Agostino - Commento Gv 104

104

OMELIA 104

(Jn 17,1)

Jn 17,1



Il dono della pace.

Tutto quello che il Signore ha detto era perché i discepoli avessero pace in lui, ed è essenzialmente per questo che noi siamo Cristiani.

1. Prima di queste parole che con l'aiuto del Signore ci accingiamo ora a commentare, Gesù aveva detto: Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me (Jn 16,33), intendendo con ciò riferirsi non solo a ciò che aveva detto loro immediatamente prima, ma anche a tutto ciò che disse fin da quando li prese con sé come discepoli e soprattutto a quel lungo e mirabile discorso che tenne loro dopo la cena. Con tali parole egli sottolinea lo scopo del suo discorso, affinché essi coerentemente rapportino a tale scopo tutto il suo insegnamento, e soprattutto quelle cose che ha detto quando era ormai sul punto di morire per loro, e che sono come le sue ultime parole, quelle che pronuncio dopo che il discepolo traditore si era allontanato da quella sacra Cena. Ci ha tenuto a dichiarare che lo scopo che lo aveva indotto a tenere quel discorso era perché trovassero pace in lui, che è poi lo scopo di tutta la vita cristiana. Questa pace non è soggetta ai limiti del tempo, ma sarà il fine d'ogni nostra santa intenzione e azione. E' in ordine a questa pace che noi veniamo iniziati con i suoi sacramenti, che cresciamo alla scuola delle sue mirabili opere e parole, che abbiamo ricevuto il pegno del suo Spirito, che crediamo e speriamo in lui, e, nella misura che egli ce lo concede, ardiamo di amore per lui. Questa pace ci consola in ogni prova e ci libera da ogni prova; in vista di questa pace sosteniamo coraggiosamente ogni tribolazione e in essa, liberi da ogni tribolazione, felicemente regneremo. Col tema della pace molto opportunamente conclude le sue parole, che ai discepoli ancora limitati nella loro intelligenza erano sembrate parabole, ma che essi avrebbero capito bene quando egli avrebbe dato loro, come aveva promesso, lo Spirito Santo: a proposito del quale così si era espresso:

Queste cose vi ho detto stando in mezzo voi; ma sarà il Paracleto, lo Spirito Santo che il Padre invierà nel mio nome, a insegnarvi tutte queste cose e a ricordarvi tutto ciò che vi ho detto (Jn 14,25-26). Quella sarebbe stata l'ora in cui, come aveva promesso, non avrebbe più parlato in parabole ma li avrebbe intrattenuti apertamente sul Padre. Allora queste sue stesse parole, grazie alla rivelazione dello Spirito Santo, non sarebbero state più dei proverbi. E per il fatto che lo Spirito Santo avrebbe parlato nei loro cuori, non per questo avrebbe taciuto l'unigenito Figlio, il quale anzi disse che proprio in quell'ora li avrebbe intrattenuti apertamente sul Padre, di modo che, comprendendole, quelle cose non sarebbero state più per loro delle parabole. Ma questo stesso fatto, come cioè possano simultaneamente parlare nel cuore dei fedeli il Figlio di Dio e lo Spirito Santo, o per meglio dire, la Trinità stessa che opera inseparabilmente, è una parola comprensibile per quelli che intendono, rimane una parabola per quelli che non intendono.

(Ci fece conoscere l'orazione che fece per noi.)

2. Dopo aver dunque dichiarato perché aveva detto quelle cose, affinché cioè avessero pace in lui mentre nel mondo avrebbero avuto tribolazione, e dopo averli esortati ad avere fiducia, dato che egli aveva vinto il mondo, terminato il discorso che ad essi era rivolto, rivolse la parola al Padre, e comincio a pregare. Così infatti prosegue l'evangelista: così parlo Gesù; poi, levati gli occhi al cielo, disse: Padre, è venuta l'ora; glorifica tuo Figlio (Jn 17,1). Il Signore unigenito e coeterno al Padre, avrebbe potuto, anche nella sua forma di servo e in quanto servo, se fosse stato necessario, pregare in silenzio; ma egli volle manifestarsi in atteggiamento di preghiera al Padre, non dimenticando di essere nostro maestro. Ha voluto perciò farci conoscere l'orazione che per noi rivolse al Padre: i discepoli dovevano infatti trovare motivo di edificazione non soltanto nel discorso che un tale maestro ad essi rivolgeva, ma anche nell'orazione per essi rivolta al Padre: è stata un'edificazione per quelli che erano là ad ascoltare, e lo è per noi che leggiamo cose che essi hanno scritto. Pertanto, dicendo: Padre, è venuta l'ora; glorifica tuo Figlio, ci dimostra che i tempi e i momenti di tutte le azioni che egli stesso compiva o lasciava compiere erano disposti da lui che non è soggetto al tempo; in quanto le cose avvenire, ciascuna a suo tempo, hanno la loro causa efficiente nella sapienza di Dio che non conosce tempo. Non si pensi dunque che quell'ora fosse stabilita dal fato, mentre era stata disposta dalla volontà di Dio. Né fu la necessità derivante dalle stelle a decidere la passione di Cristo: poiché le stelle non potevano certo costringere il loro creatore a morire. Come non fu il tempo che spinse Cristo alla morte, ma fu lui a decidere il tempo della sua morte, come decise il tempo della sua nascita dalla Vergine, insieme al Padre, da cui è nato al di fuori di ogni tempo. Secondo questa vera e sana dottrina, anche l'apostolo Paolo dice: Allorché venne la pienezza del tempo, Iddio invio il suo Figlio (Ga 4,4); e Dio per bocca del profeta dice: Nel tempo accettevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso (Is 49,8); e a sua volta l'Apostolo: Ecco ora il tempo ben accetto, ecco ora il giorno della salvezza (2Co 6,2). Dica dunque: Padre, è venuta l'ora, colui che insieme al Padre ha regolato tutti i tempi. E' come se dicesse: Padre, è venuta l'ora, che insieme abbiamo stabilito per la mia glorificazione presso gli uomini e per gli uomini; glorifica il Figlio tuo affinché il Figlio glorifichi te.

3. Taluni dicono che la glorificazione del Figlio da parte del Padre consiste nel fatto che non lo ha risparmiato, ma lo ha consegnato alla morte per noi tutti (Rm 8,32). Ma se si può chiamare glorificazione la passione, tanto più la risurrezione. Infatti nella passione risalta piuttosto la sua umiltà che la sua gloria, secondo la testimonianza dell'Apostolo che dice: Umilio se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. E proseguendo, l'Apostolo parla della glorificazione di Cristo in questi termini: perciò Iddio lo ha sovraesaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri celestiali, di quelli terrestri e sotterranei, e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre. Questa la glorificazione di nostro Signore Gesù Cristo, che ha avuto inizio con la sua risurrezione. La sua umiliazione, dunque, viene dall'Apostolo descritta nel passo che incomincia con: anniento se stesso, prendendo la forma di servo, e termina con le parole: alla morte di croce; la sua gloria è descritta nel passo che inizia con: Dio l'ha esaltato, e termina con le parole: è nella gloria di Dio Padre (Ph 2,7-11). Se si confronta il testo greco, da cui sono stati tradotti in latino gli scritti degli Apostoli, si vedrà che là dove noi leggiamo gloria, in greco si legge ; da deriva il verbo , che l'interprete latino traduce con clarifica, quando potrebbe, con altrettanta esattezza, dire glorifica. E così anche nella lettera dell'Apostolo, al posto di gloria si sarebbe potuto mettere il sinonimo clarità. E, per conservare il suono delle parole, come da clarità deriva clarificazione, così da gloria deriva glorificazione. Orbene, il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, per giungere allo splendore e alla gloria della risurrezione, ha dovuto passare attraverso l'umiliazione della passione; se infatti non fosse morto, non sarebbe potuto risuscitare dai morti. E' l'umiltà che gli ha meritato lo splendore della gloria, e la gloria è il premio dell'umiltà. Questo avvenne nella forma di servo, perché nella forma di Dio, Cristo sempre fu e sarà nella gloria; anzi non si può dire fu, come se non vi fosse più, né che sarà nella gloria, come se adesso non ci fosse ancora; perché la sua gloria è senza inizio e senza fine. perciò le parole: Padre, è venuta l'ora; fa risplendere la gloria di tuo Figlio, hanno questo significato: E' venuta l'ora di seminare nell'umiltà; non indugiare a far risplendere il frutto della gloria. Ma che senso ha quel che segue: affinché il Figlio glorifichi te? Forse che anche il Padre passo attraverso l'umiliazione della carne e della passione, per cui occorreva che poi fosse glorificato? In che senso dunque il Figlio doveva glorificarlo, se la sua eterna gloria non poté essere diminuita dalla forma umana, né avrebbe potuto essere accresciuta nella sua forma divina? Ma non voglio limitare la questione a questo discorso, che non può essere ulteriormente protratto.

105

OMELIA 105

(Jn 17,1-5)

Jn 17,1-5



La vita eterna è conoscere Dio.

Se la vita eterna consiste nel conoscere Dio, tanto più viviamo quanto più progrediamo nella conoscenza di Dio.

1. 1. Risulta chiaramente che il Padre ha glorificato il Figlio nella sua forma di servo, risuscitandolo da morte e collocandolo alla sua destra: è un fatto di cui nessun cristiano può dubitare. Ma siccome il Signore non ha detto soltanto: Padre, glorifica tuo Figlio, ma ha aggiunto: affinché tuo Figlio glorifichi te (Jn 17,1), giustamente ci chiediamo in che modo il Figlio abbia glorificato il Padre, dato che la gloria del Padre non si era abbassata fino ad assumere forma umana né poteva essere accresciuta nella sua perfezione divina. Se pero la gloria del Padre non può diminuire né aumentare in se stessa, tuttavia essa, agli occhi degli uomini, era in qualche modo minore quando Dio era conosciuto soltanto nella Giudea (Ps 75,2), e non ancora dall'oriente all'occidente i suoi servi lodavano il nome del Signore (Ps 112,3 Ps 1). Ma quando con l'annuncio del Vangelo di Cristo, il Padre fu fatto conoscere anche fra i gentili per mezzo del Figlio, allora avvenne che anche il Figlio glorifico il Padre. Se il Figlio fosse soltanto morto e non fosse anche risorto, certamente non sarebbe stato glorificato dal Padre né a sua volta egli avrebbe glorificato il Padre; adesso invece, glorificato dal Padre mediante la risurrezione, il Figlio glorifica il Padre attraverso la predicazione della sua risurrezione. Ciò risulta chiaro anche dalla successione delle parole: Glorifica il Figlio tuo, affinché il Figlio glorifichi te; come a dire: Risuscitami, affinché per mezzo mio tu possa essere conosciuto in tutto il mondo.

2. Sempre più chiaramente mostra in che modo il Figlio glorificherà il Padre: Siccome gli hai dato potere sopra ogni carne, affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato (Jn 17,2). Dice "ogni carne" per dire ogni uomo, indicando una parte per il tutto; così come per la parte superiore viene indicato tutto l'uomo, là dove l'Apostolo dice: Ogni anima sia soggetta alle autorità che presiedono (Rm 13,1). Che significa ogni anima, se non ogni uomo? E si deve intendere che il Padre ha dato a Cristo potestà sopra ogni carne in quanto uomo, poiché, in quanto Dio, ogni cosa è stata creata per mezzo di lui (Jn 1,3), ed in lui sono state fatte le cose che stanno in cielo e in terra, le visibili come le invisibili (Col 1,16). Secondo il potere che gli hai dato - dice dunque il Signore -sopra ogni carne, così tuo Figlio ti glorifichi, cioè ti faccia conoscere ad ogni carne che gli hai dato. Tu gli hai dato infatti questo potere affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

(Dov'è perfetta conoscenza, ivi è la massima glorificazione.)

2. 3. E questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Jn 17,3). L'ordine delle parole è il seguente: che conoscano te e colui che hai mandato, Gesù Cristo come il solo vero Dio. Di conseguenza vi è compreso anche lo Spirito Santo, perché è lo Spirito del Padre e del Figlio, essendo l'amore sostanziale e consostanziale di ambedue. Il Padre e il Figlio non sono due dèi, come non sono tre dèi il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, ma la Trinità stessa è un unico vero Dio. Neppure, il Padre è la stessa persona del Figlio, né il Figlio la stessa persona del Padre, e neanche lo Spirito Santo è la persona del Padre e del Figlio. Il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono tre persone distinte, ma la Trinità è un solo Dio. Se dunque il Figlio ti glorifica in modo corrispondente al potere che tu gli hai dato sopra ogni carne, e tu glielo hai dato affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato, e se la vita eterna consiste nel conoscere te, ebbene il Figlio ti glorifica facendoti conoscere a tutti coloro che gli hai dato. Se, pertanto, la vita eterna è conoscere Dio, tanto più tendiamo verso la vita quanto più progrediamo nella conoscenza di Dio. Nella vita eterna non moriremo: la conoscenza di Dio sarà perfetta quando la morte non ci sarà più. Allora Dio sarà sommamente glorificato, con quella gloria suprema che in greco vien chiamata da cui deriva , che alcuni traducono in latino clarifica, cioè fa risplendere la gloria, altri glorifica. Gli antichi hanno definito la gloria, che rende gloriosi gli uomini, in questi termini: la fama che uno costantemente gode, accompagnata da lode. E se l'uomo viene lodato quando si crede alla fama che gode, come dovrà essere lodato Dio quando potremo vederlo qual è? perciò il salmo dice: Beati coloro che abitano nella. tua casa; nei secoli dei secoli ti loderanno (Ps 83,5). La lode di Dio non avrà fine là dove la conoscenza di Dio sarà perfetta; e poiché la conoscenza di Dio sarà perfetta, allora massimamente risplenderà la sua gloria e sarà da noi pienamente glorificato.

1. 4. Ma prima Dio viene glorificato qui in terra quando, attraverso la predicazione, gli uomini vengono a conoscerlo e la fede dei credenti gli rende testimonianza. Questo è il senso delle parole che seguono: Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l'opera che mi hai dato da fare (Jn 17,4). Non dice: che mi hai comandato, ma: che mi hai dato da fare, manifestando così l'intenzione di voler mettere in risalto il carattere della grazia. Che cosa ha, infatti, la natura umana, anche quella unita al Figlio unigenito, che non abbia ricevuto? Non ha forse ricevuto il dono di non compiere alcun male e di compiere ogni bene, quando fu assunta nell'unità della persona dal Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose? Ma come può il Signore dire di aver compiuto l'opera a lui affidata, quando ancora gli rimane da superare la prova della passione, con la quale soprattutto, avrebbe offerto ai suoi martiri l'esempio da seguire, come appunto dice l'apostolo Pietro: Cristo pati per noi, lasciandoci l'esempio, affinché seguiamo le sue orme (1P 1P 2,21)? Perché sicuramente compirà ciò che dice di aver compiuto. Cosi, come molto tempo prima, nella profezia, uso verbi al passato in ordine ad avvenimenti che sarebbero accaduti molti anni dopo: Mi hanno trafitto mani e piedi, hanno contato tutte le mie ossa (Ps 21,17-18). Non disse: Trafiggeranno e conteranno. E in questo stesso Vangelo, Cristo dice: Tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l'ho fatto conoscere a voi (Jn 15,15) rivolgendosi a quelli stessi cui poi dice: Ho ancora molte cosa da dirvi, ma adesso non siete in condizione di portarle (Jn 16,12). Colui che aveva predestinato tutto il futuro nelle sue cause certe ed immutabili, aveva già fatto quanto avrebbe fatto, come appunto dice di lui il profeta: Egli ha fatto tutte le cose future (Is 45,11 sec. LXX).

2. 5. E' in questo senso che prosegue: E adesso glorificami tu, Padre, presso di te, con la gloria che, prima che il mondo fosse, avevo presso di te (Jn 17,5). Prima aveva detto: Padre, è venuta l'ora; glorifica il Figlio tuo, affinché il Figlio glorifichi te, indicando con l'ordine delle parole che prima il Padre dovrà glorificare il Figlio, affinché il Figlio a sua volta glorifichi il Padre; mentre ora dice: Io ti ho glorificato sulla terra, ho compiuto l'opera che mi hai dato da fare; e adesso glorificami, come se egli per primo avesse glorificato il Padre, dal quale chiede poi di essere glorificato. E' da intendere, quindi, che sopra ha usato ambedue i verbi con significato di futuro, e nell'ordine anche della loro realizzazione: Glorifica il Figlio tuo affinché il Figlio glorifichi te; adesso invece usa il passato in ordine ad un evento futuro, dicendo: Io ti ho glorificato sulla terra, ho compiuto l'opera che mi hai dato da fare. Aggiunge poi: E adesso glorificami tu, Padre, presso di te, come se in seguito avesse dovuto essere glorificato dal Padre che egli per primo aveva glorificato: cosa vuol significare, esprimendosi cosi, se non che con le precedenti parole: Io ti ho glorificato sulla terra, si era espresso come se avesse già fatto ciò che avrebbe dovuto fare? Ora invece chiede al Padre che faccia quanto è necessario perché il Figlio possa a sua volta glorificare il Padre: chiede al Padre che glorifichi il Figlio, affinché il Figlio possa glorificare il Padre. Insomma, se per una cosa futura mettiamo anche il verbo al futuro, dove invece del futuro il Signore ha messo il passato, non ci sarà più nessuna oscurità, come se egli avesse detto: Io ti glorifichero sulla terra, compiro l'opera che tu mi hai dato da fare; e adesso glorificami tu, Padre, presso di te. Queste parole risultano chiare come quelle di prima: Glorifica tuo Figlio, affinché il Figlio glorifichi te. Voglion dire la stessa cosa, solamente che qui si precisa anche il modo di questa glorificazione, mentre nella frase precedente non se ne parla; come se quella frase dovesse trovare la spiegazione in questa per coloro che potevano chiedersi in che modo il Padre possa glorificare il Figlio, e soprattutto in che modo il Figlio possa glorificare il Padre. Dicendo, infatti, che egli glorificherà il Padre sulla terra e che il Padre lo glorificherà presso di sé, egli indica il modo dell'una e dell'altra glorificazione. Infatti egli ha glorificato il Padre sulla terra, annunciandolo ai popoli; il Padre a sua volta ha glorificato il Figlio presso di sé, collocandolo alla sua destra. E' per questo che, parlando della glorificazione del Padre, nell'espressione: Io ti ho glorificato, ha preferito usare il verbo al passato, per far vedere che nella predestinazione era già un fatto compiuto e come tale da ritenersi quello che con tutta certezza si sarebbe compiuto in futuro, e cioè che, avendolo il Padre glorificato presso se stesso, anche il Figlio, a sua volta, avrebbe glorificato il Padre sulla terra.

1. 6. Pero questa predestinazione nella sua glorificazione, con la quale il Padre lo ha glorificato, la rivela più apertamente quando aggiunge: con la gloria che avevo presso di te, prima che il mondo fosse. L'ordine dei concetti è il seguente: che avevo presso di te, prima che il mondo fosse. Anche qui vale l'espressione: e adesso glorificami tu; cioè, come allora anche adesso, come allora nella predestinazione così adesso nel suo compimento; compi nel mondo cio che era già presso di te prima che il mondo fosse; compi a suo tempo ciò che prima di tutti i tempi hai deciso. Taluni hanno creduto che questo doveva intendersi nel senso che la natura umana assunta dal Verbo si dovesse trasformare nel Verbo, e che quindi, l'uomo dovesse tramutarsi in Dio; anzi, esprimendo meglio il loro pensiero, l'uomo dovesse perdersi in Dio. Non si vorrà infatti dire che con questo cambiamento dell'uomo il Verbo di Dio venga raddoppiato, o quanto meno accresciuto, così da diventare due ciò che era uno, o più grande ciò che era più piccolo. Ora, se la natura umana si muta e si trasforma nel Verbo, mentre il Verbo di Dio rimane ciò che era e grande com'era, dov'è l'uomo se proprio non scompare?

2. 7. Niente pero ci obbliga ad accettare questa opinione, che non vedo come si possa conciliare con la verità, ancorché sentiamo il Figlio che dice: e adesso glorificami tu, Padre, presso di te, con la gloria che, prima che il mondo fosse, avevo presso di te. Queste parole si riferiscono alla glorificazione predestinata alla natura umana da lui assunta, che da mortale diventerà immortale presso il Padre; e, in virtù di tale predestinazione, si deve considerare già compiuto prima della creazione del mondo ciò che doveva compiersi a suo tempo anche nel mondo. Se infatti di noi l'Apostolo dice: Dio ci ha eletti in lui prima della fondazione del mondo (Ep 1,4), perché non dovrebbe esser vero che il Padre glorifico il nostro Capo, quando in lui ci ha eletti perché fossimo sue membra? Noi siamo stati eletti, così come lui è stato glorificato, in quanto prima che il mondo fosse non esistevamo né noi né lo stesso mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1Tm 2,5). ma Dio Padre, che per mezzo di Gesù Cristo, in quanto è il suo Verbo, ha fatto le cose che saranno e chiama le cose che non sono come se fossero (Rm 4,17), senz'altro lo ha glorificato per noi prima della creazione del mondo, in quanto mediatore tra Dio e gli uomini e uomo egli stesso, se è vero che prima della creazione ha eletto anche noi in lui. Che dice infatti l'Apostolo? Noi sappiamo che Dio collabora in tutte le cose al bene di coloro che lo amano e che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli su cui ha posato lo sguardo li ha predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché fosse il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati li ha chiamati (Rm 8,28-30).

8. Forse esitiamo a dire che Cristo stesso è stato predestinato, perché sembra che l'Apostolo abbia detto soltanto che noi siamo stati predestinati da Dio a essere conformi all'immagine del Figlio suo. Quasi che si potesse, attenendosi alle norme della fede, negare che anche il Figlio di Dio è stato predestinato, quando non si può assolutamente negare che egli sia veramente uomo. Giustamente si dovrà dire che egli non è stato predestinato in quanto Verbo di Dio, Dio presso Dio. Come avrebbe potuto infatti essere predestinato, se già era ciò che era, eterno, senza principio e senza fine? Di lui doveva essere predestinato invece, ciò che egli ancora non era, perché divenisse, a suo tempo, ciò che prima di tutti i tempi era stato predestinato. Chi dunque nega che il Figlio di Dio è stato predestinato, nega che egli è il Figlio dell'uomo. Ma per far tacere i nostri oppositori, anche a questo proposito ascoltiamo ciò che dice l'Apostolo nell'indirizzo delle sue lettere. Nella prima delle sue lettere, quella ai Romani, egli così esordisce: Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo, messo a parte per il Vangelo di Dio, che egli aveva preannunciato per mezzo dei suoi profeti nelle Scritture sacre, riguardo al suo Figlio, nato dal seme di David secondo la carne, predestinato Figlio di Dio con grande potenza, secondo lo Spirito di santificazione, per la risurrezione dei morti (Rm 1,1-4). Secondo questa predestinazione, dunque, egli è stato glorificato prima che il mondo fosse, con quella gloria che a motivo della risurrezione dei morti egli ebbe presso il Padre, alla cui destra è assiso. Vedendo perciò giunto il tempo della sua predestinata glorificazione, prego che si realizzasse ciò che nella predestinazione era già stato compiuto, dicendo: e adesso glorificami tu, Padre, presso di te, con la gloria che, prima che il mondo fosse, avevo presso di te, come a dire: E' giunto il tempo che io abbia presso di te, vivendo alla tua destra, quella gloria che avevo presso di te, cioè quella gloria che avevo presso di te nella tua predestinazione. Ma siccome la trattazione di questo tema ci ha impegnati a lungo, rimandiamo il seguito ad un altro discorso.

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OMELIA 106

(Jn 17,6 Jn 8)

Jn 17,6.8


La conoscenza è legata alla fede.

I discepoli cominciarono a conoscere veramente, non quando ascoltarono le parole di Cristo, ma quando le accolsero nel loro cuore e vi aderirono, cioè quando cominciarono a credere.

1. 1. Commenteremo ora, con l'aiuto del Signore, queste parole che fanno parte della sua orazione: Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato traendoli dal mondo (Jn 17,6). Se queste parole si riferiscono solamente ai discepoli con i quali aveva cenato e ai quali, prima di cominciare la sua orazione, aveva detto tante cose, sembra non abbiano relazione con quella manifestazione di gloria - o glorificazione, come altri traducono - con cui il Figlio fa risplendere la gloria, o glorifica il Padre. Quanta e quale gloria era infatti l'essersi manifestato a dodici anzi undici mortali? Se invece con le parole: Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato traendoli dal mondo, ha voluto intendere tutti, anche quelli che in futuro avrebbero creduto in lui, tutti gli appartenenti a quella grande Chiesa che si sarebbe raccolta da tutte le genti, e della quale nel salmo si canta: Ti cantero in una grande assemblea (Ps 34,18), allora si che si realizza questa glorificazione con cui il Figlio glorifico il Padre, facendo conoscere il suo nome a tutte le genti e a tante generazioni umane. E il senso di queste parole: Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato traendoli dal mondo, corrisponde al senso di quell'altra: Io ti ho glorificato sulla terra (Jn 17,4) e nella quale, come in questa, usa il passato al posto del futuro, perché egli sa che ciò dovrà necessariamente avvenire essendo predestinato; perciò dice d'aver già compiuto quanto, senza alcun dubbio, avrebbe compiuto in avvenire.

2. 2. Ma è più verosimile che egli dica queste parole: Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato traendoli dal mondo, riferendosi a coloro che erano già suoi discepoli, non a tutti quelli che avrebbero creduto in lui, come risulta dalle parole che seguono. Infatti, detto questo, egli aggiunge: Erano tuoi, e me li hai dati, e hanno custodito la tua parola. Essi, ora, sanno che tutto ciò che mi hai dato viene da te, perché le parole che mi hai date le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute e hanno riconosciuto davvero che sono uscito da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato (Jn 17,6-8). Benché anche queste parole si sarebbero potute applicare a tutti i futuri fedeli, come già realizzate nella speranza, pur essendo ancora future; tuttavia quello che segue ancor più ci induce a ritenere che queste cose si riferivano solamente ai discepoli che aveva allora. Dice infatti: Quando ero con loro, io stesso li conservavo nel nome tuo; quelli che mi hai dati li ho custoditi; e nessuno di loro è perito, tranne il figlio della perdizione, affinché la Scrittura si adempisse (Jn 17,12). Allude a Giuda, che lo tradi, l'unico dei dodici Apostoli che si è perduto. Poi continua: Ma ora io vengo a te (Jn 17,13). Quindi è chiaro che dicendo: Quando ero con loro, io stesso li conservavo nel tuo nome egli parla della sua presenza fisica, come se già con tale presenza non fosse più insieme con loro. In questo modo, dicendo: Ora io vengo a te, annuncia imminente la sua ascensione: è sul punto di ascendere alla destra del Padre, donde verrà a giudicare i vivi e i morti nuovamente con la sua presenza corporale, in base alle norme della fede e della sana dottrina. Con la presenza spirituale, infatti, sarebbe rimasto con loro dopo la sua ascensione e con tutta la Chiesa in questo mondo fino alla consumazione dei secoli (Mt 28,20). perciò in queste parole: Quando ero con loro, io stesso li conservavo nel tuo nome, non possono essere compresi se non quei credenti che aveva già cominciato a conservare con la sua presenza corporale e che, privati fra poco di questa, avrebbe continuato a conservare, insieme al Padre, con la sua presenza spirituale. Aggiunge pero anche gli altri suoi seguaci, dicendo: Non prego per questi soltanto, ma anche per coloro che crederanno in me per mezzo della loro parola (Jn 17,20); dove più chiaramente appare che quando prima aveva detto: Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato, non parlava di tutti gli uomini che avrebbero creduto, ma soltanto di quelli che erano là ad ascoltarlo.

(La gloria del Padre estesa a tutti gli uomini.)

1. 3. E cosi, dall'inizio della sua orazione, quando levati gli occhi al cielo, disse: Padre, è venuta l'ora; glorifica il tuo Figlio affinché tuo Figlio glorifichi te, fino a quando poco dopo disse: e adesso glorificami tu, Padre, presso di te, con la gloria che, prima che il mondo fosse, avevo presso di te (Jn 17,1-5), intendeva parlare di tutti i suoi fedeli, nei quali glorifica il Padre facendolo ad essi conoscere. Infatti quando dice: affinché il Figlio glorifichi te, indica subito in che modo ciò dovrà avvenire, aggiungendo: siccome gli hai dato potere sopra ogni carne, affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Jn 17,2-3). Infatti non può il Padre venire glorificato mediante la conoscenza che di lui potranno avere gli uomini, se non si conosce anche colui per mezzo del quale egli viene glorificato, per mezzo del quale cioè viene conosciuto dai popoli. Questa è la glorificazione del Padre, realizzata non solo in quegli Apostoli, ma in tutti gli uomini, che sono membra del corpo il cui Capo è Cristo. E non si possono certo restringere ai soli Apostoli le parole: siccome gli hai dato potere sopra ogni carne, affinché dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Esse si estendono a tutti coloro ai quali viene concessa la vita eterna per aver creduto in lui.

2. 4. Vediamo ora cosa dice dei suoi discepoli che erano là ad ascoltarlo: Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato. Vuol dire allora che, pur essendo Giudei, non conoscevano il nome di Dio? Ma non si trova forse nei salmi questo versetto: Iddio è conosciuto in Giudea, grande è il suo nome in Israele (Ps 75,2)? Ho manifestato, quindi, il tuo nome a questi qui che mi hai dato traendoli dal mondo, e che mi ascoltano mentre dico questo; ma non ho manifestato loro quel tuo nome con cui sei chiamato Dio, bensi quello con cui sei invocato "Padre mio". E questo nome non poteva essere manifestato agli uomini se non fosse stato lo stesso Figlio a manifestarlo. Infatti, in quanto è chiamato Dio di tutte le creature, questo nome non ha potuto rimanere del tutto ignorato neppure alle genti, anche prima che credessero in Cristo. Tale infatti è l'evidenza della vera divinità, che essa non può rimanere del tutto nascosta alla creatura razionale che sia ormai capace di ragionare. Fatta eccezione di pochi, nei quali la natura è troppo depravata, tutto il genere umano riconosce Dio come autore di questo mondo. E cosi, come creatore di questo mondo che si offre al nostro sguardo in cielo e sulla terra, Dio era noto a tutte le genti, anche prima che abbracciassero la fede di Cristo. In quanto poi unico Dio degno di culto, da non mescolarsi sacrilegamente col culto di false divinità, Iddio era conosciuto in Giudea. Ma in quanto Padre di Cristo, per mezzo del quale toglie i peccati del mondo, questo suo nome, prima sconosciuto a tutti, lo stesso Cristo lo ha manifestato adesso a coloro che il Padre gli ha dato traendoli dal mondo. Ma in che senso lo ha manifestato, se ancora non è venuta l'ora di cui aveva parlato prima dicendo: Viene l'ora in cui non vi parlero più in parabole, ma vi intratterro apertamente sul Padre mio (Jn 16,25)? Si può considerare manifestazione un discorso in parabole? Perché allora dice: vi intratterro apertamente, se non perché in parabole non è apertamente? Si dice apertamente una cosa quando non la si nasconde con parabole, ma si manifesta con parole. In che senso allora aveva già manifestato quanto ancora non ha detto apertamente? Bisogna dunque ammettere che ha usato il passato al posto del futuro, come in quella frase: Tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi (Jn 15,15). Era una cosa che non aveva ancora fatta, ma ne parlava come se già avesse fatto ciò la cui realizzazione sapeva che era stata immutabilmente prestabilita.

5. Che significa: quelli che mi hai dati traendoli dal mondo? Era stato detto di loro che non erano del mondo: effetto, in essi, non della generazione ma della rigenerazione. E che significa ciò che segue: Erano tuoi, e me li hai dati? C'è stato forse un tempo in cui erano del Padre ma non dell'unigenito suo Figlio, e c'è stato un tempo in cui il Padre ha avuto qualcosa che il Figlio non avesse? No di certo. C'è stato pero un tempo in cui come Dio il Figlio aveva qualcosa che come uomo ancora non aveva; si, perché come uomo non era ancora nato da sua madre, quando già, insieme al Padre, possedeva ogni cosa. perciò dicendo: Erano tuoi, non pone una separazione tra Dio Padre e Dio Figlio, dato che il Padre non ha mai avuto nulla che non avesse anche il Figlio; ma vuole attribuire, come è solito fare, tutto il suo potere a colui dal quale egli stesso procede. Infatti, da chi ha l'essere ha anche il potere; ed ha posseduto sempre una cosa e l'altra insieme, perché mai c'è stato un momento in cui era e non avesse il potere. perciò il Padre ha sempre condiviso tutto il suo potere col Figlio, perché colui che non è mai stato senza potere, non è mai stato senza il Padre, né mai il Padre è stato senza il Figlio. E come il Padre eterno è onnipotente, così il Figlio coeterno è onnipotente; e se è onnipotente, è anche onnitenente. Sarebbe appunto questa la traduzione letterale, se volessimo rendere con proprietà il greco , che i latini non avrebbero tradotto "onnipotente" invece che "onnitenente", se i due termini non fossero sinonimi. Che cosa dunque ha potuto avere l'eterno onnitenente che nel medesimo tempo non avesse il coeterno onnitenente? Dicendo poi: e me li hai dati, dimostra che egli come uomo ha ottenuto di poterli avere; egli infatti che sempre è stato onnipotente, non sempre è stato uomo. perciò, mentre sembra attribuire al Padre il fatto di averli ottenuti (in quanto tutto ciò che esiste è dal Padre dal quale anch'egli proviene), tuttavia egli stesso se li è dati. Cioè, Cristo, in quanto Dio insieme al Padre, ha dato gli uomini a Cristo in quanto uomo e non uguale in ciò al Padre. Insomma, colui che ora dice: Erano tuoi, e me li hai dati, precedentemente aveva detto ai discepoli: Io vi ho scelti dal mondo (Jn 15,19). Si calpesti qui, e scompaia ogni pensiero grossolano. Il Figlio dice che il Padre gli ha dato, traendoli dal mondo, quegli stessi uomini ai quali altrove dice: Io vi ho scelti dal mondo. Come uomo il Figlio ha ricevuto dal Padre, che li ha tratti dal mondo, quegli stessi uomini che come Dio il Figlio scelse dal mondo assieme al Padre; il Padre infatti non li avrebbe potuti dare al Figlio, se non li avesse scelti. Così come il Figlio non si separa dal Padre quando dice: Io vi ho scelti dal mondo, perché li scelse insieme al Padre, così neppure si separa dal Padre dicendo: Erano tuoi, in quanto essi erano ugualmente del Figlio. Adesso, tuttavia, come uomo il medesimo Figlio riceve quelli che non erano suoi, nello stesso modo in cui come Dio ha ricevuto la forma di servo, che non era sua.

2. 6. Continua dicendo: E hanno custodito la tua parola. Essi, ora, hanno conosciuto che tutto ciò che mi hai dato viene da te; cioè essi sanno che io vengo da te. Il Padre infatti gli ha dato tutto, quando lo ha generato perché avesse tutto. Perché le parole che mi hai date le ho date a loro, ed essi le hanno ricevute; cioè le hanno comprese e ritenute. La parola, infatti, si riceve quando con l'intelligenza se ne penetra il significato. E hanno veramente conosciuto che sono uscito da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato. Anche qui bisogna sottintendere l'avverbio veramente. Aggiungendo infatti: e hanno creduto, il Signore spiega le parole precedenti, e cioè: hanno veramente conosciuto. Essi hanno veramente creduto ciò che hanno veramente conosciuto; e così l'affermazione: sono uscito da te corrisponde a quell'altra: tu mi hai mandato. E per evitare che, basandosi sulla sua frase: hanno veramente conosciuto, qualcuno pensi che questa conoscenza sia già per visione e non per fede, spiegandola aggiunge: e hanno creduto, sottintendendo veramente; e così ci rendiamo conto che hanno veramente conosciuto è lo stesso che hanno veramente creduto. Non pero in quel modo che aveva indicato poco prima dicendo: Adesso credete? Ecco, viene l'ora, anzi è venuta, in cui vi disperderete, ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo (Jn 16,31-32). Ora, egli dice, essi hanno creduto veramente, cioè come si deve credere: in modo inconcusso, sicuro, stabile, forte; in modo da non fuggirsene più ciascuno per conto suo, lasciando Cristo solo. I discepoli non erano ancora arrivati ad essere come Cristo li definisce usando il verbo al passato, come se già lo fossero; ma predice quali saranno quando avranno ricevuto lo Spirito Santo, il quale, secondo la sua stessa promessa, insegnerà loro ogni cosa. Come poté dire il Signore che avevano osservato le sue parole, prima di ricevere lo Spirito Santo, quasi che l'avessero fatto per davvero, quando il primo fra loro per tre volte rinnego il Maestro (Mt 26,69-74), pur dopo aver ascoltato dalla sua bocca cosa doveva attendersi chi lo avesse rinnegato davanti agli uomini (Mt 10,33)? Egli dunque diede a loro, secondo la sua espressione, le parole che il Padre gli aveva date; ma soltanto quando le accolsero non più esteriormente mediante le orecchie del corpo, ma spiritualmente nei loro cuori, allora veramente le accolsero perché veramente le conobbero. E le hanno veramente conosciute perché hanno veramente creduto.

7. Ma con quali parole potrà l'uomo spiegare in che modo il Padre ha dato al Figlio quelle parole? Certo, il problema mi sembra più semplice, se si crede che le ha ricevute dal Padre in quanto è il Figlio dell'uomo. E anche cosi, chi potrà spiegare come e quando le ha apprese dopo esser nato dalla Vergine, se è inspiegabile la sua medesima generazione nel seno della Vergine? Se poi si ritiene che abbia ricevuto queste parole dal Padre in quanto è generato dal Padre e coeterno al Padre, si escluda allora ogni idea di tempo, che ci porterebbe a pensare che egli sia esistito prima di averle, e per averle abbia dovuto riceverle. Infatti tutto ciò che Dio Padre ha dato a Dio Figlio, glielo ha dato generandolo. Il Padre, così come gli ha dato l'essere, gli ha dato quelle parole, senza delle quali il Figlio non sarebbe. Infatti, come poteva in altro modo dare le parole al Verbo, nel quale in modo ineffabile il Padre ha detto tutto? Il seguito bisognerà rimandarlo ad altro discorso.


Agostino - Commento Gv 104