Agostino - Commento Gv 114

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OMELIA 114

(Jn 18,28-32)

Jn 18,28-32


Non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi.

O empia cecità! Temono di venir contaminati dall'abitazione altrui, non temono di contaminarsi col proprio delitto.

1. 1. Vediamo ora che cosa avvenne attorno al Signore o, meglio, della persona di nostro Signore Gesù Cristo nel pretorio del procuratore Ponzio Pilato, secondo il racconto dell'evangelista Giovanni. Egli ritorna al suo racconto, che aveva interrotto per riferire il rinnegamento di Pietro. Dopo aver detto che Anna lo mando legato a Caifa, sommo sacerdote (Jn 18,24), era tornato nell'atrio dove aveva lasciato Pietro che si scaldava presso il fuoco, e, terminato il racconto delle sue negazioni, che arrivarono a tre, dice: Poi conducono Gesù da Caifa nel pretorio (Jn 18,28). Aveva detto che a Caifa era stato mandato da Anna, suo collega e suocero. Ma se lo conducono da Caifa, perché lo portano nel pretorio? L'evangelista vuole semplicemente dirci che lo portano là dove abitava il procuratore Pilato. O Caifa, per qualche motivo urgente, si era recato al pretorio presso il procuratore lasciando la casa di Anna, dove ambedue si erano dati convegno per ascoltare Gesù, lasciando Gesù al suocero perché lo interrogasse, oppure Pilato aveva fissato il suo pretorio nella stessa casa di Caifa. Probabilmente questa casa era tanto grande da poter ospitare distintamente il padrone e il giudice.

2. 2. Era l'alba, ed essi - quelli che conducevano Gesù -non vollero entrare nel pretorio, cioè in quella parte della casa occupata da Pilato, se quella era la casa di Caifa. L'evangelista spiega il motivo per cui non vollero entrare nel pretorio: per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua (Jn 18,28). Erano cominciati i giorni degli azzimi, durante i quali essi non potevano entrare nell'abitazione di uno straniero senza contaminarsi. O empia cecità! Temevano di contaminarsi entrando nell'abitazione di uno straniero, e non temevano di contaminarsi con il loro delitto. Temevano la contaminazione del pretorio di un giudice straniero, non temevano la contaminazione del sangue innocente del loro fratello, per non parlare che della colpa di cui era gravata la loro cattiva coscienza. Il fatto di aver condotto a morte il Signore e di aver ucciso colui che era l'autore della vita, non imputiamolo alla loro coscienza ma alla loro ignoranza.

3. Allora Pilato usci fuori verso di loro, e domando: Che accusa portate contro quest'uomo? Essi gli risposero: Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato (Jn 18,29-30). Si interroghino e rispondano i liberati dagli spiriti immondi, i malati guariti, i lebbrosi mondati, i sordi che odono, i muti che parlano, i ciechi che vedono, i morti che sono risorti, e, quel che è più, gli stolti diventati sapienti, e dicano essi se Gesù è un malfattore. Ma parlavano così quelli, a proposito dei quali egli stesso per mezzo del profeta aveva predetto: Mi ricambiavano male per bene (Ps 34,12).

(I Giudei uccisero Cristo, anche se indirettamente.)

3. 4. Disse loro Pilato: Prendetelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge! Gli risposero i Giudei: A noi non è permesso mettere a morte nessuno (Jn 18,31). Che stanno dicendo quei pazzi crudeli? Forse che essi non uccidevano colui che presentavano perché fosse ucciso? Forse che la croce non uccide? A tal punto diventano stolti coloro che, invece di seguire, perseguitano la Sapienza. Che significa: A noi non è permesso mettere a morte nessuno? Se è un malfattore, perché non è lecito? Forse la legge consentiva loro di risparmiare i malfattori e, soprattutto, chi distoglieva i fedeli dal culto di Dio, come ritenevano facesse il Cristo (Dt 13,15)? Ma è da intendere che essi dissero non esser loro permesso mettere a morte nessuno a causa della santità del giorno di festa, che avevano già cominciato a celebrare: era per questo motivo che temevano di contaminarsi entrando nel pretorio. A tal punto, Israeliti falsi, vi siete induriti? A tal punto, per eccesso di malvagità, avete perduto ogni sentimento, da non ritenervi macchiati del sangue innocente, solo perché avete chiesto ad altri di versarlo? Sarà forse Pilato a uccidere, con le sue mani, colui che gli avete consegnato perché lo metta a morte? Se non aveste voluto che fosse ucciso, se non gli aveste teso insidie, se non aveste procurato col denaro che vi fosse consegnato, se non l'aveste arrestato, legato, consegnato e messo nelle mani di Pilato perché lo mettesse a morte, se a gran voce non aveste chiesto la sua morte, allora potreste vantarvi di non averlo ucciso voi. Se invece, a tutto ciò che avete fatto prima, aggiungete anche il grido: Crocifiggilo, crocifiggilo! (Jn 19,6), ebbene, ascoltate che cosa grida a sua volta contro di voi il profeta: Uomini, i cui denti son lance e saette, e la cui lingua una spada affilata (Ps 56,5). Ecco con quali armi, con quali saette, con quale spada avete voi ucciso il Giusto, anche se dicevate che a voi non era permesso mettere a morte nessuno. Questo il motivo per cui ad arrestare Gesù non andarono i gran sacerdoti, ma mandarono altri. Tuttavia l'evangelista Luca, nel suo racconto, a questo punto afferma: Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, gran sacerdoti, capi delle guardie del tempio ed anziani: Come contro un brigante siete usciti (Lc 22,52)... Anche se i gran sacerdoti non andarono personalmente, ma mandarono altri ad arrestare Gesù, di fatto andarono essi stessi nelle persone di coloro che eseguivano i loro ordini. E così tutti quelli che con empia voce gridarono che Cristo fosse crocifisso, anche se non direttamente, nondimeno furono essi a uccidere Cristo, per mezzo di colui che dalle loro grida fu indotto a compiere un tale delitto.

5. Se nelle parole che l'evangelista Giovanni aggiunge: così si adempiva la parola che Gesù aveva detto indicando di quale morte avrebbe dovuto morire (Jn 18,32), volessimo vedere un'allusione alla morte di croce (quasi che i Giudei dicendo: A noi non è permesso mettere a morte nessuno, avessero voluto dire che una cosa è uccidere e un'altra cosa crocifiggere), non vedo come queste parole possano essere una risposta pertinente e logica a Pilato, il quale aveva detto: Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge. Non avrebbero potuto prenderlo e crocifiggerlo essi stessi, se intendevano con tal genere di supplizio evitare la morte di qualcuno? Ma chi non vede quanto sia assurdo ritenere che fosse permesso di crocifiggere a coloro ai quali non era permesso di mettere a morte nessuno? D'altra parte il Signore stesso parlava della sua morte, della sua morte in croce, come di una vera uccisione, secondo quanto leggiamo in Marco: Ecco che noi saliamo a Gerusalemme, e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai gran sacerdoti e agli scribi; e lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani; lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno, lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà (Mc 10,33-34). Esprimendosi cosi, il Signore indico di quale morte sarebbe morto; non volendo tanto riferirsi alla sua morte in croce, quanto al fatto che i Giudei lo avrebbero consegnato ai pagani, cioè ai Romani. Pilato infatti era romano, ed erano stati i Romani a mandarlo in Giudea come procuratore. Così si sarebbe adempiuta la parola di Gesù, che cioè lo avrebbero ucciso i pagani una volta che fosse stato loro consegnato, come egli appunto aveva predetto; perciò quando Pilato, che era il giudice romano, volle restituirlo ai Giudei, perché lo giudicassero secondo la loro legge, si senti rispondere: A noi non è permesso di mettere a morte nessuno. Così si adempi la predizione di Gesù, che aveva detto che i Giudei lo avrebbero consegnato ai pagani perché fosse messo a morte. E i pagani, in questo delitto, sono meno colpevoli dei Giudei, i quali in tal modo credettero di potersi scagionare della sua morte, dimostrando cosi, non la loro innocenza, ma la loro demenza.

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OMELIA 115

(Jn 18,33-40)

Jn 18,33-40


Il mio regno non è di questo mondo.

Non è di questo mondo, perché in questo mondo è peregrinante. Sino alla fine del mondo sono mischiati insieme il grano e la zizzania. Alla fine del mondo, quando la messe sarà matura, i mietitori purificheranno il regno da tutti gli scandali, il che non avrebbe senso se il regno non fosse in questo mondo.

1. In questo discorso dobbiamo vedere e commentare ciò che Pilato disse a Cristo e ciò che Cristo rispose a Pilato. Dopo aver detto ai Giudei: Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge, e dopo che essi ebbero risposto: A noi non è permesso mettere a morte nessuno, Pilato entro di nuovo nel pretorio, chiamo Gesù e gli disse: Tu sei il re dei Giudei? Gesù rispose: Dici questo da te, oppure altri te l'hanno detto sul conto mio? Il Signore sapeva bene cio che domandava a Pilato e sapeva ciò che gli avrebbe risposto Pilato; tuttavia volle che parlasse, non perché avesse bisogno di apprendere, ma perché fosse scritto quanto voleva che giungesse a nostra conoscenza. Pilato rispose: Sono io forse giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che hai fatto? Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei; ora invece il mio regno non è di quaggiù (Jn 18,31 Jn 18,33-36). E' questo che il buon Maestro ha voluto che noi sapessimo; ma prima bisognava dimostrare quanto fosse infondata l'opinione che del suo regno avevano sia i gentili che i Giudei, dai quali Pilato l'aveva appresa. Essi ritenevano che fosse reo di morte per aver preteso un regno che non gli apparteneva; oppure perché sia i Romani che i Giudei dovevano prendere misure contro il suo regno perché avverso a loro, in quanto i regnanti di solito sono gelosi di quanti potrebbero regnare al loro posto. Il Signore avrebbe potuto rispondere subito alla prima domanda del procuratore: Tu sei il re dei Giudei?, dicendo: il mio regno non è di questo mondo. Ma egli, chiedendo a sua volta se quanto Pilato domandava, lo diceva da sé oppure l'avesse sentito dire da altri, volle dimostrare, attraverso la risposta di Pilato, che erano i Giudei a formulare tale accusa contro di lui. Egli mostra così la vanità dei pensieri degli uomini (Ps 93,11), che ben conosceva, e rispondendo loro, Giudei e gentili insieme, in modo più esplicito e diretto, dopo la reazione di Pilato dice: Il mio regno non è di questo mondo. Se avesse risposto così alla prima domanda di Pilato, poteva sembrare che egli rispondesse non anche ai Giudei ma ai soli gentili, come se fossero solo questi ad avere di lui una tale opinione. Ma dal momento che risponde: Sono io forse giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me, Pilato allontana da sé il sospetto che fosse stato proprio lui a dire che Gesù aveva affermato di essere il re dei Giudei, dimostrando che lo aveva sentito dire dai Giudei. Dicendo poi: Che hai fatto?, lascia intendere abbastanza chiaramente che quel fatto gli veniva imputato come un delitto; come a dire: Se non sei re, che hai fatto per essere consegnato a me? Quasi non fosse strano che venisse consegnato al giudice per essere punito, chi diceva di essere re; qualora poi non l'avesse detto, sarebbe dovuto sembrare strano che fosse compito del Giudice chiedergli cos'altro avesse fatto di male per meritare di essere consegnato a lui.

(Nel regno del Figlio diletto.)

2. 2. Ascoltate dunque, Giudei e gentili; ascoltate, circoncisi e incirconcisi; ascoltate, regni tutti della terra: Io non intralcio la vostra sovranità in questo mondo: Il mio regno non è di questo mondo. Non lasciatevi prendere dall'assurdo timore di Erode che, alla notizia della nascita di Cristo, si allarmo, e per poter colpire lui uccise tanti bambini (Mt 2,3 Mt 16), mostrandosi così crudele più nella paura che nella rabbia. Il mio regno - dice il Signore -non è di questo mondo. Che volete di più? Venite nel regno che non è di questo mondo; venite credendo, e non vogliate diventare crudeli per paura. E' vero che in una profezia, Cristo, riferendosi a Dio Padre, dice: Da lui io sono stato costituito re sopra Sion, il suo monte santo (Ps 2,6), ma questo monte e quella Sion, di cui parla, non sono di questo mondo. Quale è infatti il suo regno se non i credenti in lui, a proposito dei quali dice: Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo? anche se egli voleva che essi rimanessero nel mondo, e per questo chiese al Padre: Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal male (Jn 17,16 Jn 15). Ecco perché anche qui non dice: Il mio regno non è in questo mondo, ma dice: Il mio regno non è di questo mondo. E dopo aver provato la sua affermazione col dire: Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei, non dice: Ora il mio regno non si trova quaggiù, ma dice: il mio regno non è di quaggiù. Il suo regno infatti è quaggiù fino alla fine dei secoli, portando mescolata nel suo grembo la zizzania fino al momento della mietitura, che avverrà appunto alla fine dei tempi, quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, a togliere via dal suo regno tutti gli scandali (Mt 13,38-41). E questo non potrebbe certo avvenire, se il suo regno non fosse qui in terra. Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è peregrinante nel mondo. E' precisamente agli appartenenti al suo regno che egli si riferisce quando dice: Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo (Jn 15,19). Erano dunque del mondo, quando ancora non facevano parte del suo regno, e appartenevano al principe del mondo. E' quindi del mondo tutto ciò che di umano è stato si creato dal vero Dio, ma che è stato generato dalla stirpe corrotta e dannata di Adamo; è diventato pero regno di Dio, e non è più di questo mondo, tutto ciò che in Cristo è stato rigenerato. E' in questo modo che Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio dell'amor suo (Col 1,13). Ed è appunto di questo regno che egli dice: Il mio regno non è di questo mondo, e anche: Il mio regno non è di quaggiù.

1. 3. Gli disse allora Pilato: Dunque tu sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici, io sono re (Jn,18,37). Il Signore non esita a dichiararsi re, ma la sua espressione: tu lo dici, è così misurata che non nega di essere re (re, si intende, di un regno che non è di questo mondo), ma neppure afferma di esserlo in quanto ciò potrebbe far pensare che il suo regno sia di questo mondo. Tale infatti lo considerava Pilato che gli aveva chiesto: Dunque tu sei re? Gesù risponde: Tu lo dici, io sono re. Usa l'espressione: Tu lo dici, come a dire: Tu hai una mentalità carnale e perciò non puoi esprimerti che cosi.

2. 4. E prosegue: Io per questo son nato, e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità (Jn 18,37). Non dobbiamo considerare lunga la sillaba del pronome, là dove dice: per questo son nato, come se avesse voluto dire: sono nato in questa condizione; ma dobbiamo considerarla breve, cioè come se avesse detto: per questo son nato, come appunto poi dice: per questo son venuto nel mondo. Nel testo greco, infatti, questa espressione non è affatto ambigua. Risulta quindi chiaramente che il Signore parla qui della sua nascita temporale mediante la quale, essendosi incarnato, è venuto nel mondo; non della sua nascita senza principio, per cui è Dio, per mezzo del quale il Padre ha creato il mondo. Egli afferma di essere nato per questo, e di essere venuto nel mondo, nascendo dalla Vergine, per questo, per rendere cioè testimonianza alla verità. Ma, siccome la fede non è di tutti (2Th 3,2), soggiunge: Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce (Jn 18,37). La ascolta, s'intende, con l'udito interiore, cioè obbedisce alla mia voce: e questo è come dire che crede in me. Rendendo testimonianza alla verità, Cristo rende testimonianza a se stesso; è proprio lui che afferma: Io sono la verità (Jn 14,6), e in un altro passo: Io rendo testimonianza a me stesso (Jn 8,18).

Dicendo ora: Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce, vuole sottolineare la grazia con la quale egli, secondo il suo disegno, ci chiama. A proposito di questo disegno l'Apostolo dice: Noi sappiamo che a quelli che amano Dio, tutto coopera per il bene, a quelli cioè che sono stati chiamati secondo il disegno di Dio (Rm 8,28); cioè secondo il disegno di colui che chiama, non di coloro che sono chiamati. L'Apostolo esprime questo concetto ancor più chiaramente quando dice: Collabora al Vangelo con la forza di Dio. E' lui infatti che ci ha salvati e ci ha chiamati con la sua santa vocazione, non in base alle nostre opere ma secondo il suo proposito e la sua grazia (2Tm 1,8-9). Se infatti consideriamo la natura nella quale siamo stati creati, chi non è dalla verità, dato che è la verità che ha creato tutti gli uomini? Ma non a tutti la verità concede di ascoltarla, nel senso di obbedire alla verità e di credere in essa: certo senza alcun merito precedente, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. Se il Signore avesse detto: Chiunque ascolta la mia voce, è dalla verità; si poteva pensare che uno è dalla verità per il fatto che obbedisce alla verità. Ma egli non dice cosi, bensi: Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce. Non è, costui, dalla verità perché ascolta la sua voce, ma ascolta la sua voce perché è dalla verità, avendogli la verità stessa concesso questa grazia. E che altro vuol dire questo, se non che è per grazia di Cristo che si crede in Cristo?

5. Gli dice Pilato: Che cosa è la verità? E non aspetta la risposta; ma detto questo, usci di nuovo verso i Giudei e disse loro: Io non trovo in lui nessun motivo di condanna. Ma è per voi consuetudine che io vi rilasci qualcuno in occasione della Pasqua. Volete che vi rilasci il re dei Giudei? Credo che quando Pilato rivolse al Signore la domanda: Che cosa è la verità?, gli sia subito venuta in mente la consuetudine dei Giudei secondo la quale si era soliti rilasciare ad essi un condannato in occasione della Pasqua; e forse per questo motivo non aspetto che Gesù gli rispondesse che cosa fosse la verità, preoccupato com'era di non perder tempo, dato che si era ricordato di quell'usanza con cui avrebbe potuto rilasciarlo cogliendo l'occasione della Pasqua. Che seriamente volesse liberare Gesù, è evidente. Tuttavia non riusci a levarsi dalla mente l'idea che Gesù era il re dei Giudei, come se la Verità stessa, sulla cui natura egli aveva interrogato il Signore, avesse fissato nel suo cuore, come poi nel titolo della croce, questo dato di fatto. Ma, udite queste parole, i Giudei si misero a gridare di nuovo: Non costui, ma Barabba! Barabba era un brigante (Jn 18,38-40). Non vi rimproveriamo, o Giudei, per l'usanza che avete di liberare un malfattore in occasione della Pasqua, ma per il fatto che volete uccidere un innocente. E, tuttavia, se ciò non fosse avvenuto, non ci sarebbe stata la vera Pasqua. Nel loro errore i Giudei possedevano l'ombra della verità e, per mirabile disposizione della divina sapienza, servendosi di uomini caduti nell'errore, si compi la verità di quell'ombra, allorché Cristo come una pecora fu immolato affinché si realizzasse la vera Pasqua. Seguono gli oltraggi e i maltrattamenti inflitti a Cristo da parte di Pilato e della sua coorte, di cui ci occuperemo in un altro discorso.

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OMELIA 116

(Jn 19,1-16)

Jn 19,1-16


Cristo oltraggiato.

così il grano veniva seminato nell'ignominia, per germogliare rigoglioso nella gloria.

(La sua potenza, e la sua pazienza.)

1. 1. I Giudei avevano chiesto con urli che Pilato in occasione della Pasqua liberasse, non Gesù ma il brigante Barabba, non il salvatore ma l'uccisore, non l'autore della vita ma l'omicida. Allora Pilato prese Gesù e lo flagello (Jn 19,1). E' da credere che Pilato abbia fatto questo solo con l'intenzione di placare la crudeltà dei Giudei, in modo che essi, ritenendosi soddisfatti di tali maltrattamenti, desistessero dal proposito di farlo morire. E' con questa intenzione che il procuratore permise alla sua coorte di infliggere a Gesù quanto racconta l'evangelista. Puo darsi che non solo lo abbia permesso ma lo abbia ordinato, quantunque l'evangelista non lo dica. Egli si limita a raccontare che cosa fecero i soldati in seguito, ma non dice che fosse per ordine di Pilato. E i soldati - dice -intrecciarono una corona di spine e gliela posero sul capo, lo rivestirono di un mantello purpureo e avanzandosi verso di lui dicevano: Salve, re dei Giudei! e gli davano schiaffi (Jn 19,2-3). Così si adempiva ciò che Cristo aveva predetto di se stesso, insegnando ai martiri a sopportare tutto ciò che ai persecutori fosse piaciuto di far loro subire. Occultando per breve tempo la sua tremenda maestà, voleva anzitutto proporre alla nostra imitazione un grande esempio di pazienza; il suo regno che non era di questo mondo, vinceva così il mondo superbo, non con sanguinose lotte, ma con l'umiltà della pazienza; questo grano, che doveva moltiplicarsi, veniva seminato in mezzo a così orribili oltraggi, per germogliare mirabilmente nella gloria.

2. 2. Pilato, uscito di nuovo fuori, disse: Ecco, ve lo conduco fuori perché sappiate che non trovo in lui alcun motivo di condanna. Gesù usci portando la corona di spine e il manto di porpora. E Pilato dice loro: Ecco l'uomo! (Jn 19,4-5). Qui si ha la prova che non fu all'insaputa di Pilato che i soldati avevano oltraggiato Gesù, sia che egli lo abbia ordinato, sia che lo abbia soltanto permesso. Abbiamo già detto per qual motivo aveva agito cosi: perché i nemici di Gesù, provando gusto a bere tutte queste ingiurie, non sentissero ulteriormente la sete di sangue. Gesù esce verso di loro portando la corona di spine e il manto di porpora, non splendido di gloria, ma coperto di obbrobrio. Pilato dice loro: Ecco l'uomo!, come a dire: Se siete gelosi del re, ebbene risparmiatelo, ora che lo vedete ridotto cosi; è stato flagellato, è stato coronato di spine, è stato ricoperto di una veste ignominiosa, è stato schernito in modo crudele, è stato schiaffeggiato; si raffreddi l'odio di fronte a tanta ignominia. Ma invece di raffreddarsi, l'odio dei Giudei si accende maggiormente e diventa feroce.

3. 3. Nel vederlo, i gran sacerdoti e le guardie gridavano: Crocifiggilo, crocifiggilo! Disse loro Pilato: Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessun motivo di condanna. Gli risposero i Giudei: Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge deve morire, perché ha detto di essere il Figlio di Dio (Jn 19,6-7). Ecco un motivo di odio ancora maggiore. Infatti, sembrava un piccolo motivo quello della potestà regia che, secondo loro, Gesù aveva usurpato; e tuttavia Gesù non aveva usurpato nessuno dei due titoli, perché è vera l'una e l'altra: egli è il Figlio unigenito di Dio, ed è il re da lui costituito sopra Sion, il suo monte santo. E avrebbe ben potuto dimostrare l'una e l'altra cosa, solo che ora voleva mostrare come la sua pazienza era tanto più grande quanto più grande era la sua potenza.

1. 4. Quando Pilato senti questa parola ebbe ancor più paura. Entro di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: Donde sei tu? Ma Gesù non gli diede risposta (Jn 19,8-9). Confrontando il racconto di tutti gli evangelisti, risulta che nostro Signore Gesù Cristo non ha taciuto soltanto questa volta, ma anche davanti ai gran sacerdoti, davanti a Erode al quale secondo Luca, Pilato lo mando perché lo interrogasse, e davanti allo stesso Pilato (Mt 26,63 Mt 27,14 Mc 14,61 Mc 15,5 Lc 23,7-9 Jn 19,9). Gesù taceva; non per nulla era stato predetto di lui: Come agnello condotto al macello, resto muto e non apri la sua bocca (Is 53,7), come precisamente è avvenuto quando non rispose a chi lo interrogava. Egli rispose, è vero, ad alcune delle domande che gli furono rivolte; e pertanto è per quelle alle quali non volle rispondere che è stato paragonato all'agnello, appunto perché, nel suo silenzio, non fosse considerato colpevole ma innocente. Tutte le volte che non apri bocca dinanzi ai suoi giudici, si comporto appunto come agnello che tace davanti al tosatore, cioè: non come un colpevole conscio dei propri peccati e confuso innanzi all'accusa, ma come un mansueto che viene immolato per la colpa degli altri.

2. 5. Pilato allora gli disse: A me non parli? Non sai che io ho potere di rilasciarti e ho potere di crocifiggerti? Rispose Gesù: Non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha una colpa maggiore (Jn 19,10-11). Ecco che questa volta il Signore ha risposto. E tuttavia ogni volta che ha taciuto non si è comportato come un reo o un falso, ma come agnello, cioè come un uomo semplice e mansueto che non apre bocca. Quando non risponde, tace come pecora; quando risponde, insegna come pastore. Teniamo conto dunque di quanto ci dice, di quanto per mezzo dell'Apostolo ci insegna, e cioè che non v'è autorità se non da Dio (Rm 13,1); e ancora che è più colpevole chi per odio consegna un innocente all'autorità perché venga messo a morte, che non l'autorità stessa che uccide per paura di un'altra autorità superiore. Si, perché l'autorità che Dio aveva dato a Pilato, era soggetta all'autorità di Cesare. E' per questo che il Signore dice: non avresti nessun potere su me, qualunque sia quello che hai, se questo stesso potere non ti fosse stato dato dall'alto. Ma siccome io conosco il limite del tuo potere, e so che il tuo potere non è tale da consentirti di agire liberamente, per questo chi mi ha consegnato a te ha una colpa maggiore. Chi mi ha consegnato lo ha fatto per odio, e tu stai esercitando su di me questo potere per paura. E' vero, mai si deve uccidere un uomo, soprattutto se è innocente, per paura; tuttavia, è un delitto più grave uccidere per odio che per paura. Per questo il maestro della verità non dice: Chi mi ha consegnato a te lui si che è colpevole, come se Pilato fosse esente da ogni colpa. Egli dice che chi lo ha consegnato a Pilato ha una colpa maggiore, per fare intendere al procuratore che anch'egli è responsabile. Pilato non è innocente per il solo fatto che i Giudei sono più colpevoli di lui.

3. 6. Da quel momento Pilato cercava di rilasciarlo (Jn 19,12). Che significa da quel momento? Che prima non cercava di rilasciarlo? Leggi ciò che sta scritto prima e troverai che già dapprima Pilato cercava di mettere in libertà Gesù. Da quel momento va inteso cosi: Per questo, cioè per questo motivo, per non addossarsi la colpa di uccidere quell'innocente che gli era stato consegnato, anche se la colpa sarebbe stata minore di quella dei Giudei che glielo avevano consegnato perché lo uccidesse. Da quel momento, dunque, cioè appunto per non commettere questo peccato, e non soltanto da ora, ma fin da principio, egli cercava di rilasciarlo.

4. 7. I Giudei pero gridavano: Se rilasci costui non sei amico di Cesare: chiunque dice di essere re si mette contro Cesare (Jn 19,12). I Giudei ritenevano che la paura di Cesare avrebbe indotto Pilato a mettere a morte Cristo molto più efficacemente della minaccia contenuta nelle parole di prima: Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio. Il timore della loro legge non lo aveva indotto a uccidere Gesù, mentre il timore che egli fosse Figlio di Dio lo aveva ancor più trattenuto. Adesso pero non poteva permettersi di disprezzare Cesare, da cui derivava il suo potere, così come aveva disprezzato la legge di un popolo straniero.

1. 8. E l'evangelista continua dicendo: Pilato, udite queste parole, fece portar fuori Gesù e si assise nel tribunale, nel luogo detto Litostroto, in ebraico Gabbathà. Era la Preparazione della Pasqua verso l'ora sesta (Jn 19,13-14). Circa l'ora in cui il Signore fu crocifisso, dato che un altro evangelista dice: Era circa l'ora terza quando lo crocifissero (Mc 15,25), si è molto discusso. Quando saremo arrivati al racconto della crocifissione, affronteremo tale questione, se il Signore vorrà e secondo le nostre possibilità. Dopo essersi seduto in tribunale, Pilato disse ai Giudei: Ecco il vostro re! Allora quelli gridarono: Via, via, crocifiggilo! Dice loro Pilato: Mettero in croce il vostro re? (Jn 19,14-15). Pilato tenta ancora di superare il terrore di Cesare che i Giudei gli avevano messo addosso, e attraverso la cattiva figura che essi ci avrebbero fatto (è per questo che dice: Mettero in croce il vostro re?) cerca di ammansire coloro che attraverso le umiliazioni inferte al Cristo non era riuscito a calmare. Ma si lascia subito vincere dalla paura.

2. 9. Infatti, risposero i gran sacerdoti: Non abbiamo altro re che Cesare! Allora egli lo consegno loro perché fosse crocifisso (Jn 19,15-16). Sarebbe infatti sembrato che egli si volesse mettere apertamente contro Cesare, se davanti alla loro dichiarazione di avere come re soltanto Cesare, si fosse ostinato nell'imporre un altro re, lasciando impunito uno che essi gli avevano consegnato per farlo mettere a morte, avendo osato aspirare al regno. Allora lo consegno loro perché fosse crocifisso. Ma era forse questo che desiderava anche prima quando diceva: Prendetelo voi e crocifiggetelo, o ancor prima: Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge? Ma allora perché essi non vollero crocifiggerlo, ma risposero a Pilato: A noi non è permesso di mettere a morte nessuno (Jn 18,31)? Perché in tutti i modi insistettero affinché fosse messo a morte non da loro, ma dal procuratore, rifiutandosi appunto di prenderlo per ucciderlo, se adesso lo prendono per ucciderlo? O, se non è cosi, perché l'evangelista dice che Pilato lo consegno loro perché fosse crocifisso? C'è dunque una differenza? Certamente. L'evangelista, infatti, non dice: Allora lo consegno loro perché lo crocifiggessero; ma: perché fosse crocifisso, cioè, perché fosse crocifisso secondo la sentenza e sotto la responsabilità del procuratore. Ma l'evangelista precisa che lo consegno loro, per mostrare che essi erano implicati nel delitto dal quale cercavano di rimanere estranei; Pilato, infatti, non sarebbe giunto alla condanna, se non fosse stato per soddisfare quello che vedeva essere il loro vivo desiderio. Ciò che segue: Presero, dunque Gesù, e lo condussero fuori, può essere senz'altro riferito ai soldati che erano agli ordini del procuratore; perché poi più esplicitamente l'evangelista dice: I soldati, quando ebbero crocifisso Gesù (Jn 14,23). Se l'evangelista attribuisce tutta la colpa ai Giudei, lo fa a ragion veduta, in quanto ottennero ciò che ostinatamente avevano sollecitato, e furono essi i veri autori della sentenza che estorsero a Pilato. Ma di questo in un altro discorso.

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OMELIA 117

(Jn 19,17-22)

Jn 19,17-22


Quello che ho scritto, ho scritto.

Pilato quello che ha scritto ha scritto, perché il Signore quello che ha detto ha detto.

1. 1. Era circa l'ora sesta, quando presero il Signore Gesu Cristo, dopo che egli era stato giudicato e condannato dal tribunale di Pilato, e lo condussero fuori. Portandosi egli stesso la croce si avvio verso il luogo detto Calvario, che in ebraico si dice Golgotha, dove lo crocifissero (Jn 19,17-18). Perché allora l'evangelista Marco dice: Era circa l'ora terza quando lo crocifissero (Mc 15,25)? Perché il Signore venne crocifisso all'ora terza dalla lingua dei Giudei, all'ora sesta per mano dei soldati. Per farci intendere che l'ora quinta era già trascorsa, ed era già cominciata l'ora sesta quando Pilato sedette in tribunale, Giovanni dice che era circa l'ora sesta; e intanto che Gesu veniva condotto al Calvario, intanto che veniva crocifisso insieme ai due briganti, intanto che avvenivano presso la croce le cose che gli evangelisti raccontano, si compi l'ora sesta. A cominciare da quest'ora fino all'ora nona, secondo la testimonianza dei tre evangelisti, Matteo, Marco, Luca, il sole comincio ad oscurarsi e si fece buio (Mt 27,45 Mc 15,33 Lc 23,44). Ma siccome i Giudei cercavano di scaricare la responsabilità dell'uccisione di Cristo sui Romani, cioè su Pilato e i suoi soldati, Marco non riferisce l'ora in cui i soldati crocifissero Cristo, che era circa l'ora sesta, mentre annota con particolare cura l'ora terza, nella quale i Giudei gridarono davanti a Pilato: Crocifiggilo, crocifiggilo! (Jn 19,6). Con ciò Marco vuol farci intendere che a crocifiggere Gesu non furono soltanto i soldati che lo appesero al legno all'ora sesta, ma anche i Giudei che all'ora terza gridarono che fosse crocifisso.

2. 2. Si può anche risolvere la questione relativa all'ora della crocifissione, dicendo che qui non si tratta dell'ora sesta del giorno, in quanto nemmeno Giovanni dice: Era circa l'ora sesta del giorno, o semplicemente: era circa l'ora sesta; ma dice: Era la parasceve di Pasqua, verso l'ora sesta (Jn 19,14). Parasceve si traduce in latino: Preparazione, e i Giudei, anche quelli che si esprimono meglio in latino che in greco, per indicare i loro riti, volentieri ricorrono a questa parola greca. Era, dunque, la preparazione della Pasqua. Ma la nostra Pasqua - come dice l'Apostolo -è Cristo che è stato immolato (1Co 5,7). Ora se noi calcoliamo la preparazione di questa Pasqua a partire dall'ora di notte (allora infatti sembra che i sacerdoti abbiano deciso l'immolazione del Signore dicendo: E' reo di morte (Mt 26,66), per cui si può dire che la preparazione della vera Pasqua, cioè dell'immolazione di Cristo, adombrata dalla Pasqua giudaica, comincio da quando egli venne interrogato nella casa del pontefice e i sacerdoti decretarono che fosse immolato); se prendiamo dunque come punto di partenza quell'ora di notte che si ritiene fosse l'ora nona, troviamo che da quell'ora terza, in cui secondo la testimonianza dell'evangelista Marco Cristo fu crocifisso, intercorrono sei ore, tre di notte e tre di giorno. Era quindi circa l'ora sesta di questa parasceve di Pasqua, cioè della preparazione dell'immolazione di Cristo, che era cominciata all'ora nona di notte. Quando Pilato sedette in tribunale era trascorsa l'ora quinta ed era cominciata la sesta. Era ancora la preparazione della Pasqua, che era incominciata all'ora nona di notte, e si attendeva che si compisse l'immolazione di Cristo che ebbe luogo, secondo Marco, all'ora terza del giorno, non all'ora terza della preparazione. L'ora terza del giorno comincia cioè sei ore dopo l'ora nona della notte, e corrisponde all'ora sesta, non del giorno ma della preparazione della Pasqua. Delle due soluzioni di questa difficile questione, ognuno scelga quella che vuole. Per un criterio di scelta si veda la nostra elaboratissima trattazione Sulla concordanza degli Evangelisti. E se qualcuno riuscirà a trovare altre soluzioni, contribuirà a difendere la solidità della verità evangelica contro le vuote calunnie degli increduli e degli empi. Torniamo, dopo questa breve digressione, alla narrazione dell'evangelista Giovanni.

(Spettacolo, empietà, ludibrio.)

1. 3. Presero dunque Gesu, il quale, portandosi egli stesso la croce, si avvio verso il luogo detto Calvario, che in ebraico si dice Golgotha, dove lo crocifissero. Gesu si avvio verso il luogo dove sarebbe stato crocifisso, portandosi egli stesso la croce. Quale spettacolo! Grande ludibrio agli occhi degli empi, grande mistero a chi contempla con animo pio. Agli occhi degli empi è uno spettacolo terribile e umiliante, ma chi sa guardare con sentimenti di devozione, trova qui un grande sostegno per la sua fede. Chi assiste a questo spettacolo con animo empio, non può che irridere il re che, invece dello scettro, porta la croce del suo supplizio; la pietà invece contempla il re che porta la croce alla quale egli sarà confitto, ma che dovrà essere poi collocata perfino sulla fronte dei re. Su di essa egli sarà disprezzato agli occhi degli empi, e in essa si glorieranno i cuori dei santi. Paolo, infatti, dirà: Non accada mai che io mi glori d'altro che della croce del Signore Gesu Cristo (Ga 6,14). Cristo esaltava la croce portandola sulle sue spalle, e la reggeva come un candelabro per la lucerna che deve ardere e non deve essere posta sotto il moggio (Mt 5,15). Dunque, portando egli stesso la croce, si avvio verso il luogo detto Calvario, che in ebraico si dice Golgotha. Qui lo crocifissero, e con lui due altri, di qua e di là, e Gesu nel mezzo (Jn 19,17-18). Questi due, come apprendiamo dalla narrazione degli altri evangelisti, erano briganti. Cristo fu crocifisso insieme ad essi, anzi in mezzo ad essi (Mt 27,38 Mc 15,27 Lc 23,33), compiendosi così la profezia che aveva annunciato: Fu annoverato tra i malfattori (Is 53,12).

2. 4. E Pilato vergo pure un'iscrizione, e la fece apporre sulla croce. C'era scritto: Gesu Nazareno, il re dei Giudei. Questa iscrizione molti Giudei la poterono leggere, perché il luogo dove fu crocifisso Gesu era vicino alla città; ed era scritta in ebraico, in greco e in latino (Jn 19,19-20). Erano queste le tre lingue principali di allora: l'ebraico a causa dei Giudei che si gloriavano della legge di Dio; il greco perché era la lingua dei saggi; il latino perché era parlato dai Romani, il cui impero si estendeva a moltissime, anzi a quasi tutte le nazioni.

3. 5. E i sommi sacerdoti dei Giudei dissero a Pilato: Non scrivere: Re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei. Rispose Pilato: Quello che ho scritto, ho scritto (Jn 19,21-22). O forza ineffabile dell'azione divina, anche nel cuore di quelli che non se ne rendono conto! Non è azzardato dire che una certa voce segreta, silenziosamente eloquente, ha fatto risuonare nell'anima di Pilato ciò che tanto tempo prima era stato profetato nel libro dei Salmi: Non alterare l'iscrizione del titolo (Tt Ps 56 e 57). Ecco, lui non altera l'iscrizione del cartello posto sulla croce: quello che ha scritto ha scritto. Ma anche i gran sacerdoti che volevano fosse alterata, cosa dicevano? Non scrivere: Re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei. Che state dicendo, o insensati? Perché volete impedire ciò che in nessun modo potete cambiare? Potete forse impedire che sia vero ciò che Gesu afferma: Io sono il re dei Giudei? Se non si può alterare ciò che Pilato ha scritto, si potrà alterare ciò che la verità ha detto? E poi Cristo è re soltanto dei Giudei o anche di tutte le genti? E' certamente re di tutte le genti. Infatti, dopo aver detto nella profezia: Io sono stato da lui costituito re sopra Sion, il suo monte santo; promulghero il decreto del Signore, affinché nessuno, sentendo parlare del monte Sion, pensi che sia stato costituito re soltanto dei Giudei, subito aggiunge: il Signore mi ha detto: Figlio mio sei tu, oggi ti ho generato: chiedimi e ti daro le genti in retaggio, in tuo possesso i confini della terra (Ps 2,6-8). Egli stesso, del resto, rivolgendosi personalmente ai Giudei, ha detto: Ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e si farà un solo gregge, un solo pastore (Jn 10,16). Quale grande significato dobbiamo dunque vedere in questa iscrizione, che reca: Il re dei Giudei, dato che Cristo è il re di tutte le genti? Dobbiamo renderci conto che l'olivastro è stato fatto partecipe della pinguedine dell'olivo, e non che l'olivo è diventato partecipe dell'amarezza dell'olivastro (Rm 11,17). Poiché certamente compete a Cristo il titolo dell'iscrizione: Il re dei Giudei, chi bisogna intendere per Giudei se non la discendenza di Abramo, i figli della promessa, che sono anche figli di Dio? Perché non i figli della carne - dice l'Apostolo -sono figli di Dio, ma i figli della promessa vengono considerati come vera discendenza (Rm 9,7-8) E tutte le altre genti sono coloro cui diceva: Se siete di Cristo, siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa (Ga 3,29). Cristo dunque è il re dei Giudei, ma dei Giudei circoncisi nel cuore, secondo lo spirito e non secondo la lettera; è il re di coloro che traggono la loro gloria non dagli uomini ma da Dio (Rm 2,29), che appartengono alla Gerusalemme che è libera, che è la nostra madre celeste, la Sara spirituale che scaccia la schiava e i figli di lei dalla casa della libertà (Ga 4,22-31). Ecco perché Pilato quello che ha scritto ha scritto: perché il Signore quello che ha detto ha detto.


Agostino - Commento Gv 114