Agostino - Commento Gv 107

107

OMELIA 107

(Jn 17,9-13)

Jn 17,9-13


La pienezza della gioia.

E' lo scopo di tutto ciò che Cristo ha detto e ha fatto. Si potrà raggiungere nel secolo futuro, a condizione pero che si viva in questo secolo con pietà, giustizia e temperanza.

1. 1. Parlando al Padre dei discepoli che già aveva, il Signore tra l'altro dice: Io per essi prego; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato (Jn 17,9). Per mondo qui vuole intendere coloro che vivono seguendo le concupiscenze del mondo, e non li ha raggiunti la grazia si da essere scelti dal mondo. Dice di voler pregare, non per il mondo, ma per coloro che il Padre gli ha dato; poiché, già per il fatto che il Padre li ha dati a lui, essi non appartengono più a quel mondo per il quale egli non prega.

2. 2. Soggiunge: perché sono tuoi. Il Padre infatti non li ha perduti per averli dati al Figlio, come il Figlio stesso proseguendo dice: e tutto ciò che è mio è tuo, e ciò che è tuo è mio (Jn 17,10). Da queste parole appare chiaramente in che senso all'unigenito Figlio appartenga tutto ciò che appartiene al Padre; precisamente perché anch'egli è Dio, ed è nato dal Padre uguale a lui; e quindi non nel senso in cui il padre della parabola dice a uno dei due figli, al maggiore: Tu sei sempre con me, e tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15,31). Questo vale per tutti i beni creati che sono inferiori alla creatura santa e razionale, e che pure sono soggetti alla Chiesa; a quella Chiesa universale cui appartengono anche il figlio maggiore e quello minore, insieme a tutti i santi angeli ai quali, nel regno di Cristo e di Dio, noi saremo uguali (Mt 22,30). Le parole: tutto ciò che è mio è tuo, e ciò che è tuo è mio, includono anche le creature razionali, che sono soggette solo a Dio, cosicché a Dio sono soggetti quegli esseri che sono soggetti a tali creature. Queste creature poi, che appartengono a Dio Padre, non apparterrebbero anche al Figlio se il Figlio non fosse uguale al Padre; poiché è a queste creature razionali che il Signore si riferisce quando dice: non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi, e tutto ciò che è mio è tuo, e ciò che è tuo è mio. Non è lecito ai santi, dei quali ha parlato cosi, appartenere ad altri che a colui dal quale sono stati creati e santificati; e di conseguenza, tutto ciò che appartiene ad essi, appartiene a colui al quale essi stessi appartengono. Appartenendo dunque e al Padre e al Figlio, dimostrano l'uguaglianza tra il Padre e il Figlio, ai quali essi ugualmente appartengono. Ma quanto a ciò che il Signore aveva detto parlando dello Spirito Santo: Tutto ciò che ha il Padre è mio; ecco perché vi ho detto che prenderà del mio per comunicarvelo (Jn 16,15), lo ha detto riferendosi a ciò che appartiene alla divinità stessa del Padre in cui già è uguale, avendo egli stesso tutto ciò che il Padre ha. Né l'espressione: prenderà del mio significa che lo Spirito Santo, a sua volta, dovrà ricevere da una creatura soggetta al Padre e al Figlio ciò che annuncia; ma lo riceverà dal Padre, dal quale procede e dal quale è nato anche il Figlio.

3. 3. E in essi io sono glorificato. Il Signore parla qui della sua glorificazione come di una cosa fatta, mentre ancora deve realizzarsi; poco prima, invece, aveva chiesto al Padre che si realizzasse. Ma domandiamoci se si tratta della medesima glorificazione a proposito della quale allora aveva detto: E adesso glorificami tu, Padre, con la gloria che, prima che il mondo fosse, avevo presso di te (Jn 17,5). Presso di te è forse lo stesso che in essi? Forse per il fatto che è conosciuto da essi e per mezzo di essi, la conoscenza arriva a quanti hanno creduto alla loro testimonianza? Possiamo senz'altro ammettere che il Signore, dicendo che era glorificato in essi, si riferiva agli Apostoli; e, parlando come di una cosa già avvenuta, mostro che così era predestinato, e che era da tenersi per certa la sua realizzazione futura.

1. 4. E io non sono più nel mondo; essi, invece, sono nel mondo (Jn 17,11). Se si tiene conto del momento in cui parlava, erano ancora nel mondo, sia i discepoli di cui stava parlando sia egli stesso. E non possiamo e non dobbiamo intendere queste parole come riferite al progresso della vita spirituale, pensando che essi erano ancora nel mondo appunto per la loro mentalità ancora mondana, mentre egli non era più del mondo a motivo della sua sapienza divina. Egli ha usato qui un'espressione che non autorizza questa interpretazione. Non ha detto infatti: Io non sono nel mondo; ma ha detto: Non sono più nel mondo, dimostrando così che un tempo è stato nel mondo e che ora non vi è più. Potremo allora credere che c'è stato un tempo in cui Cristo ha avuto la mentalità del mondo, e che adesso, liberato dall'errore, non ce l'ha più? A chi potrà venire in mente un pensiero così empio? Rimane dunque una sola interpretazione, che cioè egli non sarebbe più stato nel mondo con la sua presenza corporale come c'era prima, e che la sua partenza era imminente mentre la loro sarebbe avvenuta in un secondo tempo, dichiarando così di non essere più nel mondo mentre essi c'erano ancora; benché, di fatto, sia lui che gli Apostoli fossero tuttora nel mondo. Si è espresso cosi, adattandosi come uomo agli uomini, usando il loro abituale modo di esprimersi. Non diciamo noi abitualmente di uno che sta per partire, che egli non è più qui con noi? E diciamo questo soprattutto di chi sta per morire. Cionondimeno, il Signore, prevedendo le difficoltà che avrebbero potuto incontrare quanti avrebbero letto queste cose, aggiunge: mentre io vengo a te, spiegando così il significato della frase precedente: Io non sono più nel mondo.

5. Raccomanda dunque al Padre coloro che, con la sua partenza, sta per lasciare, dicendo: Padre santo, conserva nel nome tuo quelli che mi hai dato (Jn 17,11). E' come uomo che egli prega Dio per i suoi discepoli, che da Dio ha ricevuto. Ma bada a quello che segue: Affinché siano uno come noi. Non dice: Affinché con noi siano una cosa sola, oppure affinché siamo una cosa sola, noi e loro, come una cosa sola siamo noi; dice: Affinché siano una cosa sola come noi. Siano uno nella loro natura, come siamo uno noi nella nostra natura. Ciò non sarebbe vero se non lo dicesse in quanto egli è Dio, della stessa natura del Padre, per cui in altra circostanza ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola (Jn 10,30). Non potrebbe dirlo in quanto uomo, come invece altrove ha detto: Il Padre è più grande di me (Jn 14,28). Ma siccome l'unica e medesima persona è Dio e uomo, vediamo l'uomo nel fatto che prega, vediamo Dio nel fatto che sono un'unica cosa, lui e quello che egli prega. Ma in seguito avremo ancora occasione di ritornare con più calma su questo argomento.

(Se accettiamo la sua umiltà, ci eleva alla sua gloria.)

2. 6. Quando ero con loro, io stesso li conservavo nel nome tuo (Jn 17,12). Ora che io vengo a te, dice, conservali nel tuo nome, in cui anch'io li conservavo quando ero con loro. Il Figlio, come uomo, custodiva i suoi discepoli nel nome del Padre, quando egli era fisicamente presente tra loro, ma anche il Padre custodiva nel nome del Figlio coloro di cui esaudiva le preghiere che gli rivolgevano nel nome del Figlio. Proprio in questo senso il Figlio aveva detto loro: In verità, in verità vi dico: qualunque cosa chiederete al Padre in nome mio, l'avrete (Jn 16,23). Non dobbiamo prendere queste parole in senso troppo materiale, come se cioè il Padre e il Figlio ci custodiscano a turno dandosi il cambio dentro di noi per custodirci, come se uno prendesse il posto dell'altro che se ne va. In realtà il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo ci custodiscono insieme, perché sono un solo vero e beato Dio. Ma la sacra Scrittura non ci eleva se non abbassandosi fino a noi, così come il Verbo fatto carne è disceso per elevarci, non è caduto per rimanere a terra. Se abbiamo riconosciuto colui che è disceso, leviamoci in alto con lui che ci innalza, e persuadiamoci che egli, parlandoci cosi, vuole distinguere le persone, non separare le nature. Quando dunque il Figlio custodiva i suoi discepoli con la sua presenza corporale, il Padre non aspettava, per custodirli, di succedere al Figlio che se ne andava; ma ambedue li custodivano con la potenza spirituale; e quando il Figlio sottrasse ad essi la sua presenza corporale, continuo, insieme al Padre, a custodirli spiritualmente. Quando infatti il Figlio come uomo li prese in custodia, non li tolse alla custodia paterna; e quando il Padre li affido al Figlio perché li custodisse, non fece questo senza di lui. Li diede al Figlio in quanto uomo, ma non glieli diede senza il medesimo Figlio, Dio anche lui.

1. 7. Il Figlio prosegue e dice: Quelli che mi hai dato, li ho custoditi; e nessuno di loro è perito, tranne il Figlio della perdizione, affinché la Scrittura si adempisse (Jn 17,12). Il traditore di Cristo viene chiamato figlio della perdizione, predestinato alla perdizione, secondo la predizione della Scrittura, contenuta soprattutto nel salmo centootto.

2. 8. Ma ora io vengo a te, e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, affinché essi abbiano in se stessi la mia gioia, nella sua pienezza (Jn 17,13). Ecco che afferma di parlare nel mondo, colui che prima aveva detto: Io non sono più nel mondo. Già lo abbiamo spiegato; o meglio, abbiamo fatto notare la spiegazione che egli stesso ha dato. Ora, siccome non se n'era ancora andato, era ancora qui; e siccome la sua partenza era imminente, in certo modo non era più qui. Di quale gioia poi intenda parlare, dicendo: affinché essi abbiano in se stessi la mia gioia, nella sua pienezza, lo ha già spiegato prima, quando ha detto: affinché siano uno come noi. Questa sua gioia, questa gioia cioè che proviene da lui, deve raggiungere in loro la pienezza; è per questo motivo, dice, che ha parlato nel mondo. Ecco la pace e la beatitudine eterna, per conseguire la quale bisogna vivere con saggezza, giustizia e pietà nel secolo presente.

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OMELIA 108

(Jn 17,14-19)

Jn 17,14-19


Consacrali nella verità.

Essere consacrati nella verità, vuol dire essere consacrati in Cristo, il quale giustamente ha detto: "Io sono la via, la verità e la vita".

1. 1. Sempre rivolgendosi al Padre, e pregando per i suoi discepoli, il Signore dice: Io ho dato loro la tua parola, e il mondo li ha presi in odio. Non ne avevano ancora fatto esperienza con i patimenti che in seguito sarebbero loro toccati; ma, secondo il suo solito, dice queste cose annunciando il futuro con il verbo al passato. Indica poi il motivo per cui il mondo li odierà: perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo (Jn 17,14). Questo, di non essere del mondo, è stato loro concesso in virtù della rigenerazione, perché in forza della generazione erano del mondo, e per questo il Signore aveva detto prima: Io vi ho scelti dal mondo (Jn 15,19). Fu quindi un dono il fatto che essi, come il Signore, non fossero del mondo, avendoli il Signore liberati dal mondo. Egli invece non appartiene mai al mondo, in quanto, anche nella forma di servo, è nato per opera di Spirito Santo, in virtù del quale essi sono rinati. E cosi, se essi non sono più del mondo, perché sono rinati ad opera dello Spirito Santo, egli non è mai stato del mondo, perché è nato per opera dello Spirito Santo.

2. 2. Non ti chiedo - dice -che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal male. Benché non fossero più del mondo, tuttavia era ancora necessario per loro rimanere nel mondo. Ribadisce il medesimo concetto: Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Santificali nella verità (Jn 17,15-17). E' in questo modo che saranno salvati dal male, come ha chiesto prima. Ci si può domandare in che senso non fossero più del mondo, se ancora non erano stati santificati nella verità; o se già lo erano, perché il Signore chiede che siano santificati. Non forse per il fatto che, santificati già nella verità, avevano da progredire nella santità, diventando più santi; la qual cosa non sarebbe avvenuta senza l'aiuto della grazia di Dio, che santifica il progredire come santifica l'inizio? perciò anche l'Apostolo dice: Colui il quale comincio in voi l'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Ph 1,6). E così gli eredi del Nuovo Testamento vengono santificati nella verità di cui le santificazioni operate nel Vecchio Testamento non erano che ombre. Essi vengono santificati nella verità, cioè in Cristo, il quale con tutta verità dice: Io sono la via, la verità e la vita (Jn 14,6). E così quando dice: La verità vi renderà liberi, poco dopo spiegando la sua affermazione, aggiunge: Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Jn 8,32-36), per mostrare la piena identità tra ciò che prima chiama verità e ciò che poi chiama Figlio. E così qui, dicendo: Santificali nella verità, che altro vuol dire se non: santificali in me?

3. 3. Con quel che segue il Signore non fa che inculcare più apertamente questo concetto. La tua parola - dice -è verità (Jn 17,17). Che altro vuol dire se non: Io sono la verità? Il testo greco dice , il termine che si trova nel Prologo, là dove si dice: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. E noi sappiamo con certezza che il Verbo è lo stesso unigenito Figlio di Dio, che si è fatto carne e abito fra noi (Jn 1,1 Jn 14); per cui si sarebbe potuto anche mettere, come difatti in alcuni codici è stato messo: il tuo Verbo è verità; così come in alcuni codici si legge anche: In principio era la Parola. Sia in questo passo che in quello, nel testo greco si trova . Concludendo, il Padre santifica nella verità, cioè nel suo Verbo, nel suo Unigenito, i suoi eredi, che sono pure coeredi del Verbo.

4. Riferendosi sempre agli Apostoli, il Signore proseguendo dice al Padre: Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo (Jn 17,18). Chi ha mandato, se non i suoi Apostoli? Apostolo, infatti, è una parola greca che si traduce in latino "inviato". Iddio quindi ha mandato il proprio Figlio non nella carne di peccato, ma in carne che rassomiglia a quella di peccato (Rm 8,3); e il Figlio ha inviato coloro che erano nati nella carne di peccato, ma che egli aveva santificati purificandoli dalla macchia del peccato.

(In che modo Cristo santifica sé e noi.)

2. 5. Ma siccome il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, è diventato capo della Chiesa, essi sono diventati membra del suo corpo. perciò aggiunge: e per essi io santifico me stesso (Jn 17,19). Che vuol dire: per essi io santifico me stesso, se non questo: io li santifico in me, in quanto essi sono io? Egli parla infatti di coloro che, come ho già detto, sono sue membra, membra di quel corpo che unito al capo forma un solo Cristo. E' l'insegnamento dell'Apostolo, quando parla della discendenza di Abramo: Se siete di Cristo, siete dunque discendenza di Abramo. Poco prima aveva detto: La Scrittura non dice "ai discendenti", come se si trattasse di molti, ma "e alla tua discendenza", come a uno solo, cioè Cristo (Ga 3,29 Ga 16). Ora, se la discendenza di Abramo è Cristo, che altro vuol dire l'Apostolo dicendo ai fedeli: Voi siete discendenza di Abramo, se non questo: voi siete Cristo? Sempre in questo senso va inteso quest'altro testo del medesimo Apostolo: In questo momento gioisco nelle mie sofferenze per voi e completo nella mia carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo (Col 1,24). Non dice: ciò che manca alle mie tribolazioni, ma: alle tribolazioni di Cristo, perché egli era membro di Cristo, e, attraverso le persecuzioni di cui era oggetto, per parte sua completava nella sua carne le tribolazioni che Cristo, nell'intero suo corpo, doveva sopportare. La qual cosa risulterà chiaramente anche qui, se fai attenzione a quel che segue. Prima aveva detto: per loro santifico me stesso; e per farci intendere che avrebbe santificato loro in sé, subito aggiunge: perché siano anch'essi santificati nella verità (Jn 17,19). Che altro vuol dire se non "in me", dato che la verità è quel Verbo che fin da principio era Dio? In quel medesimo Verbo fu santificato anche il Figlio dell'uomo fin dall'inizio della sua creazione quando il Verbo si è fatto carne, poiché il Verbo e l'uomo sono diventati una sola persona. Egli allora si è santificato in se stesso, cioè ha santificato se stesso in quanto uomo in sé Verbo, poiché il Verbo e l'uomo sono un solo Cristo, che santifica l'uomo nel Verbo. E riferendosi alle sue membra egli dice: per loro io santifico me stesso. Io per essi: affinché cioè giovi pure a loro (poiché anch'essi sono io) così come ha giovato a me stesso (in quanto sono uomo anche senza loro); santifico me stesso: in me io santifico loro come se fossero me stesso, poiché anch'essi sono io per l'unione che hanno con me. Perché siano anch'essi santificati nella verità. Che vuol dire anch'essi se non che come me siano santificati in quella verità che io stesso sono? In seguito non parla più soltanto degli Apostoli, ma inizia a parlare anche delle altre membra del suo corpo. Ma di questo, se il Signore vorrà, tratteremo in un altro discorso.

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OMELIA 109

(Jn 17,20)

Jn 17,20



La preghiera per tutti i credenti in Cristo.

Quelli che erano con lui, predicarono agli altri ciò che udirono da lui, e così la loro parola è giunta fino a noi e dovunque si trova la Chiesa, e giungerà ai posteri ovunque si troveranno, affinché tutti si possa credere in Cristo.

(L'orazione estesa a tutti i credenti.)

1. 1. Il Signore Gesù, nell'imminenza ormai della sua passione, prego a lungo per i suoi discepoli, che chiamo anche Apostoli. Con essi aveva consumato l'ultima cena, uscito che fu il traditore reso manifesto per mezzo del boccone di pane, e con essi, dopo l'uscita di Giuda, prima di pregare per loro, si era intrattenuto a lungo. Ad essi ora aggiunge anche gli altri che avrebbero creduto in lui, e così dice al Padre: Non prego soltanto per questi - cioè per i discepoli che si trovavano là con lui -ma anche per coloro che crederanno in me per mezzo della loro parola (Jn 17,20). Con queste parole egli ha inteso abbracciare tutti i suoi, non soltanto quelli allora esistenti, ma anche quelli che sarebbero venuti dopo. Tutti quelli infatti che in seguito credettero in lui, senza dubbio credettero per mezzo della parola degli Apostoli, e per mezzo di tale parola continueranno a credere fino al suo ritorno. Infatti agli Apostoli il Signore aveva detto: Voi stessi mi sarete testimoni, perché siete con me fin da principio (Jn 15,27). E' per mezzo di loro che il Vangelo fu annunciato, anche prima di essere scritto; e chiunque crede in Cristo, crede al Vangelo. E così per coloro che avrebbero creduto in lui per mezzo della parola degli Apostoli, non si devono intendere soltanto quelli che ascoltarono direttamente gli Apostoli, quando essi erano ancora in vita; ma anche tutti quelli che sono venuti dopo la loro scomparsa, quindi anche noi che siamo venuti al mondo molto tempo dopo, e che tuttavia abbiamo creduto in Cristo per mezzo della loro parola. Gli Apostoli predicarono agli altri la parola che avevano ascoltata dal Signore mentre erano con lui: e in questo modo, la loro parola è giunta fino a noi, affinché anche noi potessimo credere; è giunta dovunque si trova la sua Chiesa, e giungerà a quanti in seguito crederanno, chiunque essi siano, dovunque essi si trovino.

2. 2. Se non badiamo attentamente alle sue parole, potremmo avere l'impressione che Gesù in questa preghiera abbia trascurato qualcuno dei suoi. Se infatti, come abbiamo visto, prima ha pregato per quelli che si trovavano là con lui, successivamente anche per quelli che avrebbero creduto in lui per mezzo della loro parola, si potrebbe pensare che egli non abbia pregato per coloro che non si trovavano con lui in quel momento né in seguito avrebbero creduto in lui per mezzo della loro parola ma che tuttavia avevano creduto in lui prima, sia per mezzo loro sia per mezzo di qualcun altro. Forse che in quel momento c'era con lui Natanaele? Forse che c'era Giuseppe d'Arimatea, quello che ando da Pilato a chiedere il suo corpo e che, secondo la testimonianza dello stesso evangelista Giovanni, era già suo discepolo (Jn 19,38)? C'era forse sua Madre e le altre donne che, a quanto dice il Vangelo, erano già sue discepole? C'erano forse con lui in quel momento coloro ai quali spesso si riferisce lo stesso evangelista dicendo: Molti credettero in lui (Jn 2,23 Jn 4,39 Jn 7,31 Jn 8,30 Jn 10,42)? Da dove era venuta fuori, infatti, la moltitudine che osannava a lui agitando rami, parte precedendolo e parte seguendolo mentre egli sedeva sul giumento, e gridava: Benedetto colui che viene nel nome del Signore (Mt 21,9, Ps 117,26), e in mezzo alla quale si trovavano i bimbi dei quali egli disse che era stato predetto: Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ricavi la tua lode (Mt 21,16 Ps 8,3)? E donde erano usciti quei cinquecento fratelli, ai quali, riuniti insieme, egli non sarebbe apparso dopo la risurrezione se non avessero già creduto in lui (1Co 15,6)? E donde erano usciti quei centonove (dato che insieme agli undici Apostoli erano centoventi), i quali riuniti insieme, dopo la sua ascensione attesero e ricevettero lo Spirito Santo promesso (cf. Ac 1,15 Ac 2,4)? Donde venivano tutti questi, se non dalla grande folla di cui parla l'evangelista dicendo: Molti credettero in lui? Non prego per questi il Salvatore, allorché prego per quelli che erano con lui in quel momento e per gli altri che ancora non avevano creduto in lui per mezzo della loro parola, ma che avrebbero creduto in seguito? Questi, invece, non erano con lui in quel momento, ma avevano già creduto in lui prima. Non parlo del vecchio Simeone, che credette in lui ancora bambino, della profetessa Anna (Lc 2,25-38), di Zaccaria e di Elisabetta, che lo avevano vaticinato prima che nascesse dalla Vergine (Lc 1,41-45 Lc 67-79); e non parlo del loro figlio Giovanni, il precursore, l'amico dello sposo, che lo riconobbe per illuminazione dello Spirito Santo e lo predico prima che egli si presentasse, e, una volta presentatosi, lo addito perché fosse riconosciuto anche dagli altri (Jn 1,19-36 Jn 3,26-36). Non parlo di questi giusti, perché mi si potrebbe obiettare che non c'era bisogno di pregare per costoro, in quanto essi da tempo avevano lasciato questa vita carichi di meriti, e da tempo avevano raggiunto la pace eterna. Altrettanto si può dire dei giusti dell'Antico Testamento. Chi di loro infatti si sarebbe potuto salvare dalla condanna, sopraggiunta a tutta la massa perduta a causa di un sol uomo, se, illuminati dallo Spirito Santo, non avessero creduto nell'unico mediatore tra Dio e gli uomini, che doveva venire nella carne? Ma forse era necessario che il Signore pregasse solo per gli Apostoli, e non per tanti altri che vivevano allora in questo mondo, e che già prima avevano creduto in lui, ma non si trovavano con lui in quel momento? Chi oserà dire simile cosa?

1. 3. Dobbiamo dunque intendere che ancora non credevano in lui come egli voleva si credesse; dal momento che Pietro stesso, cui pure il Signore aveva reso una grande testimonianza in risposta alla professione di fede che egli aveva fatto dicendo: Tu sei il Cristo Figlio del Dio vivo (Mt 16,16), pretendeva che il Signore non morisse, anziché credere nella sua risurrezione da morte, per cui si merito di essere da lui chiamato Satana (Mt 16,23). E così troviamo una fedeltà maggiore in coloro che erano già morti, i quali, illuminati dallo Spirito Santo, non esitarono a credere che Cristo sarebbe risorto, che non in quei discepoli i quali, dopo aver creduto che egli avrebbe liberato Israele, di fronte alla morte perdettero tutta la speranza che avevano riposto in lui. Ecco dunque cosa dobbiamo concludere: che dopo la risurrezione, dopo che fu elargito lo Spirito Santo, dopo che gli Apostoli furono ammaestrati, confermati e costituiti come primi dottori nella Chiesa, per mezzo della loro parola anche gli altri credettero in Cristo come bisognava credere, cioè mantenendo salda la fede nella sua risurrezione. E perciò, anche quelli che sembrava avessero già creduto in lui, facevano parte di coloro per i quali prego dicendo: Non prego per questi soltanto, ma anche per coloro che crederanno in me per mezzo della loro parola.

2. 4. Ma non possiamo considerare risolta questa difficoltà se non esaminiamo il caso dell'apostolo Paolo e il caso di quel ladrone, crudele nel delitto quanto fedele sulla croce. Paolo dichiara di esser diventato apostolo non da parte di uomini né per mezzo di uomo ma per mezzo di Gesù Cristo; e, parlando del suo Vangelo, dice: Né da uomo lo ricevetti, né fui ammaestrato da alcuno, ma per mezzo di una rivelazione di Gesù Cristo (Ga 1,1 Ga 12). In che senso allora faceva parte di coloro dei quali il Signore dice: crederanno in me per mezzo della loro parola? Il ladrone, dal canto suo, credette nel momento in cui veniva meno la fede, già così debole, in quelli stessi che dovevano insegnarla. E così neppure lui credette in Gesù Cristo per mezzo della loro parola; e tuttavia credette al punto da confessare che colui che vedeva crocifisso, non solo sarebbe risorto, ma altresi avrebbe regnato, dicendo: Ricordati di me, quando verrai nel tuo regno (Lc 23,42).

3. 5. perciò, se si deve credere che il Signore Gesù in questa orazione prego per tutti i suoi, che vivevano allora o che sarebbero venuti nel futuro in questa vita terrena che è una continua lotta (Jb 7,1), dobbiamo intendere che la loro parola, di cui parla, è la parola stessa della fede che essi predicarono nel mondo, che fu chiamata "loro parola" perché da loro, per primi e principalmente, fu predicata. Già essi la predicavano sulla terra, quando Paolo ricevette questa medesima loro parola per rivelazione di Gesù Cristo. Ecco perché confronto con essi il Vangelo che egli già a sua volta predicava, per timore di correre o di aver già corso invano; e quelli, in segno di comunione, gli dettero le loro destre, in quanto in lui riconobbero la loro parola che già predicavano e sulla quale erano fondati, benché non fossero stati essi a dargliela (Ga 2,29). A proposito di questa parola della risurrezione di Cristo, il medesimo Apostolo dice: Sia io, sia essi, così predichiamo, e così voi avete creduto (1Co 15,11); e ancora: Questa è la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confessi con la tua bocca che Gesù è Signore e nel tuo cuore credi veramente che Iddio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo (Rm 10,8-9). E negli Atti degli Apostoli si legge che Dio ha accreditato Cristo davanti a tutti col risuscitarlo da morte (cf. Ac 17,31). Il Signore chiama questa parola della fede, parola degli Apostoli, in quanto per mezzo di essi, che a lui erano strettamente uniti, per primi e più di ogni altro fu predicata. Ma per il fatto che vien chiamata la "loro" parola, non vuol dire che non sia la parola di Dio, come appunto l'Apostolo stesso dice ai Tessalonicesi, che hanno ricevuto, egli afferma, la parola della fede non come parola di uomini ma, come è veramente, quale parola di Dio (1Th 2,13). E' parola di Dio, dunque, perché è Dio che l'ha donata; vien chiamata parola degli Apostoli perché a loro per primi e precipuamente Dio l'ha affidata. In questo senso anche il buon ladrone possedeva nella sua fede la loro parola; la quale, appunto, fu chiamata parola degli Apostoli in quanto a loro per primi e precipuamente fu affidato l'incarico di predicarla. Sicché, quando le vedove dei Greci si lamentarono perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate - e questo ancor prima che Paolo credesse in Cristo - gli Apostoli che erano vissuti insieme con Cristo, osservarono: Non è conveniente che noi trascuriamo la parola di Dio, per servire alle mense (Ac 6,2). Fu allora che, per non essere distolti dal ministero della Parola, decisero di eleggere i diaconi. Giustamente quindi viene chiamata parola degli Apostoli quella che è la parola della fede, per mezzo della quale credettero in Cristo quanti in qualunque modo l'hanno ascoltata, e in Cristo crederanno quanti l'ascolteranno. Il nostro Redentore quindi, rivolgendosi al Padre, prego per tutti quelli che ha redenti, sia quelli che erano presenti allora, sia quelli che sarebbero venuti dopo. Pregando per gli Apostoli che si trovavano con lui, aggiunse nella sua preghiera anche quelli che per mezzo della loro parola avrebbero creduto in lui. Il seguito della sua preghiera, lo vedremo in un altro discorso.

110

OMELIA 110

(Jn 17,21-23)

Jn 17,21-23


Li hai amati come hai amato me.

Il Padre ci ama nel Figlio, perché in lui ci ha eletti prima della creazione del mondo. Colui che ama l'Unigenito, ama altresi le membra di lui che ha adottato in vista di lui e per mezzo di lui.

1. Il Signore Gesù, dopo aver pregato per i suoi discepoli che erano allora presenti, e dopo aver esteso la sua preghiera a tutti gli altri dicendo: Non prego soltanto per questi, ma anche per coloro che crederanno in me per mezzo della loro parola (Jn 17,20), come se gli avessimo chiesto per qual motivo si rivolgesse al Padre e che cosa intendeva chiedere, subito aggiunge: affinché tutti siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me ed io in te, affinché anch'essi siano una cosa sola in noi (Jn 17,21). Poco prima, pregando solamente per i discepoli che aveva con sé, aveva detto: Padre santo, conservali nel nome tuo quelli che mi hai dato, affinché siano una cosa sola, come noi (Jn 17,11). Ora chiede anche per noi quanto aveva chiesto prima per gli Apostoli, affinché tutti, noi e loro, siamo una cosa sola. E' da notare pero diligentemente che il Signore non ha detto: affinché tutti insieme siamo una cosa sola, ma: affinché tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te (sottinteso: siamo una cosa sola, come esplicitamente dirà più avanti). Anche prima aveva detto riguardo ai discepoli che erano con lui: affinché siano uno come noi. Il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre, così da essere una cosa sola, perché sono della medesima sostanza divina; noi invece possiamo essere in loro, tuttavia non possiamo essere una cosa sola con loro, poiché non siamo della stessa sostanza divina di cui essi sono, dato che il Figlio è Dio come il Padre. E' vero che, in quanto uomo, il Figlio è della nostra medesima sostanza; ma qui egli vuole rimarcare quella verità che in altra occasione ha affermato: Io e il Padre siamo una cosa sola (Jn 10,30); vuole cioè rimarcare che la sua natura è quella medesima del Padre. perciò, anche se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono in noi, non dobbiamo credere che essi appartengono alla nostra stessa natura. Si, essi sono in noi e noi in loro, ma in modo che essi sono una cosa sola nella loro natura, e noi una cosa sola nella nostra. E precisamente essi sono in noi, come Dio nel suo tempio; noi invece siamo in loro come la creatura nel suo Creatore.

2. 2. Dopo aver detto: affinché anch'essi siano una cosa sola in noi, aggiunge: cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato (Jn 17,21). Che significa questo? Forse che il mondo crederà solo quando saremo tutti una cosa sola nel Padre e nel Figlio? Ma non è questa la pace perpetua, e quindi più il premio della fede che non la fede stessa? Saremo una cosa sola, infatti, non per poter credere, ma perché avremo creduto. E' vero che anche in questa vita, in virtù della comune fede, quanti crediamo nell'unico Salvatore siamo una cosa sola, secondo l'affermazione dell'Apostolo: Tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Ga 3,28). Ma anche in questo caso, l'essere una cosa sola non è condizione ma effetto della fede. Cosa vuole intendere il Signore dicendo: Che tutti siano una cosa sola, affinché il mondo creda? Tutti vuol dire il mondo dei credenti. Coloro che saranno una cosa sola e il mondo che crederà, dato che gli uni e gli altri saranno una sola cosa, non sono realtà diverse, poiché, evidentemente, le parole: che tutti siamo una cosa sola, son dette di coloro cui erano state rivolte le altre: Non prego soltanto per questi, ma anche per coloro che crederanno in me per mezzo della loro parola; soggiungendo subito: affinché tutti siano una cosa sola. Chi sono questi tutti se non il mondo, e non il mondo ostile ma quello fedele? Poco prima infatti aveva detto: non prego per il mondo (Jn 17,9), e ora prega per il mondo affinché creda. Esiste, infatti, un mondo del quale l'Apostolo dice: Non dobbiamo essere condannati con questo mondo (1Co 11,32). Per questo mondo il Signore non prega; ben sapendo quale sorte ad esso toccherà. Ma esiste anche un mondo del quale sta scritto: Non è venuto il Figlio dell'uomo per giudicare il mondo, ma affinché il mondo sia salvo per mezzo di lui (Jn 3,17); e del quale l'Apostolo dice: Era Dio che in Cristo riconciliava a sé il mondo (2Co 5,19). Per questo mondo Cristo prega dicendo: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E' appunto in virtù di questa fede che il mondo viene riconciliato a Dio, quando crede in Cristo come mandato da Dio. Come dovremo dunque intendere le parole del Signore: anch'essi siano una cosa sola in noi, cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato? Non certo nel senso che la fede del mondo dipenda dal fatto che essi saranno una cosa sola, come se il mondo dovesse credere quando vedrà che essi sono una cosa sola: infatti per "mondo" si intendono tutti quelli che credendo diventeranno una cosa sola. Ma, come pregando ha detto: affinché tutti siano uno e, sempre pregando: affinché essi in noi siano uno, così dice anche: affinché il mondo creda. La preghiera infatti: affinché tutti siano uno ha lo stesso senso dell'altra: affinché il mondo creda, perché è credendo che il mondo diventerà uno: saranno perfettamente uno coloro che, essendo uno per natura, ribellandosi all'uno, avevano perduto la loro unità. Se, insomma, per la terza volta sottintendiamo il verbo "prego", o, meglio, se facciamo dipendere tutto da questo verbo, il senso di questo passo diverrà chiaro: Prego affinché tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me ed io in te; prego affinché anch'essi siano uno in noi; prego affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. Inoltre ha precisato: in noi, perché si tenga ben presente che se noi diventiamo una cosa sola in virtù della fede e della carità, lo dobbiamo, non a noi, ma alla grazia di Dio. E' quanto c'insegna l'Apostolo, quando, dopo aver detto: Un tempo foste tenebra, mentre adesso siete luce, affinché nessuno se ne attribuisca il merito, aggiunge: nel Signore (Ep 5,8).

3. Ed ora, il nostro Salvatore, che pregando il Padre aveva dimostrato di essere uomo, per dimostrare che, essendo Dio come il Padre, è in grado di esaudire egli stesso la sua preghiera, dice: E io ho dato loro la gloria che tu mi hai dato (Jn 17,22). Qual'è questa gloria, se non l'immortalità che in lui la natura umana avrebbe conseguito? Neppure lui, infatti, l'aveva ancora ricevuta; pero, al solito, in virtù dell'immutabile predestinazione, indica il futuro con dei verbi al passato. Egli infatti sa che ormai sarà glorificato, cioè risuscitato dal Padre, e a sua volta glorificherà noi risuscitandoci alla fine dei tempi. E' un concetto simile a quello da lui espresso altrove: Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Jn 5,21). E quali morti fa vivere, se non gli stessi che il Padre risuscita? Tutte le cose infatti che il Padre fa, non altre cose ma le stesse fa anche il Figlio; e non le fa in altro modo, ma similmente le fa (Jn 5,19). Quindi anche la sua stessa risurrezione egli ha operato insieme al Padre, come egli dichiaro: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo faro risorgere (Jn 2,19). Pertanto s'intende, benché non lo dica, che anche lui si è data la gloria dell'immortalità, che dice di aver ricevuto dal Padre. Spesso infatti egli dice che il Padre da solo compie ciò che egli stesso compie insieme al Padre, per attribuire a colui, dal quale procede, tutto ciò che lui è. Ma qualche volta, senza nominare il Padre, si attribuisce ciò che egli fa insieme al Padre, affinché impariamo a non separare il Figlio dalle opere del Padre, allorché senza nominare se stesso attribuisce qualcosa all'opera del Padre; così come non dobbiamo separare il Padre dalle opere del Figlio quando vengono attribuite al Figlio senza menzionare il Padre; perché essi operano sempre congiuntamente. Quando il Figlio parla delle opere del Padre tacendo di sé, offre a noi un salutare esempio di umiltà; quando, invece, parla delle sue opere senza nominare il Padre, ci richiama alla sua uguaglianza con il Padre, affinché nessuno lo consideri a lui inferiore. Esprimendosi cosi, anche in questo caso dimostra che egli, sebbene dica: la gloria che tu mi hai dato, non è estraneo all'opera del Padre, in quanto quella gloria egli se l'è data anche da se stesso. E neppure presenta il Padre estraneo alla sua opera, quando dice: ho dato a loro la gloria, in quanto anche il Padre l'ha data loro. E inseparabili sono, non soltanto le opere del Padre e del Figlio, ma anche quelle dello Spirito Santo. Ora, come in virtù della preghiera che egli rivolge al Padre per tutti i suoi vuole che tutti siano una cosa sola, così vuole, non meno, che ciò si compia in virtù del suo dono, perciò dice: Io ho dato loro la gloria che tu mi hai dato. E subito aggiunge: affinché siano uno come noi siamo uno.

4. Così ha proseguito: Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell'unità (Jn 17,23). In questi termini concisi, egli si presenta come mediatore tra Dio e gli uomini. Dicendo cosi, non vuol dire che il Padre non è in noi, o che noi non siamo nel Padre, avendo anche annunciato in un altro passo: Noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui (Jn 14,23). E in questa preghiera, poco prima, non aveva detto, come dice ora: Io in loro e tu in me, oppure: essi in me e io in te; ma aveva detto: Tu in me ed io in te, e anch'essi in noi. Quel che ora dice, lo dice in quanto mediatore, analogamente a quanto dice l'Apostolo: Voi siete di Cristo, Cristo poi è di Dio (1Co 3,23). Dicendo inoltre: Affinché siano perfetti nell'unità, vuol farci intendere che la riconciliazione, che si compie per mezzo di lui mediatore, ha come scopo di farci godere la beatitudine perfetta alla cui pienezza niente si potrà aggiungere. E quanto a ciò che segue: affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato (Jn 17,23), credo non sia da prendere come una ripetizione della precedente frase: affinché il mondo creda. Qualche volta, infatti, si mette "conoscere" al posto di "credere", come nel passo precedente: Hanno veramente conosciuto che sono uscito da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato (Jn 17,8). Hanno creduto corrisponde all'espressione: hanno conosciuto. Ma qui, siccome parla della vita beata, è da intendere la conoscenza quale si avrà nella visione, non quella che abbiamo ora mediante la fede. Appare infatti nelle parole del Signore un ordine logico ben preciso. Prima ha detto: affinché il mondo creda, mentre qui dice: affinché il mondo conosca. E anche se aveva pregato il Padre: affinché tutti siano uno e affinché siano uno in noi, non aveva tuttavia aggiunto: e siano perfetti nell'unità, ma aveva così concluso: cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato. Qui, invece, dopo aver detto: affinché siano perfetti nell'unità, non aggiunge: affinché il mondo creda, ma chiede al Padre: che il mondo conosca che tu mi hai mandato. Infatti finché crediamo ciò che non vediamo, non siamo ancora così perfetti nell'unità, come lo saremo quando ci sarà concesso di vedere ciò che crediamo. Giustamente, quindi, prima dice: affinché il mondo creda, e dopo: affinché il mondo conosca. Tuttavia, nel primo come nel secondo caso, soggiunge: che tu mi hai mandato, affinché teniamo presente che ora noi, riguardo alla inseparabile carità del Padre e del Figlio, crediamo ciò che, mediante la fede, tendiamo a conoscere. Se invece avesse detto: affinché conoscano che tu mi hai mandato, sarebbe stato lo stesso che dire: affinché il mondo conosca. Essi stessi infatti sono il mondo, non il mondo che rimane ostile, quale è quello predestinato alla dannazione; ma il mondo che da nemico è diventato amico, per il quale Dio era nel Cristo nell'atto di riconciliare il mondo a sé. perciò ha detto: Io in loro e tu in me, come a dire: Io in coloro ai quali tu mi hai mandato, e tu in me, intento a riconciliarti per mio mezzo il mondo.

(Non può il Padre non amare le membra del suo Unigenito.)

2. 5. Sicché prosegue: e li hai amati come hai amato me (Jn 17,23). Si, il Padre ci ama nel Figlio, perché in lui ci ha eletti prima della fondazione del mondo (cf. Ep 1,4). Chi ama il Figlio unigenito, non può fare a meno di amare anche le sue membra, che in lui e per lui egli ha adottato. Ma per il fatto che il Signore dice: Li hai amati come hai amato me, non vuol dire che noi siamo pari all'unigenito Figlio, per mezzo del quale siamo stati creati e ricreati. Non sempre infatti esprime uguaglianza chi dice che questo è come quello: talvolta indica solo che una cosa c'è perché c'è l'altra, altre volte invece indica che una cosa è tale che ne derivi l'altra. Chi oserà dire infatti che gli Apostoli furono inviati nel mondo da Cristo nello stesso modo in cui egli fu inviato in terra dal Padre? Per non parlare di altri motivi di differenza che sarebbe troppo lungo ricordare, essi furono inviati quando già erano uomini, mentre Cristo fu inviato in terra perché diventasse uomo. E, tuttavia, poco prima ha detto: Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo (Jn 17,18), ma come a dire: poiché tu hai mandato me, io ho mandato loro. Così in questo passo egli, dicendo: Li hai amati come hai amato me, non vuol dire altro che questo: Li hai amati perché hai amato me. Il Padre che ama il Figlio, non può non amare le membra del Figlio, e non per altro motivo le ama, se non perché ama il Figlio. Ama il Figlio in quanto Dio, perché lo ha generato uguale a sé; e lo ama anche in quanto uomo, perché lo stesso Verbo unigenito si è fatto carne; cioè a causa del Verbo gli è cara la carne del Verbo. E ama noi perché siamo le membra di colui che ama; e affinché diventassimo membra del Figlio, in vista di questo ci ha amati prima che noi fossimo.

1. 6. perciò l'amore con cui Dio ama è incomprensibile e non va soggetto a mutamento. Egli non ha cominciato ad amarci solo quando siamo stati riconciliati a lui per mezzo del sangue di suo Figlio; ma ci ha amati prima della fondazione del mondo, chiamando anche noi ad essere suoi figli insieme all'Unigenito, quando ancora non eravamo assolutamente nulla. Il fatto dunque che noi con la morte del Figlio siamo stati riconciliati a Dio, non va ascoltato e non va preso nel senso che egli ha cominciato allora ad amare chi prima odiava, così come il nemico si riconcilia col nemico e i due divengono poi amici, e prendono ad amarsi a vicenda come a vicenda si odiavano. Noi siamo stati riconciliati con chi già ci amava, con il quale, a causa del peccato, noi eravamo nemici. Dimostri l'Apostolo se dico o no la verità. Egli afferma: Iddio dimostra il suo amore verso di noi per il fatto che, proprio mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8-9). Iddio nutriva amore per noi anche quando, comportandoci da nemici nei confronti di lui, noi commettevamo l'iniquità; e, tuttavia, a suo riguardo è stato detto con tutta verità: Tu, o Signore, hai in odio tutti quelli che operano l'iniquità (Ps 5,7). Per cui, in un modo mirabile e divino, egli ci amava anche quando ci odiava; odiava quanto in noi egli non aveva fatto, ma siccome la nostra iniquità non aveva distrutto totalmente l'opera sua, egli sapeva odiare in ognuno di noi quanto era opera nostra, e insieme amare l'opera sua. E ciò si può applicare per tutto il resto, dato che con tutta verità a lui sono rivolte queste parole: Tu non odi niente di ciò che hai fatto (Sg 11,25). Se infatti avesse odiato qualcosa non l'avrebbe voluta, né potrebbe sussistere una cosa che l'Onnipotente non avesse chiamato all'esistenza: e non l'avrebbe chiamata se nella cosa che odia non ci fosse stato almeno qualcosa che egli potesse amare. Con ragione odia il male e lo riprova perché contrario alla regola della sua arte; tuttavia anche in ciò che è contaminato dal male, ama o la grazia con cui lo risana, o il suo giudizio con cui lo condanna. Così Dio non odia niente di quanto ha creato, poiché come autore della natura, non del peccato, odia il male che egli non ha creato; ed egli è altresi autore del bene che ricava dal male, sia risanandolo con la sua misericordia, sia facendolo servire ai suoi piani segreti. Assodato dunque che Dio non odia nulla di quanto ha fatto, chi potrà adeguatamente parlare dell'amore che egli nutre per le membra del suo Unigenito? E, soprattutto, chi potrà degnamente parlare dell'amore che porta al suo Unigenito stesso, nel quale sono state create tutte le cose visibili e invisibili, e che egli ama in modo perfettamente corrispondente al posto che ognuna di esse occupa nel piano della creazione? Con l'abbondanza della sua grazia conduce le membra del suo Unigenito all'uguaglianza con i santi angeli; siccome pero l'Unigenito è il Signore dell'universo, è senza dubbio anche il Signore degli angeli: per la sua natura divina è uguale, non agli angeli, ma addirittura al Padre, e per la grazia che possiede in quanto uomo, non trascende forse l'eccellenza di tutti gli angeli, essendo in lui la carne e il Verbo una sola persona?

2. 7. Non manca chi sostiene che noi uomini siamo superiori agli angeli, in quanto, si dice, Cristo è morto per noi, non per gli angeli. Ma questo significa vantarsi della propria empietà. Infatti, come dice l'Apostolo, Cristo al momento fissato mori per gli empi (Rm 5,6). Questo fatto non mette in risalto il nostro merito, ma la misericordia di Dio. Come ci si può gloriare di aver contratto una infermità talmente detestabile che poteva essere guarita soltanto con la morte del medico? La morte di Cristo non è una gloria fondata sui nostri meriti, ma è la medicina per i nostri mali. Non riteniamoci superiori agli angeli solo perché, avendo anch'essi peccato, non è stato pagato per la loro salvezza un tale prezzo, quasi che a loro sia stato elargito qualcosa di meno che a noi. E pur ammettendo che sia stato cosi, c'è da chiedersi se ciò sia avvenuto perché noi eravamo superiori o perché eravamo caduti più in basso. Siccome pero ci risulta che il Creatore di tutti i beni non ha concesso agli angeli cattivi alcuna grazia per la loro redenzione, perché almeno da questo non deduciamo che tanto più grave è stata giudicata la loro colpa in quanto più elevata era la loro natura? Essi erano tenuti più di noi a non peccare, in quanto erano migliori di noi. Sta di fatto che offendendo il Creatore, in modo tanto più esecrabile si dimostrarono ingrati al beneficio, quanto più ricchi di grazia erano stati creati. Né si accontentarono di averlo abbandonato per conto loro, ma diventarono anche i nostri tentatori. Ecco dunque il grande beneficio che ci accorderà colui che ci ha amati come ha amato Cristo: che per amore dello stesso Gesù Cristo, di cui ha voluto fossimo le membra, diventiamo uguali in santità agli angeli (Lc 20,36) e in un certo modo loro compagni, noi che per natura siamo stati creati inferiori e che ancor più indegni ci siamo resi a causa del peccato.


Agostino - Commento Gv 107