Agostino - Commento Gv 61

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OMELIA 61

(Jn 13,21-26)

Jn 13,21-26


L'annunzio del tradimento di Giuda.

Dovendo la Chiesa tollerare nel suo seno la zizzania fino al tempo della mietitura, ciò non può avvenire senza che debba provare turbamento, come il turbamento di Cristo dimostra.

1. 1. E' nostra intenzione, o fratelli, esporvi ora il passo del Vangelo che è stato letto, cominciando a parlare del traditore che il Signore abbastanza chiaramente rivela, porgendogli un boccone di pane intinto. E' vero che di lui mi sono occupato nel precedente discorso, riferendo che ormai sul punto di rivelarlo, il Signore si turbo nello spirito; ma forse allora non ho detto una cosa che il Signore si degno indicarci col suo turbamento, che cioè è necessario tollerare, sino all'epoca della mietitura, i falsi fratelli e la zizzania in mezzo al frumento nel campo del Signore (Mt 13,29-30) sicché, quando un motivo urgente costringe a separare alcuni di essi che sono zizzania dagli altri anche prima della mietitura, ciò non può avvenire senza provocare turbamento in seno alla Chiesa. In certo modo, quindi, il Signore preannunzio il turbamento dei suoi fedeli, provocato dagli eretici e dagli scismatici, e in se medesimo lo prefiguro con quel turbamento che non poté trattenere allorché quell'uomo perverso che era Giuda stava per uscire, separandosi apertamente dal buon grano con cui era mescolato e in mezzo al quale tanto a lungo era stato tollerato. Si turbo, non nella carne, ma nello spirito. Infatti, di fronte a tali scandali, i fedeli sinceri rimangono turbati, non per malanimo ma per carità; preoccupati come sono che, volendo eliminare la zizzania, non si sradichi insieme anche il buon grano.

2. 2. E così Gesù si conturbo nello spirito e dichiaro solennemente: In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà (Jn 13,21). Uno di voi, ma solo numericamente, non realmente; in apparenza, non per qualità; per convivenza fisica, non per vincolo spirituale; per vicinanza corporale, non compagno per unità di cuore; quindi non uno di voi, ma uno che sta per uscire da voi. Come si concilierebbe, altrimenti, la dichiarazione del Signore uno di voi, con quanto dice lo stesso autore di questo Vangelo nella sua lettera: Uscirono da noi, ma non erano dei nostri; se infatti fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi (1Jn 2,19)? Giuda non era dunque uno di loro: sarebbe infatti rimasto con loro, se fosse stato uno di loro. Che significa dunque: uno di voi mi tradirà, se non che uscirà da voi uno che mi tradirà? Infatti colui che dice: Se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi, prima aveva detto: Uscirono dalle nostre file. Sicché è vera una cosa e l'altra: erano dei nostri, e non erano dei nostri: per un verso erano dei nostri, per un altro non erano dei nostri; secondo la partecipazione esteriore ai sacramenti erano dei nostri, ma a causa delle loro colpe personali non lo erano.

3. 3. I discepoli cominciarono allora a guardarsi a vicenda, incerti di chi parlasse (Jn 13,22). L'affetto devoto che nutrivano per il Maestro, non impediva alla loro umana debolezza di essere sospettosi gli uni nei confronti degli altri. Ciascuno leggeva in fondo alla propria coscienza, ma siccome non poteva leggere in quella del vicino, poteva essere sicuro solo di sé, mentre ognuno era incerto degli altri.

4. 4. Ora uno dei suoi discepoli, quello che Gesù amava, era adagiato a mensa sul seno di Gesù. Cosa intenda l'evangelista per seno, lo precisa più avanti, dicendo: sul petto di Gesù. Il discepolo era Giovanni, autore di questo Vangelo, come esplicitamente vien detto più tardi (Jn 21,20-24). Era costume di quelli che ci hanno trasmesso le sacre Lettere, quando qualcuno di loro narrava la storia divina cui egli stesso aveva preso parte, parlare di sé in terza persona, inserendosi nel contesto della narrazione come storico anziché come apologista di se stesso. Così fa san Matteo che, giunto nel testo della sua narrazione a parlare di sé, dice: Gesù vide, seduto al banco della dogana, un certo pubblicano, di nome Matteo, e gli dice: Seguimi (Mt 9,9). Non scrive: Mi vide e mi disse. Così fa anche il beato Mosè, che nell'intera sua opera parla di sé in terza persona, scrivendo: Il Signore disse a Mosè (Ex 6,1). E così fa, in maniera ancora più insolita, l'apostolo Paolo, non nella parte storica, in cui spiega i fatti che narra, ma nelle sue lettere. Parlando di se stesso egli dice: So di un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa - se col corpo o fuori del corpo non so, Iddio lo sa - fu rapito al terzo cielo (2Co 12,2). Ora, se anche qui il beato evangelista non dice: Io ero adagiato a mensa nel seno di Gesù, ma dice: uno dei suoi discepoli era adagiato a mensa (Jn 13,23), anziché meravigliarci, teniamo conto del costume dei nostri autori. Si nuoce forse alla verità se, nel raccontare un fatto veramente accaduto, si evita la vanagloria nel modo di raccontarlo? ciò che egli raccontava, infatti, tornava a sua massima lode.

5. Ma che vuol dire: quello che Gesù amava? Come se Gesù non amasse gli altri, di cui pure il medesimo Giovanni ha detto: li amo sino alla fine (Jn 13,1). E il Signore stesso dice: Nessuno ha maggior amore di questo: che dia la sua vita per i suoi amici (Jn 15,13). E chi potrebbe citare tutte le testimonianze delle pagine divine, in cui si dimostra che il Signore Gesù ama non soltanto Giovanni e i discepoli che allora erano con lui, ma anche tutte le future membra del suo corpo, cioè tutta la sua Chiesa? Piuttosto qui c'è qualcosa che non risulta chiaro, ed è il seno nel quale era adagiato colui che ha scritto queste cose. Che s'intende per seno, se non una cosa intima e segreta? C'è pero un altro passo che si presta meglio per dire, con l'aiuto del Signore, qualcosa di più intorno a questo segreto.

(E' dal cuore di Cristo che si attinge la sapienza.)

5. 6. Simon Pietro gli fa un cenno e gli dice (Jn 13,24). Si noti questo modo di esprimersi, non con parole ma con cenni: gli fa un cenno e gli dice: gli dice con un cenno. Se infatti già col pensiero si può parlare, come si esprime la Scrittura: Essi parlavano tra sé (Sg 2,1), a maggior ragione si può parlare con dei cenni quando esteriormente, per mezzo di un dato segno, si esprime il pensiero concepito nel cuore. E cosa disse Pietro con il suo cenno? ciò che segue: Di', a chi si riferisce? Pietro disse questo con un cenno, perché non lo disse con il suono della voce, ma con un gesto del corpo. Chinandosi familiarmente, quel discepolo, sul petto di Gesù... Ecco, il seno del petto, cioè l'intimo segreto della Sapienza. Gli dice: Signore, chi è? Gesù allora risponde: E' colui al quale porgero il boccone che sto per intingere. Intinto, allora, il boccone, lo prende e lo dà a Giuda, figlio di Simone Iscariota. E, dopo il boccone, allora entro in Giuda Satana (Jn 13,24-27). E' stato rivelato il traditore, sono stati messi in luce i nascondigli delle tenebre. Giuda ha ricevuto una cosa buona, ma l'ha ricevuta a suo danno, perché, indegno com'era, ha ricevuto indegnamente una cosa buona. A proposito di questo pane intinto che Gesù porse a quel falso discepolo, come delle cose che seguono, ci sarebbe molto da dire, ma occorrerebbe più tempo di quello che ormai ci è rimasto alla fine di questo discorso.

(L'evangelista è uno storico.)

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OMELIA 62

(Jn 13,26-34)

Jn 13,26-34


Era notte.

E' vero che Giuda consegna Cristo, ma è ancor più vero che Cristo offre se stesso: Giuda vende Cristo, Cristo redime tutti.

(Anche le cose buone possono nuocere, e le cattive giovare.)

. 1. Il fatto che non appena il Signore porse il pane intinto al suo traditore, Satana entro in lui, può suscitare - me ne rendo conto, o carissimi - reazioni diverse: chi ha un animo religioso vorrà cercare più profondamente, chi ne è privo si limiterà a protestare. Così infatti sta scritto: Intinto allora il boccone, lo prende e lo dà a Giuda, figlio di Simone Iscariota. E, dopo il boccone, allora entro in Giuda Satana (Jn 13,26-27). Essi dicono: E' dunque questo il risultato del pane di Cristo ricevuto alla mensa di Cristo: di far entrare Satana in un suo discepolo? Al che noi rispondiamo: qui abbiamo piuttosto da imparare come bisogna stare attenti a non ricevere con cattive disposizioni una cosa buona. E' molto importante non ciò che si riceve ma chi lo riceve, non la qualità del dono ma le disposizioni di colui al quale vien fatto. Poiché le cose buone possono nuocere e le cattive giovare, a seconda dell'animo di chi le accoglie. Il peccato - dice l'Apostolo -per manifestarsi peccato, opero in me la morte per mezzo di una cosa buona (Rm 7,13). Ecco, una cosa buona può essere occasione di un male, se la cosa buona si riceve con animo cattivo. Ancora l'Apostolo dice: Perché non insuperbissi per la grandezza delle rivelazioni, mi fu data una spina nella carne, un messo di Satana che mi schiaffeggi. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore perché lo allontanasse da me. Ed egli mi rispose: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si perfeziona nella debolezza (2Co 12,7-9). Ecco che da un male ne viene un bene, se il male è accolto con animo buono. Perché allora ti meravigli se a Giuda fu dato il pane di Cristo, per mezzo del quale il diavolo si impadroni di lui, costatando che invece a Paolo fu dato il messo del diavolo per renderlo perfetto in Cristo? Una cosa buona ha nociuto a chi era cattivo; una cosa cattiva ha giovato a chi era buono. Ecco perché è stato scritto: Chiunque mangerà il pane o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore (1Co 11,27). L'Apostolo si rivolgeva a coloro che prendevano il corpo del Signore con trascuratezza, senza distinguerlo da un altro cibo. Ora se qui si rimprovera chi non distingue il corpo del Signore dagli altri cibi, come non sarà condannato chi si accosta alla sua mensa come nemico fingendosi amico? Se merita rimprovero la trascuratezza del commensale, con quale pena non si dovrà colpire il traditore di colui che lo ha invitato? Che cos'era il pane dato al traditore, se non un segno: mostrare cioè a quale grazia egli fosse ingrato?

2. 2. Dopo quel boccone, dunque, Satana entro nel traditore del Signore, per prendere pieno possesso di colui che già era nelle sue mani e in cui già prima era entrato per indurlo al tradimento. Era già in lui, infatti, quando Giuda si era recato dai Giudei per stabilire il prezzo del tradimento, secondo l'esplicita testimonianza dell'evangelista Luca: Ora, Satana entro in Giuda chiamato Iscariota, ch'era del numero dei dodici, ed egli ando a trattare con i gran sacerdoti (Lc 22,3-4). Ecco la prova che Satana era già entrato in Giuda. Vi era entrato dapprima per introdurre nel suo cuore il proposito di tradire Cristo; Giuda si era presentato alla cena con tale proposito. Ma dopo che egli ebbe preso quel boccone, Satana entro in lui, non per tentare un estraneo, ma per prendere definitivamente possesso di ciò che già era suo.

. 3. Non fu allora, pero, che Giuda ricevette il corpo di Cristo, come crede qualche lettore frettoloso. E' da ritenere, infatti, che già il Signore aveva distribuito a tutti i discepoli, presente anche Giuda, il sacramento del suo corpo e del suo sangue, come molto chiaramente racconta san Luca (Lc 22,19-21). Poi venne il momento in cui, secondo la narrazione altrettanto chiara di Giovanni, il Signore rivelo il traditore per mezzo del boccone che intinse e porse a Giuda, volendo forse significare, col pane così intinto, l'ipocrisia del traditore. Non ogni cosa che si intinge, infatti, viene lavata, ma alcune cose si intingono per tingerle. Se pero il pane intinto significa qui qualcosa di buono, l'ingrato verso un tal dono ha maggiormente meritato la condanna.

(Cristo si è offerto perché ha voluto.)

3. 4. Tuttavia a Giuda, posseduto non dal Signore ma dal diavolo dopo che il pane era entrato nello stomaco e il nemico nell'anima di quell'ingrato, rimaneva la completa esecuzione dell'infame proposito già concepito nel cuore e originato da un detestabile sentimento. E non appena il Signore, che era il pane vivo, ebbe consegnato il pane a quell'uomo ormai morto, ed ebbe così rivelato, nell'atto di porgergli il pane, il traditore di quel pane, gli disse: Quel che fai, fallo al più presto (Jn 13,27). Non gli disse di compiere un delitto, ma predisse il male che Giuda avrebbe compiuto e il bene che a noi ne sarebbe derivato. Che poteva, infatti, Giuda far di peggio, e che potevamo noi riprometterci di meglio, dalla consegna di Cristo ai suoi nemici, compiuta dal traditore contro se stesso e insieme a vantaggio di noi tutti, Giuda escluso? Quel che fai, fallo al più presto. O parole, che esprimono non ira da parte di Gesù, ma il suo animo sereno e pronto! che indicano, non tanto la pena dovuta al traditore, quanto piuttosto il prezzo che si appresta a pagare il Redentore! Disse: Quel che fai, fallo al più presto, non per sollecitare la rovina del traditore, ma per affrettare la salvezza dei fedeli; poiché egli è stato consegnato per le nostre colpe (Rm 4,25), ed ha amato la Chiesa e per lei si è offerto (cf. Ep 5,25). E' per questo che l'Apostolo, parlando di sé, dice: Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me (Ga 2,20). Nessuno infatti avrebbe potuto consegnare Cristo, se egli non si fosse da se stesso consegnato. Cosa si può attribuire a Giuda, se non colpa? Egli, nel consegnare Cristo ai Giudei, non ha certo pensato alla nostra salvezza, per la quale invece Cristo si è offerto, ma ha pensato al suo guadagno ottenendo invece la perdita della sua anima. Ha avuto, si, la ricompensa che si riprometteva, ma ha ottenuto anche ciò che si meritava e che certo non desiderava. Giuda consegno Cristo, e Cristo consegno se stesso: Giuda facendo l'affare della sua vendita, Cristo compiendo l'opera della nostra redenzione. Quel che fai, fallo al più presto, non perché questo sia in tuo potere, ma perché così vuole colui che tutto puo.

4. 5. Nessuno pero dei commensali comprese a qual proposito gli aveva parlato cosi; alcuni infatti, siccome Giuda teneva la borsa, credevano che Gesù gli dicesse: Compra ciò che ci serve per la festa; oppure: Dà qualcosa ai poveri (Jn 13,28-29). Anche il Signore dunque aveva una borsa nella quale conservava le offerte dei fedeli, per soccorrere le sue necessità e quelle degli altri. Fu costituito così il primo tesoro della Chiesa; il che ci fa capire che il precetto di non preoccuparsi del domani (Mt 6,34) non vieta ai fedeli di mettere qualcosa da parte; solo si esige da essi che non siano servitori di Dio per interesse, e non trascurino la giustizia per timore dell'indigenza. Anche l'Apostolo autorizza questa previdenza, dicendo: Se qualche fedele ha delle vedove, provveda a loro, e non si aggravi la Chiesa, perché possa venire incontro alle vedove che sono veramente tali (1Tm 5,16).

5. 6. Preso dunque il boccone, Giuda usci subito. Era notte (Jn 13,30). Era notte anche colui che era uscito. E quando fu uscito colui che era notte, Gesù disse: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo (Jn 13,31). Il giorno dunque ha trasmesso la parola al giorno, cioè Cristo ha parlato ai discepoli fedeli, esortandoli ad ascoltarlo e a seguirlo con amore; la notte ha trasmesso la notizia alla notte (Ps 18,3), cioè Giuda è andato a chiamare i Giudei infedeli, perché si avvicinassero a lui e lo prendessero per metterlo a morte. Ma, il discorso che qui il Signore tiene ai suoi fedeli prima di essere arrestato dai malfattori, esige particolare attenzione; e perciò chi ha il compito di esporlo, preferisce rimandare piuttosto che affrettarne il commento.

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OMELIA 63

(Jn 13,31-32)

Jn 13,31-32


Ora è stato glorificato il Figlio dell'uomo.

Dobbiamo cercare di capire, perché queste parole contengono qualcosa di grande. Giuda esce e Gesù è glorificato.

(Cerchiamo per trovare, e cerchiamo ancora dopo aver trovato.)

1. Rendiamo più attento e penetrante lo sguardo dell'anima e impegniamoci a cercare Dio col suo aiuto. Una voce del cantico divino dice: Cercate Dio, e l'anima vostra vivrà (Ps 68,33). Cerchiamolo per trovarlo, e cerchiamolo ancora dopo averlo trovato. Per trovarlo bisogna cercarlo, perché è nascosto; e dopo averlo trovato, dobbiamo cercarlo ancora, perché è immenso. E' per questo che il Salmista aggiunge: Cercate sempre la sua faccia (Ps 104,4). Egli sazia chi lo cerca per quel tanto che lo possiede; e rende più capace, chi lo trova, di cercarlo ancora per riempirsi maggiormente di lui, con la sua accresciuta capacità di possederlo. Quindi non è stato detto: Cercate sempre la sua faccia, nel senso che si dice di taluni: son sempre dietro ad istruirsi e non arrivano mai alla conoscenza della verità (2Tm 3,7), ma piuttosto in quest'altro senso: Quando un uomo ha finito, è allora che comincia (Si 18,6); finché giungeremo a quella vita dove saremo ricolmati in modo da non dover più accrescere la nostra capacità, perché saremo così perfetti da non poter più progredire. Allora ci sarà mostrato quanto ci basterà. Qui in terra, invece, dobbiamo cercare sempre; il risultato della nostra scoperta non segni mai la fine della nostra ricerca. Non sarà sempre cosi, ma soltanto finché saremo quaggiù: diciamo tuttavia che qui in terra bisogna sempre cercare, e nessuno pensi che ci potrà essere un momento in cui si possa smettere di cercare. Coloro dei quali l'Apostolo dice che son sempre dietro ad istruirsi senza mai arrivare alla conoscenza della verità, è su questa terra che non finiscono mai di imparare; perché quando saranno usciti da questa vita, non staranno più ad imparare, ma riceveranno la ricompensa del loro errore. L'Apostolo dice: son sempre dietro ad istruirsi senza mai arrivare alla conoscenza della verità, come a dire: camminano sempre, ma non raggiungono mai la meta ove son diretti. Noi invece camminiamo sempre su questa via, finché non perverremo là dove questa via conduce; non fermiamoci mai su tale via finché non ci avrà fatti arrivare là dove resteremo. E cosi, cercando, avanziamo; trovando raggiungiamo una tappa; cercando e trovando perverremo alla meta, e là finalmente avrà termine la ricerca, dove la perfezione non avrà più bisogno di progredire. Possa questo preambolo, o carissimi, richiamare l'attenzione della vostra Carità su questo discorso che il Signore tenne ai suoi discepoli prima della passione. E' profondo, e se dovrà faticare molto chi espone, non potrà essere disattento chi ascolta.

(Glorificazione o umiliazione?)

2. 2. Cosa disse dunque il Signore, dopo che Giuda fu uscito per andare a fare subito quanto si proponeva di fare, cioè consumare il tradimento? Cosa disse il giorno, non appena fu uscita la notte? Cosa disse il Redentore, quando il venditore se ne fu andato? Adesso - disse -è stato glorificato il Figlio dell'uomo (Jn 13,31). Perché adesso? Forse perché è uscito il traditore e stanno per venire a prenderlo e ucciderlo? E cosi, adesso è stato glorificato, adesso che sta per essere maggiormente umiliato, adesso che sta per essere legato, giudicato, condannato, irriso, crocifisso e ucciso? E' una glorificazione, codesta, o non piuttosto una umiliazione? Quando il Signore operava i miracoli, Giovanni non disse di lui: Lo Spirito non era stato dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato (Jn 7,39)? Allorché risuscitava i morti non era stato ancora glorificato, ed è glorificato adesso che si avvicina alla morte? Non era stato ancora glorificato quando operava gesta divine ed è glorificato adesso che sta per subire i patimenti degli uomini? Sarebbe sorprendente se il divino Maestro avesse voluto significare e insegnare questo. Dobbiamo penetrare più profondamente le parole dell'Altissimo, che si manifesta quel tanto che ci è sufficiente per trovarlo e nuovamente si nasconde affinché noi continuiamo a cercare, servendoci delle scoperte fatte come di gradini per fare ulteriori scoperte. Vedo qui un'indicazione molto importante. Giuda è uscito e Gesù è stato glorificato; è uscito il figlio della perdizione ed è stato glorificato il Figlio dell'uomo. Era uscito colui che aveva dato motivo alla frase: Voi siete mondi, ma non tutti (Jn 13,10). E cosi, uscito chi non era mondo, rimasero tutti quelli che erano mondi, e rimasero insieme a colui che li aveva mondati. Qualcosa di simile avverrà quando questo mondo, vinto dal Cristo, sarà passato, e nessun immondo rimarrà nel popolo di Cristo; quando il grano sarà separato dalla zizzania, e i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre (Mt 13,43). Il Signore ha davanti agli occhi questo futuro, e volendo sottolineare il significato del fatto che mentre Giuda esce i santi Apostoli rimangono, come avverrà allorché la zizzania sarà separata dal grano, dichiara: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, come a dire: Ecco quel che accadrà nella mia glorificazione, quando non vi sarà più alcun malvagio e nessun buono potrà più andar perduto. Egli, pero, non dice: Adesso è stata simboleggiata la glorificazione del Figlio dell'uomo, ma: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, allo stesso modo che l'Apostolo non dice: La pietra simboleggiava Cristo, ma dice: La pietra era Cristo (1Co 10,4). Così il Signore non dice: Il buon seme simboleggia i figli del Regno e la zizzania i figli del maligno, ma dice: Il buon seme sono i figli del Regno, e la zizzania i figli del maligno (Mt 13,38). Secondo l'uso della Scrittura, che parla dei simboli come fossero le cose simboleggiate, il Signore si esprime dicendo: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, perché essendo uscito l'uomo più perfido ed essendo rimasti con lui gli eletti, fu simboleggiata la glorificazione del Figlio dell'uomo, quando, allontanati i malvagi, egli rimarrà per tutta l'eternità in compagnia dei santi.

3. Dopo aver detto: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, Gesù aggiunge: e Dio è stato glorificato in lui (Jn 13,31). In ciò consiste infatti la glorificazione del Figlio dell'uomo: che Dio sia glorificato in lui. Perché, se il Figlio dell'uomo non si glorifica in se stesso, ma è Dio che viene glorificato in lui, allora Dio lo glorifica in sé. E' quanto aggiunge quasi come spiegazione: Se Dio è stato glorificato in lui, Dio a sua volta lo glorificherà in sé (Jn 13,32). Cioè: Se Dio è stato glorificato in lui, in quanto egli non è venuto a fare la sua volontà ma la volontà di colui che lo ha mandato, Dio a sua volta lo glorificherà in sé, concedendo eterna immortalità alla natura umana, in virtù della quale è Figlio dell'uomo e che è stata assunta dal Verbo eterno. E lo glorificherà subito (Jn 13,32), dice, predicendo così la sua risurrezione: non la nostra che avverrà alla fine del mondo, ma la sua che si realizzerà subito. E' questa la glorificazione di cui l'evangelista ci aveva già parlato, come dianzi vi ricordavo, che cioè lo Spirito Santo non era stato ancora dato loro in quel modo nuovo con cui sarebbe stato dato ai credenti dopo la risurrezione, appunto perché Gesù non era stato ancora glorificato; cioè, la sua natura mortale non era stata ancora rivestita d'immortalità e la sua fragilità temporale non era stata ancora trasformata nella potenza eterna. Anche a questa glorificazione si può riferire l'affermazione: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo; intendendo adesso, non riferito all'imminente passione ma alla risurrezione prossima, come se già fosse avvenuto ciò che ormai era così vicino. Questo basti, per oggi, alla vostra Carità. Quando il Signore vorrà, vedremo il seguito.

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OMELIA 64

(Jn 13,33)

Jn 13,33 - La partenza di Gesù.

Per poco ancora rimane con noi con la sua presenza fisica, partecipe della nostra umana debolezza. La sua partenza suscita la ricerca di lui e il desiderio del suo ritorno.

1. E' da notare, o carissimi, la stretta connessione che c'è tra le parole del Signore. Prima, quando Giuda era uscito, separandosi anche fisicamente da quella santa comunità, egli aveva detto: Adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, e Dio è stato glorificato in lui, - riferendosi sia al regno futuro in cui i cattivi saranno separati dai buoni, sia alla sua risurrezione che era prossima e che non doveva essere differita, come la nostra, alla fine del mondo. Poi ha aggiunto: Se Dio è stato glorificato in lui, Dio a sua volta lo glorificherà in sé, e lo glorificherà subito, - riferendosi senza alcuna ambiguità alla sua risurrezione ormai imminente. Poi aggiunge: Figlioli, per poco ancora sono con voi (Jn 13,31-33). Non dovevano pensare che, siccome Dio stava ormai per glorificarlo, egli non sarebbe più rimasto con loro in terra. Per poco ancora sono con voi, vuol dire: E' vero, saro subito glorificato con la risurrezione, tuttavia non saliro subito in cielo ma per poco restero ancora con voi. Infatti dopo la risurrezione, come dicono gli Atti degli Apostoli, egli trascorse con loro quaranta giorni, comparendo e scomparendo, mangiando e bevendo (cf. Ac 1,3), non perché avesse bisogno di togliersi la fame o la sete, ma per provare, con tale condiscendenza, la realtà della sua carne, che non aveva la necessità di mangiare e di bere ma ne aveva la possibilità. Ora, dicendo: Sono con voi ancora per poco tempo, egli si riferisce a quei quaranta giorni, oppure intende qualcos'altro? Questa frase si può intendere anche cosi: Anch'io, come voi, ancora per poco tempo resto in questa debolezza della carne, fino alla morte e alla risurrezione. Infatti dopo la risurrezione egli rimase con loro quaranta giorni, presentandosi, come dice il Vangelo, nella realtà del suo corpo, tuttavia senza essere come loro partecipe della debolezza umana.

(La presenza di Cristo prima dell'ascensione.)

1. 2. Esiste un'altra divina presenza, negata ai sensi del corpo, a proposito della quale il Signore dice: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28,20). Certamente questo non è il senso delle parole: Per poco ancora sono con voi. Non è poco infatti il tempo che ci separa dalla fine del mondo. E se anche questo tempo è poco (giacché il tempo vola, e mille anni agli occhi di Dio sono come un giorno o come una veglia notturna (Ps 89,4)), non è da credere, tuttavia, che il Signore volesse riferirsi a questo, dato che proseguendo aggiunge: Voi mi cercherete e, come dissi ai Giudei, dove io vado, voi non potete venire (Jn 13,33). Cioè, dopo questo breve tempo passato con voi, voi mi cercherete, e dove vado io, voi non potete venire. Non potranno forse andare dove egli va, alla fine del mondo? Ma allora perché in questo medesimo discorso dirà: Padre, io voglio che là dove sono io, siano anch'essi con me (Jn 17,24)? Quindi con queste parole che adesso ha pronunciato: Sono con voi ancora per poco, non si riferisce alla sua presenza in mezzo ai suoi, con i quali resterà sino alla consumazione dei secoli; ma si riferisce invece o alla condizione della debolezza mortale che condivise con loro fino alla sua passione, o alla presenza corporale che prolungherà in mezzo a loro fino alla sua ascensione. Si può scegliere l'una o l'altra di queste interpretazioni, senza mettersi in contrasto con la fede.

3. E se qualcuno ritiene non conforme a verità questa interpretazione secondo la quale il Signore con la frase: Sono con voi ancora per poco tempo, intendeva riferirsi al tempo che trascorse nella carne mortale assieme ai discepoli fino alla passione, tenga conto delle parole che egli stesso dice dopo la risurrezione e che ci vengono riferite da un altro evangelista: E' questo che vi dicevo quando ero ancora con voi (Lc 24,44). Dice così come se allora non fosse con loro, che pure gli stavano a fianco, lo vedevano, lo toccavano e parlavano con lui. Che significa dunque: quando ero ancora con voi, se non questo: quando ero ancora nella carne mortale, nella quale anche voi siete? Dopo la sua risurrezione egli era ancora in quella medesima carne; ma non si trovava più, come loro, nella condizione mortale. perciò, come una volta rivestito di carne immortale, dice con tutta verità: quando ero ancora con voi, e non possiamo intendere questa frase altro che nel senso che egli vuole riferirsi al tempo della sua condizione mortale trascorso con i suoi discepoli, così anche qui si può coerentemente intendere la frase: sono con voi ancora per poco tempo nel senso che ancora per poco egli sarà mortale, come essi lo sono. Ma andiamo avanti.

(Come possiamo seguirlo dove ci ha preceduti.)

2. 4. Voi mi cercherete, e come dissi ai Giudei, dico ora anche a voi: dove io vado, voi non potete venire (Jn 13,33). Dice che non possono seguirlo "ora", mentre quando aveva detto la medesima cosa ai Giudei, non aveva aggiunto ora. I discepoli non potevano andare, allora, dove egli andava, ma sarebbero potuti andarci dopo, come il Signore molto esplicitamente annuncierà all'apostolo Pietro fra poco. Infatti quando Pietro gli chiede: Signore, dove vai?, Gesù gli risponde: Dove vado, non puoi per ora seguirmi; mi seguirai più tardi (Jn 13,36). Dobbiamo approfondire il significato di questa affermazione. Dove, infatti, i discepoli non potevano seguire il Signore allora, ma più tardi avrebbero potuto? Se diciamo alla morte, qual è il tempo non adatto a morire per l'uomo che è nato, essendo talmente precaria la sua condizione nel corpo corruttibile, che non è più facile vivere che morire? I discepoli non erano quindi incapaci di seguire il Signore nella morte, ma erano ancora impreparati a seguirlo in quella vita che non conosce morte. Si, perché il Signore andava là dove una volta risorto da morte non sarebbe più morto, né la morte avrebbe più avuto alcun dominio su di lui (Rm 6,9). Come potevano seguire il Signore che andava a morire per la giustizia, essi che non erano ancora maturi per il martirio? E come avrebbero potuto seguirlo sino alla immortalità della carne, essi che, qualunque fosse stato il momento della loro morte, avrebbero dovuto attendere la fine dei secoli per risorgere? Come avrebbero già potuto seguire il Signore che, senza abbandonarli, tornava nel seno del Padre dal quale neppure per venire sulla terra si era allontanato, dato che nessuno può essere ammesso in quella felicità se non è perfetto nella carità? E perciò, volendo insegnare ad essi il modo di acquistare la capacità di giungere là dove egli li precede, dice: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda (Jn 13,34). Sono questi i passi che bisogna fare per seguire Cristo. Ma di questo parleremo più diffusamente un'altra volta.

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OMELIA 65

(Jn 13,34)

Jn 13,34,35


Il comandamento nuovo.

Questo comandamento ci rinnova, ci fa diventare uomini nuovi, eredi del Testamento Nuovo, cantori d'un cantico nuovo.

(Uomini nuovi in virtù del comandamento nuovo.)

1. Il Signore Gesù afferma di voler dare ai suoi discepoli un comandamento nuovo, quello di amarsi a vicenda: Vi do un comandamento nuovo: Che vi amiate a vicenda (Jn 13,34). Ma questo comandamento non era già contenuto nell'antica legge di Dio, che dice: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18)? Perché allora il Signore chiama nuovo un comandamento che risulta così antico? O lo chiama nuovo perché, spogliandoci dell'uomo vecchio, esso ci riveste del nuovo? Non un amore qualsiasi, infatti, rinnova l'uomo, ma l'amore che il Signore distingue da quello puramente umano aggiungendo: come io ho amato voi (Jn 13,34); e questo comandamento nuovo rinnova solo chi lo accoglie e ad esso obbedisce. Si amano vicendevolmente il marito e la moglie, i genitori e i figli, e quanti sono uniti tra loro da vincoli umani. E non parlo qui dell'amore colpevole e riprovevole che hanno, l'un per l'altro, gli adulteri e le adultere, gli amanti e le prostitute, e tutti quelli che, non le istituzioni umane, ma le nefaste deviazioni della vita congiungono. Cristo dunque ci ha dato un comandamento nuovo: di amarci gli uni gli altri, come egli ci ha amati. E' questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento Nuovo, cantori del cantico nuovo. Questo amore, fratelli carissimi, ha rinnovato anche i giusti dei tempi antichi, i patriarchi e i profeti, come poi i beati Apostoli. E' questo amore che anche adesso rinnova le genti e raccoglie tutto il genere umano, sparso ovunque sulla terra, per farne un sol popolo nuovo, il corpo della novella sposa dell'unigenito Figlio di Dio, della quale il Cantico dei Cantici dice: Chi è costei che avanza tutta bianca? (Ct 8,5 sec. LXX). Si, bianca perché rinnovata; e rinnovata da che cosa, se non dal comandamento nuovo? Ecco perché le sue membra sono sollecite l'uno dell'altro; e se soffre un membro, soffrono insieme le altre membra, se è onorato un membro, si rallegrano le altre membra (1Co 12,25-26). Esse infatti ascoltano e mettono in pratica l'insegnamento del Signore: Vi do un comandamento nuovo: Che vi amiate a vicenda; e non come si amano i corruttori, né come si amano gli uomini in quanto uomini, ma in quanto dèi e figli tutti dell'Altissimo per essere fratelli dell'unico Figlio suo, amandosi a vicenda di quell'amore con cui li ha amati egli stesso, che li vuol condurre a quel fine che li appagherà e dove ci sono i beni che potranno saziare tutti i loro desideri (Ps 102,5). Allora, ogni desiderio sarà soddisfatto, quando Dio sarà tutto in tutti (1Co 15,28). Un tal fine non avrà fine. Nessuno muore là dove nessuno può giungere se non è morto a questo mondo, e non della morte comune a tutti, per cui il corpo è abbandonato dall'anima, ma della morte degli eletti, per cui, mentre ancora siamo nella carne mortale, il cuore viene elevato su in alto. A proposito di questa morte l'Apostolo disse: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3,3). Forse in questo senso è stato detto: L'amore è potente come la morte (Ct 8,6). E' in forza di questo amore, infatti, che, ancora vivendo insieme col corpo corruttibile noi moriamo a questo mondo, e la nostra vita si nasconde con Cristo in Dio; anzi l'amore stesso è per noi morte al mondo e vita con Dio. Se infatti parliamo di morte quando l'anima esce dal corpo, perché non si potrebbe parlare di morte quando il nostro amore esce dal mondo? L'amore è dunque potente come la morte. Che cosa è più potente di questo amore che vince il mondo? (Amare Dio nel prossimo.)

1. 2. Non crediate, fratelli, che il Signore dicendo: Vi do un comandamento nuovo: Che vi amiate a vicenda, abbia dimenticato quel comandamento più grande, che è amare il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente. Potrebbe infatti sembrare che abbia detto di amarsi a vicenda quasi non calcolando quel comandamento: come se, invece, l'ordine che dava non rientrasse nella seconda parte di questo precetto dove è detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. E' infatti su questi due comandamenti che poggiano la legge e i profeti (Mt 22,37 Mt 40). Ma per chi li intende bene, ciascuno dei due comandamenti si ritrova nell'altro; perché chi ama Dio, non può non tener conto del suo precetto di amare il prossimo; e chi ama il prossimo di un amore sincero e santo, chi ama in lui se non Dio? Questo amore, che si distingue da ogni espressione di amore mondano, il Signore lo caratterizza aggiungendo: come io ho amato voi. Che cosa, infatti, se non Dio, egli ha amato in noi? Non perché già lo possedessimo, ma perché lo potessimo possedere; per condurci, come dicevo prima, là dove Dio sarà tutto in tutti. E' in questo senso che giustamente si dice che il medico ama gli ammalati: cosa ama in essi, se non la salute che vuol ridonare, e non la malattia che vuole scacciare? Amiamoci dunque gli uni gli altri in maniera tale da stimolarci a vicenda, mediante le attuazioni dell'amore, a possedere Dio in noi per quanto ci è possibile. Questo amore ce lo dà colui stesso che ha detto: Come io ho amato voi, così voi amatevi a vicenda (Jn 13,34). Per questo dunque ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Con l'amarci egli ci ha dato l'aiuto affinché col mutuo amore ci stringiamo fra noi e, legate le membra da un vincolo così soave, siamo corpo di tanto Capo.

2. 3. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Jn 13,35). Come a dire: Gli altri miei doni li hanno in comune con voi anche coloro che non sono miei: non soltanto la natura, la vita, i sensi, la ragione, e quella salute che è comune agli uomini e agli animali; essi hanno anche il dono delle lingue, i sacramenti, il dono della profezia, il dono della scienza e quello della fede, quello di distribuire i loro averi ai poveri, di dare il loro corpo alle fiamme. Ma essi non hanno la carità, per cui, a modo di cembali, fanno del chiasso, ma in realtà non sono niente e questi doni non giovano loro a niente (1Co 13,1-3). Non è da questi miei doni, quantunque eccellenti, e che possono avere anche quelli che non sono miei discepoli, ma è da questo che conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. O sposa di Cristo, bella tra tutte le donne! O splendida creatura, che vieni avanti appoggiata al tuo diletto! Inondata della sua luce, appari fulgente; sostenuta da lui, non puoi cadere! Come vieni degnamente celebrata in quel Cantico dei Cantici, che è il tuo epitalamio: L'amore fa le tue delizie! (Ct 7,6 sec. LXX). Questo amore impedisce che la tua anima si perda insieme con quella degli empi; esso pone su un alto livello la tua causa, esso è tenace come la morte e forma la tua felicità. Quale meraviglioso genere di morte, che avrebbe stimato poca cosa l'assenza di tormenti, se non ci fosse stata anche la pienezza della gioia! Ma è tempo ormai di porre fine a questo discorso, rimandando ad un altro quel che segue.


Agostino - Commento Gv 61