Agostino - Commento Gv 22

22

OMELIA 22

(Jn 5,24-30)

Jn 5,24-30


Chi ascolta le mie parole e crede, è passato dalla morte alla vita.

Chi ascolta la parola di Cristo, e ci crede, passa dalla morte alla vita. Vuoi camminare? Cristo è la via. Non vuoi sbagliare? Cristo è la verità. Non vuoi morire? Cristo è la vita. Lui solo è la meta, lui solo è la via. La sua voce ci ha destati dalla morte, e credendo in lui camminiamo verso la pienezza della vita.

1. La lezione evangelica di oggi - continuazione dei sermoni tenuti ieri e l'altro ieri - ci proponiamo di commentarla punto per punto, non come meriterebbe, ma secondo le nostre forze; come voi, del resto, attingete a questa fonte non secondo la sua abbondanza, ma secondo la vostra capacità limitata. Né possiamo noi far risuonare alle vostre orecchie la voce potente della fonte, ma solo quanto possiamo attingere, e questo noi trasmettiamo ai vostri sensi, persuasi che il Signore opera nei vostri cuori più efficacemente di quel che possiamo noi parlando alle vostre orecchie. Il tema è profondo, e chi lo tratta non è all'altezza, essendo piuttosto modesto. Tuttavia, colui che essendo grande per noi si fece piccolo, c'infonde speranza e fiducia. Poiché, se egli non ci incoraggiasse e non ci invitasse a comprenderlo, ma ci abbandonasse come esseri trascurabili (dato che non potremmo accogliere la sua divinità, se egli non avesse assunto la nostra condizione mortale e non fosse sceso fino a noi per annunciarci il suo Vangelo); se insomma non si fosse reso partecipe di quanto in noi v'è di abietto e infimo, non potremmo convincerci che ha assunto la nostra pochezza appunto per comunicarci la sua grandezza. Dico questo perché nessuno ci consideri presuntuosi se osiamo esporre queste cose, e nessuno disperi di poter intendere, con l'aiuto di Dio, ciò che il medesimo Figlio di Dio si è degnato rivelargli. E' da credere, dunque, che era sua intenzione che noi intendessimo ciò che si è degnato dirci. E se non ci riusciamo, pregheremo e ci farà dono di questa comprensione colui che, senza essere pregato, ci ha fatto dono della sua parola.

(La fede, la pietà e l'intelligenza.)

2. 2. Ecco, rendetevi conto della profondità di queste parole: In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (Jn 5,24). Tutti certamente aspiriamo alla vita eterna. Ebbene, egli ci ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna. Si può dunque pensare che egli abbia voluto farci ascoltare la sua parola senza darci modo d'intenderla? Perché, se la vita eterna consiste nell'ascoltare e nel credere, tanto più consisterà nel comprendere. La pietà è il fondamento della fede, e il frutto della fede è l'intelligenza, che ci fa pervenire alla vita eterna. Allora non si leggerà più il Vangelo: colui che ora ci ha dato il Vangelo, riposte tutte le pagine che si leggono, fatta tacere la voce del lettore e del commentatore, si mostrerà a tutti i suoi che staranno al suo cospetto con cuore purificato e col corpo non più soggetto alla morte; li purificherà e li illuminerà, ed essi vivranno e vedranno che in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio (Jn 1,1). Adesso dunque rendiamoci conto chi siamo noi e chi è colui che stiamo ascoltando. Cristo è Dio e parla con degli uomini. Vuol essere capito? Ce ne renda capaci. Vuol essere visto? Ci apra gli occhi. Non è senza motivo che ci parla; è vero quello che ci promette.

3. 3. Chi ascolta le mie parole - dice -e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non

subisce giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Dove e quando passiamo dalla morte alla vita, così da non incorrere nel giudizio? E' in questa vita che si passa dalla morte alla vita; proprio in questa vita che ancora non è vita. In che consiste questo passaggio? Chi ascolta la mia parola - dice -e crede a colui che mi ha mandato. Crederai e compirai questo passaggio, se metterai in pratica tali parole. Ma è possibile passare restando fermi? Certo che è possibile. Uno può restare fermo col corpo, e con l'anima compiere il passaggio. Dove era prima, per dove passa e dove va? Passa dalla morte alla vita. Ecco un uomo che non si muove e nel quale si realizza quanto stiamo dicendo. Egli sta li fermo e ascolta; forse non credeva e, ascoltando, crede: un momento fa non credeva e adesso crede. E' come se avesse compiuto un passaggio dalla regione dell'infedeltà alla regione della fede, muovendosi col cuore, non col corpo, e muovendosi in meglio; perché anche quelli che abbandonano la fede si muovono, ma in peggio. Vedi come in questa vita, che, come dico, non è ancora vita, si passa dalla morte alla vita per non incorrere nel giudizio. Perché ho detto che non è ancora vita? Se questa fosse vita, il Signore non avrebbe detto a quel tale: Se vuoi venire alla vita, osserva i comandamenti (Mt 19,17). Non gli ha detto: Se vuoi venire alla vita eterna; non ha aggiunto "eterna", ma ha detto semplicemente vita. Quella presente non si può nemmeno chiamare vita, non essendo la vera vita. Quale è la vera vita se non quella che è eterna? Ascolta che cosa dice l'Apostolo a Timoteo:

Raccomanda ai ricchi di questo mondo di non essere orgogliosi e di non riporre la loro speranza nelle instabili ricchezze, ma nel Dio vivo, che ci dà in abbondanza ogni cosa, affinché ne godiamo. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano liberali, generosi. A che scopo? Ascolta ciò che segue: Si accumulino per l'avvenire un tesoro posto su solide basi, che assicuri loro la vera vita (1Tm 6,17-19). Se devono accumularsi un tesoro per l'avvenire su solide basi che assicuri loro la vera vita, vuol dire che la loro vita attuale è una vita falsa. A che scopo, infatti, assicurarsi la vera vita, se uno già la possiede? Si deve raggiungere quella vera? bisogna emigrare da quella falsa. Donde e dove bisogna emigrare? Ascolta, credi, e realizzerai il passaggio dalla morte alla vita, e non incorrerai nel giudizio.

4. Che significa: non incorrerai nel giudizio? Nessuno potrà spiegarcelo meglio dell'apostolo Paolo, che dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, il bene o il male (2Co 5,10). Paolo dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo; e tu presumi di non dover comparire in giudizio? No, rispondi tu, non è che io mi riprometta questo, ma credo a colui che me lo promette. E' il Salvatore che parla, è la Verità che promette, è lui che mi ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna, è passato dalla morte alla vita e non incorrerà nel giudizio. Io quindi ho ascoltato la parola del mio Signore e ho creduto. Da infedele che ero, son diventato fedele; secondo la sua parola, io son passato dalla morte alla vita, e non incorro nel giudizio. Non è presunzione mia, è promessa sua. Paolo, dunque, dice il contrario di Cristo, il servo dice il contrario del Signore, il discepolo contraddice il maestro, l'uomo contraddice Dio, se mentre il Signore dice: Chi ascolta e crede, è passato dalla morte alla vita e non cade sotto giudizio, l'Apostolo dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo? Vorrà dire che non incorre nel giudizio chi deve comparire in tribunale? Non mi pare che sia cosi.

(Giudizio e condanna.)

2. 5. Ce lo rivela il Signore nostro Dio, e, per mezzo delle sue Scritture, c'insegna come si debba intendere il giudizio. Vi esorto a stare attenti. La parola "giudizio" a volte significa pena, altre volte discriminazione. Se si prende come discriminazione, allora si che tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, il bene o il male. La discriminazione consiste appunto nel distribuire i beni ai buoni e i mali ai cattivi. Perché se il giudizio dovesse intendersi sempre in senso negativo, il salmo non direbbe: Giudicami, o Dio (Ps 42,1). Potrebbe stupire l'espressione: Giudicami, o Dio. L'uomo infatti è solito dire: Iddio mi perdoni! Perdonami, o Dio! Ma chi direbbe: Giudicami, o Dio? E invece questo è un ritornello quando si recita il salmo: il lettore intona e il popolo risponde. Forse che qualcuno si impressiona e trova difficoltà a rivolgere a Dio questo ritornello: Giudicami, o Dio? No, il popolo credente canta, e non ritiene un cattivo desiderio quello che gli viene suggerito dalla lettura divina; anche se capisce poco, è convinto di cantare una cosa buona. Ma il salmo non ci lascia senza spiegazione: nel seguito, infatti, mostra di quale giudizio intende parlare, non di condanna ma di separazione. Dice infatti: Giudicami, o Dio. Che significa giudicami? Ecco che vien detto: separa la mia causa da quella di gente non santa. E' per questo giudizio di separazione che tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. E invece, quando dice: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non incorrerà nel giudizio, ma passa dalla morte alla vita, intende parlare di giudizio di condanna. Che significa non incorrerà nel giudizio? Che non incorrerà nella condanna. Proviamo, con le Scritture alla mano, che dove è detto giudizio si deve intendere condanna. In questa medesima pagina del Vangelo, del resto, sentirete che il termine giudizio viene usato solo nel senso di condanna o di pena. E l'Apostolo, scrivendo a quelli che mancavano di rispetto a quel Corpo che voi fedeli ben conoscete, e a causa di ciò minacciando i castighi del Signore, dice: E' per questo che ci son molti infermi tra voi e numerosi sono i malati che muoiono. Molti, infatti, perfino morivano. L'Apostolo prosegue dicendo: Che se ci esaminassimo noi stessi, non verremmo giudicati dal Signore, cioè se ci correggessimo da soli, non verremmo corretti dal Signore. Quando pero veniamo giudicati, veniamo corretti dal Signore, per non esser condannati con questo mondo (1Co 11,30-32). Ci sono dunque di quelli che vengono giudicati, cioè puniti qui per essere risparmiati dopo; ci sono altri che qui vengono trattati con indulgenza, e di là saranno trattati con maggior severità; altri, finalmente, non emendatisi quaggiù con i castighi correttivi di Dio, saranno ugualmente puniti lassù ma non più a scopo emendativo: costoro, che hanno disprezzato il Padre che li colpiva, proveranno il giudice che punisce. C'è quindi un giudizio che Dio, cioè il Figlio di Dio, riserva alla fine al diavolo e ai suoi angeli, e con lui a tutti gli infedeli e agli empi; a questo giudizio non verrà sottoposto chi adesso, credendo, passa dalla morte alla vita.

1. 6. E affinché tu non pensassi che, credendo, non avresti dovuto morire secondo la carne, e intendendo materialmente le sue parole subito non dicessi a te stesso: Il mio Signore mi ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, è passato dalla morte alla vita, e siccome io ho creduto, quindi non dovro morire; sappi che la morte è il tributo che devi pagare per la condanna inflitta ad Adamo. Cadde sopra di lui, nel quale tutti eravamo presenti, la condanna: Sarai colpito dalla morte .. (Gn 2,17). La sentenza divina non può essere annullata. E solo quando avrai pagato questo tributo della morte dell'uomo vecchio, verrai accolto nella vita eterna dell'uomo nuovo, e passerai dalla morte alla vita. Compi fin d'ora il passaggio dalla morte alla vita. Quale è la tua vita? E' la fede: Il giusto vive della fede (Ab 2,4 Rm 1,17). Che dire allora degli infedeli? Essi sono morti. A siffatti morti apparteneva, quanto al corpo, quel tale di cui il Signore disse: Lascia i morti seppellire i morti (Mt 8,22). In questa vita, quindi, vi sono dei morti e dei vivi, anche se apparentemente tutti sono vivi. Chi sono i morti? Quelli che non credono. Chi sono i vivi? Quelli che credono. Cosa dice ai morti l'Apostolo? Svegliati, tu che dormi. Ma dirai: parla di sonno, non di morte. Ascolta come prosegue: Svegliati tu che dormi, e risorgi dalla morte. E come se il morto chiedesse: e dove andro? l'Apostolo continua: E Cristo ti illuminerà (Ep 5,14). Quando, credendo in Cristo, sei da lui illuminato, tu passi dalla morte alla vita: permani nella vita alla quale sei passato e non incorrerai nel giudizio.

2. 7. Così spiega il Signore, aggiungendo: In verità, in verità vi dico. Affinché non intendessimo le sue parole: è passato dalla morte alla vita, come riferite alla risurrezione futura, e volendo mostrare come nel credente si compia questo passaggio e che questo passaggio dalla morte alla vita è il passaggio dall'infedeltà alla fede, dall'iniquità alla giustizia, dalla superbia all'umiltà, dall'odio alla carità, egli con solennità dichiara: In verità, in verità vi dico: viene l'ora, ed è questa ... Poteva essere più esplicito? In questo modo ci ha già chiarito il suo pensiero, che cioè si compie adesso il passaggio al quale Cristo ci esorta. Viene l'ora. Quale ora? ... ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che l'avranno ascoltata vivranno (Jn 5,25). Si è già parlato di questi morti. Credete voi, miei fratelli, che in mezzo a questa folla che mi ascolta non ci siano di questi morti? Quelli che credono e operano in conformità alla vera fede, son vivi e non morti; ma quelli che non credono, o credono alla maniera dei demoni, che cioè tremano di paura e vivono male (cf. Jc 2,19), che confessano il Figlio di Dio e sono privi di carità, son piuttosto da considerarsi morti. E certamente l'ora di cui parla il Signore è tuttora presente: non è una delle dodici ore del giorno. Da quando egli parlo fino al tempo presente, e sino alla fine del mondo, quest'ora è in corso. E' l'ora di cui parla Giovanni nella sua epistola: Figlioli, è iniziata l'ultima ora (1Jn 2,18). E' questa l'ora, è adesso. Chi vive, viva; chi era morto, risorga; ascolti, chi giaceva morto, la voce del Figlio di Dio, si alzi e viva. Il Signore lancio un grido verso il sepolcro di Lazzaro, e colui che era morto da quattro giorni, risuscito. Colui che già si decomponeva, usci fuori all'aria libera; era sepolto sotto una grossa pietra, la voce del Signore penetro la durezza della pietra; ma il tuo cuore è così duro che quella voce divina non è ancora riuscita a spezzarlo. Risorgi nel tuo cuore, esci fuori dal tuo sepolcro. Perché quando stavi morto nel tuo cuore, giacevi come in un sepolcro, ed eri come schiacciato sotto il peso della cattiva abitudine. Risorgi e vieni fuori! Che significa: Risorgi e vieni fuori? Credi e confessa. Colui che crede risorge, e colui che confessa esce fuori. Perché diciamo che colui che confessa viene fuori? Perché prima della professione di fede, era occulto; ma dopo la professione di fede, viene fuori dalle tenebre alla luce. E che cosa vien detto ai ministri, in seguito alla professione di fede? Lo stesso che Gesù disse presso il sepolcro di Lazzaro: Scioglietelo e lasciatelo andare (Jn 11,44). Così come è stato detto agli Apostoli, che sono i ministri del Signore: ciò che scioglierete in terra, sarà sciolto anche in cielo (Mt 18,18).

3. 8. Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. Come potranno vivere? In virtù della vita stessa. Di quale vita? Di Cristo? Come si dimostra che vivranno in virtù della vita che è Cristo? Io sono - egli dice -la via, la verità e la vita (Jn 14,6). Vuoi tu camminare? Io sono la via. Vuoi evitare l'errore? Io sono la verità. Vuoi sfuggire alla morte? Io sono la vita. Questo ti dice il tuo Salvatore: Non hai dove andare se non vieni a me, e non c'è via per cui tu possa camminare se io non sono la tua via. Adesso dunque è in corso quest'ora, è in corso sicuramente questo avvenimento che non cessa di compiersi. Risorgono quelli che erano morti e passano alla vita. Ricevono la vita alla voce del Figlio di Dio, e di lui vivono se perseverano nella sua fede. Il Figlio, infatti, possiede la vita ed è in grado di comunicarla ai credenti.

4. 9. In che senso egli ha la vita? Ha la vita così come l'ha il Padre. Ascolta ciò che egli dice: Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso (Jn 5,26). Fratelli, cerco di spiegarvelo come posso. Queste, infatti, son parole che turbano il nostro piccolo intelletto. Perché ha aggiunto in se stesso? Non era sufficiente dire: Come il Padre ha la vita, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita? Ha aggiunto: in se stesso: cioè come il Padre ha la vita in se stesso così anche il Figlio ha la vita in se stesso. Dicendo in se stesso, ha voluto inculcarci qualcosa. Il segreto è racchiuso in questa espressione. Bussiamo perché egli ci apra. Signore, che cosa hai voluto dire? Perché hai aggiunto in se stesso? Forse l'apostolo Paolo, che tu hai fatto vivere, non aveva la vita? Si, l'aveva. E gli uomini che erano morti e risuscitano e, credendo alla tua parola, passano dalla morte alla vita, una volta compiuto il passaggio, non avranno anch'essi in te la vita? Si, l'avranno, perché io stesso poc'anzi ho detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (Jn 5,24). Dunque, coloro che credono in te hanno la vita, ma di proposito non hai detto che ce l'hanno in se stessi. Parlando invece del Padre, tu dici: Come il Padre ha la vita in se stesso, e subito riferendoti a te: così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso. Ha concesso al Figlio di avere la vita come ce l'ha lui. Come ce l'ha il Padre? In se stesso. E al Figlio come ha concesso di averla? In se stesso. Paolo, invece, come ce l'aveva? Non in se stesso, ma nel Cristo. E tu, fedele, come hai la vita? Non in te stesso, ma nel Cristo. Vediamo se questo dice l'Apostolo: Vivo, non già io, ma vive in me Cristo (Ga 2,20). La vita nostra, in quanto nostra, in quanto cioè dipende dalla nostra propria volontà, non può essere che cattiva, peccaminosa e iniqua; la vita degna, invece, è in noi ma proviene da Dio, non da noi. E' da Dio che deriva questo dono, non da noi. Cristo ha la vita in se stesso, come il Padre, perché è il Verbo di Dio. Egli non vive ora bene, ora male; l'uomo, invece, prima vive male, poi bene. Chi vive male, vive di suo; chi vive bene, è perché è passato alla vita di Cristo. Se sei diventato partecipe della vita, vuol dire che non eri ciò che hai poi ricevuto, anche se, per poter ricevere, esistevi. Il Figlio di Dio non è esistito un tempo senza vita, da ricevere la vita in un secondo tempo; perché, se avesse avuto la vita in questo modo, non l'avrebbe in se stesso. Che significa, dunque, in se stesso? Significa che egli è la vita stessa.

(Cristo luce inestinguibile.)

1. 10. Cerchero di esprimermi in maniera ancora più semplice. Uno, ad esempio, accende la lucerna. La fiamma che splende nella lucerna, quel fuoco, ha la luce in se stesso. I tuoi occhi, invece, che, prima di accendere la lucerna, erano al buio e non vedevano nulla, adesso anch'essi hanno la luce, ma non in se stessi. perciò, se si distolgono dalla lucerna, ricadono nelle tenebre; se nuovamente si volgono verso di essa, tornano ad essere illuminati. Quel fuoco, pero, manda la luce finché dura: se gli vuoi sottrarre la luce, lo spegni, perché senza luce non può esistere. Ma Cristo è luce inestinguibile e coeterna al Padre: sempre arde, sempre splende, sempre riscalda. Se non riscaldasse, come potremmo cantare col salmo: Non c'è chi possa sottrarsi al suo calore? (Ps 18,7). Tu, invece, nel peccato eri gelido; voltati e avvicinati a lui, se vuoi riscaldarti; se ti allontani, ridiventi freddo. Nel tuo peccato eri tenebroso, volgiti verso di lui se vuoi essere illuminato; ma se volti le spalle alla luce, ricadrai nell'oscurità. Pertanto, siccome in te eri tenebra, illuminato non diventerai luce, anche se sarai nella luce. Dice infatti l'Apostolo: Foste un tempo tenebre, adesso invece siete luce nel Signore (Ep 5,8). Dopo aver detto adesso siete luce, aggiunge nel Signore. In te dunque eri tenebra, nel Signore sei luce. Perché sei luce? Sei luce in quanto partecipi della sua luce. E se ti allontani dalla luce che t'illumina, ricadi nelle tue tenebre. Non è così di Cristo, non è così del Verbo di Dio. Perché? Perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso, cosicché la sua non è una vita partecipata nel tempo ma una vita immutabile; anzi egli stesso è vita. Così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso. Come ce l'ha il Padre, così ha dato al Figlio di averla. Con quale differenza? Con la differenza che il Padre l'ha data e il Figlio l'ha ricevuta. Ma che forse esisteva già il Figlio, quando l'ha ricevuta? E' pero ammissibile che Cristo sia stato un tempo senza luce, lui che è la sapienza del Padre, e del quale è detto: è lo splendore della luce eterna (Sg 7,26)? Dire quindi ha dato al Figlio è come dire: ha generato il Figlio; generandolo, infatti, gli ha dato la vita. Come gli ha dato l'essere, così gli ha dato di essere vita, e precisamente di essere vita in se stesso. Che significa essere vita in se stesso? Che egli non ha bisogno di avere la vita da nessun altro, ma è egli stesso la pienezza della vita, da cui tutti i credenti, purché vivano, ricevono la vita. Ha dato a lui di avere la vita in se stesso: ha dato a lui, in quanto egli è il suo Verbo, in quanto in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio.

11. Essendosi poi il Verbo fatto uomo, cosa gli ha dato il Padre? Gli ha dato il potere di giudicare, perché è figlio d'uomo. In quanto è Figlio di Dio, gli ha dato di avere la vita in se stesso così come il Padre ha la vita in sé (Jn 5,27 Jn 26); e in quanto è figlio dell'uomo, gli ha dato il potere di giudicare. Questo è quanto ho esposto ieri alla vostra Carità: che nel giudizio è l'uomo che si vedrà, e Dio non si vedrà mentre, dopo il giudizio, Dio potrà esser visto da coloro che avranno superato il giudizio, ma non potrà mai essere visto dagli empi. E siccome nel giudizio si vedrà Cristo-uomo in quella medesima forma che aveva quando sali al cielo, perciò il Signore aveva detto prima: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Jn 5,22). Questo medesimo concetto riprende poi dicendo: Gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio d'uomo. Sembra con queste parole voler rispondere a te che chiedi: Perché gli ha dato il potere di giudicare? quando mai è stato senza questo potere? non aveva forse il potere di giudicare quando in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? e non aveva il potere di giudicare quando per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose (Jn 1,1 Jn 3)? Ma io dico: gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'uomo, nel senso che il Figlio ha ricevuto tale potere perché Figlio dell'uomo. Infatti, come Figlio di Dio ha sempre avuto tale potere. Ha ricevuto quel potere colui che fu crocifisso. Colui che accetto la morte ricevette la vita. Il Verbo di Dio non conobbe mai la morte, fu sempre in possesso della vita.

(Fede senza riserve.)

2. 12. Qualcuno di noi, a proposito della risurrezione, potrebbe dire: Ecco, noi siamo già risorti; chi ascolta Cristo, chi crede, passa dalla morte alla vita e non incorre nel giudizio; viene l'ora, anzi è già venuta, in cui chi ascolta la voce del Figlio di Dio, vivrà; era morto, ha ascoltato, ed ecco che risorge; che senso ha parlare di un'altra risurrezione? Abbi riguardo per te, non essere precipitoso in una affermazione di cui poi tu debba pentirti. Esiste certamente questa risurrezione che avviene ora: gli infedeli erano morti, ed erano morti anche gli iniqui, ed ora vivono, in quanto giusti, e passano dalla morte dell'infedeltà alla vita della fede. Ma non pensare che non ci sarà in seguito anche la risurrezione del corpo; devi credere che ci sarà altresi la risurrezione del corpo. Ascolta quanto dice il Signore dopo aver parlato di questa risurrezione che avviene mediante la fede, e lo dice appunto perché nessuno, pensando che esista soltanto questa, abbia a cadere nella disperazione e nell'errore di coloro che pervertono i sentimenti altrui affermando che la risurrezione è già avvenuta, e dei quali l'Apostolo dice che pervertono la fede di alcuni (2Tm 2,18). Credo che il loro ragionamento sia presso a poco questo: Ecco, il Signore ha detto: Chi crede in me, passa dalla morte alla vita; quindi la risurrezione dei fedeli che prima erano infedeli, è un fatto che già si compie; che senso ha, allora, parlare di un'altra risurrezione? Rendiamo grazie al Signore Dio nostro, che sostiene i vacillanti, guida gli esitanti e conferma i dubbiosi. Ascolta le parole che seguono, perché non c'è motivo di avvolgerti in una caligine di morte. Se è vero che hai creduto, credi tutto. Che cos'è, mi domandi, questo tutto che devo credere? Ascolta: Non vi meravigliate di cio, cioè non vi meravigliate che il Padre abbia dato al Figlio il potere di giudicare. Ma questo - ci dice - avverrà alla fine del mondo. In che senso alla fine del mondo? Ascolta: Non vi meravigliate di cio; perché viene l'ora. Qui non dice: ed è questa. Parlando della risurrezione mediante la fede, che ha detto? Viene l'ora, ed è questa (Jn 5,28 Jn 25). Invece, parlando di quest'altra risurrezione dei corpi, dice: Viene l'ora, senza aggiungere ed è questa, perché sarà alla fine del mondo.

3. 13. E come mi dimostri, domandi tu, che il Signore parla di questa risurrezione futura? Se ascolti con un po' di pazienza, tu stesso potrai averne la dimostrazione. Proseguiamo, dunque: Non vi meravigliate di cio; perché viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri ... (Jn 5,28). Quale prova più evidente che si tratta della risurrezione dei morti? Finora non aveva parlato

di quelli che sono nei sepolcri; aveva detto: i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che avranno ascoltato vivranno (Jn 5,25). Non dice che gli uni vivranno e gli altri saranno dannati, perché tutti quelli che credono vivranno. Di quelli che giacciono nei sepolcri, invece, che cosa dice? Tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno. Non dice che udranno e vivranno; poiché se vissero male e giacciono nei sepolcri, risorgeranno per la morte e non per la vita. Vediamo dunque chi sono quelli che usciranno dai sepolcri. Quando, dianzi, si diceva che i morti, ascoltando e credendo, vivranno, non si è fatta alcuna distinzione. Allora non è stato detto che i morti udranno la voce del Figlio di Dio e che, dopo averla udita, alcuni vivranno e altri saranno condannati, ma che tutti quelli che l'avranno ascoltata, vivranno; poiché vivranno solo quelli che credono, vivranno solo quelli che possiedono la carità, e nessuno di essi perirà. Riferendosi, invece, a quelli che sono nei sepolcri, dice che udranno la sua voce e ne usciranno: quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di giudizio (Jn 5,29). Qui giudizio sta ad indicare quella condanna di cui in precedenza aveva parlato: Chi crede in me è passato dalla morte alla vita, e non incorre nel giudizio (Jn 5,24).

(Dio contiene tutto nel suo unico verbo.)

1. 14. Da me io non posso far nulla: io giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è giusto (Jn 5,30). Se giudichi secondo che ascolti, da chi ascolti? Se dal Padre, è certo che il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio. In che senso tu, araldo del Padre, dici che ascolti? Il Signore risponde: Dico ciò che ascolto perché io sono ciò che è il Padre. Il mio dire è il mio essere, perché io sono il Verbo del Padre. E' questo che Cristo ti dice nell'intimo del cuore. Che vuol dire io giudico secondo che ascolto, se non che io giudico secondo ciò che sono? Infatti, in che modo Cristo ascolta? Domandiamocelo, fratelli, vi prego. Cristo ascolta dal Padre? E in qual modo il Padre gli parla? Se gli dice qualcosa, gli rivolge la parola; chiunque infatti dice qualcosa a qualcuno, lo fa mediante la parola. Ma in che modo il Padre parla al Figlio, se il Figlio è il Verbo, cioè la parola del Padre? Tutto ciò che il Padre dice a noi, ce lo dice per mezzo del suo Verbo. Ora, se il Figlio è il Verbo del Padre, con quale altra parola si rivolgerà al Verbo stesso? Unico è Dio, egli ha un solo Verbo e nell'unico Verbo contiene tutto. Che significa dunque: giudico secondo che ascolto? Come sono nel Padre, così giudico. Quindi il mio giudizio è giusto (Jn 5,30). Ma, Signore Gesù, se, come abbiamo potuto intendere con la nostra mente grossolana, tu non fai nulla da te, in che senso poco fa hai detto: così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Jn 5,21), mentre adesso dici: Non faccio nulla da me? Cosa vuole insegnarci il Figlio, se non che egli viene dal Padre? Colui che è dal Padre, non è da se stesso. Se il Figlio fosse da se stesso, non sarebbe Figlio: egli è dal Padre. Il Padre è tale perché non è dal Figlio; il Figlio è tale perché è dal Padre. Egli è uguale al Padre, e tuttavia è da lui, non viceversa.

2. 15. Perché io non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Jn 5,30). Il Figlio Unigenito dice: non cerco la mia volontà, e gli uomini vogliono fare la propria volontà! Si umilia tanto lui che è uguale al Padre, mentre s'innalza tanto chi giace così in basso che non potrebbe alzarsi se lui non gli porgesse la mano! Facciamo dunque la volontà del Padre, la volontà del Figlio e la volontà dello Spirito Santo: poiché questa Trinità è una sola volontà, una sola potenza, una sola maestà. Ecco perché il Figlio dice: Non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato, perché il Cristo non è da sé, ma è dal Padre suo. La forma in cui è apparso come uomo, l'ha presa dalla creatura che egli stesso aveva plasmato.

23

OMELIA 23

(Jn 5,19-40)

Jn 5,19-40


Voi non volete venire a me per avere la vita.

Nel Cristo, Dio fatto uomo, troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi, la sua condiscendenza ci prende per mano, la sua divinità ci fa giungere alla meta.

(Scavare in profondità.)

1. 1. In un passo del Vangelo il Signore dice che il saggio uditore della sua parola deve rassomigliare all'uomo che, volendo costruire, scava in profondità fino ad arrivare al fondamento stabile della roccia, e sopra di essa innalza la sua costruzione al sicuro dell'impeto della corrente del fiume. E così quando questo sopraggiunge con tutta la sua violenza, s'infrange contro la solidità di quella casa, anziché ridurla in rovine (Mt 7,24-25). La sacra Scrittura è da considerare come un campo in cui noi vogliamo costruire. Non dobbiamo essere pigri né superficiali. Scaviamo in profondità, fino ad arrivare alla pietra. E la pietra era Cristo (1Co 10,4).

2. 2. La lezione di oggi ci riferisce come il Signore attesti di non aver bisogno della testimonianza degli uomini, perché ne ha una superiore alla loro. Ed ecco la natura di questa testimonianza: Le opere che io faccio mi rendono testimonianza; e aggiunge: E mi rende testimonianza il Padre che mi ha mandato (Jn 5,36-37). Egli afferma di aver ricevuto dal Padre le opere stesse che egli compie. Gli rendono testimonianza le opere, gli rende testimonianza il Padre. E Giovanni, allora, non gli ha reso alcuna testimonianza? Certo che gliel'ha resa, ma come una lucerna; e non per confortare gli amici, ma per confondere i nemici. Già il Padre aveva predetto: Ho preparato una lucerna al mio Consacrato: riempiro di confusione i suoi nemici; sopra di lui, invece, rifulgerà la mia santità (Ps 131,17-18). Immaginati di essere di notte e di veder risplendere una lucerna, di guardarla e di esultare alla sua luce. Ma la lucerna ti dice che esiste il sole, che è quello in cui tu devi esultare: e, benché arda nella notte, ti comanda di vivere nell'attesa del giorno. Non si può dire, dunque, che non fosse necessaria la testimonianza di quell'uomo. A quale scopo sarebbe stato mandato, se non fosse stato necessario? Ma affinché l'uomo non si accontentasse della lucerna, illudendosi che gli bastasse quella luce, il Signore non disse che la lucerna fosse inutile, ma neppure che ci si poteva fermare ad essa. La Sacra Scrittura ci offre un'altra testimonianza. In essa è certamente Dio che rende testimonianza a suo Figlio; e in quella Scrittura che è la Legge di Dio, donata loro per il ministero di Mosè servitore di Dio, i Giudei avevano riposto la loro speranza. Ma il Signore dice: Scrutate le Scritture, nelle quali pensate di avere la vita eterna; esse stesse mi rendono testimonianza; eppure, voi non volete venire a me per avere la vita (Jn 5,39-40). Pensate di trovare nella Scrittura la vita eterna? Ebbene, interrogatela per sapere a chi rende testimonianza, e vedrete che cosa è la vita eterna. E poiché, in nome di Mosè volevano ripudiare Cristo come avversario delle istituzioni e dei precetti di Mosè, nuovamente li convince di errore, servendosi di un'altra lucerna.

3. 3. Tutti gli uomini, in effetti, sono come delle lucerne, che si possono accendere e spegnere. Le lucerne, quando sono piene di sapienza, risplendono e sono spiritualmente fervide; mentre, quando si spengono, mandano cattivo odore. I servi di Dio si conservarono lucerne ardenti in

virtù dell'olio della sua misericordia, non in virtù delle loro forze. Si, perché è la grazia gratuita di Dio l'olio delle lucerne. Più di tutti loro io ho lavorato, afferma una famosa lucerna; e affinché non si credesse che egli ardeva per risorse proprie, ha aggiunto: Non già io, ma la grazia di Dio con me (1Co 15,10). Tutte le profezie che precedono l'avvento del Signore, sono una lucerna; di essa l'apostolo Pietro dice: Abbiamo meglio confermata la parola profetica, alla quale fate bene a volgere lo sguardo, come a lucerna che brilla in luogo buio, finché non spunti il giorno, e si levi la stella del mattino nei vostri cuori (2P 2P 1,19). I profeti sono lucerne, e tutte le profezie nel loro insieme sono come una grande lucerna. E cosa sono gli Apostoli? Non sono lucerne anch'essi? Certamente. Solo il Cristo non è una lucerna: egli non si accende né si spegne; perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Jn 5,26). Anche gli Apostoli quindi sono lucerne: ed essi rendono grazie perché vengono accesi con la luce della verità, ardono in virtù dello Spirito di carità, li alimenta l'olio della grazia di Dio. Se non fossero lucerne, di essi non direbbe il Signore: Voi siete la luce del mondo. E dopo aver detto loro: Voi siete la luce del mondo, li avverte che non devono considerarsi luce, come è quella di cui si dice: Era la vera luce, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Jn 1,9). E' proprio questo che l'evangelista afferma del Signore per distinguerlo da Giovanni Battista. Di Giovanni infatti egli aveva detto: Non era lui la luce, ma veniva per rendere testimonianza alla luce (Jn 1,8). Tu potresti chiederti: perché non era la luce colui del quale Cristo afferma che era una lucerna (Jn 5,35)? Non era luce, in confronto all'altra luce. C'era la vera luce - dice l'evangelista -che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Cosi, avendo detto ai discepoli: Voi siete la luce del mondo, affinché non si arrogassero in alcun modo ciò che è proprio di Cristo, e affinché il vento della superbia non spegnesse la loro fiammella, il Signore subito ha aggiunto: Una città non può star nascosta se è situata su di un monte; né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, perché risplenda per tutti quelli che sono in casa. E perché non disse che gli Apostoli erano lucerne, ma disse che erano come coloro che accendono la lucerna che deve essere collocata sul candelabro? Ascolta come li abbia definiti anche lucerne: Similmente risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché, vedendo le vostre buone opere, glorifichino - non voi, ma - il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,14-16).

(E' Dio che rende beata l'anima.)

1. 4. Mosè ha reso testimonianza a Cristo, e testimonianza a Cristo hanno reso Giovanni Battista, e tutti i profeti e gli Apostoli. Ma al di sopra di tutte queste testimonianze, Cristo pone la testimonianza delle sue opere. Gli è che per mezzo di quelli era sempre Dio che rendeva testimonianza a suo Figlio. Ma ora in un altro modo Dio rende testimonianza al Figlio: è per mezzo del suo stesso Figlio che Dio rivela il Figlio, anzi, per mezzo del Figlio rivela se stesso. Se l'uomo riuscirà ad arrivare a lui, non avrà più bisogno di lucerne e, scavando davvero in profondità, avrà finalmente costruito l'edificio sulla roccia viva.

2. 5. Come vedete, fratelli, la lezione di oggi non presenta difficoltà; ma c'è da pagare il debito di ieri. So infatti di aver soltanto differito il debito contratto ieri, e il Signore si è degnato di offrirmi oggi l'occasione di pagarlo. Richiamate dunque alla memoria ciò che dovete chiedere a Dio, se vogliamo in qualche modo, col dovuto rispetto e con umiltà salutare, elevarci non contro Dio, ma verso Dio. Eleviamo a lui l'anima nostra, effondendola sopra di noi, come nel salmo faceva colui al quale si chiedeva Dov'è il tuo Dio? Ho meditato - egli dice -queste cose, ed ho effuso sopra di me l'anima mia (Ps 41,4-5). Eleviamo, dunque, l'anima non contro Dio, ma a Dio, come dice un altro salmo: A te, o Signore, ho elevato l'anima mia (Ps 24,1). Ed eleviamola col suo aiuto; poiché l'anima nostra è pesante. Perché è pesante? Perché il corpo che si corrompe, appesantisce l'anima, e la dimora terrena opprime la mente presa da molti pensieri (Sg 9,

15). Forse potremmo riuscire a raccogliere il nostro spirito dal molteplice all'uno, e riportarlo all'unità sottraendolo alla dispersione (il che è impossibile, già l'ho detto, se non ci aiuta colui il quale vuole che eleviamo a lui l'anima nostra); e così forse comprenderemo, almeno in parte, come il Verbo di Dio, l'Unigenito del Padre, insieme con lui eterno e a lui uguale, non possa fare se non ciò che ha visto fare al Padre, mentre lo stesso Padre non fa niente senza il Figlio che vede quanto egli fa. Mi sembra che in questo passo il Signore Gesù abbia voluto suggerire qualcosa di grande a quanti impegnano la loro attenzione, comunicare qualcosa di grande a quanti ne sono capaci, e gli incapaci stimolare alla ricerca affinché, vedendo che non lo comprendono, se ne rendano capaci mediante una vita degna. Ci ha voluto suggerire che l'anima e la mente razionale, di cui l'uomo, a differenza del bruto, è dotato, non puo ricevere la vita, la felicità e la luce, se non dall'essenza stessa di Dio. L'anima agisce per mezzo del corpo e nel corpo, tenendolo a sé soggetto; e per mezzo delle cose corporali i sensi possono ricevere piacevoli o sgradevoli impressioni, e per questo, cioè per la coesistenza e unione stretta che esiste in questa vita tra il corpo e l'anima, l'anima riceve diletto o tristezza secondo che le impressioni dei sensi sono piacevoli o sgradevoli. Tuttavia la beatitudine, che può rendere beata l'anima stessa, non si realizza se non mediante la partecipazione a quella vita sempre viva, a quella sostanza immutabile ed eterna che è Dio. E così come l'anima, che è inferiore a Dio, comunica la vita a ciò che è inferiore ad essa, cioè al corpo, così non puo, l'anima, ricevere la vita che la rende felice, se non da ciò che è superiore all'anima stessa. L'anima è superiore al corpo, e Dio è superiore all'anima. L'anima arricchisce ciò che è inferiore e riceve da chi le è superiore. Si ponga al servizio del suo Signore, se non vuol essere calpestata dal suo servo. In ciò consiste, o miei fratelli, la religione cristiana, che viene predicata in tutto il mondo suscitando la reazione degli avversari, i quali protestano quando sono vinti e infieriscono quando prevalgono. Questa è la religione cristiana, che consiste nel rendere onore ad un solo Dio, non a molti dèi. Non c'è che un solo Dio che può rendere beata l'anima. Essa diventa beata partecipando alla vita di Dio. Non diventa beata, l'anima debole, partecipando alla vita di un'anima santa; né diventa beata, l'anima santa, partecipando alla vita dell'angelo; ma se l'anima debole cerca la beatitudine, la cerchi laddove ha trovato la sua beatitudine l'anima santa. Tu non troverai la beatitudine nell'angelo, ma dove la trova l'angelo, li la troverai anche tu.

(Resurrezione dell'anima e del corpo.)

6. Ciò premesso e assodato: che l'anima razionale non può trovare la sua felicità se non in Dio, che il corpo non può vivere se non mediante l'anima, e che questa è come qualcosa d'intermedio tra Dio e il corpo; prestate attenzione e ricordate con me, non la lezione di oggi su cui ci siamo fermati abbastanza, ma quella di ieri che stiamo meditando e commentando ormai da tre giorni, scavando con tutte le nostre forze per arrivare fino alla roccia viva. Cristo è il Verbo; Cristo è il Verbo di Dio presso Dio; Cristo è il Verbo, e il Verbo è Dio. Cristo, Dio e il Verbo non sono che un solo Dio. A lui rivolgi lo sguardo, o anima, lasciando da parte e anche trascendendo tutto il resto; verso questa meta dirigi i tuoi passi. Non c'è creatura più potente di questa, non c'è creatura più sublime di questa, che si chiama anima razionale; al di sopra di essa non c'è che il Creatore. Dicevo, dunque, che Cristo è il Verbo, che è il Verbo di Dio, che è Dio; ma Cristo non è soltanto il Verbo, perché il Verbo si è fatto carne, e abito fra noi (Jn 1,14). Cristo quindi è il Verbo ed è carne; poiché Lui, di natura divina, non tenne per sé gelosamente l'essere pari a Dio. Che sarebbe stato di noi, quaggiù nell'abisso, deboli e attaccati alla terra e perciò nell'impossibilità di raggiungere Dio? Potevamo essere abbandonati a noi stessi? No assolutamente. Egli anniento se stesso prendendo la forma di servo (Ph 2,6-7); senza, pero, abbandonare la forma di Dio. Si fece dunque uomo colui che era Dio, assumendo ciò che non era senza perdere ciò che era; così Dio si fece uomo. Da una parte qui trovi il soccorso alla tua debolezza, dall'altra qui trovi quanto ti occorre per raggiungere la perfezione. Ti sollevi Cristo in virtù della sua umanità, ti guidi in virtù della sua umana divinità, ti conduca alla sua divinità. Tutta la predicazione cristiana, o fratelli, e l'economia della salvezza incentrata nel Cristo, si riassumono in questo e non in altro: nella risurrezione delle anime e nella risurrezione dei corpi. Ambedue erano morti: il corpo a causa della debolezza, l'anima a causa dell'iniquità; ambedue erano morti ed era necessario che ambedue, l'anima e il corpo, risorgessero. In virtù di chi risorge l'anima, se non in virtù di Cristo Dio? In virtù di chi risorge il corpo, se non in virtù di Cristo uomo? Anche il Cristo possedeva l'anima umana, tutta l'anima umana; non soltanto la parte irrazionale, ma anche quella razionale che si chiama mente. Ci sono stati certi eretici, espulsi dalla Chiesa, i quali ritenevano che il corpo di Cristo non possedesse l'anima razionale, ma un'anima presso a poco come quella dei bruti; si, perché se si toglie l'anima razionale, non rimane altra vita che quella dei bruti. Essi sono stati espulsi, e con ragione sono stati espulsi. Accetta, dunque, il Cristo tutto intero: Verbo, anima razionale e carne. Questo è il Cristo nella sua totalità. Risorga la tua anima dall'iniquità in virtù della sua divinità e risorga il tuo corpo dalla corruzione in virtù della sua umanità. Pertanto, o carissimi, non vi sfugga la profondità di questa pagina, che a me pare piuttosto notevole, e osservate che qui in sostanza il Cristo parla dello scopo della sua venuta, che è precisamente la risurrezione dell'anima dall'iniquità e la risurrezione dei corpi dalla corruzione. Vi ho già detto che le anime risorgono in virtù della sostanza stessa di Dio, e i corpi risorgono in virtù dell'incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo.

7. In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre; poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Jn 5,19). Il cielo, la terra, il mare; le cose che sono in cielo, sulla terra, nel mare; le cose visibili e le invisibili, gli animali della terra, gli alberi fruttiferi dei campi; ciò che nuota nell'acqua e vola nell'aria e brilla in cielo; inoltre gli Angeli, le Virtù, i Troni, le Dominazioni, i Principati e le Potestà, tutto è stato fatto per mezzo di lui (Jn 1,3). Forse che Dio ha fatto tutto questo, e, dopo averlo fatto, lo ha mostrato al Figlio perché il Figlio facesse un altro mondo pieno di tutte queste cose? Certamente no. E allora? ciò che fa il Padre, le stesse cose - le stesse cose non altre -fa anche il Figlio - e non le fa in altra maniera, ma -nel medesimo modo. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa (Jn 5,19-20). Il Padre mostra al Figlio come si risuscitano le anime; perché vengono risuscitate per mezzo del Padre e del Figlio, e non possono vivere, le anime, se non di Dio che è la loro vita. Ora, dato che le anime non possono vivere se Dio non è la loro vita, allo stesso modo che esse sono la vita dei corpi; ciò che il Padre mostra al Figlio, cioè quanto egli fa, lo fa per mezzo del Figlio. Poiché non mostra al Figlio facendo, ma mostrando fa per mezzo del Figlio. Il Figlio infatti vede il Padre che gli mostra quanto fa prima ancora di farlo, e da questo mostrare del Padre e vedere del Figlio si ha come risultato l'opera del Padre compiuta per mezzo del Figlio. In questo modo vengono risuscitate le anime, se riescono a vedere questa unità perfetta del Padre che mostra e del Figlio che vede; e cosi, per opera del Padre che mostra e del Figlio che vede, si compie la creazione. E questo che si compie per opera del Padre che mostra e del Figlio che vede, non è il Padre né il Figlio, poiché tutto ciò che compie il Padre per mezzo del Figlio è inferiore al Padre e al Figlio. Chi può comprendere cio?

(Processo di interiorizzazione.)

2. 8. Eccoci di nuovo ai pensieri della carne, ecco che di nuovo scendiamo e ci mettiamo al vostro livello, se mai ci siamo elevati alquanto sopra di voi. Vuoi mostrare qualcosa a tuo figlio, perché faccia quello che hai fatto tu per primo? Devi farlo tu e quindi mostrarglielo. Ora, in ciò che fai per mostrarlo a tuo figlio, certamente non ti servi di lui per farlo. Lo fai tu solo e lui vede quello che fai tu, per fare poi altrettanto e nel medesimo modo. In Dio non è cosi. Perché lo fai agire a

tua somiglianza, al punto da cancellare in te la somiglianza divina? Niente di tutto questo in Dio. Ecco, ho trovato come un caso in cui potresti mostrare a tuo figlio qualcosa prima di farlo e, dopo che gliel'hai mostrato, farlo tu per mezzo suo. Hai deciso che cosa intendi fare. Ad esempio, tu dici: intendo fare una casa, e voglio costruirla io per mezzo di mio figlio; ebbene, prima di costruirla mostro a mio figlio ciò che voglio fare, ed egli la fa, e anch'io la faccio per mezzo di lui al quale ho voluto mostrare la mia volontà. Si, ti sei allontanato dalla similitudine precedente, ma sei ancora molto lontano dalla verità. Infatti, prima di fare la casa, indichi e mostri a tuo figlio ciò che vuoi fare, sicché mostrandoglielo prima di farlo, egli attua ciò che gli mostri, e anche tu per mezzo di lui; ma dovrai parlare a tuo figlio, dovrà esserci fra te e lui uno scambio d'idee; fra chi mostra e chi vede, fra chi parla e chi ascolta risuona nell'aria la pronuncia di sillabe che non si può identificare né con ciò che sei tu né con ciò che è lui. Si, il suono che esce dalla tua bocca e percuote l'aria, raggiunge l'orecchio di tuo figlio, e dopo avergli riempito l'udito, porta al suo cuore il tuo pensiero; questo suono non è né te né tuo figlio. E' un segno trasmesso dal tuo spirito allo spirito di tuo figlio, segno che non s'identifica né col tuo animo né con l'animo di tuo figlio, ma è un'altra cosa. Possiamo dire che è così che il Padre parla col Figlio? C'è stato uno scambio di parole tra Dio e il suo Verbo? E' cosi? Se il Padre vuol dire qualcosa al Figlio, se vuol dirgliela con delle parole, dato che il Figlio stesso è il Verbo, la Parola del Padre, dovrebbe forse dirgliela con una parola distinta dal Verbo? Oppure, poiché il Figlio è il grande Verbo, la grande Parola del Padre, tra il Padre e il Figlio intercorrono forse parole minori? E' da credere che un suono, come creatura temporale e alata, possa uscire dalla bocca del Padre e colpire l'orecchio del Figlio? Forse che Dio possiede il corpo, perché il suono possa uscire dalla sua bocca? Forse che il Verbo possiede orecchie corporali alle quali possa giungere il suono? Rimuovi tutto ciò che è corporeo, tieni conto della semplicità divina, se vuoi essere semplice. Ma come puoi essere semplice? Non diventar prigioniero del mondo, ma distaccati da esso. Se riuscirai a mantenerti libero, potrai essere semplice. Cerca di capire quello che dico; e se non puoi, credi ciò che non comprendi. Ciò che dici a tuo figlio glielo dici mediante la parola; e tu non sei la parola che viene pronunciata e neanche tuo figlio.

9. Ho un altro mezzo, tu dirai, per mostrare ciò che voglio: mio figlio è intelligente e m'intende senza che io parli, basta che gli mostri con un cenno quello che deve fare. Ebbene, mostragli con un cenno quello che vuoi, il tuo animo ha bisogno di mostrare ciò che ha dentro. Con che cosa fai questo cenno? Con il tuo corpo, ossia con le labbra, con il volto, con le ciglia, con gli occhi, con le mani. Nessuna di queste parti del tuo corpo sono il tuo animo: esse sono soltanto mezzi. Tu riesci a farti intendere per mezzo di questi, che non sono né il tuo animo né l'animo di tuo figlio; ma tutto questo che compi col corpo, è inferiore al tuo animo e all'animo di tuo figlio; e tuttavia, senza questi segni corporali, tuo figlio non potrebbe conoscere il tuo animo. E allora? Questo non è il caso di Dio: in lui è perfetta semplicità. Il Padre mostra al Figlio ciò che fa, e mostrando genera il Figlio. Mi rendo conto di cio che sto dicendo; ma siccome conosco anche a chi lo dico, vorrei che una volta tanto riusciste a capire. Se non potete comprendere chi è Dio, comprendete almeno che cosa non è. E' già tanto non avere di Dio un'idea sbagliata. Non sei ancora arrivato a sapere chi è Dio? Renditi conto almeno di ciò che non è. Dio non è corpo, non è terra, cielo, luna, stelle, sole: non è nessuna di queste realtà corporali. E se non è nessuna realtà celeste, tanto meno è una realtà terrestre. Elimina da lui ogni forma corporea. E ascolta un'altra cosa: Dio non è spirito mutevole. Lo riconosco, e bisogna ammetterlo perché lo afferma il Vangelo: Dio è spirito (Jn 4,24). Ma trascendi ogni spirito mutevole, trascendi lo spirito che ora sa, ora non sa; ricorda e dimentica; vuole ciò che prima non voleva, non vuole ciò che prima voleva. Sia che vada soggetto a questi mutamenti, sia che vi possa andare, trascendi tutto questo. Non c'è in Dio alcun mutamento, niente che adesso è così e prima non era cosi; poiché dovunque avverti il passaggio da un modo di essere ad un altro modo di essere, li c'è il segno della morte: la morte infatti consiste nel non essere più ciò che si era. Si dice che l'anima è immortale, e certamente lo è; l'anima vive sempre e possiede in sé un principio permanente di vita, anche se il suo modo di vivere è mutevole; e a causa di questo mutevole modo di vivere, si può dire altresi che è mortale. Se, infatti, viveva sapientemente ed è diventata stolta, decadendo è morta: è morta cambiando in peggio; se invece viveva da stolta ed è diventata sapiente, è morta cambiando in meglio. La Scrittura c'insegna che esiste una morte in peggio, ed esiste una morte in meglio. Ad esempio, erano morti in peggio quelli di cui si dice: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,22); come pure: Sorgi, tu che dormi, risvegliati dai morti e Cristo ti illuminerà (Ep 5,14); come pure in questo passo: I morti udranno la voce e quelli che l'avranno ascoltata vivranno (Jn 5,25). Erano morti in peggio, e per questo ritornano in vita: la risurrezione è una morte in meglio, perché mediante la risurrezione cessano di essere ciò che erano; e la morte è questo: cessare di essere ciò che si era. Ma se si tratta di un passaggio in meglio, si può ancora chiamare morte? L'Apostolo la chiama morte: Se siete morti con Cristo agli elementi di questo mondo, perché ci considerate ancora come viventi di questo mondo? (Col 2,20). E ancora: Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). Egli vuole che noi moriamo per vivere, dal momento che abbiamo vissuto per morire. Quindi tutto ciò che muore, in peggio o in meglio, non è Dio. La somma bontà non può migliorare, né la vera eternità corrompersi. C'è vera eternità là dove non esiste tempo. Se una cosa era in un modo e adesso è in un altro, vuol dire che è legata al tempo, e non è più eterna. E' assodato dunque che Dio non è come l'anima. L'anima è certamente immortale; ma di Dio l'Apostolo dice: Colui che solo possiede l'immortalità (1Tm 6,16), volendo chiaramente intendere che possiede l'immortalità solo chi possiede la vera eternità. In Dio non c'è mutazione alcuna.

(Cercare il Creatore nella sua immagine.)

1. 10. Riconosci in te qualcosa di quanto voglio dire: lo troverai dentro di te, nel tuo intimo. Non nel tuo corpo, anche se si può dire "in te" facendo riferimento solo al tuo corpo. In te c'è la salute, in te c'è una determinata età, ma secondo il corpo; in te è la mano, il piede. C'è qualcosa in te di intimo e di profondo, e qualcosa, invece, che aderisce a te come vi aderisce la tua veste. Lascia fuori la tua veste e anche la tua carne, rientra in te, penetra nel tuo intimo, nella tua anima, e se ti è possibile, cerca di vedere dentro di te ciò che sto dicendo. Se tu stesso sei lontano da te, come potrai avvicinarti a Dio? Ti parlavo di Dio, e tu credevi di poterlo comprendere; adesso ti parlo dell'anima, adesso ti parlo di te; vediamo se comprendi, voglio metterti alla prova. Non vado troppo lontano a cercare gli esempi, quando voglio trovare nella tua stessa anima la somiglianza col tuo Dio. L'uomo, infatti, è stato fatto ad immagine di Dio, non nel corpo, ma nello spirito. Cerchiamo, dunque, Dio nella sua somiglianza, riconosciamo il Creatore nella sua immagine. Cerchiamo, per quanto è possibile, di trovare li dentro all'anima cio di cui stiamo parlando: come mostra il Padre al Figlio, e come il Figlio vede ciò che il Padre gli mostra, prima che il Padre faccia alcunché per mezzo del Figlio. Ma se arriverai a capire ciò che ti dico, non dovrai subito pensare che in Dio sia proprio cosi. Dovrai, invece, mantenere quel rispetto religioso, che vorrei non venisse mai meno in te. E soprattutto ti raccomando una cosa: se ancora non riesci a comprendere ciò che è Dio, non ritenere cosa da poco sapere ciò che non è.

2. 11. Nella tua anima scorgo due facoltà, la memoria e l'intelletto, che sono l'occhio e lo sguardo dell'anima. Vedi una cosa, la cogli per mezzo degli occhi e l'affidi alla memoria: essa custodisce quanto le hai affidato, essa è come un granaio, come uno scrigno, come un luogo recondito e intimo. Tu ora pensi ad altro, la tua attenzione è rivolta altrove: ma ciò che hai visto è conservato nella tua memoria, anche se tu non te ne rendi conto perché la tua attenzione è rivolta ad altro. Faccio un esempio che si riferisce alla vostra esperienza. Nomino Cartagine: in

questo momento tutti voi che conoscete Cartagine, la vedete dentro di voi. Esistono forse tante Cartagini quante sono le vostre anime? E' bastato pronunciarne il nome perché tutti la vedeste dentro di voi. Queste quattro sillabe, a voi familiari, sono uscite dalla mia bocca, hanno colpito le vostre orecchie e, attraverso il corpo, hanno raggiunto la vostra anima; e l'anima, che stava pensando ad altro, è stata richiamata a ciò che già in lei si trovava, e ha visto Cartagine. E' stato in questo momento che si è formata in lei l'immagine di Cartagine? No, c'era già, ma era nascosta. Perché restava li nascosta? Perché il tuo animo attendeva ad altro. Quando, pero, il tuo pensiero è stato richiamato a ciò che già esisteva nella memoria, allora si è formata e prodotta la visione dell'animo. Prima non c'era la visione, ma c'era la memoria; richiamato il pensiero alla memoria, è avvenuta la visione. La tua memoria, quindi, ha mostrato Cartagine al tuo pensiero, gli ha mostrato ciò che era nell'anima prima che se ne rendesse conto, richiamandone l'attenzione. Ecco, la memoria ha mostrato e il pensiero ha visto; senza bisogno di parole né di alcun segno corporale, né di cenni, o scritti, o suoni; senza bisogno di tutto questo, il pensiero ha visto ciò che la memoria gli ha mostrato. La memoria che mostra e il pensiero che vede appartengono alla medesima essenza. Ma Cartagine esiste nella tua memoria mediante l'immagine che per mezzo dei tuoi occhi hai formato. Hai visto, dunque, ciò che avevi riposto nella tua memoria. Così come hai visto l'albero che ora ricordi, il monte, il fiume, il volto dell'amico, del nemico, del padre, della madre, del fratello, della sorella, del figlio, del vicino; come hai visto le lettere d'un manoscritto, il manoscritto stesso, questa basilica: hai visto tutto questo, lo hai visto perché già esisteva, lo hai affidato alla memoria, e in essa lo conservi per vederlo col pensiero quando vuoi, anche quando tutto questo è lontano dagli occhi del corpo. Hai visto Cartagine quand'eri a Cartagine; per mezzo degli occhi la tua anima ne ha attinto l'immagine; questa immagine è stata riposta nella tua memoria quando ancora ti trovavi in quella città e l'hai conservata dentro di te per vederla in te anche quando non ti fossi più trovato colà. Tutte queste impressioni tu le hai ricevute di fuori. Ciò che il Padre mostra al Figlio, invece, non lo riceve di fuori: tutto avviene dentro; tanto che non esisterebbe creatura alcuna di fuori, se non l'avesse fatta il Padre per mezzo del Figlio. Ogni creatura è stata fatta da Dio, e prima di esser fatta non esisteva. Non può quindi esser stata fatta e poi vista e conservata nella memoria, perché il Padre la mostrasse al Figlio, come la memoria la mostra al pensiero. Il Padre ha mostrato la creatura prima di farla e il Figlio l'ha vista prima di farla, e il Padre l'ha fatta mostrandogliela perché l'ha fatta per mezzo del Figlio che la vedeva. perciò la frase: se non ciò che vede fare al Padre, non deve impressionare. Non dice: se non ciò che gli mostra il Padre. Questo significa che per il Padre "mostrare" è lo stesso che "fare", così che ci si convinca che il Padre fa tutto per mezzo del Figlio che vede. Né questo mostrare né questo vedere appartengono al tempo. Per mezzo del Figlio, infatti, sono stati creati tutti i tempi, e quindi non può essergli mostrato, in un determinato tempo, ciò che doveva essere fatto. Il mostrare del Padre genera il vedere del Figlio. E' l'atto di mostrare, infatti, che genera la visione, non viceversa. Che se ci fosse dato di penetrare la verità in maniera più chiara e più completa, potremmo renderci conto che il Padre non differisce dal suo mostrare né il Figlio dal suo vedere. Ma se a malapena siamo riusciti a comprendere e a malapena siamo riusciti a spiegare come possa la memoria mostrare al pensiero ciò che essa attinge di fuori, come pretendiamo di capire e spiegare in che modo Dio mostra al Figlio ciò che non riceve d'alcuna parte e che s'identifica con ciò che egli stesso è? Siamo tanto piccoli! Vi posso dire ciò che Dio non è, non vi posso mostrare ciò che è. Cosa dovremo fare per arrivare a conoscere chi è? Credete di poterlo sapere da me o per mezzo mio? Io cerco di dirlo come si fa con i piccoli, perché tali siamo, voi ed io. C'è chi può dircelo. Abbiamo appena cantato e ascoltato: Getta il tuo pensiero nel Signore, ed egli ti nutrirà (Ps 54,23). E' per questo che non puoi, o uomo, perché sei piccolo; se sei piccolo, devi essere nutrito ed allora potrai crescere. E ciò che non potevi vedere da piccolo, lo potrai da grande. Ma per nutrirti getta il tuo pensiero nel Signore, ed egli ti nutrirà.

12. Scorriamo ora brevemente ciò che resta di questo passo, e vedrete come il Signore cerchi di farvi capire quanto vi ho qui spiegato. Il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa. Egli stesso risuscita le anime, ma lo fa per mezzo del Figlio, affinché le anime risuscitate possano fruire dell'essenza divina, che è quella del Padre e del Figlio. E gli mostrerà opere maggiori di queste. Maggiori di quali? Maggiori delle guarigioni dei corpi. Ne abbiamo già parlato e non è il caso di soffermarcisi. E' infatti opera ben maggiore la risurrezione del corpo per l'eternità che la guarigione temporale del corpo procurata a quell'infermo. E gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati (Jn 5,20). Gli mostrerà, dice, quasi intendendo qualcosa che accadrà nel tempo. Cioè mostrerà come a un uomo creato nel tempo. Il Verbo, che è Dio, e per mezzo del quale sono stati creati tutti i tempi, non è stato creato: Cristo pero in quanto uomo è stato fatto nel tempo. Si sa sotto quale console e in quale giorno la Vergine Maria partori Cristo, che ella aveva concepito dallo Spirito Santo. Divento quindi uomo nel tempo colui per mezzo del quale, come Dio, furono creati tutti i tempi. E' dunque nel tempo che gli mostrerà opere ancora maggiori, come appunto è la risurrezione dei corpi, che sarà operata per mezzo del Figlio e che ci riempirà di meraviglia.

13. Più avanti il Signore torna a parlare della risurrezione delle anime: Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole: è la risurrezione secondo lo spirito. E' il Padre che fa vivere, ed è il Figlio: il Padre fa vivere chi vuole, e il Figlio fa vivere chi vuole; e il Padre gli stessi che il Figlio, perché per mezzo di lui tutto è fatto. Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Questo si riferisce alla risurrezione delle anime. E la risurrezione dei corpi? Ribadisce: Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio. La risurrezione delle anime si compie in virtù della sostanza eterna e immutabile del Padre e del Figlio; la risurrezione dei corpi si compie, invece, in forza dell'economia temporale dell'umanità del Figlio, che non è coeterna al Padre. perciò riferendosi al giudizio, quando si compirà la risurrezione dei corpi, dice: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio; mentre, riferendosi alla risurrezione delle anime, dice: Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Questa risurrezione è attribuita insieme al Padre e al Figlio, mentre a proposito della risurrezione dei corpi dice: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Questo si riferisce alla risurrezione delle anime: affinché tutti onorino il Figlio - dice. In qual modo? come onorano il Padre. Il Figlio infatti compie la risurrezione delle anime, come il Padre; il Figlio fa vivere, come il Padre. Quindi per la risurrezione delle anime tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. E a proposito dell'onore che si deve per la risurrezione del corpo? Chi non onora il Figlio, neppure onora il Padre che lo ha mandato (Jn 5,21-23). Non dice "come onora" ma dice: onora il Padre e onora il Figlio. Si deve onorare Cristo uomo, ma non come Dio Padre. Perché? Perché, in quanto uomo, il Signore ha detto: Il Padre è maggiore di me (Jn 14,28). In che senso, allora, si deve onorare il Figlio come si onora il Padre? In quanto in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e in quanto tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Jn 1,1 Jn 3). E che dice di quell'onore dovuto al Figlio in quanto uomo? Chi non onora il Figlio, neppure onora il Padre che lo ha mandato. Il Figlio è stato mandato in quanto si è fatto uomo.

(Ambientazione della parola di Dio.)

2. 14. In verità, in verità vi dico. Il Signore torna a parlare della risurrezione delle anime; affinché, a forza d'insistere, noi arriviamo a capire. E siccome non saremmo riusciti a seguire un discorso troppo rapido, vedete come la Parola di Dio s'intrattiene con noi? Vedete com'è condiscendente verso la nostra debolezza. Ritorna sul tema della risurrezione delle anime. In verità, in verità vi

dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la vita eterna. Ha la vita eterna dal Padre. Infatti dice: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, da parte del Padre ha la vita eterna, in quanto appunto crede in colui che lo ha mandato. E non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. E questa vita la riceve dal Padre, nel quale ha creduto. Ma come, non dai la vita anche tu, o Cristo? Certamente, perché anche il Figlio fa vivere chi vuole. E continua: In verità, in verità vi dico: viene l'ora in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. Qui non dice: quelli che credono in colui che mi ha mandato vivranno, ma dice che ascoltando la voce del Figlio di Dio, quelli che l'avranno ascoltata - cioè avranno obbedito al Figlio di Dio -vivranno. Quindi saranno vivificati dal Padre per aver creduto al Padre, e saranno vivificati dal Figlio ascoltando la voce del Figlio di Dio. E perché riceveranno la vita tanto dal Padre che dal Figlio? Perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Jn 5,24-26).

15. Concluso il discorso sulla risurrezione delle anime, rimane da chiarire quello sulla risurrezione dei corpi. E a lui ha dato il potere di giudicare. Gli ha dato il potere non soltanto di risuscitare le anime mediante la fede e la sapienza, ma anche di giudicare. E a quale titolo? Perché è Figlio dell'uomo. Il Padre dunque per mezzo del Figlio dell'uomo fa qualcosa che non fa in virtù della sua natura divina in cui il Figlio è uguale a lui. Così il nascere, l'esser crocifisso, il morire, il risorgere: niente di tutto ciò accade al Padre. E così il far risuscitare i corpi. Il Padre fa risuscitare le anime in virtù della sua natura e in virtù della natura divina del Figlio, che in questa è uguale a lui. E' così che le anime diventano partecipi della sua luce immutabile. Non altrettanto avviene per i corpi: la risurrezione dei corpi il Padre la effettua per mezzo del Figlio dell'uomo. Infatti gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'uomo; secondo quanto ha detto prima: Il Padre non giudica nessuno. E per dimostrare che ha detto questo in ordine alla risurrezione del corpo, dice: Non vi meravigliate di cio, perché viene l'ora; non dice ed è adesso, ma viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri (e di questo anche ieri avete sentito parlare fino alla sazietà) udranno la sua voce e ne usciranno. E dove andranno? Al giudizio? Quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di condanna. E tu, o Cristo, fai questo da solo, perché il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio? Si - risponde il Signore -, lo faccio io da solo. Ma in che modo lo fai? Da me io non posso far nulla; giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è giusto. Quando si trattava della risurrezione delle anime, non diceva ascolto, ma diceva vedo. Ascolto esprime l'idea d'un ordine ricevuto dal Padre. E' dunque come uomo, di cui il Padre è maggiore, è nella forma di servo non nella natura di Dio che dice: Giudico secondo che ascolto; e il mio giudizio è giusto. Come può essere giusto il giudizio d'un uomo? Fratelli miei, ascoltate con attenzione: perché non cerco la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato (Jn 5,27-30).


Agostino - Commento Gv 22