Agostino - Commento Gv 38

38

OMELIA 38

(Jn 8,21-25)

Jn 8,21-25


Io sono il Principio che vi parlo.

Il Principio non può mutare in sé e rinnova tutto. Egli è sempre lo stesso, e i suoi anni non verranno mai meno.

1. La lettura precedente del santo Vangelo si è conclusa affermando che il Signore, insegnando nel tempio, disse ciò che ritenne opportuno e che voi avete ascoltato; e l'evangelista aggiunse che nessuno lo arresto perché non era ancora giunta la sua ora (Jn 8,20). Da queste parole abbiamo tratto il discorso che domenica passata il Signore ci ha concesso di pronunciare. Abbiamo cercato di spiegare alla vostra Carità il significato delle parole: non era ancora giunta la sua ora, al fine di escludere ogni empia insinuazione che Cristo sia soggetto a necessità fatale. Non era ancora giunta l'ora da lui fissata, secondo quanto di lui era stato predetto; l'ora in cui non sarebbe stato costretto a morire contro la sua volontà, ma in cui era disposto a farsi uccidere.

(Come cercare Cristo.)

2. 2. Parlando ora della sua passione, alla quale non era costretto ma che dipendeva dal suo potere, dice ai Giudei: Io vado. Per Cristo Signore infatti la morte è stata una partenza per quel luogo donde era venuto, e dal quale non si era mai allontanato. Io - dice -vado, e voi mi cercherete (Jn 8,21), mossi non dal desiderio ma dall'odio. Infatti, dopo che egli si fu allontanato dagli occhi degli uomini, si misero a cercarlo sia quelli che lo odiavano sia quelli che lo amavano: i primi perseguitandolo, i secondi desiderando di possederlo. Nei salmi il Signore stesso ha detto per bocca del profeta: Non c'è scampo per me; nessuno si dà pensiero della mia vita (Ps 141,5). E in un altro salmo: Siano delusi e confusi quelli che cercano la mia vita (Ps 39,15). Accusa quelli che non lo cercano e condanna quelli che lo cercano. E' male infatti non cercare la vita di Cristo, ma come la cercarono i discepoli; è male cercare la vita di Cristo, come la cercarono i Giudei: i primi la cercavano per averla, gli altri per sopprimerla. Che disse a costoro che lo cercavano con intenzione malvagia, con cuore perverso? Voi mi cercherete, e, affinché non crediate di cercarmi bene, morrete nel vostro peccato (Jn 8,21). Questo è cercare male Cristo: morire nel proprio peccato; questo è odiare colui per mezzo del quale solo si può essere salvi. Mentre gli uomini che pongono in Dio la loro speranza, non debbono rendere male neppure se ricevono del male, costoro rendevano male per bene. Il Signore preannuncia a costoro la condanna che già conosceva, dicendo che morranno nel loro peccato. Poi aggiunge: Dove io vado, voi non potete venire (Jn 8,21 Jn 13,33). Disse cosi, in altra occasione, anche ai discepoli; ai quali tuttavia non disse: Morrete nel vostro peccato. Che disse invece? ciò che disse ai Giudei, cioè: dove io vado voi non potete venire. Non toglieva loro la speranza, annunciava solo una dilazione. Quando infatti il Signore parlava così ai discepoli, allora essi non potevano andare dove egli andava, ma ci sarebbero andati dopo; costoro invece, ai quali, conscio del futuro, disse: Morrete nel vostro peccato, non ci sarebbero andati mai.

3. 3. Al sentir queste parole, i Giudei, abituati a pensare e a giudicare secondo la carne e ad interpretare materialmente tutto ciò che ascoltavano, dissero: Vuole forse uccidersi, che dice: Dove vado io voi non potete venire? (Jn 8,22). Parole stolte e prive di ogni intelligenza. Non potevano forse raggiungerlo, se si fosse ucciso? Non dovevano forse morire anch'essi? Che significa dunque la frase: Vuole forse uccidersi, che dice: Dove vado io voi non potete venire? Se intendeva parlare della morte naturale, quale è l'uomo che non ha da morire? Disse quindi dove vado io, non alludendo alla morte, ma alla sua destinazione dopo la morte. La risposta dei Giudei dimostra che essi non intesero il senso delle sue parole.

(Cristo viene dall'alto, cioè dal Padre.)

1. 4. E che disse il Signore a quella gente così terra terra? E diceva loro: Voi siete di quaggiù; voi non avete che il gusto della terra, perché mangiate la terra come il serpente. Voi mangiate la terra nel senso che vi nutrite delle cose della terra, nel senso che la vostra attenzione e la vostra aspirazione è rivolta alle cose della terra e siete incapaci di elevare in alto il vostro cuore. Voi siete di quaggiù; io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo (Jn 8,23). Come poteva essere di questo mondo colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto? Son tutti del mondo quelli che sono venuti dopo che fu creato il mondo. Il mondo fu creato prima dell'uomo, e quindi l'uomo fa parte del mondo. Ma Cristo era prima, e il mondo è venuto dopo; Cristo era prima del mondo, ma prima di Cristo non c'era niente, perché in principio era il Verbo; e tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Jn 1,1 Jn 3). Sicché egli era di lassù. Di quale altezza era mai? Era nell'aria? No certo! Anche gli uccelli volano nell'aria. Nel cielo che vediamo? Neppure: in cielo vi sono anche le stelle, il sole e la luna. Lassù dove sono gli angeli? Neppure così devi intendere: gli angeli sono stati fatti per mezzo di lui, come per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose. In che senso dunque Cristo è di lassù? Perché ha origine dal Padre. Nulla è al di sopra di quel Dio che ha generato il Verbo uguale a sé, coeterno a sé, Unigenito, fuori del tempo, per mezzo del quale ha creato tutti i tempi. E' in questo senso che devi intendere che Cristo è di lassù, in modo da trascendere col tuo pensiero tutto ciò che è stato fatto, l'intera creazione, ogni corpo ed ogni spirito creato, tutto ciò che in qualsiasi modo è mutevole; trascendi tutto come ha fatto Giovanni, che arrivo a dire: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.

2. 5. Io - dice -sono di lassù. Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Ve l'ho detto: voi morrete nei vostri peccati (Jn 8,24). Ci ha spiegato, fratelli, come voleva che intendessimo le parole Voi siete di questo mondo; cioè, ha detto voi siete di questo mondo, perché erano peccatori, perché erano malvagi, increduli e avevano il gusto delle cose della terra. Che idea vi siete fatta invece dei santi Apostoli? Che differenza c'era tra i Giudei e gli Apostoli? Quanta ce n'è tra le tenebre e la luce, tra l'incredulità e la fede, tra l'empietà e la pietà, tra la disperazione e la speranza, tra la cupidigia e la carità; c'era dunque molta differenza. E allora? Siccome erano così diversi, forse che gli Apostoli non erano di questo mondo? Se si considera la loro nascita, la loro origine, siccome discendevano tutti da Adamo, essi erano di questo mondo. Ma che disse di loro il Signore? Io vi ho scelti dal mondo (Jn 15,19). Essi dunque che erano del mondo, hanno cessato di appartenere al mondo per cominciare ad appartenere a colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto. Quelli invece, ai quali fu detto: Morrete nei vostri peccati, hanno continuato ad essere del mondo.

3. 6. Nessuno dunque, fratelli, dica: Io non sono del mondo. Chiunque tu sia, per il fatto che sei uomo, appartieni a questo mondo; ma è venuto a te colui che ha creato il mondo, e ti ha liberato da questo mondo. Se ti piace il mondo, significa che vuoi seguitare ad essere immondo; se invece non ti piace più questo mondo, tu sei già mondo. E se la tua debolezza ti mantiene attaccato al mondo, abiti in te colui che ti può mondare, e sarai mondo. Se invece sei mondo, non rimarrai nel mondo e non udrai ciò che si sentirono dire i Giudei: Morrete nei vostri peccati.

Tutti infatti siamo nati col peccato; tutti vivendo abbiamo aggiunto qualcosa al peccato di origine, e così siamo diventati del mondo ancor più di quando nascemmo dai nostri genitori. E dove saremmo noi, se non fosse venuto colui che assolutamente non aveva peccato, per assolvere ogni peccato? Siccome i Giudei non credevano in lui, giustamente si sentirono dire: Morrete nei vostri peccati. Non è assolutamente possibile che siate senza peccato, dato che siete nati col peccato; ma tuttavia se crederete in me, dice, benché siate nati col peccato, non morrete nel vostro peccato. La sventura dei Giudei non era quella di avere il peccato, ma di morire nei peccati. E questo è quanto deve evitare ogni cristiano. Per questo si ricorre al battesimo; per questo chi è in pericolo per malattia od altro, invoca soccorso; per questo anche il bambino appena nato viene portato alla Chiesa sulle pie braccia della madre, nel timore che se ne vada senza battesimo, morendo così nel peccato con cui è nato. Infelicissima la situazione, disgraziata la sorte di coloro che ascoltarono dalla bocca della verità le parole: Morrete nei vostri peccati.

(Ridonata la speranza ai disperati.)

1. 7. E spiega il motivo per cui capita loro questa disgrazia: Si, se voi non credete che io sono, morrete nei vostri peccati. Penso, o fratelli, che in mezzo alla folla che ascoltava il Signore, c'erano anche di quelli che in seguito avrebbero creduto. Siccome quella terribile sentenza: Morrete nel vostro peccato, sembrava non risparmiare nessuno e togliere la speranza anche a quelli che avrebbero creduto, gli uni erano furenti, gli altri spaventati; anzi, più che spaventati erano disperati. Li richiamo alla speranza soggiungendo: Si, se voi non credete che io sono, morrete nei vostri peccati. Se invece crederete che io sono, non morrete nei vostri peccati. Ridono la speranza a chi l'aveva perduta e scosse dal sonno i dormienti, che cominciarono a svegliarsi nei loro cuori, tanto che molti, come attesta il seguito del Vangelo, credettero. C'erano là infatti delle membra di Cristo che ancora non si erano unite al corpo di Cristo: anche in mezzo a quel popolo dal quale egli fu crocifisso, appeso ad un legno, irriso mentre pendeva dalla croce, dal quale fu trafitto con la lancia, abbeverato col fiele e aceto, anche in mezzo a quel popolo c'erano delle membra di Cristo, per le quali egli prego: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34). Quale peccato non sarà perdonato a chi si converte, se ottiene perdono chi ha versato il sangue di Cristo? Quale omicida dovrà disperare, se è stata ridonata la speranza perfino a chi ha ucciso Cristo? Sicché molti credettero: ricevettero il sangue di Cristo come dono affinché, bevendolo, ottenessero la liberazione invece che essere condannati per la colpa di averlo versato: chi potrà dunque disperare? E se sulla croce fu salvato un ladrone, che poco prima aveva ucciso ed era stato accusato, processato, condannato, crocifisso e infine liberato, non ti meravigliare (Lc 23,39-43). Quando fu giudicato, fu condannato; ma quando si converti fu liberato. Dunque, tra quella folla alla quale il Signore parlava, c'erano di quelli che sarebbero morti nel loro peccato; ma c'erano anche di quelli che avrebbero creduto in lui che parlava, e che quindi sarebbero stati liberati da ogni peccato.

2. 8. Bada tuttavia a ciò che dice Cristo Signore: Se voi non credete che io sono, morrete nei vostri peccati. Che significa se non credete che io sono? Io sono che cosa? Non ha aggiunto nulla; e siccome non ha aggiunto nulla, è molto ciò che ha voluto richiamare. Ci si aspettava che dicesse che cosa egli era e non l'ha detto. Che cosa ci si aspettava che dicesse? Forse: Se non credete che io sono il Cristo; oppure se non credete che io sono il Figlio di Dio? Oppure che io sono il Verbo del Padre, o il creatore del mondo, o il creatore e salvatore dell'uomo, il creatore e il rigeneratore, colui che lo ha fatto e lo rifà: se non credete che io sono tutto questo morrete nei vostri peccati. Io sono è un'affermazione molto significativa; così infatti Dio aveva detto a Mosè: Io sono colui che sono. Chi potrà adeguatamente spiegare che cosa significa sono? Per mezzo d'un angelo Dio intendeva inviare il suo servo Mosè a liberare il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto (vi ricordo ciò che già sapete per averlo sentito leggere); Mosè, tutto tremante, tento di tirarsi indietro, finché obbedi. Tentando dunque di tirarsi indietro, disse a Dio, che gli parlava per mezzo dell'angelo: Se il popolo mi dirà: E chi è il Dio che ti ha mandato, cosa rispondero? E il Signore a lui: Io sono colui che sono, e aggiunse: Dirai ai figli d'Israele: Colui che è, mi ha mandato a voi. Neppure allora disse: Io sono Dio, oppure, io sono il costruttore del mondo, il creatore di tutte le cose, colui che ha moltiplicato questo popolo che voglio liberare; disse soltanto: Io sono colui che sono, e aggiunse: Dirai ai figli d'Israele: Colui che è ...; non aggiunse: Colui che è il vostro Dio, colui che è il Dio dei vostri padri; ma soltanto questo disse: Colui che è, mi ha mandato a voi. Probabilmente era difficile anche per lo stesso Mosè, come lo è per noi, anzi per noi lo è molto di più, comprendere il significato dell'affermazione: Io sono colui che sono; e: Colui che è, mi ha mandato a voi. E anche se Mosè riusci a comprendere, come potevano comprendere coloro ai quali egli era stato inviato? Il Signore dunque rimando la comprensione di ciò che l'uomo non poteva intendere e aggiunse un'affermazione che poteva essere compresa da tutti: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe (Ex 3,14-15). Questa è un'affermazione comprensibile; ma Io sono colui che sono, quale mente può comprenderla?

(Osero interrogare il Signore?)

1. 9. E noi, allora, come oseremo parlare di questa dichiarazione: Io sono colui che sono, o piuttosto di quanto avete sentito dire dal Signore: Se voi non credete che io sono, morrete nei vostri peccati? Con queste mie forze così scarse e pressoché nulle, osero io discutere sulla frase di Cristo Signore Se voi non credete che io sono? Osero interrogare il Signore stesso, e voi ascoltatemi mentre io più che spiegare a voi interrogo lui; più che presumere di sapere cerco, più che insegnare imparo; e con me e per mezzo mio anche voi interrogatelo. Da parte sua il Signore, che è presente ovunque, è li pronto per ascoltare l'affettuoso desiderio di chi lo interroga e per concedere il dono dell'intelligenza. Con quali parole, infatti, ammesso che io arrivi ad intendere qualcosa, riusciro a far giungere quanto intendo ai vostri cuori? Quali suoni basterebbero? Quale eloquenza riuscirebbe? Quale capacità per intendere e quale facondia per esprimere?

2. 10. Parlero dunque al Signore nostro Gesù Cristo, mi rivolgero a lui ed egli mi ascolterà. Io credo che egli è presente, non ho il minimo dubbio: è lui che ha detto: Ecco, io sono con voi sino alla consumazione dei secoli (Mt 28,20). O Signore Dio nostro, che vuoi dire con le parole: Se voi non credete che io sono? C'è qualcosa, di quanto hai fatto, che non è? Forse che il cielo non è? forse che la terra non è? Non sono forse le cose che stanno in terra e in cielo? Forse che l'uomo stesso, al quale tu parli, non è? Non è l'angelo, che tu mandi? Se sono, tutte queste cose che per mezzo di te sono state create, che cos'è l'essere stesso che ti sei riservato come tuo proprio, che non hai dato ad altri si che tu solo veramente sei? Quando ascolto: Sono colui che sono, debbo forse pensare che le altre cose non esistono? Come posso allora intendere le parole se non credete che io sono? Forse che non erano, quelli che ti ascoltavano? Anche se peccatori, erano uomini. E allora? Egli stesso dica al cuore, glielo dica dentro, glielo comunichi dentro, che cos'è l'essere stesso; l'uomo interiore ascolti, la mente comprenda che cosa sia il vero essere. Essere significa esistere sempre nel medesimo modo. Prendiamo una cosa qualsiasi (ho iniziato quasi un'esposizione piuttosto che continuare la ricerca: forse perché vorrei parlarvi di quanto ho già appreso; il Signore procuri letizia a voi che ascoltate e a me che vi parlo), qualunque cosa, per eccellente che sia, se è soggetta a mutamento, non si può dire che veramente è; poiché non esiste il vero essere dove esiste anche il non essere. Tutto ciò che può cambiare, una volta cambiato non è più ciò che era; e se non è più ciò che era, li è intervenuta come una morte; li è venuto meno qualcosa che c'era e non c'è più. E' morto il nero sul capo dell'uomo canuto, è morta la bellezza nel corpo del vecchio stanco e curvo, sono morte le forze nel corpo che languisce, è morta la immobilità nel corpo di chi cammina, è morto il movimento nel corpo di chi sta fermo, sono morti il moto e la posizione eretta di chi sta sdraiato, è morta la parola sulla lingua che tace. Tutto ciò che muta, è ciò che non era: e vedo una certa vita in ciò che è, e morte in ciò che fu. Del resto, quando di uno che è morto si chiede: dov'è il tale? si risponde che "fu". O Verità, che sola veramente sei! Poiché in tutte le nostre azioni e in tutti i nostri movimenti, e in ogni cambiamento delle creature si distinguono due tempi: il passato e il futuro. Cerco il presente, nulla sta fermo: ciò che ho detto già non è più; ciò che sto per dire non è ancora; ciò che ho fatto non è più; ciò che sto per fare non è ancora; la vita che ho vissuto non è più; quella che sto per vivere non è ancora. In ogni movimento delle cose trovo passato e futuro; nella verità che permane non trovo né passato né futuro ma soltanto il presente, un presente incorruttibile, quale non si trova in nessuna creatura. Esamina i cambiamenti delle cose, troverai "fu" e "sarà"; pensa a Dio e troverai che egli "è", e che in lui non può esserci né "fu" né "sarà". Se anche tu vuoi essere, trascendi il tempo Ma chi può trascendere il tempo con le sue forze? Ci elevi su in alto colui che ha detto al Padre: Voglio che dove sono io, siano anch'essi con me (Jn 17,24). Con questa promessa, che non saremmo morti nei nostri peccati, mi pare che il Signore Gesù Cristo, dicendo Se non credete che io sono, non abbia voluto dirci nient'altro che questo: Si, se non credete che io sono Dio, morrete nei vostri peccati. Bene, siano rese grazie a Dio perché ha detto se non credete; e non ha detto invece "se non capite". Chi infatti può capire cio? O, forse, siccome io ho osato parlarne e voi ritenete di aver capito le mie parole, siete riusciti a capire qualcosa di una realtà così ineffabile? Ma, se non capisci, la fede ti libera. Il Signore infatti non ha detto: Se non capirete che io sono; ma ha detto ciò che a noi è possibile: Se non credete che io sono, morrete nei vostri peccati.

(Stabile in se stesso e rinnovatore di ogni cosa.)

11. E quelli che sempre si fermavano alle cose della terra e sempre ascoltavano e rispondevano secondo la carne, cosa gli dissero? Tu chi sei? Dicendo infatti Se non credete che io sono, non hai aggiunto chi sei. Devi dirci chi sei, se vuoi che crediamo. Egli rispose: Il Principio. Ecco cos'è l'essere. Il principio è stabile; stabile in se stesso e rinnovatore di ogni cosa. E' il principio di cui è detto: Tu sei sempre lo stesso, e i tuoi anni non vengono meno (Ps 101,28). Io sono - dice -il Principio che anche parlo a voi (Jn 8,25). Credete che io sono il Principio, se non volete morire nei vostri peccati. Come se con quella domanda Tu chi sei?, gli avessero chiesto: chi dobbiamo credere che sei? Egli rispose: Il Principio; cioè credetemi il Principio. Il testo greco è più chiaro di quello latino. Presso i greci infatti "principio" è di genere femminile, come presso di noi è di genere femminile la legge, che invece presso di loro è di genere maschile; sapienza invece è di genere femminile tanto presso di noi che presso di loro. Il modo di esprimersi cambia in ciascuna lingua, perché le cose non hanno sesso. Così non si può dire davvero che sapienza è di genere femminile; infatti per Cristo, Sapienza di Dio (1Co 1,24), si usa il maschile mentre per la sapienza il femminile. Quando dunque i Giudei gli chiesero Tu chi sei?, egli che sapeva che tra quelli c'erano alcuni che avrebbero creduto e che gli avevano chiesto Tu chi sei? appunto per sapere che cosa dovevano credere di lui, egli rispose: il Principio; non tanto per affermare che era il Principio, quanto per esortarli a credere in lui come Principio. Questo, come dicevo, appare più chiaro nel testo greco, dove la parola principio è di genere femminile. Come, per esempio, volendo dire che egli è la verità, a chi gli domandasse: Tu chi sei? risponderebbe: Io sono la verità. Ora, ci sembra che alla domanda tu chi sei? avrebbe dovuto rispondere: la Verità; cioè: Io sono la Verità. Diede invece una risposta più profonda; la loro domanda tu chi sei? sembrava voler dire: Siccome ti abbiamo sentito dire se non credete che sono, chi dobbiamo credere che tu sia? Al che egli rispose: il Principio; cioè: Credetemi il Principio. E aggiunse: che anche parlo a voi; cioè, che umiliandomi per voi, mi sono abbassato fino ad usare il vostro linguaggio. Se infatti, essendo il Principio, fosse rimasto presso il Padre e non avesse preso la forma di servo per venirci a parlare da uomo a uomo, come avrebbero creduto in lui, non potendo il cuore debole degli uomini ascoltare il Verbo che senza voce sensibile nessuno può intendere? Pertanto, dice, credete che io sono il Principio; in quanto, affinché crediate, non soltanto sono ma anche parlo a voi. Ma su questo argomento dovremo intrattenerci ancora a lungo; e cosi, se piace alla vostra Carità, ci riserviamo, con l'aiuto del Signore, di riprendere domani ciò che resta.

39

OMELIA 39

(Jn 8,26)

Jn 8,26,27


Chi mi ha mandato è verace; le cose che ho udito da lui, queste dico nel mondo.

Se la carità di Dio, riversata nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che a noi fu donato, fa di molte anime un'anima sola e di molti cuori un cuore solo, non saranno, a maggior ragione, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo un solo Dio, una sola luce, un unico principio?

1. 1. Nostro Signore Gesù Cristo, dosando il suo linguaggio in modo che i ciechi non vedessero e i fedeli aprissero gli occhi, rivolse ai Giudei queste parole che oggi sono state proclamate dal santo Vangelo: Gli dissero i Giudei: Tu chi sei? (Jn 8,25). Poco prima il Signore aveva detto: Se voi non credete che io sono, morrete nei vostri peccati (Jn 8,24). Essi allora gli chiesero: Tu chi sei? come cercando di sapere in chi dovevano credere per non morire nel loro peccato. Alla domanda tu chi sei? egli rispose: Il Principio, che anche a voi parlo (Jn 8,25). Se il Signore ha detto di essere il principio, ci possiamo chiedere se anche il Padre è il principio. Se infatti il Figlio, che procede dal Padre, è il principio, tanto più facilmente si può pensare che anche Dio Padre è il principio. Egli ha un Figlio di cui è Padre, ma non procede da nessuno. Il Figlio infatti è Figlio del Padre, e il Padre a sua volta è Padre del Figlio; ma del Figlio si dice che è Dio da Dio, luce da luce; del Padre che è luce; ma non da luce; si dice che è Dio, ma non da Dio. Se dunque colui che è Dio da Dio, luce da luce è principio, a maggior ragione si può pensare che è principio la luce da cui ha origine la luce, e Dio da cui ha origine Dio. E così sembra assurdo, o carissimi, dire che il Figlio è il principio, senza ammettere che anche il Padre è il principio.

2. Ma allora? ci sono due principi? Bisogna guardarsi bene dal dire questo. Ma se il Padre è il principio e il Figlio è il principio, come si fa a dire che non ci sono due principi? Allo stesso modo che diciamo che il Padre è Dio e il Figlio è Dio, e tuttavia non diciamo che vi sono due dèi. Sarebbe un'eresia dire che vi sono due dèi, come è un'eresia dire che ve ne sono tre: eppure ciò che è il Padre non è il Figlio, e ciò che è il Figlio non è il Padre; lo Spirito Santo, poi, non è né Padre né Figlio, ma è lo Spirito del Padre e del Figlio. Sebbene dunque, secondo l'istruzione che i cattolici hanno ricevuto in grembo alla madre Chiesa, il Padre non sia il Figlio e il Figlio non sia il Padre, e lo Spirito del Padre e del Figlio non sia né il Padre né il Figlio, tuttavia non affermiamo che sono tre dèi; e quando veniamo interrogati circa le singole persone, quale che sia, non possiamo fare a meno di riconoscere che è Dio.

(Partire dalla fede per giungere alla perfezione.)

2. 3. Ciò sembra assurdo a chi giudica le cose straordinarie alla stregua di quelle abituali, le invisibili alla stregua di quelle visibili, paragonando le creature al Creatore. Accade che gli infedeli ci chiedano: quello che voi chiamate Padre, dite che è Dio? E' Dio, rispondiamo. Quello che voi chiamate Figlio, è Dio? Si, è Dio. Quello che voi chiamate Spirito Santo, è Dio? E' Dio, rispondiamo ancora. Allora, essi dicono, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono tre dèi? No, rispondiamo noi. Rimangono sconcertati, perché non sono illuminati; hanno il cuore chiuso, perché non possiedono la chiave della fede. Noi invece, o fratelli, guidati dalla fede, che risana l'occhio del nostro cuore, accogliamo senza oscurità ciò che intendiamo; crediamo senza esitazione ciò che non intendiamo; e non ci scostiamo dal fondamento della fede per poter giungere al vertice della perfezione. E' Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito Santo; e tuttavia il Padre non è il Figlio, né il Figlio è il Padre, e neppure lo Spirito Santo del Padre e del Figlio è il Padre o il Figlio. La Trinità è un solo Dio, una sola eternità, una sola potestà, una sola maestà; tre, ma non tre dèi. E non venga a dirmi l'eretico: Allora perché tre? Se sono tre, devi dirmi chi sono. Rispondo: il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Ecco, insiste, se sono tre, spiegami: tre di che cosa? Ed io rispondo: Intanto cerca tu di contare; perché io arrivo a tre dicendo: Padre e Figlio e Spirito Santo. Considerato il Padre in sé, egli è Dio; in relazione al Figlio è Padre. Il Figlio in sé è Dio, in relazione al Padre è Figlio.

4. Ciò che dico potete riscontrarlo nelle cose di tutti i giorni. Prendete due individui, di cui uno sia padre e l'altro figlio; il primo è uomo in se stesso ed è padre in relazione al figlio; così il figlio è uomo in se stesso ed è figlio in relazione al padre. Il nome padre infatti dice relazione ad un altro, e così il nome figlio; pero ambedue sono uomini. Orbene, Dio Padre, è Padre in relazione ad un altro, al Figlio; e Dio Figlio è Figlio in relazione ad un altro, cioè al Padre; questi pero non sono due dèi, come quelli sono due uomini. Perché qui non è la stessa cosa che là? Perché là si tratta di una cosa e qui di un'altra, come è appunto la divinità. Ci troviamo davanti a qualcosa di ineffabile, che non si può spiegare a parole, e il numero c'è e non c'è. Si, il numero c'è: Padre e Figlio e Spirito Santo sono Trinità. Sono tre, ma che sono questi tre? Qui il numero non serve più. Così Dio non rifugge dal numero né si lega al numero. Siccome sono tre, sembra che si tratti di numero; se vuoi sapere che cosa sono i tre, il numero non serve più. Per questo è scritto: Grande è il Signore nostro, grande è il suo potere, e la sua sapienza non ha numero (Ps 14,6 Ps 5). Quando cominci a pensare, cominci a contare; ma quando hai contato, non sei in grado di tirar le somme. Il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio, lo Spirito Santo è lo Spirito Santo. Ma che cosa sono questi tre, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo? Non sono tre dèi? No. Non sono tre onnipotenti? No. Non sono tre creatori del mondo? No. Allora il Padre è onnipotente? Certo, è onnipotente. Il Figlio è onnipotente? Si, anche il Figlio è onnipotente. E lo Spirito Santo? Anch'egli è onnipotente. Allora sono tre onnipotenti? No, un solo onnipotente. Il numero serve soltanto a indicare i loro rapporti reciproci, non ciò che sono in sé. Il Padre in sé è Dio assieme al Figlio e allo Spirito Santo, ma non sono tre dèi; egli è in sé onnipotente assieme al Figlio e allo Spirito Santo, ma non sono tre onnipotenti. Siccome, pero, non è Padre in sé ma in relazione al Figlio; e il Figlio non è Figlio in sé ma in relazione al Padre; e lo Spirito non è Spirito in sé ma in quanto è lo Spirito del Padre e del Figlio, non si può dire che sono tre, ma solo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio, un solo onnipotente. Quindi c'è un solo Principio.

(Il mistero della Trinità.)

2. 5. Prendiamo un testo della sacra Scrittura che ci aiuterà, alla men peggio, a capire ciò che stiamo dicendo. Dopo la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, e dopo la sua ascensione al cielo, che avvenne nel giorno da lui fissato, trascorsi dieci giorni egli invio lo Spirito Santo: quanti si trovavano riuniti nella medesima sala, ripieni di Spirito Santo, cominciarono a parlare nelle lingue di tutte le genti. Coloro che avevano ucciso il Signore, sbigottiti da tale prodigio e profondamente scossi, si pentirono di quanto avevano fatto, pentiti si convertirono, e, convertitisi, credettero. Si unirono al corpo del Signore, cioè al numero dei fedeli, che arrivarono a tremila, e, in seguito ad un altro prodigio, a cinquemila. Si formo così un solo popolo, numeroso, in cui tutti, ricevuto lo Spirito Santo che accese in essi l'amore spirituale, mediante la carità ed il fervore dello spirito, diventarono una cosa sola: in quella comunità perfetta cominciarono a vendere tutto ciò che possedevano e a deporre il ricavato ai piedi degli Apostoli perché fosse distribuito a ciascuno secondo il bisogno. Di essi la Scrittura dice che erano un cuor solo e un'anima sola protesi verso Dio (Ac 4,32). Fate dunque attenzione, o fratelli, e da questo prendete motivo per riconoscere il mistero della Trinità, cioè per affermare che esiste il Padre, esiste il Figlio, esiste lo Spirito Santo, e tuttavia Padre e Figlio e Spirito Santo sono un solo Dio. Ecco, quelli erano diverse migliaia ed erano un cuore solo, erano diverse migliaia ed erano un'anima sola. Ma dove erano un cuor solo e un'anima sola? In Dio. A maggior ragione questa unità si troverà in Dio. Sbaglio forse dicendo che due uomini sono due anime, e tre uomini tre anime, e molti uomini molte anime? Certamente dico bene. Ma se essi si avvicinano a Dio, molti uomini diventano un'anima sola. Ora, se unendosi a Dio, mediante la carità, molte anime diventano un'anima sola e molti cuori un cuore solo, che cosa non farà la fonte stessa della carità nel Padre e nel Figlio? Non sarà li con maggior ragione la Trinità un solo Dio? E' da quella fonte, e precisamente dallo Spirito Santo, che ci viene la carità, come appunto dice l'Apostolo: La carità di Dio è riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). Se dunque la carità di Dio, riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, fa di molte anime un'anima sola e di molti cuori un cuore solo, non saranno a maggior ragione il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo un solo Dio, una sola luce, un solo Principio?

1. 6. Ascoltiamo dunque il Principio che ci parla. Su di voi - dice -ho ancora molto da dire e da giudicare (Jn 8,26). Ricordate che ha detto: Io non giudico nessuno (Jn 8,15); ecco che ora dice: Su di voi ho ancora molto da dire e da giudicare. Ma una cosa è dire non giudico nessuno, e un'altra cosa ho da giudicare. Non giudico significa ora, al presente; è venuto infatti per salvare il mondo, non per giudicarlo (Jn 12,47); invece quando dice su di voi ho molto da dire e da giudicare si riferisce al giudizio futuro. Egli infatti è salito al cielo per venire a giudicare i vivi e i morti. Nessuno giudicherà più giustamente di lui che fu giudicato ingiustamente. Su di voi - dice -ho molto da dire e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è verace. Vedete come il Figlio, uguale al Padre, glorifica il Padre. Insegna a noi, è come se dicesse nei nostri cuori: O uomo fedele che ascolti il mio Vangelo, ecco cosa ti dice il Signore Dio tuo: se io che in principio sono il Verbo, Dio presso Dio, uguale al Padre, coeterno a colui che mi ha generato; se io glorifico colui di cui sono Figlio, come oserai tu, che sei il suo servo, metterti orgogliosamente contro di lui?

2. 7. Su di voi - dice -ho molto da dire e da giudicare, ma colui che mi ha mandato è verace; come a dire: Io vi giudico secondo verità perché, essendo Figlio di chi è verace, io sono la verità. Il Padre è verace, il Figlio è la verità, che cosa riteniamo sia meglio? Cerchiamo di capire, se ci è possibile, che cosa sia di più, il verace o la verità. Prendiamo altri esempi. E' meglio un uomo pio o la pietà? E' meglio la pietà: l'uomo pio deriva dalla pietà, non viceversa. La pietà sussiste, anche se uno che era pio diventa empio. Egli ha perduto la pietà, ma niente è stato tolto alla pietà. Così dicasi dell'uomo bello e della bellezza: vale più la bellezza di chi è bello; è infatti la bellezza che rende uno bello, non è l'uomo bello che crea la bellezza. Altrettanto dicasi dell'uomo casto e della castità: la castità è superiore a chi è casto; se non esistesse la castità, come potrebbe uno essere casto? se invece uno non vuol essere casto, la castità rimane integra. Ora, se la pietà è più che essere pio, la bellezza più che essere bello, la castità più che essere casto, concluderemo che la verità è più che essere verace? Ma dicendo questo, arriveremmo a dire che il Figlio è superiore al Padre. Molto chiaramente infatti il Signore dice: Io sono la via, la verità e la vita (Jn 14,6). Se il Figlio è la verità, che cosa è il Padre se non ciò che dice la stessa verità quando afferma: Colui che mi ha mandato è verace? Il Figlio è la verità, il Padre è verace, chi è maggiore? Trovo che sono uguali; perché il Padre che è verace, non è verace nel senso che ha preso una parte della verità, ma perché egli stesso ha generato tutta intera la verità.

(Dio autore della verità.)

8. Mi rendo conto che dovrei spiegarmi meglio. E per non trattenervi più a lungo, oggi ci fermiamo qui. Il discorso si concluderà quando, con l'aiuto di Dio, avro terminato ciò che voglio dirvi. Questo ve l'ho detto per tenere desta la vostra attenzione. L'anima, per sé mutevole, per quanto nobile creatura essa sia, è tuttavia una creatura; benché migliore del corpo, tuttavia è stata creata; l'anima, dunque, è di per sé mutevole, cioè ora crede, ora non crede; ora vuole, ora non vuole; ora è adultera, ora è casta; ora è buona, ora è cattiva; insomma è mutevole. Dio invece è immutabile nella sua essenza; perciò così defini se stesso: Io sono colui che sono (Ex 3,14). Questo è anche il nome del Figlio che dice: Se non credete che io sono; e conferma questo nome, rispondendo alla domanda tu chi sei?, col dire: Il Principio. Dio quindi è immutabile, mentre l'anima è mutevole. Quando l'anima prende da Dio ciò che la rende buona, diventa buona per partecipazione, allo stesso modo che il tuo occhio vede per partecipazione; infatti non vede più se vien privato della luce, partecipando della quale vede. Siccome dunque l'anima diventa buona per partecipazione, se cambiando diventa cattiva, la bontà di cui era partecipe non viene meno. Quando era buona era partecipe di una certa bontà, la quale è rimasta integra quando l'anima è cambiata in peggio. Se l'anima si svia e diventa cattiva, la bontà non diminuisce; se si ravvede e diventa buona, la bontà non cresce. Il tuo occhio è diventato partecipe della luce e tu vedi; se lo chiudi, la luce non diminuisce; se lo apri, la luce non aumenta. Con questo esempio potete comprendere, o fratelli, che se l'anima è pia, è della pietà che si trova presso Dio che l'anima partecipa; se l'anima è casta, è della castità che si trova presso Dio che l'anima partecipa; se l'anima è buona, è della bontà che si trova presso Dio che l'anima partecipa; se l'anima è verace, è della verità che si trova presso Dio che l'anima partecipa. Se l'anima non è partecipe della verità che è presso Dio, ogni uomo è mendace (Ps 115,11); e se ogni uomo è mendace, nessuno di per sé è verace. Il Padre verace, al contrario, è verace in sé, perché ha generato la verità. Una cosa è che quest'uomo sia verace, per essere diventato partecipe della verità; un'altra cosa è che Dio sia verace, per aver generato la verità. Ecco in che modo Dio è verace: non per esser partecipe della verità, ma per averla generata. Vedo che avete capito bene e ne sono lieto. Ma per oggi basta: il resto ve lo spiegheremo quando a Dio piacerà e secondo la luce che egli ci darà.


Agostino - Commento Gv 38