo: gettino la loro idria nel pozzo. Ricordate quello

che vi ho detto prima a proposito dell'idria? Era un recipiente per attingere l'acqua; in greco si

chiama perché in greco acqua si dice idor come se noi dicessimo: acquaio. La donna, dunque, getto via l'idria che ormai non le serviva più, anzi era diventata un peso: era avida ormai di dissetarsi solo di quell'acqua. Liberatasi del peso ingombrante, per annunziare il Cristo

corse in città a dire alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto! Con discrezione, per non provocare ira e indignazione, e magari persecuzione. Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non sarà lui il Messia? La gente usci, allora, dalla città e si dirigeva verso di lui (Jn 4,28-30).

1. 31. Frattanto, i discepoli lo pregavano dicendo: Rabbi, mangia. Infatti erano andati ad acquistare provviste, ed erano tornati. Ma egli disse loro: Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete. I discepoli, allora, si domandarono: Che non gli abbia qualcuno portato da mangiare? C'è da meravigliarsi se quella donna non aveva ancora capito il significato dell'acqua, dal momento che i discepoli non capiscono ancora il significato del cibo? Il Signore, che aveva visto i loro pensieri, come maestro li istruisce, e non con circonlocuzioni, come aveva fatto con la donna che ancora doveva chiamare suo marito, ma apertamente: Il mio cibo - disse -è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Jn 4,31-34). Anche nei confronti di quella donna, la sua bevanda era fare la volontà di colui che lo aveva mandato. Per questo le aveva detto: Ho sete, dammi da bere, con l'intenzione di suscitare in lei la fede e bere quella fede e poterla così assimilare al suo corpo: al suo corpo che è la Chiesa. Questo è dunque, egli disse, il mio cibo: fare la volontà di colui che mi ha mandato.

2. 32. Non dite voi: Quattro mesi ancora e poi viene la mietitura? Era tutto infervorato della sua opera, e pensava già a mandare gli operai. Voi calcolate quattro mesi per la mietitura, e io vi mostro un'altra messe già biancheggiante e pronta per la mietitura. Ebbene, io vi dico: levate gli occhi e contemplate i campi: già biancheggiano per la mietitura. Quindi, egli si preparava a inviare i mietitori. In questo caso si avvera il proverbio: "Altro è il seminatore e altro è il mietitore", affinché gioiscano insieme il seminatore e il mietitore. Io vi ho mandato a mietere quello per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nel frutto del loro lavoro (Jn 4,35-38). Che significa? Ha inviato i mietitori e non i seminatori? Dove ha inviato i mietitori? Nel campo dove altri già avevano lavorato. Infatti, dove già si era lavorato, si era di certo seminato; e ciò che era stato seminato, era ormai maturo e aspettava solo la falce e la trebbiatrice. Dove bisognava inviare i mietitori, dunque? Dove in precedenza i profeti avevano predicato: essi infatti erano i seminatori. Se non fossero stati loro i seminatori, come avrebbe potuto giungere a quella donna la notizia: So che deve venire il Messia? Già questa donna era un frutto maturo, e le messi erano biancheggianti e attendevano la falce. Dunque, io vi ho mandati: Dove? A mietere ciò che voi non avete seminato; altri hanno seminato, e voi siete subentrati nel frutto del loro lavoro. Chi erano quelli che avevano lavorato? Erano Abramo, Isacco e Giacobbe. Leggete il racconto delle loro fatiche: in tutte le loro fatiche c'è una profezia del Cristo; per questo furono dei seminatori. E Mosè e gli altri Patriarchi e tutti i Profeti, quanto dovettero soffrire seminando col freddo! Ora, in Giudea la messe era matura. E un segno sicuro che la messe era matura fu che tante migliaia di uomini portarono il ricavato dei loro beni venduti e lo deposero ai piedi degli Apostoli (Ac 4,35), liberandosi dai pesi del mondo, e si misero a seguire Cristo Signore. Prova davvero convincente che la messe era matura! E cosa ne segui? Di quella messe furono gettati pochi grani e con essi fu seminata tutta la terra, e va sorgendo un'altra messe che sarà mietuta alla fine del mondo. Di questa messe è detto: Quelli che seminano fra le lacrime, mieteranno nel gaudio (Ps 125,5). Per questa messe saranno inviati come mietitori, non gli Apostoli ma gli angeli: I mietitori - dice il Vangelo -sono gli angeli (Mt 13,39). Questa messe cresce fra la zizzania, e attende la fine dei tempi per esserne separata. Ma quell'altra messe, cui per primi i discepoli furono inviati, cui i profeti avevano lavorato, era già matura. E tuttavia, o fratelli, notate cosa è stato detto: Gioiscano insieme il seminatore e il mietitore. Distinta nel tempo è stata la loro fatica, ma la medesima gioia li unisce, in attesa di ricevere insieme, come ricompensa, la vita eterna.

(L'amicizia veicolo del Vangelo.)

33. Molti samaritani di quella città credettero in lui per ciò che aveva detto la donna, la quale attestava: Mi ha detto tutto ciò che ho fatto. Quando, dunque i samaritani andarono a lui, lo pregavano di restare con loro; ed egli rimase là due giorni. E molti di più credettero per la sua parola, e alla donna dicevano: Non è più per quanto hai detto tu che noi crediamo; noi stessi lo abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo (Jn 4,39-42). Soffermiamoci un momento su questo particolare, dato che il brano è terminato. Dapprima fu la donna a portare l'annuncio, e i Samaritani credettero alla testimonianza della donna e pregarono il Signore di restare con loro. Il Signore si trattenne due giorni, e molti di più credettero; e dopo aver creduto dicevano alla donna: Non è più per quanto hai detto tu che noi crediamo; noi stessi lo abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo. Cioè, prima credettero in lui per ciò che avevano sentito dire, poi per ciò che avevano visto con i loro occhi. E' quanto succede ancor oggi a quelli che sono fuori della Chiesa, e non sono ancora cristiani: dapprima Cristo viene loro annunciato per mezzo degli amici cristiani; come fu annunziato per mezzo di quella donna, che era figura della Chiesa; vengono a Cristo, credono per mezzo di questo annunzio; egli rimane con loro due giorni, cioè dà loro i due precetti della carità; e allora, molto più fermamente e più numerosi credono in lui come vero salvatore del mondo.


Agostino - Commento Gv 14