Agostino - Commento Gv 52

52

OMELIA 52

(Jn 12,27-36)

Jn 12,27-36


Il turbamento di Cristo.

Cristo ci ha trasferiti in sé; ha voluto provare in sé, il nostro capo, le emozioni e l'angoscia delle sue membra. Egli, il mediatore tra Dio e gli uomini, che ha suscitato in noi il desiderio delle cose supreme, ha voluto patire con noi le cose infime.

1. Dopo che il Signore Gesù Cristo, con le parole che abbiamo letto ieri, ebbe esortato coloro che lo servono a seguirlo; dopo aver predetto la sua passione dicendo che se il chicco di frumento non cade in terra e vi muore, resta solo, mentre se muore porta molto frutto (Jn 12,24); dopo aver stimolato coloro che vogliono seguirlo nel regno dei cieli a odiare la loro anima in questo mondo per conservarla nella vita eterna; ancora una volta si mostro condiscendente verso la nostra debolezza, pronunciando le parole con cui inizia la lettura di oggi: Ora l'anima mia è turbata (Jn 12,27). Perché è turbata la tua anima, Signore? Poco fa hai detto: Chi odia la sua anima in questo mondo, la conserva per la vita eterna (Jn 12,25). Vuol dire che tu ami la tua anima in questo mondo, e per questo essa è turbata vedendo avvicinarsi l'ora di uscire da questo mondo? Chi oserà affermare questo dell'anima del Signore? Gli è che lui, il nostro capo, ci ha trasferiti in sé, ci ha accolti in sé, facendo proprie le emozioni delle sue membra; e perciò non bisogna cercare fuori di lui la causa del suo turbamento: Egli stesso si turbo (Jn 11,33), come nota l'evangelista in occasione della risurrezione di Lazzaro. Bisognava infatti che l'unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, così come ci sollevo alle più sublimi altezze, condividesse con noi le esperienze più umilianti.

(Dio sopra di noi, uomo per noi.)

2. 2. L'ho sentito dire: E' venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato; se il chicco di frumento muore, porta molto frutto. Sento che dice: Chi odia la sua anima in questo mondo la conserverà per la vita eterna (Jn 12,23-25). Non posso limitarmi ad ammirarlo, ma sono tenuto ad imitarlo. Poi le parole seguenti: Chi mi serve, mi segua; e dove sono io, ivi sarà anche il mio servitore (Jn 12,26), mi infiammano a disprezzare il mondo, e tutta questa vita, per lunga che sia, mi appare un soffio e quasi nulla; e l'amore delle cose eterne svilisce quelle temporali. Tuttavia sento il medesimo mio Signore, che con quelle parole mi aveva strappato alla mia debolezza per trasferirmi nella sua forza, sento che dice: Ora l'anima mia è turbata. Che vuol dire? Come pretendi che l'anima mia ti segua, se vedo l'anima tua turbata? Come potro io sostenere ciò che fa tremare la tua solidità? Su chi mi appoggero se la pietra d'angolo soccombe? Mi pare di sentire nel mio animo ansioso la risposta del Signore che mi dice: Potrai seguirmi con più coraggio, poiché io mi sostituisco a te in modo che tu rimanga saldo: hai udito come tua la voce della mia potenza, ascolta in me la voce della tua debolezza; io che ti do la forza per correre, non rallento la tua corsa, ma facendo passare in me la tua angoscia ti apro il varco per farti passare. O Signore, mediatore, Dio sopra di noi, uomo per noi! riconosco la tua misericordia, perché tu così forte ti turbi volontariamente per amore, e quei molti che inevitabilmente si turbano per la loro debolezza, tu mostrando la debolezza del tuo corpo li consoli cosicché non cadano nella disperazione e periscano.

3. 3. Chi vuole seguirlo, ascolti ora per quale via bisogna seguirlo. Viene, per esempio, un momento terribile, si presenta questa alternativa: o commettere l'iniquità o subire il supplizio: l'anima debole, per la quale si turbo volontariamente l'anima invincibile del Signore, è turbata. Anteponi la volontà di Dio alla tua. Bada a ciò che ha soggiunto il tuo creatore e maestro, colui che ti fece e che per insegnare a te si è fatto egli stesso creatura. Si è fatto uomo colui che ha fatto l'uomo; ma rimanendo Dio immutabile, ha mutato in meglio l'uomo. Ascoltalo. Dopo aver detto: Ora l'anima mia è turbata, egli prosegue: E che diro? Padre, salvami da quest'ora! Ma è per questo che sono giunto a quest'ora. Padre, glorifica il tuo nome (Jn 12,27-28). Ti insegna cosa devi pensare, cosa devi dire, chi devi invocare, in chi sperare, e come devi anteporre la volontà divina, che è sicura, alla tua debole volontà umana. Non ti sembri perciò che egli cada dall'alto per il fatto che vuole sollevare te dal basso. Infatti si è lasciato anche tentare dal diavolo, dal quale certamente non si sarebbe fatto tentare se non avesse voluto, così come non avrebbe patito se non avesse voluto; e al diavolo rispose ciò che anche tu devi rispondere al tentatore (Mt 4,1-10). Egli certamente fu tentato ma senza pericolo alcuno, per insegnarti a rispondere al tentatore nel pericolo delle tentazioni, a non seguire il tentatore e a sfuggire il pericolo. Egli dice qui: Ora l'anima mia è turbata, così come altrove dirà: La mia anima è triste fino a morirne (Mt 26,38); e ancora: Padre, se è possibile, passi da me questo calice (Mt 26,39). Egli ha preso su di sé la debolezza umana, per aiutare chiunque sia come lui colto dalla tristezza e dall'angoscia, a ripetere le parole che egli soggiunge: Tuttavia si faccia non quello che voglio io ma quello che vuoi tu, Padre. E cosi, anteponendo la volontà divina alla volontà umana, l'uomo si eleva dall'umano al divino. Che significano le parole: Glorifica il tuo nome, se non questo: Glorificalo nella passione e nella risurrezione? Il Padre deve glorificare il Figlio, il quale a sua volta renderà glorioso il suo nome anche nelle prove dolorose somiglianti alle sue, che i suoi servi dovranno subire. Per questo fu scritto e fu detto a Pietro: Un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorresti, per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Jn 21,27). E così in lui Dio glorifica il suo nome, perché in questo modo glorifica Cristo anche nelle sue membra.

4. 4. Dal cielo venne allora una voce: L'ho glorificato e ancora lo glorifichero (Jn 12,28). L'ho glorificato prima di creare il mondo, e ancora lo glorifichero quando risusciterà dai morti e ascenderà al cielo. Si può intendere anche in un altro modo: L'ho glorificato quando è nato dalla Vergine, quando operava prodigi, quando è stato adorato dai Magi guidati dalla stella, ed è stato riconosciuto dai santi pieni di Spirito Santo; quando ricevette l'attestazione dello Spirito che discese su di lui in forma di colomba, quando fu presentato dalla voce che risuono dal cielo; quando si trasfiguro sul monte, quando compi tanti miracoli; quando guariva malati e mondava lebbrosi; quando con pochi pani nutri tante migliaia di persone, e comando ai venti e ai flutti, e risuscito i morti. E ancora lo glorifichero quando risorgerà dai morti, e la morte non avrà più su di lui alcun potere, quando come Dio sarà esaltato sopra i cieli e la sua gloria si estenderà a tutta la terra.

5. 5. La folla che stava là e aveva udito, diceva ch'era stato un tuono; altri dicevano: Un angelo gli ha parlato. Gesù riprese: Non per me è risuonata questa voce, ma per voi (Jn 12,29-30). Fece osservare che quella voce non era per indicare a lui ciò che egli già sapeva, ma era diretta a coloro che avevano bisogno di una testimonianza. Come quella voce da parte di Dio non era risuonata per lui ma per gli altri, così la sua anima non si era volontariamente turbata per lui ma per gli altri.

(Cristo glorificato nelle sue membra.)

6. 6. Ascoltiamo il seguito: E' adesso - dice -il giudizio di questo mondo (Jn 12,31). Quale giudizio dunque c'è ancora da aspettare per la fine del mondo? Il giudizio che avrà luogo alla fine del mondo sarà per giudicare i vivi e i morti, per assegnare il premio o la pena eterna. Di quale giudizio, dunque, si tratta ora? Già nelle precedenti letture ho cercato di spiegare alla vostra Carità che esiste un giudizio che non è di condanna ma di separazione, conforme a quanto dice un salmo: Giudicami, o Dio, e separa la mia causa dalla gente empia (Ps 42,1). Imperscrutabili infatti sono i giudizi di Dio, come afferma un altro salmo: I tuoi giudizi sono abissi profondi (Ps 35,7). E l'Apostolo esclama: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi! (Rm 11,33). Di tali giudizi fa parte anche questo di cui parla il Signore: E' adesso il giudizio di questo mondo: distinto da quel giudizio finale in cui definitivamente saranno giudicati i vivi e i morti. Il diavolo teneva in suo potere il genere umano e teneva soggetti i meritevoli di punizione con il chirografo dei loro peccati; egli regnava nel cuore degli infedeli e con l'inganno induceva i suoi prigionieri a rendere culto alla creatura al posto del Creatore. Ma per la fede in Cristo, fondata sulla morte e risurrezione di lui, per mezzo del suo sangue versato per la remissione dei peccati, migliaia di credenti si liberano dal dominio del diavolo e si uniscono al corpo di Cristo, e sotto un così augusto Capo le membra fedeli vengono animate da un medesimo Spirito, che è quello suo. Era di questo giudizio che intendeva parlare, di questa separazione, di questa cacciata del diavolo dai suoi redenti.

(In che senso "ora sarà cacciato fuori"?)

1. 7. Notiamo quel che dice. Come se noi gli avessimo chiesto il significato della sua affermazione: E' adesso il giudizio di questo mondo, proseguendo ce lo spiega: Adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori (Jn 12,31). Abbiamo sentito di quale giudizio si tratta: non di quello che avverrà alla fine del mondo, quando saranno giudicati i vivi e i morti, e gli uni saranno collocati a destra e gli altri a sinistra; ma del giudizio con cui il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. In che senso stava dentro, e in che luogo dice che dovrà essere cacciato fuori? Forse che era nel mondo e ne è stato cacciato fuori? Se egli avesse parlato del giudizio che avverrà alla fine del mondo, si potrebbe pensare al fuoco eterno in cui dovrà essere cacciato il diavolo con i suoi angeli e con tutti quelli che appartengono a lui, non per natura ma per la colpa, non perché li ha creati o generati, ma perché li ha sedotti e assoggettati; si potrebbe allora pensare che quel fuoco eterno si trovi fuori del mondo e che per questo abbia detto: sarà cacciato fuori. Siccome pero ha detto: E' adesso il giudizio di questo mondo, spiegando: adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori, si deve intendere che tutto questo avviene ora e si distingue da quello che dovrà avvenire in un lontano futuro, nell'ultimo giorno. Il Signore dunque prediceva quanto già conosceva, e cioè che dopo la sua passione e la sua glorificazione, in tutto il mondo popoli interi avrebbero creduto. Il diavolo si trovava allora nel cuore di essi, ma ne è stato cacciato fuori quando essi, credendo, hanno rinunziato a lui.

2. 8. Si osserverà: Il diavolo non era stato cacciato fuori anche dal cuore dei patriarchi, dei profeti e di tutti i giusti dell'antichità? Certamente. In che senso allora il Signore dice: adesso sarà cacciato fuori? Nel senso che quanto allora era avvenuto per pochissimi uomini, ora il Signore annuncia che avverrà ormai largamente in molti popoli. La stessa soluzione vale anche per l'altro problema, simile a questo, dove Giovanni diceva: Lo Spirito Santo non era stato ancora dato, perché Gesù non ancora era stato glorificato (Jn 7,39). Infatti, non certo senza lo Spirito Santo i profeti preannunciarono il futuro: illuminato dallo Spirito Santo il vecchio Simeone e la vedova Anna riconobbero il Signore bambino (Lc 2,25-38), e così Zaccaria ed Elisabetta per mezzo dello Spirito Santo predissero tante cose di lui non ancora nato ma già concepito (Lc 1,41-45 Lc 1,67-70). Tuttavia lo Spirito Santo non era stato ancora dato; cioè, non era stato ancora dato con quell'abbondanza di grazia spirituale per cui i discepoli, riuniti insieme, parlarono le lingue di tutti gli uomini (cf. ), annunciando così che la Chiesa sarebbe stata presente nella lingua di tutte le genti: quella grazia spirituale per la quale si sarebbero riuniti i popoli, sarebbero stati rimessi tutti i peccati, e a migliaia gli uomini si sarebbero riconciliati con Dio.

1. 9. Ma allora, mi si potrebbe dire, se il diavolo sarà cacciato fuori dal cuore dei credenti, non tenterà più alcun fedele? Al contrario, egli non cessa mai di tentare. Ma una cosa è che egli regni dentro e un'altra cosa è che attacchi dall'esterno; a volte il nemico cinge d'assedio una città ben fortificata, e non riesce ad espugnarla. L'Apostolo ci insegna a rendere innocui i dardi del nemico, raccomandandoci la corazza e lo scudo della fede (1Th 5,8). E anche se qualcuno di questi dardi ci ferisce, c'è sempre chi può guarirci. Perché come a chi combatte vien detto: Vi scrivo queste cose, affinché non pecchiate, così a quelli che riportano ferite vien detto: e se qualcuno cade in peccato, abbiamo, come avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto; egli stesso è il propiziatore per i nostri peccati (1Jn 2,1-2). Del resto, cosa chiediamo quando diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, se non che guarisca le nostre ferite? E che altro chiediamo quando diciamo: Non c'indurre in tentazione (Mt 6,12-13), se non che colui che ci insidia, anche se ci attacca dall'esterno non abbia a penetrare da alcuna parte, non abbia a vincerci né con l'inganno né con la forza? Per quante macchine di guerra usi contro di noi, se non occupa la fortezza del cuore dove risiede la fede, è stato cacciato fuori. Ma se il Signore non custodirà la città, invano vigila la sentinella (Ps 126,1). Non vogliate dunque presumere troppo dalle vostre forze, se non volete far rientrare il diavolo che è stato cacciato fuori.

10. Non dobbiamo pero ritenere che il diavolo sia stato chiamato principe di questo mondo nel senso che egli possa dominare il cielo e la terra. Per mondo si intendono gli uomini cattivi che sono sparsi per tutta la terra, così come per casa si intendono coloro che la abitano. Così diciamo: questa è una buona casa oppure è una casa cattiva, non in quanto ammiriamo o disprezziamo i muri o il tetto ma i costumi buoni o cattivi degli uomini che vi abitano. In questo senso si dice: principe di questo mondo, cioè principe di tutti gli uomini cattivi che abitano nel mondo. Si chiama mondo anche quello formato dai buoni che sono sparsi per tutta la terra; in questo senso l'Apostolo dice: Dio in Cristo riconciliava a sé il mondo (2Co 5,19). E' dal cuore di questi che il principe di questo mondo viene cacciato fuori.

(Cristo attrae tutti a sé, come loro capo.)

2. 11. Dopo aver detto: Adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori, il Signore aggiunge: E io, quando saro elevato in alto da terra, tutto attirero a me (Jn 12,31-32). Cos'è questo tutto, se non tutto ciò da cui il diavolo è stato cacciato fuori? Egli non ha detto: tutti, ma tutto, perché la fede non è di tutti (2Th 3,2). E così non si riferisce alla totalità degli uomini ma all'uomo integrale: spirito, anima e corpo: lo spirito per cui intendiamo, l'anima per cui viviamo, il corpo per cui siamo visibili e concreti. Colui che ha detto: Non un solo capello cadrà dal vostro capo (Lc 21,18), tutto attira a sé. Se pero tutto vuol dire tutti gli uomini, possiamo dire che tutto è stato predestinato alla salvezza e niente andrà perduto, come ha detto prima parlando delle sue pecore (Jn 10,28). Oppure tutto vuol dire tutte le categorie degli uomini d'ogni lingua e d'ogni età, senza distinzione di razza o di classe, di talento, di arte e di mestiere, al di là di qualsiasi altra distinzione che, al di fuori del peccato, possa esser fatta tra gli uomini, dai più illustri ai più umili, dal re fino al mendico. Tutto - egli dice -io attirero a me, così da diventare io il loro capo ed essi le mie membra. Ma ciò accadrà - egli dice -quando saro elevato da terra, sicuro com'è che dovrà compiersi ciò per cui egli è venuto. Qui si richiama a quanto ha detto prima: Se il chicco di frumento muore, porta molto frutto (Jn 12,25). Che altro è infatti l'esaltazione di cui parla se non la sua passione in croce? E l'evangelista non manca di dirlo, aggiungendo: Diceva questo per indicare di qual morte stava per morire.

12. Gli rispose la folla: La legge ci ha insegnato che il Cristo rimane in eterno, e come puoi tu dire che il Figlio dell'uomo deve essere esaltato? Chi è questo Figlio dell'uomo? (Jn 12,33-34). Essi ricordavano bene che il Signore con insistenza aveva affermato di essere il Figlio dell'uomo. In questo passo non dice: Quando sarà elevato in alto il Figlio dell'uomo; ma lo aveva detto prima, nel passo che ieri è stato letto e commentato, quando gli fu riferito che alcuni gentili desideravano vederlo: E' venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato (Jn 12,23). E cosi, confrontando quella dichiarazione con questa di adesso: Quando saro elevato in alto da terra, comprendendo che alludeva alla morte, essi gli obiettarono: La legge ci ha insegnato che il Cristo rimane in eterno, e come puoi tu dire che il Figlio dell'uomo deve essere innalzato? Chi è codesto Figlio dell'uomo? Cioè, essi dicono, se il Figlio dell'uomo è Cristo, rimane in eterno; e se rimane in eterno, come potrà essere sollevato da terra, cioè come potrà morire in croce? Capirono che egli parlava di quella morte che essi pensavano di infliggergli. Non fu dunque la luce della divina sapienza che rivelo ad essi il significato di queste parole, ma il pungolo della loro coscienza.

(Credere nella verità per rinascere in essa.)

2. 13. Gesù, allora, disse loro: La luce è ancora per poco tra voi. E' per mezzo di essa che potete comprendere che il Cristo rimane in eterno. Camminate dunque mentre avete la luce affinché non vi sorprendano le tenebre (Jn 12,35). Camminate, avvicinatevi, cercate di comprendere il Cristo tutto intero: il Cristo che morirà e vivrà in eterno, che verserà il sangue per la redenzione e ascenderà in alto dove condurrà anche noi. Se invece credete solo nell'eternità di Cristo, negando in lui l'umiltà della morte, vi avvolgeranno le tenebre. E chi cammina nelle tenebre, non sa dove va (Jn 12,35), e può inciampare nella "pietra d'inciampo" e nella "pietra dello scandalo", quale fu il Signore per i ciechi Giudei; mentre per i credenti questa pietra, scartata dai costruttori, divento "pietra d'angolo" (1P 1P 2,6-8). Essi disdegnarono di credere in Cristo, perché nella loro empietà disprezzarono la sua morte e irrisero il suo sacrificio; e tuttavia quella era la morte del grano che doveva moltiplicarsi, ed era la esaltazione di colui che tutto avrebbe attratto a sé. Mentre avete la luce credete nella luce, affinché diventiate figli della luce (Jn 12,36). Dato che avete ascoltato una cosa che è vera, credete nella verità, in modo da poter rinascere nella verità.

3. 14. Così parlo Gesù, poi se ne ando e si nascose a loro. Non si nascose a coloro che avevano cominciato a credere in lui e ad amarlo, non a coloro che gli erano venuti incontro con rami di palme e acclamazioni; ma si nascose a coloro che lo vedevano e lo invidiavano, perché incapaci di vederlo veramente; anzi, a causa della loro cecità, urtavano contro quella pietra. Quando pero Gesù si nascose a quelli che volevano ucciderlo (è una cosa che vi ricordo spesso perché non la dimentichiate), pensava alla nostra debolezza, non pregiudicava la sua potenza.

53

OMELIA 53

(Jn 12,37-43)

Jn 12,37-43


L'incredulità dei giudei.

Chi è talmente superbo da contare unicamente sulle risorse della sua volontà e da negare la necessità dell'aiuto divino per vivere bene, non può credere in Cristo. A nulla serve pronunciare il nome di Cristo e neppure ricevere i sacramenti di Cristo quando si fa resistenza alla fede di Cristo.

1. 1. Dopo che il Signore preannuncio la sua passione e la sua morte feconda sulla croce, affermando che egli avrebbe attirato tutto a sé; dopo che i Giudei, comprendendo che egli alludeva alla sua morte, gli chiesero come si potesse conciliare questa morte con l'insegnamento della Scrittura, secondo cui il Cristo rimane in eterno, il Signore li esorta a profittare di quella poca luce rimasta in loro per giungere alla piena conoscenza del Cristo (quel po' di luce con cui avevano appreso che rimane in eterno), evitando così di essere sommersi dalle tenebre. Detto questo, si nascose a loro. Ecco quanto avete appreso dalle letture e dai commenti delle passate domeniche.

2. Segue il passo che oggi è stato letto: Benché Gesù avesse compiuto tanti segni in loro presenza, non credevano in lui; affinché si adempisse la parola del profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra parola? e il braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Jn 12,37-38). Da queste parole risulta chiaramente che per braccio del Signore si intende il Figlio stesso di Dio. Non che Dio Padre possieda un corpo umano al quale il Figlio sia unito come un membro al corpo; ma è chiamato braccio del Signore, in quanto per suo mezzo tutto è stato fatto. Come tu chiami tuo braccio quello per mezzo di cui operi, così il Verbo di Dio è stato chiamato suo braccio, poiché per mezzo del Verbo ha creato il mondo. Perché l'uomo, se vuol compiere qualcosa, deve stendere il braccio, se non perché l'opera non risponde subito alla parola? Se l'uomo fosse in grado di compiere ciò che dice senza alcun movimento del corpo, la sua parola sarebbe il suo braccio. Ma il Signore Gesù, Figlio unigenito di Dio Padre, come non è un membro del corpo paterno così non è neppure una parola, che, pensata e pronunciata, passa via; perché, quando per mezzo di lui furon fatte tutte le cose, era già il Verbo di Dio.

(Il Figlio braccio del Padre.)

2. 3. Quando, dunque, sentiamo dire che il Figlio di Dio è il braccio di Dio Padre, non ci lasciamo invischiare dall'abitudine di pensare in modo materiale; ma, per quanto ce lo consente la sua grazia, pensiamo alla forza e alla sapienza di Dio, per la quale tutto fu creato. Un tal braccio non si allunga quando si stende, né si raccorcia quando si contrae. Infatti il Figlio non è il Padre, eppure il Figlio e il Padre sono la stessa cosa; ed essendo il Figlio uguale al Padre, come il Padre è tutto dovunque. Non v'è alcun appiglio per l'errore detestabile di coloro che dicono che c'è solo il Padre, e, a seconda delle diverse operazioni, lo si chiama ora Figlio, ora Spirito Santo; e, appoggiandosi su queste parole, essi arrivano a dire: Ecco, vedete, c'è solo il Padre, se il Figlio è il suo braccio; perché l'uomo e il suo braccio non sono due persone, ma una sola. Non capiscono e non si rendono conto che anche nell'uso comune, quando si parla di cose visibili e note, si trasferiscono parole che significano una cosa a significarne un'altra, solo che esista una qualche somiglianza. Tanto più sarà lecito questo quando si tratta di esprimere in qualche maniera cose ineffabili, che assolutamente non si possono esprimere in termini propri. Così un uomo chiama suo braccio un altro uomo di cui si vale per eseguire le sue opere, e, se gli vien tolto, rammaricandosi dice: ho perduto il mio braccio; e a chi glielo ha tolto, dice: mi hai tolto il mio braccio. Intendano dunque in qual senso vien detto che il Figlio, per mezzo del quale il Padre ha creato ogni cosa, è il braccio del Padre: se non lo intenderanno e rimarranno nelle tenebre del loro errore, diventeranno simili a quei Giudei, dei quali è stato detto: E il braccio del Signore, a chi è stato rivelato?

1. 4. Qui si presenta un altro problema; per affrontarlo in modo da scoprire e mettere in luce tutti i punti scabrosi che contiene, con la serietà che merita, credo non bastino le mie forze, né il tempo che abbiamo a disposizione, né la vostra capacità. Siccome pero la vostra attesa non ci permette di passare oltre senza nemmeno un accenno, accontentatevi di ciò che riusciamo a dirvi; e se non riusciremo a soddisfare la vostra attesa, chiedete a colui che ci ha incaricati di piantare e di irrigare, la grazia di far crescere, poiché, come dice l'Apostolo: Né chi pianta è alcunché, né chi irriga, ma Dio che fa crescere (1Co 3,7). Taluni mormorano tra loro, e, all'occasione, intervengono nelle discussioni in tono polemico dicendo: Che hanno fatto di male i Giudei, che colpa hanno, se era necessario che si adempisse la parola del profeta Isaia che disse: Signore, chi ha creduto alla nostra parola e il braccio del Signore a chi è stato rivelato? A costoro rispondiamo: Il Signore, che conosce il futuro, predisse per mezzo del profeta l'infedeltà dei Giudei; la predisse, non ne fu la causa. Per il fatto che Dio conosce i peccati futuri degli uomini, non costringe nessuno a peccare. Egli conosceva già, non i suoi, ma i loro peccati; non quelli d'altri, ma i loro. Infatti, se i peccati che egli previde commessi da loro non fossero stati effettivamente commessi da loro, Dio non avrebbe previsto conforme a verità. Ma siccome la sua prescienza non può cadere in errore, coloro che peccano sono proprio quelli che Dio conosceva che avrebbero peccato, non altri. Se dunque i Giudei caddero in peccato, non fu certo perché ve li spinse colui che aborre il peccato: Dio predisse che avrebbero peccato poiché a lui niente è nascosto. Se essi invece del male avessero voluto operare il bene, nessuno lo avrebbe loro impedito e ciò sarebbe stato ugualmente previsto da colui che conosce quello che ciascuno farà e quel che renderà a ciascuno secondo le opere.

2. 5. Le parole seguenti del Vangelo sono ancor più gravi e pongono un problema ancor più complesso; l'evangelista infatti prosegue dicendo: Non potevano credere per la ragione che ancora Isaia aveva detto: Ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore, affinché non vedano con gli occhi e non intendano col cuore, e si convertano e io li guarisca (Jn 12,39-40). Se non potevano credere - si dirà - che peccato commette uno che non fa ciò che non può fare? Se invece il loro peccato fu quello di non credere, vuol dire che potevano credere e non lo fecero. E se potevano credere, come mai il Vangelo dice: Non potevano credere per la ragione che ancora Isaia aveva detto: Ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore? Per cui - ciò che rende più spinosa la questione - la causa che impediva loro di credere risalirebbe a Dio che ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore. Tale effetto, infatti, secondo la testimonianza profetica della Scrittura, non viene attribuito al diavolo, ma addirittura a Dio. Ma, se anche riferissimo al diavolo l'aver accecato i loro occhi e indurito il loro cuore, non sarebbe facile dimostrare la colpevolezza di coloro che non hanno creduto, se di essi si dicesse che non potevano credere. E che dire dell'altra testimonianza del medesimo profeta, riferita dall'apostolo Paolo: ciò che Israele cercava, non l'ha raggiunto; quelli invece che sono stati scelti, questi l'hanno raggiunto. Gli altri si sono accecati, come sta scritto: Iddio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchi per non ascoltare fino al giorno d'oggi (Rm 11,7 Is 6,10)?

3. 6. Avete sentito, fratelli, quale questione ci si presenta, e certo vi rendete conto quanto sia profonda. Noi rispondiamo come possiamo. Non potevano credere perché il profeta Isaia lo aveva predetto, e lo aveva predetto perché Dio nella sua prescienza sapeva che ciò sarebbe avvenuto. Se mi si chiedesse poi perché "non potevano", rispondo: perché non volevano; si, Dio previde la loro cattiva volontà, e colui al quale non può esser nascosto il futuro, lo preannuncio per mezzo del profeta. Ma il profeta - dici tu - adduce un'altra causa che non è la loro cattiva volontà. Quale causa adduce il profeta? Perché, dice, Iddio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchi per non ascoltare, ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore.

(Un'esclamazione di sgomento.)

Rispondo dicendo che con la loro cattiva volontà essi hanno meritato anche questo. Dio acceca gli occhi e indurisce il cuore quando abbandona gli uomini e non li aiuta; il che può fare per un suo giudizio, occulto ma non ingiusto. Questo è un principio che la pietà dei fedeli deve custodire inconcusso e intangibile, come conferma l'Apostolo quando affronta questa difficilissima questione: Che diremo dunque? Che presso Dio c'è ingiustizia? Non sia mai! (Rm 9,14). Ora, se in Dio assolutamente non ci può essere ingiustizia, dobbiamo credere che quando aiuta agisce per misericordia, e quando non aiuta agisce con giustizia, perché non opera temerariamente ma con retto giudizio. Che se i giudizi dei santi sono giusti, tanto più lo sono quelli di Dio che santifica e giustifica: sono certamente giusti, ma occulti. Pertanto, quando si presentano problemi come questi: perché uno è trattato in un modo e un altro in modo diverso, perché Dio acceca uno abbandonandolo e illumina un altro soccorrendolo con la sua grazia; non mettiamoci a sindacare il giudizio di un giudice così grande, ma pieni di sacro terrore con l'Apostolo esclamiamo: O profondità della ricchezza, della sapienza e scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! (Rm 11,33). I tuoi giudizi - dice il salmo -sono un abisso insondabile (Ps 35,7).

7. Non si costringa dunque l'attesa della vostra Carità, o fratelli, a penetrare in questa profondità, a scrutare questo abisso, ad esplorare ciò che è ininvestigabile. Riconosco i miei limiti, e credo di conoscere anche i vostri. E' un problema che supera di molto la mia statura, che è al di là delle mie forze, e credo anche delle vostre. Ascoltiamo dunque insieme l'ammonimento della Scrittura: Non cercare cose che sono troppo alte per te, e non ti occupare di cose che superano le tue forze (Si 3,22). Non che la conoscenza di questi misteri ci sia negata, dato che Dio, nostro maestro, ci dice che non c'è nulla di occulto che non sarà svelato (Mt 10,26); ma se proseguiamo il cammino intrapreso, come dice l'Apostolo, Dio non solo ci rivelerà ciò che ignoriamo e che pure dobbiamo sapere, ma altresi ciò che noi non abbiamo inteso rettamente (cf. Ph 3,15-16). Il cammino che abbiamo intrapreso è il cammino della fede: perseveriamo fermamente in essa e ci introdurrà nei segreti del Re, dove sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3). Non era certo per invidia che il Signore Gesù Cristo diceva ai suoi grandi e particolarmente eletti discepoli: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in condizione di portarle (Jn 16,12). Dobbiamo camminare, progredire, crescere, affinché i nostri cuori diventino capaci di contenere quelle cose che adesso non siamo in grado di accogliere. E se l'ultimo giorno ci troverà in cammino, conosceremo lassù ciò che qui non siamo riusciti a conoscere.

(Libertà e grazia.)

2. 8. Se poi c'è qualcuno che si sente di poter spiegare in modo migliore e più chiaro questo problema, ebbene senza dubbio io sono più disposto ad imparare che ad insegnare. Solo, pero, stia attento a non difendere così accanitamente il libero arbitrio da essere costretto a sopprimere l'orazione, nella quale diciamo: Non c'indurre in tentazione (Mt 6,13), e, d'altra parte, stia attento a non negare la libera volontà al punto da scusare il peccato. Ascoltiamo il Signore, che comanda e aiuta: comanda ciò che dobbiamo fare e ci aiuta affinché possiamo farlo. Perché ci sono alcuni che la troppa fiducia nella loro volontà leva in superbia, e altri che la troppa diffidenza per la loro volontà porta alla negligenza. I primi dicono: Perché dobbiamo rivolgerci a Dio per vincere la tentazione se questo dipende da noi? Gli altri dicono: Perché dobbiamo sforzarci di vivere bene se questo dipende da Dio? O Signore, o Padre che sei nei cieli, non c'indurre in nessuna di queste tentazioni, ma liberaci dal male. Ascoltiamo il Signore che dice: Io ho pregato per te, o Pietro, affinché non venga meno la tua fede (Lc 22,32); e non pensiamo che la nostra fede dipenda talmente dal nostro libero arbitrio da non aver bisogno dell'aiuto divino. Ascoltiamo altresi l'evangelista che dice: Diede loro il potere di diventare figli di Dio (Jn 1,12), ma d'altra parte non pensiamo che non dipenda in alcun modo da noi il credere; in un caso come nell'altro riconosciamo l'intervento della grazia di Dio. Dobbiamo infatti rendere grazie perché ci è stato concesso questo potere, e dobbiamo pregare perché la nostra debolezza non soccomba (Ga 5,6). E' questa la fede che opera mediante l'amore, secondo la misura che il Signore ha assegnato a ciascuno (Rm 12,3), affinché chi si gloria, non si glori in se stesso ma nel Signore (1Co 1,31).

(Impossibilità di credere.)

1. 9. perciò non fa meraviglia che non potessero credere coloro la cui volontà era talmente superba che, ignorando la giustizia di Dio, cercavano di stabilire la propria; secondo quanto di essi dice l'Apostolo: alla giustizia di Dio non si sono sottomessi (Rm 10,3). E siccome cercavano, non la giustizia che viene dalla fede, ma la giustizia fondata sulle opere, si sono gonfiati d'orgoglio al punto che diventarono ciechi e inciamparono nella "pietra d'inciampo". Il profeta ha detto non potevano, per dire: non volevano; allo stesso modo che del Signore Dio nostro è stato detto: Se noi non crediamo, egli rimane fedele: non può rinnegare se stesso (2Tm 2,13). Dell'Onnipotente si dice non puo. Come dunque il fatto che il Signore non può rinnegare se stesso è una gloria della divina volontà, così il fatto che quelli non potevano credere è una colpa dell'umana volontà.

2. 10. Questa è la mia convinzione: coloro che sono talmente superbi da contare unicamente sulle risorse della loro volontà e così negare la necessità dell'aiuto divino per vivere bene, non possono credere in Cristo. A nulla serve pronunciare il nome di Cristo, né ricevere i sacramenti di Cristo, quando ci si rifiuta di credere in Cristo. E credere in Cristo è credere in colui che giustifica l'empio (Rm 4,5), credere nel mediatore senza il quale non possiamo essere riconciliati con Dio, credere nel salvatore che è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19,10), credere in colui che dice: Senza di me non potete far nulla (Jn 15,5). Chi dunque, ignorando la giustizia di Dio con la quale l'empio è giustificato, vuol stabilire la propria per giustificarsi da sé, non può credere in Cristo. E' questa la ragione per cui i Giudei non potevano credere, e non perché gli uomini non possano cambiare in meglio, ma perché, finché mantengono questo atteggiamento, non possono credere. Ed è questa la causa del loro accecamento e dell'indurimento del loro cuore, perché, negando l'aiuto divino, non possono essere aiutati. Questo accecamento e indurimento di cuore dei Giudei, Dio lo aveva previsto e, illuminato dal suo Spirito, il profeta lo aveva predetto.

3. 11. Quanto a ciò che segue: e si convertano e li guarisca, forse bisogna sottintendere "non", e intendere "non si convertano", data la connessione con la precedente affermazione: affinché non vedano con gli occhi e non intendano col cuore (Jn 12,40); perciò anche qui ci andrebbe: "affinché non intendano". La conversione stessa infatti è una grazia di colui al quale diciamo: O Signore degli eserciti convertici (Ps 79,8). O forse è da considerare anche questo un tratto della medicinale misericordia divina che i Giudei, a causa della loro superba e perversa volontà e per aver voluto affermare la propria giustizia, siano stati abbandonati e così siano diventati ciechi; e, diventati ciechi, abbiano inciampato nella pietra di scandalo coprendosi la faccia d'ignominia; e, così umiliati, abbiano cercato il nome del Signore e la giustizia di Dio che giustifica l'empio e non la giustizia che gonfia il superbo? Questo infatti giovo a molti di costoro, i quali pentiti della loro colpa, in seguito credettero in Cristo, e per i quali Gesù prego dicendo: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34). Di tale ignoranza anche l'Apostolo dice: Io rendo loro testimonianza perché hanno zelo per Iddio, ma non secondo una retta conoscenza, e a questo proposito aggiunge: ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio (Rm 10,2-3).

(La fede purifica i cuori e li prepara alla visione.)

1. 12. Questo disse Isaia, quando vide la gloria di lui e di lui parlo (Jn 12,41). Cosa abbia visto Isaia e come ciò che vide si riferisca a Cristo Signore, bisogna leggerlo e comprenderlo nel suo libro. Lo vide non come è ma attraverso simboli, così come conveniva alla visione profetica. Lo vide anche Mosè, il quale tuttavia diceva a colui che vedeva: Se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrati a me in modo che io possa vederti chiaramente (Ex 33,13), perché appunto non lo vedeva qual è. Quando questo ci sarà concesso ce lo dice lo stesso san Giovanni evangelista nella sua lettera: Carissimi, già adesso siamo figli di Dio, e non ancora si è manifestato quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà, saremo somiglianti a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1Jn 3,2). Bastava dicesse: lo vedremo, senza aggiungere così com'è; ma siccome sapeva che da alcuni patriarchi e profeti era stato visto, ma non così com'è, dopo aver detto lo vedremo, ha aggiunto così come egli è. Non lasciatevi ingannare, o fratelli, da coloro che dicono che il Padre è invisibile e il Figlio è visibile. E' quanto sostengono coloro che considerano il Figlio una creatura, e non tengono conto dell'affermazione: Io e il Padre siamo una cosa sola (Jn 10,30). E' invece indiscutibile che, nella forma di Dio in cui egli è uguale al Padre, anche il Figlio è invisibile: perché gli uomini lo vedessero, prese la forma di servo, e, diventando simile agli uomini (cf. Ph 2,7), si è reso visibile. Si mostro anche prima di assumere la carne, agli occhi degli uomini, non pero così com'egli è ma mediante forme scelte fra le sue creature. Purifichiamo il nostro cuore per mezzo della fede, onde prepararci a quell'ineffabile e, se così si può dire, invisibile visione. Beati - infatti -i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8).

2. 13. Tuttavia, anche molti notabili credettero in lui, ma non si dichiararono, a causa dei farisei, per non essere scacciati dalla sinagoga; preferivano, infatti, la gloria degli uomini alla gloria di Dio (Jn 12,42-43). Notate come l'evangelista menziona e biasima certuni, che pure, come egli dice, avevano creduto in lui. Se essi avessero progredito nella fede, progredendo avrebbero superato anche l'amore della gloria umana, che l'Apostolo aveva superato quando diceva: A me non accada di gloriarmi se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo è stato a me crocifisso e io al mondo (Ga 6,14). A questo scopo infatti il Signore impresse la sua croce dove la demenza della superba empietà lo aveva irriso, sulla fronte dei suoi credenti, che è in qualche modo la sede del pudore, affinché la fede non si vergogni del suo nome, e preferisca la gloria di Dio alla gloria degli uomini.


Agostino - Commento Gv 52