Agostino - Commento Gv 40

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OMELIA 40

(Jn 8,28-32)

Jn 8,28-32


Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi.

Cosa ha promesso il Signore ai credenti? Conoscerete la verità. Crediamo infatti per conoscere, non conosciamo per credere. Se perseverate nella mia parola, sarete davvero miei discepoli, tanto da poter conoscere la verità così com'è; non attraverso il suono delle parole, ma attraverso lo splendore della sua luce, quando vi sazierà.

1. Del santo Vangelo secondo Giovanni, che voi vedete nelle nostre mani, la vostra Carità ha già ascoltato molte letture. Con l'aiuto di Dio e secondo le nostre possibilità, ve le abbiamo spiegate, facendovi notare che questo evangelista ha preferito parlare principalmente della divinità del Signore, per la quale egli è uguale al Padre e Figlio unico di Dio: per questo motivo S. Giovanni è stato paragonato all'aquila, che si dice sia l'uccello che vola più alto. perciò ascoltate con molta attenzione ciò che viene per ordine, con l'aiuto che il Signore ci darà nell'esporlo.

(L'esaltazione sulla croce.)

2. 2. Ci siamo intrattenuti con voi sulla lettura precedente, suggerendovi come debba intendersi che il Padre è verace e che il Figlio è la verità. Quando il Signore Gesù disse ai Giudei: Colui che mi ha mandato è verace (Jn 8,26), essi non compresero che egli parlava del Padre. Egli allora aggiunse ciò che ora avete sentito leggere: Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono e nulla faccio da me, ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato (Jn 8,28). Che cosa ha voluto dire? Credo abbia voluto dire che soltanto dopo la sua passione essi avrebbero conosciuto chi egli fosse veramente. Senza dubbio vedeva che c'erano alcuni, che egli conosceva già e che prima della creazione del mondo aveva eletto assieme a tutti i suoi santi, i quali dopo la sua passione avrebbero creduto. Essi sono quelli che costantemente ricordiamo e con vive esortazioni proponiamo alla vostra imitazione. Quando, dopo la passione, la risurrezione e l'ascensione del Signore, fu inviato dal cielo lo Spirito Santo; davanti ai prodigi compiuti nel nome di colui che i Giudei avevano perseguitato e poi, morto, avevano disprezzato, alcuni di essi furono toccati nel profondo del cuore; e quelli che crudelmente lo avevano ucciso, si convertirono e credettero, e, credendo, bevvero il sangue che crudelmente avevano versato. Erano quei tremila e quei cinquemila Giudei (cf. Ac 2,37-41 Ac 4,4) che egli vedeva allorché diceva: Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono; come a dire: Differisco il vostro riconoscimento nei miei confronti in modo da condurre a termine la mia passione; a suo tempo conoscerete chi sono io. Non che tutti quelli che allora ascoltavano, avrebbero creduto in lui solo dopo la sua passione, perché poco più avanti l'evangelista dice: A queste sue parole, molti credettero in lui (Jn 8,30); cioè credettero in lui senza aspettare che il Figlio dell'uomo fosse levato in alto. Si riferisce all'esaltazione della passione, non della glorificazione; della croce, non del cielo; perché anche quando fu appeso al legno, fu esaltato. Pero quella esaltazione fu un'umiliazione; fu allora infatti che Cristo si fece obbediente fino alla morte di croce (cf. Ph 2,8). Ed era conveniente che questo si compisse per mano di coloro che poi avrebbero creduto in lui, ai quali disse: Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono. Perché disse questo se non perché nessuno disperasse, di qualunque delitto fosse cosciente, vedendo perdonato l'omicidio commesso da quanti uccisero Cristo?

3. 3. Riconoscendoli in mezzo alla folla, il Signore disse: Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono. Ormai sapete che significa io sono; e non è il caso di ripeterlo ad ogni passo, affinché una cosa tanto sublime non abbia ad annoiarvi. Richiamate alla mente la frase Io sono colui che sono, e l'altra Colui che è mi ha mandato (Ex 3,14), e comprenderete il significato di quest'altra: Allora conoscerete che io sono. Naturalmente, non soltanto lui è; anche il Padre è, anche lo Spirito Santo è: a tutta la Trinità appartiene questo medesimo essere. Ma siccome il Signore parlava in quanto Figlio, onde evitare che in questa sua dichiarazione: allora conoscerete che io sono, si insinuasse l'errore dei sabelliani o patripassiani -l'errore di quanti sostengono che il Padre è lo stesso che il Figlio, cioè due nomi ma una sola persona -; onde evitare quest'errore dal quale vi ho raccomandato tanto di stare ben lontani, il Signore, dopo aver detto: Allora conoscerete che io sono, perché non lo si confondesse col Padre subito aggiunge: Nulla faccio da me, ma dico ciò che il Padre mi ha insegnato. Il sabelliano aveva già cominciato a gongolare, credendo di aver trovato un appiglio per il suo errore; ma aveva appena alzato la testa nell'oscurità di quel passo che subito è rimasto confuso dalla luce dell'affermazione successiva. Tu avevi creduto che egli fosse il Padre, perché aveva detto Io sono; ma ascolta come mostra di essere Figlio: nulla faccio da me. Che significa nulla faccio da me? Che da me non sono. Il Figlio infatti è Dio dal Padre; il Padre invece non è Dio dal Figlio; il Figlio è Dio da Dio, il Padre invece è Dio, ma non da Dio; il Figlio è luce da luce, il Padre è luce ma non da luce; il Figlio è, ma riceve il suo essere dal Padre; mentre il Padre è, senza ricevere da nessuno il suo essere.

4. Nessuno di voi, fratelli, si lasci sorprendere da pensieri carnali davanti alla sua dichiarazione: Io dico ciò che il Padre mi ha insegnato. Non può l'uomo, nella sua limitatezza, pensare se non a ciò che è solito fare o ascoltare. Non immaginatevi perciò di avere davanti come due uomini, uno padre e l'altro figlio, e che il padre parli al figlio, come fai tu quando parli con tuo figlio: tu dai a tuo figlio avvertimenti e istruzioni su ciò che deve dire, onde ritenga nella memoria quanto ha sentito da te, dalla memoria passi alla lingua, e mediante suoni faccia arrivare alle orecchie degli altri ciò che ha percepito con le proprie. Non fatevi di queste idee, fabbricandovi falsi idoli nel vostro cuore. Non attribuite alla Trinità forma umana, tratti fisici, sembianze e sensi umani, statura e movimenti del corpo, uso della lingua, articolazione di suoni: tutto ciò appartiene alla forma di servo che prese l'unigenito Figlio quando il Verbo si fece carne per abitare fra noi (Jn 1,14). Per quanto riguarda la carne che assunse il Verbo non solo non t'impedisco, o umana debolezza, di pensare in base alla tua esperienza, ma anzi ti ordino di pensare cosi. Se possiedi la vera fede, pensa che Cristo è cosi: è così in quanto è nato dalla vergine Maria, non in quanto è stato generato da Dio Padre. Egli fu bambino e crebbe come ogni uomo; come ogni uomo cammino, ebbe fame e sete, dormi e infine, come uomo, pati; come uomo fu appeso al legno, fu ucciso e fu sepolto; nella medesima forma umana risuscito, ascese in cielo sotto gli occhi dei discepoli, e nella medesima forma verrà per il giudizio; così infatti è stato annunciato per bocca degli angeli nel Vangelo: Verrà nella stessa forma in cui l'avete visto andare in cielo (Ac 1,11). Quando dunque pensi a Cristo nella forma di servo, se hai la fede, pensa ad un volto umano; quando invece pensi che In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Jn 1,1), scompaia dalla tua mente ogni figura umana; venga eliminato dai tuoi pensieri tutto ciò che viene rinchiuso nei limiti del corpo, tutto ciò che occupa un luogo nello spazio, tutto ciò che si estende materialmente: una simile concezione deve scomparire dal tuo cuore. Pensa, se ci riesci, alla bellezza della sapienza, cerca di immaginare lo splendore della giustizia. Possiede una forma, una statura, un colore? Niente di tutto questo, e tuttavia essa esiste; perché se non esistesse, non si potrebbe amare e non si potrebbe, come merita, lodare, e non potendola né amare né lodare non la si potrebbe conservare nel cuore e nei costumi. Ora invece gli uomini diventano sapienti, e come potrebbero diventarlo se la sapienza non esistesse? Pertanto, o uomo, se non riesci a vedere la tua sapienza con gli occhi della carne né immaginarla come immagini le cose corporee, oserai introdurre la forma del corpo umano nella Sapienza di Dio?

(L'intelligenza è dono di Dio.)

1. 5. Che diremo dunque, o fratelli? In che modo il Padre ha parlato al Figlio, dal momento che egli afferma: Dico ciò che il Padre mi ha insegnato? Il Padre gli ha forse parlato? Quando il Padre ha insegnato al Figlio, ha pronunciato delle parole come fai tu quando insegni a tuo figlio? Come si possono dire parole al Verbo? E quali molteplici parole si potrebbero dire all'unico Verbo? Il Verbo del Padre ha forse avvicinato l'orecchio alla bocca del Padre? Sono immagini puerili queste, che devono rimanere estranee al vostro cuore. Io voglio dirvi questo: se voi comprendete quello che dico, io ho parlato, le mie parole hanno risuonato, per mezzo di questi suoni hanno bussato alle vostre orecchie, e, se voi mi avete compreso, per mezzo del vostro udito hanno portato il mio pensiero al vostro cuore. Immaginate che un uomo di lingua latina mi senta parlare, ma che mi senta soltanto e che non mi capisca: per quanto riguarda il suono emesso dalla mia bocca, egli che non ha capito, l'ha percepito come voi: ha udito il suono, le medesime sillabe hanno colpito le sue orecchie, ma nulla hanno suscitato nel suo cuore. Perché? Perché non ha capito. E se voi avete capito, come avete potuto capire? Io ho fatto giungere un suono al vostro orecchio; ma ho forse acceso una luce nel vostro cuore? Senza dubbio, se è vero ciò che ho detto e se questa verità non soltanto l'avete udita ma l'avete anche capita, sono avvenute due cose distinte: voi avete sentito e avete capito. Per mezzo mio avete sentito, ma per mezzo di chi avete capito? Io ho parlato alle vostre orecchie in modo da farvi sentire, ma chi ha parlato al vostro cuore in modo da farvi capire? Senza dubbio qualcuno ha detto qualcosa anche al vostro cuore, affinché, non solo le vostre orecchie fossero colpite dallo strepito delle parole, ma anche nel vostro cuore penetrasse un po' di verità. Anche se voi non lo vedete, qualcuno ha parlato al vostro cuore: se voi avete compreso, fratelli, è certamente perché qualcuno ha parlato anche al vostro cuore. L'intelligenza è dono di Dio. Se voi avete compreso, chi vi ha parlato dentro al cuore? Colui al quale il salmo dice: Dammi intelligenza, affinché possa apprendere i tuoi precetti (Ps 118,73). Ecco, il vescovo vi ha parlato. Cosa ha detto? Se uno ti chiede cosa abbia detto, tu glielo racconti e aggiungi: Ha detto la verità. Ma l'altro, che non ha capito, replica: Cosa ha detto che meriti tanta lode? Tutti e due mi hanno udito, a tutti e due io ho parlato, ma Dio ha parlato solo a uno di loro. Se è lecito paragonare le piccole cose alle grandi - che siamo noi infatti di fronte a Dio? - Dio compie in noi un non so che di immateriale e spirituale, che non è il suono che percuote il nostro orecchio, né il colore che si distingue mediante gli occhi, né l'odore che si percepisce con le nari, né il sapore che si gusta con la bocca, né qualcosa di duro o di morbido al tatto; è tuttavia qualcosa che è facile sentire, impossibile spiegare. Se dunque Dio, come stavo dicendo, parla nei nostri cuori senza articolare alcuna parola, in che modo parla al Figlio? Sforzatevi di entrare in questo modo di pensare, fratelli, se è lecito - ripeto - paragonare le cose piccole alle grandi. Non materialmente il Padre ha parlato al Figlio, poiché non materialmente l'ha generato. E non gli ha insegnato, quasi lo avesse generato ignorante: avergli insegnato vuol dire appunto averlo generato pieno di sapienza; dicendo: che il Padre mi ha insegnato, è come se dicesse: il Padre mi ha generato sapiente. Se infatti, cosa che pochi comprendono, la natura della verità è semplice, nel Figlio l'essere è la stessa cosa che il conoscere. Riceve il conoscere da colui stesso dal quale riceve l'essere; non in modo da ricevere da lui prima l'essere e poi il conoscere; ma allo stesso modo che generandolo gli ha dato l'essere, così generandolo gli ha dato il conoscere; perché essendo, come si è detto, semplice la natura della verità, l'essere e il conoscere non sono due cose diverse, ma la medesima cosa.

2. 6. Questo disse ai Giudei, e aggiunse: Colui che mi ha mandato è con me (Jn 8,29). E' quanto aveva già detto prima, ma, data l'importanza della cosa, ci ritorna su con insistenza: mi ha mandato ed è con me. Ma se è con te, o Signore, allora non è stato mandato uno dall'altro, ma siete venuti tutti e due. Se non che, pur essendo insieme, uno è stato mandato e l'altro lo ha mandato, perché la missione è l'incarnazione, e l'incarnazione è soltanto del Figlio, non anche del Padre. Il Padre ha mandato il Figlio, senza separarsi dal Figlio; e in questo senso il Padre non era assente là dove ha mandato il Figlio. Dove non è infatti colui che ha creato tutto? Dove non è colui che ha detto: Io riempio il cielo e la terra (Ger 23,24)? Ma forse il Padre è dappertutto e il Figlio non è dappertutto? Ascolta l'evangelista: Era nel mondo, e il mondo per mezzo di lui è stato fatto (Jn 1,10). Dunque, disse il Signore, chi mi ha mandato e per la cui paterna autorità io mi sono incarnato è con me, e non mi ha lasciato solo. Perché non mi ha lasciato solo? Non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre ciò che a lui piace (Jn 8,29). La parola sempre esprime piena uguaglianza, in cui non c'è inizio e continuazione, non c'è né principio né fine. La generazione da parte di Dio, infatti, non ha inizio nel tempo, perché tutti i tempi furono creati per mezzo di colui che fu generato.

7. A queste sue parole, molti credettero in lui (Jn 8,30). Dio voglia che anche per le mie parole, molti di quelli che pensavano in altro modo, comprendano e credano in lui. Forse in mezzo a voi ci sono degli ariani. Spero non ci siano dei sabelliani che sostengono che il Figlio è lo stesso che il Padre: un'eresia tanto vecchia e ormai consunta. Quella degli ariani ha ancora dei sussulti, come quelli di un cadavere in putrefazione o, al più, di uno che è in agonia; occorre liberarne quelli che restano, così come molti sono stati liberati. Veramente in questa città non ce n'erano, ma ne è arrivato qualcuno con gli immigrati. Dio voglia che come alle parole del Signore molti Giudei credettero in lui, così anche alle mie parole molti ariani credano, non in me, ma insieme con me.

(E' grande ciò che comincia dalla fede.)

2. 8. Gesù allora prese a dire ai Giudei che avevano creduto in lui: Se voi rimanete nella mia parola (Jn 8,31). Dice se voi rimanete, in quanto già siete stati iniziati e avete già cominciato ad essere nella mia parola. Se rimanete, cioè se rimanete costanti nella fede che ha cominciato a essere in voi che credete, dove giungerete? Considera quale sia l'inizio e dove conduca. Hai amato il fondamento, ora contempla il vertice, e da questa bassezza leva lo sguardo verso l'altezza. La fede importa un certo qual abbassamento; nella visione, nell'immortalità, nell'eternità non v'è alcun abbassamento; tutto è grandezza, elevatezza, piena sicurezza, eterna stabilità, senza timore di attacchi nemici o di fine. E' grande ciò che comincia dalla fede, eppure viene disprezzato; così come in una costruzione gli inesperti son soliti dare poca importanza alle fondamenta. Si scava una grande fossa, vi gettano pietre alla rinfusa, non squadrate né levigate, e non appare quindi niente di bello, come niente di bello appare nella radice di un albero. Ma tutto ciò che nell'albero ti piace è venuto su dalla radice. Guardi la radice e non ti piace, contempli l'albero e resti ammirato. Stolto, ciò che ammiri è venuto su da ciò che non ti piace. Ti sembra una cosa da poco la fede dei credenti, perché non hai bilancia per pesarla. Ma ascolta dove conduce e saprai misurarne il valore. Lo stesso Signore, in un'altra circostanza, dice: Se avrete fede come un granello di senape (Mt 17,19). Cosa c'è di più umile e insieme di più potente? Cosa c'è di più trascurabile e insieme di più fecondo? Dunque, anche voi - dice il Signore -se rimanete nella mia parola, in cui avete creduto, dove sarete condotti? Sarete davvero miei discepoli. E che vantaggio avremo? E conoscerete la verità (Jn 8,31-32).

3. 9. Cosa promette ai credenti, o fratelli? E conoscerete la verità. Ma come? Non l'avevano già conosciuta quando il Signore parlava? Se non l'avevano conosciuta, come avevano potuto credere? Essi non credettero perché avevano conosciuto, ma credettero per conoscere. Crediamo anche noi per conoscere, non aspettiamo di conoscere per credere. Ciò che conosceremo non può essere visto dagli occhi. né udito dagli orecchi, né può essere compreso dal cuore dell'uomo (Is 64,1 1Co 2,9). Che cosa è infatti, la fede, se non credere ciò che non vedi? La fede è credere ciò che non vedi: la verità è vedere ciò che hai creduto, così come altrove dice lo stesso evangelista. Pertanto il Signore, al fine di stabilire la fede, s'intrattenne in un primo tempo qui in terra. Era uomo, si era umiliato, tutti lo vedevano ma non tutti lo riconoscevano. Rifiutato dalla maggioranza, messo a morte dalla moltitudine, da pochi fu pianto, e tuttavia, anche da questi dai quali fu pianto, non era ancora conosciuto per quel che esattamente era. Tutto ciò era come un tracciare le linee fondamentali della fede e della sua futura struttura, in riferimento alla quale il Signore stesso in altro luogo disse: Chi mi ama, osserva i miei comandamenti; e chi mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io lo amero, e a lui mi manifestero (Jn 14,21). Coloro che lo ascoltavano, lo vedevano; tuttavia egli promise che si sarebbe mostrato loro, se lo avessero amato. Così qui dice: Conoscerete la verità. Come? ciò che hai detto non è la verità? Certo che è la verità, ma essa per ora si deve credere, ancora non la si può vedere. Se si permane in ciò che si deve credere, si giungerà a ciò che si potrà vedere. In questo senso il medesimo santo evangelista Giovanni nella sua lettera dice: Carissimi, fin d'ora noi siamo figli di Dio, ma ciò che noi saremo non è stato ancora manifestato. Già siamo, e qualcosa saremo. Che cosa saremo più di quel che siamo? Ascolta: Non è stato ancora manifestato ciò che noi saremo. Noi sappiamo che quando questa manifestazione avverrà, saremo a lui somiglianti. Perché? Perché lo vedremo quale egli è (1Jn 3,2). Magnifica promessa; pero è la ricompensa della fede. Se vuoi la ricompensa, devi prima compiere l'opera. Se credi, hai diritto alla ricompensa della fede; ma se non credi, con che faccia potrai esigerla? Se - dunque -rimarrete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli, e potrete contemplare la verità come essa è, non per mezzo di parole sonanti, ma per mezzo della sua luce splendente, quando Dio ci sazierà, così come dice il salmo: E' stata impressa in noi la luce del tuo volto, o Signore (Ps 4,7). Noi siamo moneta di Dio, una moneta smarritasi lontana dal suo tesoro. L'errore ha logorato ciò che in noi era stato impresso: ma è venuto a ricreare in noi la sua immagine quel medesimo che l'aveva creata; è venuto a cercare la sua moneta, come Cesare cercava la sua; perciò ha detto: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio (Mt 22,21): a Cesare le monete, a Dio voi stessi. E così sarà riprodotta in noi la verità.

(Amate con me.)

10. Che diro alla vostra Carità? Oh se il nostro cuore in qualche modo sospirasse verso quella gloria ineffabile! Se sentissimo fino a gemere la nostra condizione di pellegrini, e non amassimo il mondo; se con animo filiale non cessassimo di bussare alla porta di colui che ci ha chiamati! Il desiderio è il recesso più intimo del cuore. Quanto più il desiderio dilata il nostro cuore, tanto più diventeremo capaci di accogliere Dio. Ad accendere in noi il desiderio contribuiscono la divina Scrittura, l'assemblea del popolo, la celebrazione dei misteri, il santo battesimo, il canto delle lodi di Dio, la nostra stessa predicazione: tutto è destinato a seminare e a far germogliare questo desiderio, ma anche a far si che esso cresca e si dilati sempre più fino a diventar capace di accogliere ciò che occhio non vide, né orecchio udi, né cuor d'uomo riusci mai ad immaginare. Vogliate, perciò, amare con me. Chi ama Dio, non ama troppo il denaro. Tenendo conto della debolezza umana, non ho osato dire che non si deve amare per niente il denaro. Ho detto che chi ama Dio non ama troppo il denaro, quasi si possa amare il denaro purché non si ami troppo. Oh, se davvero amassimo Dio, non ameremmo affatto il denaro! Sarebbe per te un mezzo che ti serve nella tua peregrinazione, non un incentivo alla tua cupidigia; un mezzo per le tue necessità e non un modo per soddisfare i tuoi piaceri. Ama Dio, se egli ha compiuto in te qualcosa di quel che ascolti e apprezzi. Usa del mondo senza diventarne schiavo. Ci sei venuto per compiere il tuo viaggio: ci sei entrato per uscirne, non per restarvi. Sei un viandante, questa vita è soltanto una locanda. Serviti del denaro come il viandante si serve, alla locanda, della tavola, del bicchiere, del piatto, del letto, con animo distaccato da tutto. Se tali sono i vostri sentimenti, levate in alto più che potete il vostro cuore e ascoltatemi: se tali sono i vostri sentimenti, arriverete a vedere il compimento delle promesse del Signore. Non è molto ciò che vi si chiede, poiché grande è la mano di colui che vi ha chiamati. Egli ci ha chiamati; invochiamolo. Diciamogli: tu ci hai chiamati, noi t'invochiamo. Abbiamo udito la tua voce che ci chiamava, ascolta la nostra voce che t'invoca; portaci dove hai promesso, compi l'opera che hai iniziato: non abbandonare i tuoi doni, non trascurare il tuo campo, finché i tuoi germogli saranno raccolti nel granaio. Abbondano nel mondo le prove, ma più potente è colui che ha creato il mondo; abbondano le prove, ma non viene meno chi pone la speranza in colui che non può venir meno.

11. Vi ho rivolto questa esortazione, o fratelli, perché la libertà di cui parla nostro Signore Gesù Cristo, non appartiene al tempo presente. Notate che cosa ha aggiunto: Sarete davvero miei discepoli; e conoscerete la verità, e la verità vi libererà (Jn 8,31-32). Che vuol dire vi libererà? Vuol dire che vi farà liberi. I Giudei, che erano carnali e giudicavano secondo la carne, non quelli tra loro che avevano creduto, ma quelli che non avevano creduto, considerarono le parole la verità vi libererà come un'ingiuria rivolta a loro. Si indignarono per essere stati qualificati come schiavi. E in verità essi erano schiavi. Si mise allora a spiegare cosa fosse la schiavitù, e cosa fosse quella futura libertà che egli promette. Ma sarebbe troppo lungo intrattenerci oggi su questa libertà e su quella schiavitù.

41

OMELIA 41

(Jn 8,31-36)

Jn 8,31-36


Saremo liberi, solo se il Figlio ci libera.

La nostra speranza è di essere liberati da colui che è libero, e liberandoci ci renda servi: eravamo servi della cupidigia, liberati diventiamo servi della carità.

1. Ho rimandato il discorso sul seguito del passo precedente del santo Vangelo che oggi ci è stato nuovamente letto, sia perché avevo già parlato molto, sia perché di quella libertà cui ci chiama la grazia del Salvatore, non si può parlare di passaggio e superficialmente; per cui abbiamo deciso di riprendere oggi il discorso, contando sull'aiuto del Signore. Coloro ai quali si rivolgeva il Signore Gesù Cristo, erano Giudei, in gran parte si nemici, ma in parte diventati o in via di diventare amici; vedeva infatti che c'erano alcuni, come ho già detto, che dopo la sua passione avrebbero creduto in lui. Tenendo conto di questi aveva detto: Quando avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono (Jn 8,28). Erano presenti alcuni che a queste parole subito credettero, ai quali disse ciò che abbiamo sentito oggi: Gesù allora prese a dire ai Giudei che avevano creduto in lui: Se voi rimarrete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli. Rimanendo costanti, sarete discepoli: ora siete credenti, perseverando nella fede diverrete veggenti. perciò continua: e conoscerete la verità (Jn 8,31-32). La verità non è soggetta a mutamento. La verità è il pane che nutre lo spirito, senza venir meno: essa trasforma chi di lei si nutre, ma non si converte in chi la mangia. Ecco qual è la verità: il Verbo di Dio, Dio presso Dio, Figlio unigenito. Questa verità si è rivestita di carne per noi, nascendo dalla vergine Maria, adempiendo così la profezia: La verità è sorta dalla terra (Ps 84,12). Questa verità, quando parlava ai Giudei, rimaneva occulta nella carne: rimaneva occulta, non per farsi rifiutare, ma perché voleva rinviare la sua manifestazione; e rinviava la sua manifestazione per poter prima patire nella carne, e mediante i suoi patimenti nella carne redimere la carne del peccato. E cosi, rivelandosi nell'umiltà della carne e occultando la sua divina maestà, nostro Signore Gesù Cristo disse a coloro che mediante la sua parola gli avevano creduto: Se rimarrete nella mia parola, sarete davvero miei discepoli. Chi infatti avrà perseverato sino alla fine sarà salvo (Mt 10,22). E conoscerete la verità che ora è nascosta e vi parla. E la verità vi libererà (Jn 8,32). Questo verbo il Signore lo prende dalla parola libertà, e perciò non significa altro che vi farà liberi; allo stesso modo che salvare non significa altro che fare salvo, e sanare significa rendere uno sano, e arricchire significa rendere uno ricco; così liberare significa rendere uno libero. Ciò risulta più chiaro in greco; perché in latino siamo soliti dire che uno viene liberato, senza riferirci alla libertà ma soltanto alla salute; così diciamo che uno viene liberato da un'infermità: è un modo di dire, ma non è un parlare con proprietà. E' invece in senso proprio che il Signore usa questo verbo, quando dice la verità vi libererà; secondo il testo greco è fuori dubbio che egli si riferisce alla libertà.

(La verità ci libera dalla servitù del peccato.)

2. 2. E in questo senso lo intesero i Giudei, i quali gli risposero: non quelli che erano diventati credenti, ma quanti in quella folla erano rimasti increduli. Gli risposero: Noi siamo stirpe di Abramo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi dire: diventerete liberi? (Jn 8,33). Il Signore pero non aveva detto: sarete liberi, bensi: "la verità vi libererà". In questa espressione che, come ho detto, appare chiara in greco, essi non intesero altro che la libertà, e si vantarono di essere discendenti di Abramo. Dissero: Noi siamo stirpe di Abramo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: diventerete liberi? Palloni gonfiati! Questo non significa essere grandi, ma gonfi d'aria. Anche limitandosi alla libertà temporale, come potete sostenere che non siete mai stati schiavi di nessuno? Non fu venduto Giuseppe (Gn 37,28)? Non furono deportati come schiavi i santi profeti (cf. 2S 24)? Non siete forse quel medesimo popolo che in Egitto costruiva mattoni e serviva dei re tiranni, non lavorando l'oro o l'argento ma impastando terra (cf. Ex 1,14)? Se non siete mai stati servi di nessuno perché, o ingrati, Dio vi ricorda continuamente di avervi dovuto liberare dalla casa della schiavitù (cf. Ex 13,3 Dt 5,6 ecc.)? O forse sono stati schiavi i vostri padri, e voi che ora parlate non siete schiavi di nessuno? Perché allora state pagando il tributo ai Romani, tanto che avete tentato di far cadere in un tranello la verità stessa, chiedendogli se fosse lecito pagare il tributo a Cesare? Se egli avesse risposto che era lecito, voi lo avreste fatto passare per nemico della libertà della stirpe di Abramo; e se avesse risposto che non lo era, lo avreste accusato presso i re della terra di impedire il pagamento del tributo all'autorità. Elegantemente vi ha confusi per mezzo della moneta da voi presentatagli, costringendo voi stessi a rispondere alla vostra capziosa domanda. Egli infatti vi disse: Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio, avendo voi stessi risposto che l'effigie della moneta era di Cesare (Mt 22,15-21). Così come Cesare cerca la sua immagine nella moneta, Dio cerca la sua nell'uomo. Questo è dunque ciò che rispose ai Giudei. Mi fa impressione, o fratelli, la vanagloria degli uomini, che spinse i Giudei a mentire, anche a proposito della libertà intesa solo in senso carnale, e ad affermare: Non siamo mai stati schiavi di nessuno.

1. 3. Piuttosto, ascoltiamo con molta attenzione la risposta del Signore, e teniamone conto, se non vogliamo anche noi essere degli schiavi. Rispose loro Gesù: In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato (Jn 8,34). E' schiavo, e magari lo fosse dell'uomo piuttosto che del peccato! Chi non tremerà a queste parole? Che il Signore Dio nostro aiuti me e voi, in modo che vi possa parlare come si conviene di questa libertà cui si deve aspirare, e di quella schiavitù che si deve evitare. La verità stessa dichiara: Amen, amen, io vi dico. Che significa questa espressione del Signore Dio nostro: amen, amen, io vi dico? E' un'espressione energica per richiamare l'attenzione su ciò che afferma: si può dire che è come la formula del suo giuramento: amen, amen, io vi dico. Amen significa "è vero", "è cosi". Si sarebbe potuto tradurre: "Io vi dico la verità"; ma né il traduttore greco né quello latino hanno osato tradurre la parola amen, che non è né greca né latina, ma ebraica. Non è stata tradotta, come per custodire gelosamente un segreto: non per sottrarlo, ma per timore che togliendo il velo il segreto si svilisse. Non una sola volta, ma due volte il Signore dice: Amen, amen, io vi dico, affinché dalla ripetizione stessa riconosciate come abbia voluto sottolineare l'affermazione.

2. 4. Che cosa ha voluto sottolineare? "In verità, in verità, io vi dico", dice la verità in persona; la quale anche se non affermasse "in verità io vi dico", assolutamente non potrebbe mentire. Tuttavia insiste, sottolinea: vuole così scuotere chi dorme, richiamare l'attenzione di tutti, non accetta di essere ignorata o disprezzata. Che cosa intende affermare? In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Oh, miserabile schiavitù! Accade che uomini schiavi di duri padroni chiedano di essere venduti, non per non avere più padrone, ma almeno per cambiarlo. Che farà chi è schiavo del peccato? a chi si rivolgerà? presso chi ricorrerà? a chi chiederà di essere venduto? Chi è schiavo di un uomo, quando non riesce più a sopportare le dure imposizioni del suo padrone, cerca scampo nella fuga; ma chi è schiavo del peccato dove fugge? Dovunque vada, si porta dietro se stesso. La cattiva coscienza non può fuggire da se stessa, non ha dove andare, ovunque accompagna se stessa; anzi, mai se ne distacca, perché il peccato che ha commesso se lo porta sempre dentro. Ha commesso il peccato per procurarsi un piacere corporale; il piacere è passato, il peccato rimane; è passato ciò che procurava piacere, è rimasto il rimorso. Squallida schiavitù! Spesso si rifugiano presso la Chiesa,

e nella maggior parte dei casi ci danno filo da torcere, uomini insofferenti di ogni disciplina, i quali non vogliono star soggetti ad alcun padrone, ma non sanno vivere senza peccato. Altri invece, sottoposti a un ingiusto e duro giogo, si rifugiano presso la Chiesa e invocano l'intervento del vescovo, perché da liberi sono stati ridotti a schiavi; e se il vescovo in tutti i modi non impedisce che la libertà nativa venga oppressa, lo si ritiene duro di cuore. Ricorriamo tutti a Cristo, invochiamo contro il peccato l'intervento di Dio liberatore, chiediamo di essere venduti, ma per essere ricomprati con il suo sangue. Siete stati venduti per niente - dice il Signore -e senza denaro sarete ricomprati (Is 52,3). Senza denaro, cioè senza il vostro denaro, perché il prezzo l'ho pagato io. Questo dice il Signore: egli ha pagato il prezzo, e non in denaro ma con il suo sangue. Noi infatti eravamo schiavi e miserabili.

(Ci libera colui che si è offerto in sacrificio.)

1. 5. Solo il Signore ci può liberare da questa schiavitù: egli che non la subi, ce ne libera; perché egli è l'unico che è venuto in questa carne senza peccato. Anche i bambini che vedete in braccio alle loro mamme, ancora non camminano e già sono prigionieri del peccato: lo hanno ereditato da Adamo e solo da Cristo sono liberati. Anche ad essi, quando vengono battezzati, viene conferita questa grazia promessa dal Signore; poiché può liberare dal peccato solo chi è venuto senza peccato e si è fatto vittima per il peccato. Avete sentito quanto dice l'Apostolo, le cui parole sono state appena lette: Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, ed è come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo; cioè, come se Cristo stesso vi supplicasse. Di che cosa? Riconciliatevi con Dio (2Co 5,20). Se l'Apostolo ci esorta e ci supplica a riconciliarci con Dio, vuol dire che eravamo nemici di Dio. Non ci si riconcilia infatti se non quando si è nemici. Ma è stato il peccato, non la natura, a renderci nemici. Nemici di Dio perché schiavi del peccato. Dio non ha per nemici degli uomini liberi: per essere suoi nemici è necessario essere schiavi e tali si rimane finché non si è liberati da colui del quale peccando gli uomini vollero essere nemici. Vi supplichiamo - dice l'Apostolo -in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio. Ma come possiamo riconciliarci con Dio, se non si elimina ciò che crea divisione tra noi e lui? Egli dice per bocca del profeta: Non è diventato duro d'orecchio per non sentire, ma sono i vostri peccati che hanno messo la divisione tra voi e il vostro Dio (Is 59,1-2). Non è possibile la riconciliazione se non si elimina l'ostacolo che si frappone tra noi e lui, ponendo, invece, in mezzo ciò che deve starci. C'è di mezzo un ostacolo che divide, ma c'è altresi il Mediatore che riconcilia. Cio che divide è il peccato, il mediatore che ci riconcilia è il Signore Gesù Cristo: Vi è un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5). Per abbattere il muro che divide, il peccato, è venuto quel mediatore che si è fatto ad un tempo vittima e sacerdote. E poiché si è fatto vittima per il peccato offrendo se stesso in olocausto sulla croce della sua passione, l'Apostolo, dopo aver detto: Vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio, aggiunge, come se noi avessimo chiesto in che modo possiamo riconciliarci: Lui - cioè Cristo stesso -che non conobbe peccato, Iddio lo fece per noi peccato, affinché in lui noi diventassimo giustizia di Dio (2Co 5,20-21). Lui - proprio lui, Cristo Dio -che non conobbe peccato, è venuto nella carne, cioè in una carne simile a quella del peccato (Rm 8,3), ma che tuttavia non era la carne del peccato, poiché in lui non v'era alcun peccato; e proprio perché in lui non c'era peccato, è diventato il vero sacrificio per il peccato.

2. 6. E' forse solo una mia opinione personale che peccato vuol dire sacrificio per il peccato? Coloro che hanno letto le Scritture, sanno che è cosi; e coloro che non hanno letto, si affrettino ad andare a vedere per rendersi conto che è cosi. Quando Dio ordino di offrire sacrifici per il peccato, e in tali sacrifici non vi era l'espiazione dei peccati, ma l'ombra della realtà futura, quegli stessi sacrifici, le stesse vittime, le stesse oblazioni, gli stessi animali che venivano immolati per i peccati, col sangue dei quali veniva prefigurato il sangue di Cristo, dalla legge erano chiamati peccati. La legge arrivava anzi, in certe sue parti, a prescrivere che i sacerdoti nel compiere il sacrificio stendessero le mani sul capo del peccato, volendo dire sul capo della vittima da immolare per il peccato. E' in questo senso che nostro Signore Gesù Cristo si è fatto peccato, cioè è diventato sacrificio per il peccato, egli che non conobbe peccato.

7. Davvero ci libera da questa schiavitù del peccato colui che nei salmi dice: Sono diventato come un uomo indifeso, libero tra i morti (Ps 87,5-6). Lui solo era libero, perché non aveva peccato. Egli stesso dice nel Vangelo: Ecco, sta per venire il principe di questo mondo, alludendo al diavolo, che sarebbe venuto nella persona dei Giudei suoi persecutori; ecco - dice -sta per venire, ma in me non troverà nulla. Anche nei giusti che uccide trova qualche peccato, sia pure leggero, ma in me non troverà nulla. E come se gli si obiettasse: se in te non troverà nulla, perché ti ucciderà?, egli subito aggiunge: Affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio; levatevi, andiamo via di qui (Jn 14,30-31). Non sono costretto a morire, dice, per pagare il prezzo del mio peccato, ma con la mia morte compio la volontà del Padre mio: e con ciò non mi limito a patire, perché se non avessi voluto non avrei patito. Ascolta ciò che dice in altra occasione: Ho il potere di dare la mia vita e ho il potere di riprenderla di nuovo (Jn 10,18). E così dimostra di essere davvero libero tra i morti.

(Dalla servitù al servizio.)

2. 8. Dato che chiunque commette il peccato è schiavo del peccato, ascoltate quale speranza di libertà ci rimane. Ora, lo schiavo - dice -non rimane nella casa per sempre (Jn 8,35). La casa è la Chiesa, lo schiavo è il peccatore. Sono molti a entrare peccatori nella Chiesa. Egli, pero, non ha detto che lo schiavo non è nella casa, ma ha detto: non rimane nella casa per sempre. Se non ci sarà nessuno schiavo in quella casa, chi ci sarà? Quando il re giusto sederà in trono - dice la Scrittura -chi potrà vantarsi d'avere il cuore puro? e chi potrà vantarsi di avere il cuore libero dal peccato? (Prv 20,8-9). Ci ha riempiti di spavento, o miei fratelli, quando ha detto: lo schiavo non rimane nella casa per sempre. Pero egli subito aggiunge: ma il Figlio vi dimora per sempre. Ma allora Cristo sarà solo nella sua casa? non ci sarà nessun popolo unito a lui? Di chi sarà il capo se non vi sarà il corpo? O forse con la parola "Figlio" vuole intendere il tutto, cioè il capo e il corpo? Non è senza motivo che egli ci ha riempiti di spavento e insieme ha acceso nel nostro cuore la speranza: ci ha spaventati per staccarci dal peccato, ci ha aperto il cuore alla speranza perché non disperassimo dell'assoluzione dal peccato: chiunque commette il peccato - dice -è schiavo del peccato; ora, lo schiavo non rimane nella casa per sempre. Quale speranza c'è dunque per noi che non siamo senza peccato? Ascolta quale speranza c'è per te: Il Figlio vi dimora per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi (Jn 8,34-36). Questa è la nostra speranza, o fratelli: che ci liberi colui che è libero, e, liberandoci, ci faccia suoi schiavi. Eravamo schiavi della cupidigia, e, liberati, diventiamo schiavi della carità. E' quello che dice l'Apostolo: Voi, o fratelli, siete stati chiamati a libertà; soltanto non invocate la libertà a pretesto di una condotta carnale, ma servitevi a vicenda mediante la carità (Ga 5,13). Non dica il cristiano: Sono libero, sono stato chiamato alla libertà; ero schiavo ma sono stato redento, e in forza della redenzione sono diventato libero; posso fare quindi ciò che voglio, nessuno ponga limiti alla mia volontà se sono libero. Ma se con questa volontà commetti il peccato, sei di nuovo schiavo del peccato. Non abusare quindi della libertà per abbandonarti al peccato, ma usala per non peccare. La tua volontà sarà libera se sarà buona. Sarai libero se sarai schiavo: libero dal peccato, schiavo della giustizia, così come dice l'Apostolo: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi dalla giustizia. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il vostro frutto nella santificazione; e il fine è la vita eterna (Rm 6,20 Rm 22). A questo devono tendere tutti i nostri sforzi.

(Libertà dalla colpa.)

1. 9. La prima libertà consiste nell'essere esenti da crimini. State attenti, miei fratelli, state attenti per poter capire in che consiste ora e in che consisterà nel futuro questa libertà. Per giusto che possa risultare uno in questa vita, anche ammesso che meriti il nome di giusto, non è tuttavia senza peccato. Ascolta a questo proposito ciò che dice nella sua lettera lo stesso Giovanni, autore di questo Vangelo: Se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi (1Jn 1,8). Questo può dirlo solo chi era libero tra i morti, e vale solo per colui che non conobbe peccato, del quale soltanto si può dire che passo come noi attraverso tutte le esperienze, tranne quella del peccato (cf. He 4,15). Lui soltanto ha potuto dire: Ecco viene il principe di questo mondo, e in me non troverà nulla (Jn 14,30). Qualsiasi altro, per giusto che possa sembrarti, non è del tutto senza peccato. Neppure lo stesso Giobbe, al quale il Signore rese una testimonianza tale da provocare l'invidia del diavolo che domando di poterlo tentare, uscendo dalla tentazione lui sconfitto e Giobbe provato (Jb 1,11). Appunto per questo Giobbe fu provato, non perché Dio avesse bisogno di conoscerlo per incoronarlo, ma affinché fosse noto a tutti gli uomini come esempio da imitare. Ebbene, Giobbe stesso cosa dice? Chi è mondo? Neppure il bambino di un giorno (Jb 14,4 sec. LXX). E' vero che di molti si è detto che erano giusti e irreprensibili, ma nel senso che non si poteva rimproverare loro alcun crimine; poiché non sembra giusto, trattandosi di uomini, muovere rimprovero a chi è senza crimine. Il crimine è il peccato grave, degno in tutto di riprovazione e di condanna. Ma Dio non condanna alcuni peccati, giustificandone e lodandone altri; non ne approva nessuno, li detesta tutti. Allo stesso modo che un medico odia la malattia del malato e fa di tutto per eliminare la malattia e liberare il malato, così Dio con la sua grazia opera in noi per estinguere il peccato e liberare l'uomo. Ma quando, ti domandi, il peccato verrà eliminato? Se viene limitato, perché non viene eliminato? Viene limitato nella vita di coloro che sono in cammino, e viene eliminato nella vita di coloro che hanno raggiunto la perfezione.

2. 10. La prima libertà, quindi, consiste nell'essere immuni da colpe gravi. perciò l'apostolo Paolo dovendo scegliere chi doveva essere ordinato presbitero o diacono, e chiunque altro per il governo della Chiesa, non ha detto "Se uno è senza peccato"; perché se avesse detto questo, tutti dovevano essere riprovati e nessuno ordinato. Ha detto: Se uno è senza colpa grave (Tt 1,6 1Tm 3,10), come sarebbe l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio, e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà; ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta. Perché, domanderà qualcuno, non è la libertà perfetta? Perché sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione; per cui non quello che vorrei io faccio, - dice l'Apostolo -ma quello che detesto (Rm 7,23 Rm 19). La carne ha voglie contrarie allo spirito e lo spirito desideri opposti alla carne, così che voi non fate ciò che vorreste (Ga 5,17). Libertà parziale, parziale schiavitù: non ancora completa, non ancora pura, non ancora piena è la libertà, perché ancora non siamo nell'eternità. In parte conserviamo la debolezza, e in parte abbiamo raggiunto la libertà. Tutti i nostri peccati nel battesimo sono stati distrutti; ma è forse scomparsa la debolezza, dato che è stata distrutta l'iniquità? Se essa fosse scomparsa, si vivrebbe in terra senza peccato. Chi oserà affermare questo se non chi è superbo, se non chi è indegno della misericordia del liberatore, se non chi vuole ingannare se stesso e nel quale non c'è la verità? Ora, siccome è rimasta in noi qualche debolezza, oso dire che nella misura in cui serviamo Dio siamo liberi, mentre nella misura in cui seguiamo la legge del peccato siamo schiavi. L'Apostolo conferma ciò che noi stiamo dicendo: Secondo l'uomo interiore io mi diletto nella legge di Dio (Rm 7,22). Siamo liberi, in quanto ci dilettiamo nella legge di Dio: è la libertà che ci procura questo diletto. Finché è il timore che ti porta ad agire in modo giusto, vuol dire che Dio non forma ancora il tuo diletto. Finché ti comporti da schiavo, vuol dire che ancora non hai riposto in Dio la tua delizia: quando troverai in lui la tua delizia, sarai libero. Non temere il castigo, ama la giustizia. Non sei ancora arrivato ad amare la giustizia? Comincia ad aver timore del castigo, onde giungere ad amare la giustizia.

11. L'Apostolo si sentiva già libero nella parte superiore, quando diceva: Secondo l'uomo interiore io mi diletto nella legge di Dio. Acconsento cordialmente alla legge, mi compiaccio in ciò che la legge comanda, e la giustizia stessa mi procura gioia. Ma vedo un'altra legge nelle mie membra - questa è la debolezza che è rimasta -che è in conflitto con la legge della mia mente e mi rende schiavo sotto la legge del peccato che è nelle mie membra (Rm 7,22-23). In quella parte dove la giustizia era incompleta, si sente schiavo, mentre dove si diletta nella legge di Dio, non si sente schiavo, ma amico della legge; ed essendo amico è perciò libero. Che dobbiamo fare nei confronti della debolezza che resta in noi? Ci rivolgiamo a colui che dice: Se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi (Jn 8,36). A lui si rivolge lo stesso Apostolo, esclamando: O me infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Dunque se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi. E così conclude: Io dunque, quanto alla mente, servo alla legge di Dio, quanto alla carne invece alla legge del peccato (Rm 7,24-25). Io stesso, dice; poiché non si tratta di due persone fra loro contrarie, provenienti da origine diversa; ma io stesso quanto alla mente, servo alla legge di Dio, quanto alla carne invece alla legge del peccato, fintanto che l'infermità in me resisterà alla salute.

(Al servizio di Dio, nella libertà di Cristo.)

2. 12. Ma se quanto alla carne sei soggetto alla legge del peccato, fa' quanto dice l'Apostolo: Il peccato, dunque, non regni più nel vostro corpo mortale si da piegarvi alle sue voglie, né vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato (Rm 6,12-13). Non ha detto: non ci sia, ma non regni. E' inevitabile che il peccato perduri nelle tue membra; gli si tolga almeno il regno, non si faccia ciò che comanda. Insorge l'ira? non concedere all'ira la lingua per maledire, non offrire all'ira la mano o il piede per colpire. Non insorgerebbe questa ira irragionevole se nelle tue membra non esistesse il peccato; pero privala del potere, sicché non possa disporre di armi per combattere contro di te; quando non troverà più armi, cesserà d'insorgere. Non vogliate offrire le vostre membra quali armi di iniquità al servizio del peccato; altrimenti sarete del tutto schiavi e non potrete dire con la mente servo alla legge di Dio. Se la mente infatti controlla le armi, le membra non potranno muoversi al servizio delle voglie insane del peccato. Il comandante interiore occupi la fortezza, perché il subalterno si muova agli ordini del comandante superiore; freni l'ira, reprima la concupiscenza. Sempre vi è qualcosa da frenare, qualcosa da reprimere, qualcosa da dominare. Che altro voleva quel giusto, che con la mente serviva alla legge di Dio, se non che non ci fosse assolutamente nulla da frenare? E questo deve sforzarsi di ottenere chiunque tende alla perfezione, che la concupiscenza, privata di membra obbedienti, diminuisca via via che uno progredisce. Sono in grado di volere il bene, -dice ancora l'Apostolo -ma non di portarlo a compimento (Rm 7,18). Ha forse detto che non è in grado di fare il bene? Se avesse detto questo, non rimarrebbe alcuna speranza. Ha detto che non è in suo potere non il "fare", ma il portare a compimento. E in che consiste la perfetta attuazione del bene, se non nella distruzione e nella radicale eliminazione del male? E in che consiste la eliminazione del male se non in ciò che dice la legge: Non aver concupiscenze (Ex 20,17)? La perfezione del bene consiste nell'essere totalmente liberi dalla concupiscenza, perché in ciò consiste la eliminazione del male. Questo è ciò che afferma l'Apostolo: L'attuazione perfetta del bene non è in mio potere. Non era in suo potere non sentire la concupiscenza: era in suo potere frenare la concupiscenza per non assecondarla, e rifiutarsi di offrire le sue membra al servizio della concupiscenza. Compiere perfettamente il bene, non è in mio potere, dato che mi è impossibile adempiere il comandamento: Non aver concupiscenze. Che cosa è dunque necessario? Che tu metta in pratica il precetto: Non seguire le tue concupiscenze (Si 18,30). Fa' così finché nella tua carne permangono le concupiscenze illecite: Non seguire le tue concupiscenze. Rimani fedele nel servizio di Dio, permani nella libertà di Cristo; assoggettati con la mente alla legge del tuo Dio. Non seguire le tue concupiscenze: seguendole, le rinforzi; e se le rinforzi come potrai vincerle? Come potrai vincere i tuoi nemici, se li nutri contro di te con le stesse tue forze?

13. E' questa la libertà piena e perfetta dono del Signore Gesù che ha detto: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi. Ma quando sarà veramente piena e perfetta? Quando non ci saranno più nemici, quando sarà distrutta l'ultima nemica che è la morte. Bisogna infatti che questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità, che questo corpo mortale rivesta l'immortalità; ma quando questo corpo mortale si sarà rivestito dell'immortalità, allora si compirà quella parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? (1Co 15,26 1Co 53-55). Che significa: morte, dov'è la tua vittoria? Che quando dominava la carne del peccato, la carne aveva desideri contrari allo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne. Morte, dov'è la tua vittoria? Ormai vivremo, non dovremo più morire, grazie a colui che per noi è morto ed è risorto affinché coloro che vivono - dice l'Apostolo -non vivano più per se stessi, ma per colui che mori e risuscito per essi (2Co 5,15). Chiamiamo il medico, noi che siamo feriti, e facciamoci portare all'albergo per essere curati. Chi assicura la guarigione è colui che ebbe misericordia di quell'uomo che i briganti abbandonarono sulla strada mezzo morto: ne curo le ferite versandovi sopra olio e vino, se lo mise sulla cavalcatura, lo porto all'albergo e lo raccomando all'albergatore. A quale albergatore? Penso a colui che disse: Noi siamo gli ambasciatori di Cristo (2Co 5,20). Perché il ferito fosse curato, sborso due denari (Lc 10,30-35); che credo siano i due precetti che racchiudono tutta la legge e i profeti (Mt 22,37-40). Anche la Chiesa dunque, o fratelli, è quaggiù un albergo per i viandanti, poiché in essa si ha cura di chi è ferito; ma è in alto l'eredità a lei destinata.


Agostino - Commento Gv 40