Agostino - Commento Gv 71

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OMELIA 71

(Jn 14,10-14)

Jn 14,10-14


Chi crede in me farà anch'egli le opere che io fo; ne farà anzi di più grandi.

Il discepolo compirà opere maggiori di quelle del Signore. Tuttavia un servo non è più grande del suo padrone, né il discepolo superiore al Maestro, perché è sempre Cristo che opera ogni cosa, e senza di lui nessuno può far nulla.

1. 1. Ascoltate con le orecchie e accogliete nell'anima, o dilettissimi, mediante le parole che noi vi rivolgiamo, l'insegnamento che c'imparte colui che mai si allontana da noi. Nel passo che avete sentito, il Signore dice: Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me, è lui stesso che agisce (Jn 14,10). Quindi anche le parole sono opere? Certamente. Colui che edifica il prossimo con la parola compie un'opera buona. Ma che significa non vi parlo da me, se non questo: io che vi parlo non sono da me? ciò che egli fa lo attribuisce a colui dal quale, egli che agisce, procede. Dio Padre infatti non ha origine da un altro, il Figlio invece, che pure è uguale al Padre, tuttavia è da Dio Padre. Il Padre è Dio, ma non da Dio; è luce, ma non da luce; il Figlio invece è Dio da Dio, luce da luce.

2. 2. Riguardo a queste due affermazioni, delle quali una dice: Non parlo da me e l'altra dice: Il Padre, che è in me, è lui stesso che agisce, ci attaccano due opposti movimenti ereticali: i quali, basandosi su una soltanto delle due e volendo tirarle in direzioni contrarie, sono usciti fuori della via della verità. Gli ariani infatti dicono: Ecco che il Figlio non è uguale al Padre, in quanto egli non parla da sé. I sabelliani, cioè i patripassiani, al contrario dicono: Ecco che il Padre e il Figlio sono la medesima persona; che significa infatti: Il Padre, che è in me, compie le opere, se non: io che opero rimango in me? Sostenete cose contrarie; ma non come il vero è contrario al falso, bensi come due cose false contrarie tra loro. Avete sbagliato ambedue andando in direzioni opposte: la via che avete abbandonato sta in mezzo. Vi siete separati tra di voi con una distanza maggiore di quella che esiste tra ciascuna delle vostre vie e la giusta che avete abbandonato. Voi da una parte e voi dall'altra, venite qui entrambi; non passate gli uni dalla parte dell'altro, ma venendo a noi da una parte e dall'altra ritrovatevi insieme. Voi, sabelliani, riconoscete colui che negate; voi, ariani, riconoscete uguale colui che abbassate nei confronti dell'altro e camminerete con noi sulla via retta. C'è qualcosa che ciascuno di voi può raccomandare all'altro. Sabelliano, ascolta: La persona del Figlio è talmente distinta da quella del Padre che l'ariano sostiene che il Figlio non è uguale al Padre. Ariano, ascolta: Il Figlio è tanto uguale al Padre che il sabelliano sostiene che sono la medesima persona. Tu, sabelliano, aggiungi ciò che hai tolto, e tu, ariano, riporta all'uguaglianza ciò che hai abbassato, ed entrambi convenite con noi; poiché né tu devi eliminare, per convincere il sabelliano, colui che è una persona distinta dal Padre, né tu abbassare, per convincere l'ariano, colui che è uguale al Padre. Ad entrambi il Signore grida: Io e il Padre siamo una cosa sola (Jn 10,30). Gli ariani tengano conto che egli dice una cosa sola, i sabelliani tengano conto che egli dice siamo; e non si rendano ridicoli, i primi negando l'uguaglianza di natura, i secondi negando la distinzione delle persone. E se poi l'affermazione: Le parole che io dico non le dico da me, vi fa pensare che il suo potere è limitato, tanto che non può fare ciò che vuole, tenete conto dell'altra sua affermazione: Come il Padre resuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Jn 5,21). Cosi, se la sua affermazione: Il Padre, che è in me, compie le opere, vi fa pensare che il Padre e il Figlio non sono due persone distinte, tenete presente l'altra sua affermazione: Quanto il Padre fa, il Figlio similmente lo fa (Jn 5,19); e concludete che non si tratta di una sola persona menzionata due volte ma di una natura in due persone. E siccome uno è uguale all'altro, in modo tuttavia che uno ha origine dall'altro, perciò il Figlio non parla da sé, perché non è da sé; e perciò è il Padre a compiere in lui le opere, poiché colui per mezzo del quale e col quale il Padre agisce non è se non dal Padre. Infine il Signore aggiunge: Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? Se non altro, credetelo a motivo delle mie opere (Jn 14,11-12). Prima aveva rimproverato solo Filippo, adesso invece fa vedere che non era solo lui a meritare il rimprovero. A motivo delle opere credete che io sono nel Padre e il Padre è in me; e infatti, se fossimo separati, non potremmo in alcun modo operare inseparabilmente come facciamo.

(Cristo promette che farà opere maggiori delle sue.)

3. Vediamo ora di capire quello che segue: In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; ne farà, anzi, di più grandi, perché io vado al Padre e qualunque cosa chiederete in nome mio la faro. Affinché il Padre sia glorificato nel Figlio, se domanderete qualche cosa nel mio nome io la faro (Jn 14,12-14). Annuncia quindi che sarà lui a compiere queste opere più grandi. Non s'innalzi il servo al di sopra del Signore, né il discepolo al di sopra del Maestro (Jn 13,16): egli dice che i discepoli faranno opere più grandi di quelle fatte da lui, ma è sempre lui che agirà in essi e per mezzo di essi; non essi da se medesimi. E' per questo che a lui si canta: Ti amo, Signore, mia forza (Ps 17,2). Ma quali sono queste opere più grandi? Forse perché, al loro passaggio, bastava la loro ombra a guarire gli infermi (cf. Ac 5,15)? E' cosa più grande infatti operare guarigioni con l'ombra del corpo invece che con la frangia del mantello (Mt 14,36). Nel primo caso era lui direttamente che operava la guarigione, nel secondo caso era lui per mezzo dei discepoli, ma nel primo come nel secondo caso era sempre lui ad agire. In questo suo discorso, pero, egli si riferisce all'opera della sua parola; infatti disse: Le parole che io vi dico non le dico da me, ma il Padre, che è in me, compie le sue opere. Di quali opere intendeva parlare se non di queste, cioè delle parole che diceva? I discepoli ascoltavano e credevano in lui, e la loro fede era il frutto di quelle parole. Ma quando i discepoli cominciarono ad annunciare il Vangelo, non credettero soltanto poche persone come appunto erano loro, ma popoli interi: queste sono, senza dubbio, opere più grandi. E' da notare che non dice: Voi farete opere più grandi di queste, come se soltanto agli Apostoli fosse concesso di farle, ma: Chi crede in me - egli dice -farà anch'egli le opere che io faccio, anzi, di più grandi. Dunque, chiunque crede in Cristo fa le opere che Cristo fa, anzi di più grandi? Non sono cose, queste, da trattarsi di passaggio, né frettolosamente e superficialmente; ma dovendo ormai chiudere questo discorso, siamo costretti a rimandare il commento.

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OMELIA 72

Ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.

Il discepolo compirà opere maggiori perché Cristo va al Padre. Che Cristo compia per mezzo di chi crede in lui, opere maggiori di quelle compiute da lui direttamente, non è segno di debolezza ma di condiscendenza.

1. 1. Non è facile intendere e penetrare il significato delle parole del Signore: Chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; se non che, a queste parole già così difficili, il Signore ne aggiunge altre, ancor più difficili da comprendere: E farà cose ancor più grandi di queste (Jn 14,12). Che vuol dire? Non riuscivamo a trovare chi potesse fare le opere che Cristo ha fatto; troveremo chi ne farà di più grandi? Ma nel discorso precedente dicevamo che era un miracolo più grande guarire gli infermi, al proprio passaggio, solamente con l'ombra del corpo, come fecero i discepoli (cf. Ac 5,15), che guarirli col contatto, come fece il Signore (Mt 14,36); e che molti di più credettero alla predicazione degli Apostoli che non alla voce del Signore. Ma dicevamo anche che queste opere son da considerare più grandi, non nel senso che il discepolo sia più grande del Maestro, o il servo superiore al Signore, o il figlio adottivo da più del Figlio unigenito, o l'uomo da più di Dio; ma perché quegli stesso, che altrove dice ai discepoli: Senza di me non potete far nulla (Jn 15,5), si è degnato compiere per mezzo di loro opere più grandi. Egli infatti, per tralasciare altri innumerevoli esempi, senza aiuto da parte dei discepoli creo loro stessi, senza di loro fece questo mondo; e poiché si è degnato farsi uomo, ha fatto anche se stesso senza di loro. Essi invece, che cosa hanno fatto senza di lui, se non il peccato? Per di più, anche qui ha subito eliminato una difficoltà che ci poteva turbare. Dopo aver detto: Chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; ne farà, anzi, di più grandi, subito ha aggiunto: perché vado al Padre e qualunque cosa chiederete in nome mio la faro (Jn 14,12-14). Prima ha detto farà, ora dice faro, come a dire: Non vi sembri ciò impossibile; non potrà infatti essere più grande di me chi crede in me, ma allora saro io che faro cose più grandi di quanto ho fatto ora. Per mezzo di chi crede in me, faro cose più grandi di quelle che ho fatto da me senza di lui. Tuttavia sono sempre io che opero, senza di lui o per mezzo di lui. Quando opero senza di lui, egli non fa niente, mentre quando opero per mezzo di lui, anche lui fa le opere, anche se non le compie da se stesso. Compiere per mezzo di colui che crede opere più grandi che senza di lui, non è da parte del Signore una limitazione ma una degnazione. Come potranno infatti i servi ricambiare il Signore per tutti i benefici che loro ha concesso? (Ps 115,12). Soprattutto quando, tra gli altri benefici, si è degnato di concedere loro anche quello di compiere, per loro mezzo, cose più grandi di quelle che ha compiuto senza di loro. Forse non si allontano triste da lui quel ricco, che era andato a chiedere consiglio sul come ottenere la vita eterna (Mt 10,16-22)? Ascolto e non tenne conto del consiglio. E tuttavia il consiglio, non seguito da quel tale, fu poi seguito da molti quando il Maestro buono parlo per bocca dei discepoli. Le sue parole furono disprezzate dal ricco che egli aveva esortato direttamente, e furono invece ben accolte da coloro che egli fece diventare poveri per mezzo di poveri. E così il Signore ha compiuto, attraverso la predicazione di quanti in lui credevano, opere più grandi di quelle che fece di persona rivolgendosi a quanti ascoltavano direttamente la sua parola.

(Anche il credere in Cristo, è opera di Cristo.)

2. 2. Già è sorprendente che abbia compiuto opere più grandi per mezzo degli Apostoli; tuttavia egli non dice: "Farete anche voi le opere che io faccio e ne farete anzi di più grandi", riferendosi soltanto a loro; ma volendo includere quanti appartengono alla sua famiglia, egli dice: Chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; ne farà, anzi, di più grandi. Se dunque chi crede farà tali opere, chi non ne farà significa che non crede. Un caso analogo offrono le parole del Signore: Chi mi ama, osserva i miei comandamenti (Jn 14,21); per cui chi non li osserva, vuol dire che non lo ama. Così altrove dice: Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale edifico la sua casa sulla roccia (Mt 7,24); chi dunque non è simile a questo uomo saggio, o ascolta le parole del Signore senza metterle in pratica o non le ascolta neppure. Come pure dice: Chi crede in me anche se è morto vivrà (Jn 11,25); chi dunque non vive è senz'altro perché non crede. Altrettanto vale per la frase: Chi crede in me farà: vuol dire che chi non farà le opere, non crede. Che vuol dire questo, fratelli? Forse che non è da annoverare tra i credenti in Cristo chi non fa opere più grandi di quelle che egli fece? Se non è ben compreso, un simile discorso è duro, assurdo, inammissibile e intollerabile. Ascoltiamo dunque l'Apostolo che dice: A chi crede in colui che giustifica l'empio, quella fede gli viene attribuita a giustizia (Rm 4,5). Con questa opera noi compiamo le opere di Cristo, perché lo stesso credere in Cristo è opera di Cristo. E' opera sua in noi, ma non senza di noi. Ascolta ancora, e cerca di comprendere: Chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; cioè prima sono io che faccio, poi anche egli farà, cioè io faccio affinché egli possa fare. E quale opera io faccio? Faccio si che da peccatore diventi giusto.

3. E farà opere più grandi di queste. Più grandi di quali, ti prego? Forse chi con timore e tremore attende all'opera della sua salvezza (cf. Ph 2,12), compie opere più grandi di quelle compiute da Cristo? E' certamente Cristo che opera in lui, ma non senza di lui. Starei per dire che questa opera è più grande del cielo e della terra, e di tutto ciò che in cielo e in terra si vede. Il cielo e la terra, infatti, passeranno (Mt 24,35), mentre la salvezza e la giustificazione dei predestinati, di coloro cioè che egli ha preconosciuto, rimangono in eterno. Nel cielo e nella terra vi è soltanto l'opera di Dio, mentre in questi vi è anche l'immagine di Dio. Ma in cielo, i Troni e le Dominazioni, i Principati e le Potestà, gli Angeli e gli Arcangeli sono anch'essi opera di Cristo: forse che compie opere ancor più grandi di queste colui che concorre all'opera che Cristo compie in lui per la sua eterna salvezza e giustificazione? Non oso a questo riguardo pronunciare un giudizio che sarebbe affrettato; intenda chi puo, giudichi chi puo, se è opera più grande creare i giusti o giustificare gli empi. Se ambedue le opere richiedono pari potenza, certo la seconda richiede maggiore misericordia. Infatti, E' questo il grande mistero della pietà, che fu manifestato nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu predicato alle nazioni, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria (1Tm 3,16). Niente ci obbliga a credere che in queste parole: farà opere anche più grandi di queste, siano comprese tutte le opere di Cristo. Forse ha detto di queste, intendendo quelle che faceva in quel momento. E in quel momento egli esponeva le parole della fede, cioè compiva quelle opere delle quali prima aveva detto: Le parole che io vi dico non le dico da me, ma il Padre, che è in me, compie le sue opere (Jn 14,10). In quel momento le sue opere erano le sue parole. E certamente è opera minore predicare le parole di giustizia, cosa che egli fece senza di noi, che non giustificare gli empi, cosa che egli fa in noi in modo che anche noi la facciamo. Resta da cercare in che senso si deve intendere la frase: Qualunque cosa chiederete in nome mio la faro. Il fatto che molte preghiere rimangono inesaudite, pone una difficoltà piuttosto seria; ma, siccome è tempo ormai di porre termine a questo discorso, mi si consenta un po' di respiro per esaminare e poi affrontare tale difficoltà.

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OMELIA 73

Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, la faro.

La preghiera rivolta al Padre in nome di Cristo sarà sempre esaudita. Pregare così è come seminare, con la certezza che a suo tempo si raccoglierà.

1. 1. Dicendo: Io vado al Padre e qualunque cosa chiederete in nome mio la faro (Jn 14,12-13), il Signore ha acceso una grande speranza nel cuore di chi crede in lui. Egli va al Padre, non abbandonando gli indigenti ma per esaudire gli oranti. Ma che vuol dire: qualunque cosa chiederete, quando vediamo che i fedeli molto spesso chiedono e non ottengono? E' forse perché chiedono male? E' questo infatti il rimprovero che l'apostolo Giacomo rivolge ai fedeli: Chiedete e non ricevete perché chiedete male, per spendere nei vostri piaceri (Jc 4,3). Allorché si chiede per farne cattivo uso, è piuttosto misericordia divina non essere esauditi. perciò quando l'uomo chiede a Dio qualcosa che, se gli fosse concessa, tornerebbe a suo danno, c'è più da temere che Dio, adirato, lo esaudisca, piuttosto che, propizio, gliela rifiuti. Non abbiamo forse l'esempio degli Israeliti, i quali ottennero a loro danno ciò che avevano chiesto per soddisfare un desiderio colpevole? Desideravano infatti nutrirsi di carni (Nb 11,32), essi per i quali era piovuta la manna dal cielo. Si erano nauseati di ciò che avevano e sfrontatamente chiedevano ciò che non avevano; avrebbero fatto meglio a chiedere di essere guariti dalla loro nausea, onde poter mangiare il cibo che avevano in abbondanza, piuttosto che chiedere fosse soddisfatto il loro malsano appetito con un cibo che non avevano. Quando ci sentiamo attratti dalle cose cattive e non riusciamo a desiderare le cose buone, dobbiamo piuttosto chiedere a Dio il gusto delle cose buone, che non il dono di cose cattive. Non perché sia male mangiare la carne, dal momento che l'Apostolo a tal proposito dice: Ogni cosa creata da Dio è buona, e niente è da disprezzare qualora venga preso con animo grato (1Tm 4,4), ma perché, sempre secondo l'Apostolo: è male per l'uomo il mangiare se con ciò scandalizza gli altri (Rm 14,20). Se è male mangiare recando scandalo all'uomo, è peggio se mangiando si reca offesa a Dio. Non era, da parte degli Israeliti, un'offesa da poco rifiutare ciò che donava loro la Sapienza divina e chiedere ciò che bramava la loro cupidigia, quantunque non lo chiedessero ma soltanto si lamentassero per la mancanza. Pero dobbiamo persuaderci che la colpa non è nella cosa in sé, ma nella disobbedienza ostinata e nella cupidigia. Non fu a causa della carne di porco, ma per un pomo, che il primo uomo trovo la morte (Gn 3,6); ed Esaù perdette la primogenitura non per una gallina, ma per un piatto di lenticchie (Gn 25,34).

2. 2. Come si dovrà dunque intendere l'espressione: qualunque cosa chiederete in nome mio la faro, se Dio, intenzionalmente, non esaudisce i fedeli in talune richieste? Forse ciò valeva solamente per gli Apostoli? Certamente no. Infatti aveva promesso: Chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; ne farà, anzi, di più grandi. Di questo ci siamo occupati nel precedente discorso. E affinché nessuno si attribuisse l'iniziativa di tali opere e per mostrare che anche quelle opere più grandi le compie lui, aggiunge: perché io vado al Padre, e qualunque cosa chiederete in nome mio la faro (Jn 14,12-13). Forse che soltanto gli Apostoli hanno creduto in lui? Egli, dicendo: Chi crede in me, si rivolge a quelle persone che credono, fra cui siamo anche noi, che certamente non riceviamo da lui tutto ciò che chiediamo. E anche se pensiamo ai beatissimi Apostoli, vediamo che quello che più di tutti aveva lavorato (non lui pero, bensi la grazia di Dio con lui (1Co 15,10)), per ben tre volte prego il Signore affinché allontanasse da lui l'angelo di satana, senza tuttavia ottenere ciò che chiedeva (2Co 12,8).

Che diremo, o carissimi? Dovremo pensare che la promessa così formulata: qualunque cosa chiederete la faro, non sia stata mantenuta da lui neppure nei confronti degli Apostoli? E con chi allora manterrà la parola se nella sua promessa ha defraudato gli Apostoli?

3. Rifletti attentamente, uomo fedele, all'espressione: in nome mio. Il Signore non ha detto: qualunque cosa chiederete in qualsiasi modo, ma qualunque cosa chiederete in nome mio. Ora, come si chiama colui che ha promesso un così grande beneficio? Si chiama Gesù Cristo. Cristo significa re, Gesù significa Salvatore. Non ci salverà un re qualsiasi, ma un re Salvatore; e perciò qualunque cosa si chieda che sia contraria alla nostra salvezza, non la si chiede nel nome del Salvatore. E tuttavia egli è Salvatore, non soltanto quando esaudisce ciò che gli si chiede, ma anche quando non esaudisce la nostra preghiera: perché quando vede che la nostra richiesta è contraria alla nostra salvezza, si dimostra Salvatore appunto non ascoltandoci. Il medico sa, infatti, se quanto chiede il malato giova o nuoce alla sua salute, e perciò se non lo accontenta quando chiede qualcosa che gli nuoce, lo fa per proteggere la sua salute. Pertanto, se vogliamo che il Signore esaudisca le nostre preghiere, dobbiamo chiedere, non in qualunque modo, ma nel suo nome, cioè nel nome del Salvatore. Non chiediamo dunque nulla contro la nostra salvezza, poiché se ci esaudisse non agirebbe da Salvatore, quale è il suo nome presso i fedeli. Egli che si degna di essere il Salvatore dei fedeli, è anche colui che condanna gli empi. Chi dunque crede in lui, qualunque cosa chieda in suo nome, cioè nel nome che gli riconoscono quanti in lui credono, sarà esaudito; perché solo in questo modo Cristo opera come Salvatore. Se invece chi crede in lui, per ignoranza chiede qualcosa che è contrario alla sua salvezza, non chiede nel nome del Salvatore: il Signore non sarebbe suo Salvatore se gli concedesse ciò che è di impedimento alla sua salvezza. E' meglio che non esaudisca la sua richiesta, perché in tal modo non smentisce il suo nome. Per questo motivo, per poter esaudire ogni nostra richiesta, egli, che non soltanto è il Salvatore ma è anche il maestro buono, nell'orazione stessa che ci ha dato, ci insegna cosa dobbiamo chiedere. Egli ci insegna, cioè, a non chiedere, in nome del Maestro, cio che è contrario ai principi del suo insegnamento.

(Chiediamo in nome di Cristo, salvatore e maestro.)

2. 4. Vero è che talune cose, anche se le chiediamo nel suo nome, cioè nel nome del Salvatore e secondo le norme del suo insegnamento, non le concede quando gliele chiediamo, pero le concede. Quando infatti gli chiediamo che venga il suo regno, non vuol dire che non esaudisce la nostra preghiera, per il fatto che subito non ci ammette a regnare con lui nell'eternità; rimanda la realizzazione di quanto gli chiediamo, ma non ce lo nega. Non stanchiamoci quindi di pregare, che è come seminare; a suo tempo, infatti, mieteremo (Ga 6,9). E insieme chiediamogli, se davvero preghiamo con le dovute disposizioni, che non ci conceda quanto gli chiediamo fuori posto: a ciò si riferisce la petizione dell'orazione del Signore: Non ci indurre in tentazione (Mt 6,9-13). Non è infatti una tentazione trascurabile, se la tua domanda va contro la tua salvezza. Né dobbiamo trascurare il fatto che il Signore, affinché nessuno pensi che egli voglia mantenere la sua promessa indipendentemente dal Padre, dopo aver detto: qualunque cosa chiederete in nome mio la faro, subito aggiunge: affinché il Padre sia glorificato nel Figlio, se mi domanderete qualche cosa in nome mio io la faro (Jn 14,13-14). E' dunque da escludere nella maniera più assoluta che il Figlio faccia qualcosa senza il Padre, dato che egli opera appunto perché il Padre sia glorificato in lui. Il Padre dunque opera nel Figlio, affinché il Figlio sia glorificato nel Padre; e il Figlio opera nel Padre, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio; perché il Padre e il Figlio sono una cosa sola.

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OMELIA 74

(Jn 14,15-17)

Jn 14,15-17


Il dono di un altro Paraclito.

Chi ama è segno che ha lo Spirito Santo, e quanto più amerà tanto più lo avrà, affinché possa amare sempre di più.

1. 1. Abbiamo ascoltato, o fratelli, mentre veniva letto il Vangelo, il Signore che dice: Se mi amate, osservate i miei comandamenti; ed io preghero il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il quale resti con voi per sempre; lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo conoscete, perché rimane tra voi e sarà in voi (Jn 14,15-17). Molte sono le cose da approfondire in queste poche parole del Signore; ma sarebbe troppo cercare ogni cosa che qui si può trovare, o pretendere di trovare ogni cosa che qui si può cercare. Tuttavia, prestando attenzione a ciò che noi dobbiamo dire e che voi dovete ascoltare, secondo quanto il Signore vorrà concederci e secondo la nostra e vostra capacità, ricevete per mezzo nostro, o carissimi, ciò che noi possiamo darvi, e chiedete a lui ciò che noi non possiamo darvi. Cristo promise agli Apostoli lo Spirito Paraclito; notiamo pero in che termini lo ha promesso. Se mi amate - egli dice -osservate i miei comandamenti; ed io preghero il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il quale resti con voi per sempre: lo Spirito di verità. Senza dubbio si tratta dello Spirito Santo, una persona della Trinità, che la fede cattolica riconosce consostanziale e coeterno al Padre e al Figlio. E' di questo Spirito che l'Apostolo dice: L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5,5). Come può dunque il Signore, riferendosi allo Spirito Santo, dire: Se mi amate, osservate i miei comandamenti; ed io preghero il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, dal momento che senza questo Spirito non possiamo né amare Dio, né osservare i suoi comandamenti? Come possiamo amare Dio per ricevere lo Spirito, se senza lo Spirito non possiamo assolutamente amare Dio? E come possiamo osservare i comandamenti di Cristo per ricevere lo Spirito, se senza questo dono non possiamo osservarli? E' forse da pensare che prima c'è in noi la carità, che ci consente di amare Cristo, e, amandolo e osservando i suoi comandamenti, si può meritare il dono dello Spirito Santo così che la carità (non di Cristo che già era presente, ma di Dio Padre), si riversi nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato? Questa è un'interpretazione errata. Infatti, chi crede di amare il Figlio e non ama il Padre, significa che non ama il Figlio, ma una invenzione della sua fantasia. perciò l'Apostolo dichiara: Nessuno può dire: Gesù è il Signore, se non nello Spirito Santo (1Co 12,3). Chi può dire: Gesù è il Signore, nel senso che intende l'Apostolo, se non chi lo ama? Molti infatti riconoscono Gesù a parole, mentre col cuore e con le opere lo rinnegano; come appunto dice l'Apostolo: Confessano si di conoscere Dio, ma con le opere lo negano (Tt 1,16). Se con le opere si può negare Dio, è altrettanto vero che è con i fatti che lo si confessa. E così nessuno può dire: Gesù è il Signore -con l'animo, con le parole, con i fatti, con il cuore, con la bocca, con le opere -se non nello Spirito Santo; e nessuno lo dice in questo senso se non chi lo ama. Ora, se gli Apostoli dicevano: Gesù è il Signore, e non lo dicevano in modo finto come quelli che lo confessano con la bocca e lo negano con il cuore e con le opere, se insomma lo dicevano in modo autentico, sicuramente lo amavano. E come lo amavano, se non nello Spirito Santo? E tuttavia il Signore ordina loro, prima di tutto di amarlo e di osservare i suoi comandamenti, per poter ricevere lo Spirito Santo, senza del quale essi di sicuro non avrebbero potuto né amarlo né osservare i suoi comandamenti.

2. 2. Dobbiamo dunque concludere che chi ama lo Spirito Santo, e, avendolo, merita di averlo con maggiore abbondanza, e, avendolo con maggiore abbondanza, riesce ad amare di più. I discepoli avevano già lo Spirito Santo, che il Signore prometteva loro e senza del quale non avrebbero potuto riconoscerlo come Signore; e tuttavia non lo avevano con quella pienezza che il Signore prometteva. Cioè, lo avevano e insieme non lo avevano, nel senso che ancora non lo avevano con quella pienezza con cui dovevano averlo. Lo avevano in misura limitata, e doveva essere loro donato più abbondantemente. Lo possedevano in modo nascosto, e dovevano riceverlo in modo manifesto; perché il dono maggiore dello Spirito Santo consisteva anche in una coscienza più viva di esso. Parlando di questo dono, l'Apostolo dice: Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo ma lo Spirito che viene da Dio, affinché possiamo conoscere le cose che da Dio ci sono state donate (1Co 2,12). E non una volta, ma ben due volte il Signore elargi agli Apostoli in modo manifesto il dono dello Spirito Santo. Appena risorto dai morti, infatti, alito su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo (Jn 20,22). E per averlo dato allora, forse che non invio anche dopo lo Spirito promesso? O non era il medesimo Spirito quello che Cristo alito su di loro e poi ancora invio ad essi dal cielo (cf. Ac 2,4)? Qui si pone un'altra domanda: perché questo dono fu elargito in modo manifesto due volte? Forse questo dono fu elargito visibilmente due volte perché due sono i precetti dell'amore: l'amore di Dio e quello del prossimo, e per sottolineare che l'amore dipende dallo Spirito Santo. Se bisogna cercare un altro motivo, non è adesso il momento, dato che non possiamo tirare troppo in lungo questo discorso. L'importante è tener presente che senza lo Spirito Santo noi non possiamo né amare Cristo né osservare i suoi comandamenti, e che tanto meno possiamo farlo quanto meno abbiamo di Spirito Santo, mentre tanto più possiamo farlo quanto maggiore è l'abbondanza che ne abbiamo. Non è quindi senza ragione che lo Spirito Santo viene promesso, non solo a chi non lo ha, ma anche a chi già lo possiede: a chi non lo ha perché lo abbia, a chi già lo possiede perché lo possieda in misura più abbondante. Poiché se non si potesse possedere lo Spirito Santo in misura più o meno abbondante, il profeta Eliseo non avrebbe detto al profeta Elia: Lo Spirito che è in te, sia doppio in me (2S 2,9).

(Viene promesso lo Spirito Santo anche a chi lo ha.)

3. 3. Quando Giovanni Battista disse: Iddio dona lo Spirito senza misura (Jn 3,34), parlava del Figlio di Dio, al quale appunto lo Spirito è dato senza misura, perché in lui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Non potrebbe infatti l'uomo Cristo Gesù essere mediatore tra Dio e gli uomini senza la grazia dello Spirito Santo (1Tm 2,5). Infatti egli stesso afferma che in lui si è compiuta la profezia: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto, mi ha mandato a predicare ai poveri la buona novella (Lc 4,18-21). Che l'Unigenito sia uguale al Padre, non è grazia ma natura; il fatto invece che l'uomo sia stato assunto nell'unità della persona dell'Unigenito, è grazia non natura, secondo la testimonianza del Vangelo che dice: Intanto il bambino cresceva, si fortificava ed era pieno di sapienza, e la grazia di Dio era in lui (Lc 2,40). Agli altri, invece, lo Spirito viene dato con misura, e questa misura aumenta, finché si compie per ciascuno, secondo la sua capacità, la misura propria della sua perfezione. Donde l'esortazione dell'Apostolo: Non stimatevi più di quello che è conveniente stimarsi, ma stimatevi in maniera da sentire saggiamente di voi, secondo la misura di fede che Dio ha distribuito a ciascuno (Rm 12,3). Lo Spirito infatti non viene diviso; sono i carismi che vengono divisi come sta scritto: Vi sono diversità di carismi, ma identico è lo Spirito (1Co 12,4).

4. Dicendo poi: Io preghero il Padre, ed egli vi darà un altro Paraclito, il Signore ci fa capire che egli stesso è Paraclito. Paraclito corrisponde al latino avvocato; e Giovanni dice di Cristo: Abbiamo, come avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto (1Jn 2,16). In questo senso dice che il mondo non può ricevere lo Spirito Santo, così come sta scritto: Il desiderio della carne è inimicizia contro di Dio: esso infatti non si assoggetta alla legge di Dio né lo potrebbe (Rm 8,7). Come a dire che l'ingiustizia non può essere giusta. Per mondo qui si intende coloro che amano il mondo di un amore che non proviene dal Padre. E perciò l'amore di Dio, riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato, è l'opposto dell'amore di questo mondo, che ci sforziamo di ridurre e di estinguere in noi. Il mondo quindi non lo può ricevere perché non lo vede né conosce. L'amore mondano, infatti, non possiede occhi spirituali, senza dei quali non è possibile vedere lo Spirito Santo, che è invisibile agli occhi della carne.

5. Ma voi - dice il Signore -lo conoscerete perché rimarrà tra voi e sarà in voi. Sarà in loro per rimanervi, non rimarrà per esservi; poiché per rimanere in un luogo, prima bisogna esserci. E affinché non credessero che l'espressione: rimarrà presso di voi, volesse significare una permanenza simile a quella di un ospite in una casa, spiego il senso delle parole: rimarrà presso di voi, aggiungendo: e sarà in voi. Lo si potrà dunque vedere in modo invisibile, e non potremmo conoscerlo se non fosse in noi. E' così che noi vediamo in noi la nostra coscienza; noi possiamo vedere la faccia di un altro, ma non possiamo vedere la nostra; mentre possiamo vedere la nostra coscienza e non possiamo vedere quella di un altro. La coscienza, pero, non esiste fuori di noi, mentre lo Spirito Santo può esistere anche senza di noi; e che sia anche in noi, è un dono. E se non è in noi, non possiamo vederlo e conoscerlo così come deve essere veduto e conosciuto.


Agostino - Commento Gv 71