Agostino Salmi 4

SUL SALMO 4

4 Ps 4

ESPOSIZIONE

Salmi e cantici.

1. [v 1.] Per la fine, salmo cantico di David. Cristo è fine della legge a giustificazione di ogni credente (Rm 10,4). Infatti qui fine significa perfezione, non consunzione. Ci si può chiedere se ogni cantico sia un salmo, o piuttosto ogni salmo un cantico; oppure ancora se vi sono alcuni cantici che non possono essere detti salmi, e salmi che non possono essere detti cantici. Dobbiamo considerare le Scritture, se per caso cantico non significhi letizia. Sono detti salmi quelli che sono cantati col salterio, di cui - tramanda la storia - il profeta David si serviva nei sacri misteri (Cf. 1Ch 13,8 1Ch 16,5). Non è il caso qui di discutere di questo, perché sarebbe necessaria una lunga indagine e una prolungata dissertazione. Dobbiamo per ora considerare le parole dell’Uomo del Signore, dopo la risurrezione, oppure dell’uomo che crede nella Chiesa e spera in lui.

La preghiera di Cristo.

2. [v 2.] Quando l’ho invocato, mi ha esaudito il Dio della mia giustizia. Quando lo invocavo - è detto - mi ha esaudito Dio, dal quale deriva la mia giustizia. Nella tribolazione mi hai allargato il cuore: dalle angustie della tristezza mi hai condotto nella larghezza della gioia; poiché c’è tribolazione e angustia nell’anima di ogni uomo che opera il male (Cf. Rm 2,9). Ma colui che dice: rallegriamoci nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione genera la pazienza, con quel che segue, fino alle parole: perché la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,3-5), non ha il cuore in angustie, anche se esteriormente è angustiato dai persecutori. Il cambiamento di persona - col passare dalla terza persona, ha esaudito, subito alla seconda, mi hai allargato il cuore - se non ha lo scopo di rendere vario e armonioso il discorso, è piuttosto strano; è come se avesse infatti voluto dapprima mostrare agli uomini di essere stato esaudito, e poi rivolgersi a colui che lo ha esaudito. A meno che avendo indicato in qual modo è stato esaudito nella stessa dilatazione del cuore, abbia preferito parlare con Dio, così da mostrare anche in questo modo che cosa sia avere il cuore dilatato, cioè avere infuso nel cuore quel Dio con il quale parla in segreto. Giustamente perciò si applica questo alla persona di colui che, credendo in Cristo, è illuminato; non vedo però in quale modo tutto questo possa applicarsi alla persona stessa dell’Uomo del Signore, che la Sapienza di Dio ha assunto. Non è stato infatti da tale Sapienza qualche volta abbandonato. Ma siccome la stessa preghiera di lui è piuttosto una riprova della nostra debolezza, così anche di questo improvviso dilatarsi del cuore lo stesso Signore può parlare a nome dei suoi fedeli, la cui persona si è addossata anche quando ha detto: ero affamato, e non mi avete nutrito; ero assetato, e non mi deste da bere (Mt 25,35), con quel che segue. Ecco perché può dire anche qui hai dilatato a me a nome di uno dei suoi più piccoli che parla con Dio, la cui carità ha diffusa nel cuore grazie allo Spirito Santo che ci è stato donato (Cf. Rm 5,5). Abbi pietà di me, ed esaudisci la mia preghiera. Perché prega di nuovo, quando ha già dichiarato di essere stato esaudito e di essere stato tolto dalle angustie? Prega a cagion nostra, dato che di noi è detto: ma se speriamo ciò che non vediamo, con pazienza aspettiamo (Rm 8,25), oppure perché in colui che ha creduto sia portato a termine quanto ha avuto inizio.

La beatitudine della verità.

3. [v 3.] Figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore? Concediamo che il vostro errore si sia protratto fino all’avvento del Figlio di Dio: ma perché siete anche ora duri di cuore? Quando giungerete alla fine delle menzogne, se, mentre la verità è presente, non la possedete? Perché amate la vanità e cercate la menzogna? Come volete essere beati nelle cose più infime? Rende beati solo la Verità, per la quale tutte le cose sono vere. Infatti, vanità delle vanità e tutto è vanità (Cf. Qo 1,2). Cosa resta all’uomo di tutto il suo affaticarsi, con il quale egli sotto il sole si affatica? (Qo 1,3) Perché dunque rimanete così schiavi dell’amore alle cose temporali? Perché inseguite cose infime quali la vanità e la menzogna, come se fossero le prime? Desiderate infatti che restino con voi quelle cose che, tutte, passano come se fossero ombre.

4. [v 4.] E sappiate che il Signore ha fatto mirabile il suo Santo: chi è, se non Colui che ha risuscitato dagli inferi, e ha collocato in cielo alla sua destra? È dunque rimproverato il genere umano, affinché dall’amore di questo mondo si converta finalmente a lui. Se qualcuno si stupisce per la congiunzione premessa all’inizio, là dove si dice: e sappiate, si può facilmente osservare nelle Scritture che questo modo di esprimersi è familiare nel linguaggio dei profeti. Trovi infatti spesso un inizio del genere: e il Signore disse a lui, e la parola del Signore a lui fu rivolta. Probabilmente questa connessione indicata dalla congiunzione - mentre non precede una sentenza cui sia connessa la successiva - forse suggerisce in modo mirabile che l’espressione della verità con la parola è unita a quella visione che si manifesta nel cuore. Si potrebbe dire peraltro qui che la frase precedente: perché amate la vanità e cercate la menzogna, è disposta così come per dire: non amate la vanità e non cercate la menzogna. Dopo aver detto questo, segue logicamente: e sappiate che il Signore ha fatto mirabile il suo Santo. Ma ci vieta di unire questa proposizione con la precedente il diapsalma posto in mezzo; per alcuni si tratta di una parola ebraica, che significa: Sia fatto; per altri di un termine greco, con cui si indica un intervallo nel salmeggiare, nel senso che salmo è ciò che è cantato, mentre diapsalma è la pausa interposta nel canto; ne segue che come synsalma indica l’unione di più voci nel canto, così diapsalma indica la loro separazione, nella quale una certa sosta segna un passaggio nella continuità. Ebbene, sia questo o quello il significato, oppure sia un altro, è certamente credibile che è errato continuare a collegare il senso del concetto laddove si interpone il diapsalma.

Come pregare.

5. Il Signore mi esaudirà quando avrò gridato verso di lui. Credo che qui noi siamo esortati a implorare l’aiuto di Dio con grande intensità di cuore, cioè con il grido interiore dello spirito. Infatti, come dobbiamo rendere grazie per l’illuminazione in questa vita, così dobbiamo pregare per il riposo [eterno] dopo questa vita. Ecco perché, o dalla voce del fedele che annunzia il Vangelo o dalla voce stessa del Signore, dobbiamo intendere queste parole come se fosse detto: il Signore vi esaudirà quando avrete gridato verso di lui.

La penitenza.

6. [v 5.] Adiratevi, e non peccate. Qualcuno infatti potrebbe obiettare: chi è degno di essere esaudito, o in qual modo il peccatore non invoca invano il Signore? Perciò adiratevi - è detto - e non peccate. Queste parole possono essere intese in due modi: o, anche se vi adirate, non peccate, cioè, anche se sorge in voi un movimento dell’anima che non potete più padroneggiare a cagione della condanna del peccato, almeno ad esso non consentano la ragione e lo spirito, che nell’intimo è rigenerato da Dio, in modo da servire con lo spirito alla legge di Dio (Cf. Rm 7,25), anche se con la carne serviamo ancora alla legge del peccato; ovvero: fate penitenza, cioè adiratevi con voi stessi per i peccati trascorsi, e cessate di peccare per l’avvenire. E quelle cose che dite nei vostri cuori: è sottinteso “ditele”, in modo che la frase completa sia questa: ciò che dite, ditelo nei vostri cuori, cioè non siate quel popolo a proposito del quale è detto: con le labbra mi onorano, ma il loro cuore è lontano da me (Is 29,13). Abbiate compunzione nei vostri giacigli: cioè, come già è stato detto, nei cuori. Questi infatti sono i recessi dei quali ci parla anche il Signore, affinché entrati in essi preghiamo dopo aver chiuso le porte (Cf. Mt 6,6). E abbiate compunzione si riferisce, o al dolore della penitenza con il quale l’anima trafigge se stessa per punirsi onde non subire il supplizio che seguirebbe alla condanna di Dio nel giorno del giudizio; oppure al dovere di stimolarsi quasi con pungoli per vegliare e vedere la luce di Cristo. Peraltro alcuni dicono che si legge più opportunamente non abbiate compunzione ma apritevi: infatti nel salterio greco si legge  che concerne quel dilatarsi del cuore che permette di accogliere l’amore che si diffonde per mezzo dello Spirito Santo.

7. [v 6.] Immolate il sacrificio di giustizia, e sperate nel Signore. Lo stesso concetto è espresso in un altro salmo: sacrificio a Dio è lo spirito contrito (Ps 50,19). Ecco perché non è errato intendere che il sacrificio di giustizia è quello che si compie per mezzo della penitenza. Cosa c’è infatti di più giusto che ciascuno si adiri più per i propri peccati, che non per quelli altrui, e si immoli a Dio punendo se stesso? Oppure, sacrificio di giustizia sono le opere giuste compiute dopo la penitenza? Il diapsalma posto in mezzo, suggerisce forse opportunamente anche il passaggio dalla vita antica alla vita nuova; di modo che soppresso o ridotto impotente il vecchio uomo grazie alla penitenza, il sacrificio di giustizia sia offerto a Dio secondo la rigenerazione dell’uomo nuovo, quando la stessa anima già purificata si offre e si pone sull’altare della fede, per essere posseduta dal fuoco divino, cioè dallo Spirito Santo. Per cui il senso è questo: immolate il sacrificio di giustizia, e sperate nel Signore, cioè vivete rettamente e sperate nel dono dello Spirito Santo, affinché vi illumini la verità nella quale avete creduto.

Presenza interiore di Cristo.

8. [v 7.] Tuttavia sperate nel Signore resta ancora una espressione oscura. Ma che cosa si spera, se non il bene? Siccome però ciascuno vuole ottenere da Dio quel bene che ama, e difficilmente si trova chi ami i beni interiori - cioè quelli che riguardano l’uomo interiore, i soli che debbono essere amati, mentre gli altri debbono essere soltanto usati per necessità, e non fruiti per goderne -, mirabilmente, dopo aver detto: sperate nel Signore, soggiunge: molti dicono: chi ci farà vedere il bene? Queste parole e questa domanda ricorrono quotidianamente sulla bocca di tutti gli stolti e gli empi, sia di quelli che desiderano la pace e la tranquillità nella vita del secolo e non la trovano a cagione della perversità del genere umano, i quali osano persino accusare - ciechi - l’ordine delle cose perché credono, tutti presi dai loro meriti, che i tempi presenti siano peggiori di quelli trascorsi; sia di coloro che dubitano o disperano della stessa vita futura che ci è promessa, e perciò dicono spesso: chissà se è vero? Oppure: chi è venuto dall’inferno per annunziarci tali cose? Ebbene, in modo magnifico e conciso, ma solo per chi vede nell’intimo, [il salmista] mostra quali beni debbono essere ricercati. Alla domanda di quanti dicono: chi ci mostra il bene? risponde: è impressa in noi la luce del tuo volto, o Signore. Questa luce è il completo e vero bene dell’uomo, che si vede non con gli occhi ma con lo spirito. È impressa, ha detto, in noi, così come nel denaro è impressa l’immagine del re. Perché l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio (Cf. Gn 1,26), e questa peccando ha corrotto; il suo bene perciò è vero ed eterno, se rinascendo gli viene impresso. Credo che questo, come alcuni interpretano con cautela, si riferisca a ciò che il Signore dice, vedendo la moneta di Cesare: date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21). È come se dicesse: allo stesso modo con cui Cesare esige da voi l’impressione della sua immagine così la esige anche Dio; per cui, come si ridà a Cesare la moneta, così si ridà a Dio l’anima illuminata e impressa dalla luce del suo volto. Hai messo la gioia nel mio cuore. Non dobbiamo dunque cercare la gioia fuori, presso coloro che, ancora duri di cuore, amano la vanità e ricercano la menzogna, ma dentro, ove è impressa la luce del volto di Dio. Cristo abita infatti nell’uomo interiore (Cf. Ep 3,17), dice l’Apostolo; e spetta dunque all’uomo interiore vedere la verità, dato che [il Signore] ha detto: Io sono la verità (Jn 14,6). E quando [Cristo] parlava nell’Apostolo, che poteva dire: volete forse ricevere una prova che Cristo parla in me? (2Co 13,3), certamente non gli parlava esteriormente, ma nel suo stesso cuore, cioè in quel recesso in cui si deve pregare (Cf. Mt 6,6).

9. [vv 8.9.] Ma gli uomini che inseguono le cose temporali - e certamente sono molti - non sanno dire altro se non chi ci mostrerà il bene, perché non sono capaci di vedere i veri e sicuri beni entro se stessi. Di conseguenza molto giustamente di costoro dice il salmista quanto segue: nel tempo del frumento, del vino e dell’olio loro, si sono moltiplicati. Non è oziosa l’aggiunta loro. C’è infatti anche il frumento di Dio, che è appunto il pane vivo che discende dal cielo (Cf. Jn 6,51). E c’è pure il vino di Dio, perché - è detto - si inebrieranno nell’abbondanza della tua casa (Ps 35,9). Neppure manca l’olio di Dio, a proposito del quale è detto: ungesti nell’olio il mio capo (Ps 22,5). Ma questi, e sono molti, che dicono: chi ci farà vedere il bene?, e non vedono che dentro di loro sta il regno dei Cieli (Cf. Lc 17,21), nel tempo del frumento, del vino e dell’olio loro, si sono moltiplicati. Infatti, non sempre il moltiplicarsi significa abbondanza; talvolta significa scarsezza; quando l’anima dedita ai piaceri terreni brucia sempre di cupidigia, e non può saziarsi ed è impedita da molteplici e tumultuosi pensieri, lo schietto bene non si lascia scorgere: tale è quella anima di cui è detto: perché il corpo corruttibile appesantisce l’anima, e la dimora terrena opprime la mente agitata da molti pensieri (Sg 9,15). Quest’anima, nel passare e nell’avvicendarsi dei beni terreni, cioè nel tempo del frumento, del vino e dell’olio suo, si è a tal punto colmata e “moltiplicata” in fantasmi senza numero, che non può più compiere quanto le è ordinato: nutrite sentimenti buoni rispetto a Dio e cercatelo in semplicità di cuore (Sg 1,1). Questa molteplicità è infatti duramente opposta a quella semplicità. E perciò, abbandonati costoro - e sono molti - apertamente moltiplicati nella cupidigia delle cose terrene, e che dicono: chi ci mostrerà il bene? (dato che il bene si deve cercare non all’esterno, ma nell’intimo e con semplicità di cuore) l’uomo fedele esulta e dice: in pace, nello stesso momento mi addormenterò, e prenderò sonno. A ragione siffatti spiriti possono sperare il totale distacco dalle cose mortali e l’oblio delle miserie del secolo, distacco e oblio che sono convenientemente e in senso profetico raffigurati nelle parole addormentarsi e sonno, in cui la completa pace non può essere interrotta da nessuno strepito. Tutto questo non si ottiene però in questa vita, ma dobbiamo sperarlo nell’altra. Lo dimostrano le parole stesse, perché sono al tempo futuro. Non dice infatti: mi sono addormentato e ho preso sonno, oppure mi addormento e prendo sonno, ma mi addormenterò e prenderò sonno. Allora questo corpo corruttibile si rivestirà di incorruttibilità, e questo corpo mortale sarà rivestito di immortalità; allora la morte sarà assorbita nella vittoria (Cf. 1Co 15,54). Ecco perché l’Apostolo dice: ma se speriamo ciò che non vediamo, con pazienza aspettiamo (Rm 8,25).

10. [v 10.] Per questo, opportunamente aggiunge per ultimo: perché tu solo, o Signore, mi hai fatto abitare nella speranza. Qui non dice: farai; ma dice: hai fatto. In ciò in cui consiste già questa speranza, vi sarà certamente anche quello che si spera. Giustamente dice: singolarmente. Possiamo considerarlo come opposto a quei molti i quali, moltiplicati nel tempo del loro frumento, del loro vino e del loro olio, dicono: Chi ci mostrerà il bene? Questa molteplicità infatti perisce, e invece resta salda l’unità nei santi, a proposito dei quali leggiamo negli Atti degli Apostoli: ma nella moltitudine dei credenti una era l’anima e uno il cuore (Ac 4,32). Dobbiamo dunque essere soli e semplici, cioè isolati dalla folla e dalla turba delle cose che nascono e muoiono, innamorati dell’eternità e dell’unità, se bramiamo essere stretti all’unico Dio e Signore nostro.

SUL SALMO 5

5 Ps 5

ESPOSIZIONE

I Cristiani eredità di Dio.

1. [v 1.] Ecco il titolo del salmo: per colei che riceve l’eredìtà. Si tratta dunque della Chiesa che riceve in eredità la vita eterna per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo, in modo che essa possiede Dio stesso, aderisce a lui, trova in lui la sua felicità secondo quanto sta scritto: Beati i miti perché essi possederanno in eredità la terra (Mt 5,4). Quale terra, se non quella di cui è detto: la mia speranza sei tu, la mia porzione nella terra dei viventi (Ps 141,6)? E più apertamente: Il Signore è parte della mia eredità e della mia coppa (Ps 15,5). A sua volta anche la Chiesa è detta eredità di Dio, nelle parole: chiedi a me, e ti darò le genti in tua eredità (Ps 2,8). Dunque Dio è detto nostra eredità, perché ci nutre e ci fa vivere; e noi siamo detti eredità di Dio perché egli si prende cura di noi e ci guida. Ecco perché [notiamo] in questo salmo la voce della Chiesa, chiamata all’eredità per divenire essa stessa eredità del Signore.

2. [v 2.] Presta orecchio alle mie parole, Signore. Colei che è chiamata, chiama il Signore, per potere, con il suo aiuto, passare oltre la malvagità di questo secolo e giungere a lui. Intendi il mio grido. Si comprende bene quale sia questo grido, e come esso giunga a Dio, senza suono di voce corporale, dall’intimo recesso del cuore; infatti la voce del corpo si ode, e quella spirituale si intende. Benché così si possa dire anche del prestare orecchio da parte di Dio, che si attua non con l’orecchio della carne, ma con la presenza della maestà.

La Trinità.

3. [v 3.] Bada alla voce della mia supplica, cioè alla voce che chiede che Dio intenda. Già ha fatto capire quale sia questa voce dicendo: intendi il mio grido. Bada alla voce della mia supplica, mio Re e mio Dio. Benché il Figlio sia Dio e Dio il Padre, ed insieme il Padre ed il Figlio siano un solo Dio, e se ci richiedono sullo Spirito Santo, niente altro dobbiamo rispondere se non che è Dio, e quando insieme sono nominati il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo niente altro si deve intendere se non che si tratta di un solo Dio, tuttavia le Scritture sono solite chiamare Re il Figlio. Giustamente poi, dato che il Signore ha detto: per me si va al Padre (Jn 14,6), il salmista dice prima mio Re, poi Dio mio. E non dice: intendete, ma: intendi. La fede cattolica non predica infatti due o tre dèi, ma la stessa Trinità, unico Dio: e non nel senso che la stessa Trinità possa essere ora detta Padre, ora Figlio, ed ora Spirito Santo, come credeva Sabellio; ma in modo che il Padre non sia altri che il Padre, il Figlio non sia altri che il Figlio, lo Spirito Santo non sia altri che lo Spirito Santo, e questa Trinità non sia altri che l’unico Dio. Infatti quando l’Apostolo disse: da Lui ogni cosa, per Lui ogni cosa, in Lui ogni cosa (Rm 11,36), crediamo che si riferiva proprio alla stessa Trinità; non aggiunse pertanto: a Loro la gloria, ma: a Lui la gloria.

La speranza delle cose invisibili.

4. [v 4.] Giacché a te innalzerò la mia preghiera, o Signore, al mattino esaudirai la mia voce. E perché prima ha detto esaudisci, come se desiderasse essere esaudito al presente, mentre ora dice: al mattino esaudirai, e non: esaudisci, e ancora: a te pregherò e non: a te prego; e più avanti al mattino mi presenterò a te e vedrò, e non: mi presento e vedo, se non per il fatto che la precedente preghiera indica la medesima invocazione? Ma, vedendosi addensare d’intorno le tenebre in mezzo alle tempeste di questo secolo, si accorge di non vedere quanto brama, e tuttavia non cessa di sperare. Infatti la speranza che si vede, non è speranza (Cf. Rm 8,24). Comprende tuttavia per quale motivo non vede, perché non è ancora trascorsa la notte, cioè quelle tenebre meritate dai peccati. Dice dunque: giacché a te pregherò, Signore, ossia: sei tanto grande tu al quale io pregherò, che al mattino esaudirai la mia voce. E vuol dire: Tu non sei tale da esser veduto da coloro dai cui occhi la notte dei peccati non si è ancora allontanata; ebbene, passata la notte del mio errore e ritirandosi le tenebre che ho fatto scendere su di me con i miei peccati, esaudirai la mia voce. Perché dunque non ha detto prima: esaudirai, ma ha detto: esaudisci? Forse perché, dopo aver gridato esaudisci e non essere stata esaudita, si è resa conto di quel che deve trascorrere per poter essere esaudita? Oppure è stata prima esaudita, ma non se ne è ancora accorta, perché non vede ancora da chi è stata esaudita: e quando ora dice: al mattino esaudirai, vuol fare intendere che al mattino capirà di essere stata esaudita? Allo stesso modo dice: sorgi, Signore (Cf. Ps 3,7), intendendo: fammi risorgere, le quali parole son riferite alla resurrezione di Cristo. Per lo stesso motivo certamente non possono essere interpretate correttamente in altro modo le parole: il Signore Dio vostro vi mette alla prova, per sapere se lo amate (Dt 13,3), se non nel senso: affinché voi, per suo mezzo, conosciate - ed a voi stessi si faccia manifesto - quanto avete progredito nell’amore di lui.

5. [vv 5-7.] Al mattino mi presenterò a te e vedrò. Che vuol dire mi presenterò? Vuol dire che non giacerò. Ma che altro è giacere se non riposarsi in terra, cioè ricercare la felicità nei piaceri terreni? Mi presenterò, dice, e vedrò. Non dobbiamo dunque tenerci stretti alle cose terrene, se vogliamo vedere Dio che si vede col cuore puro. Poiché tu non sei un Dio che ami l’iniquità. Non abiterà presso di te il maligno, né gli ingiusti resisteranno dinanzi ai tuoi occhi. Hai odiato tutti coloro che operano l’iniquità, perderai tutti coloro che dicono menzogna. Il Signore abominerà l’uomo sanguinario e fraudolento. L’iniquità, la malignità, la menzogna, l’omicidio, la frode ed ogni delitto di questo genere sono la notte stessa, trascorsa la quale viene il mattino, affinché si possa vedere Dio. Ha spiegato dunque il motivo per cui si presenterà al mattino e vedrà, poiché tu non sei un Dio che ami l’iniquità: se fosse infatti un Dio che vuole l’ingiustizia, potrebbe essere visto anche dagli iniqui, e non lo si potrebbe vedere unicamente al mattino, cioè una volta trascorsa la notte dell’iniquità.

6. Non abiterà presso di te il maligno, cioè non vedrà così da unirsi a te. Per questo continua: né gli iniqui resisteranno dinanzi ai tuoi occhi. I loro occhi infatti, ossia la loro mente è come abbagliata dalla luce della verità a cagione delle tenebre dei peccati, per la consuetudine dei quali non possono sopportare lo splendore della retta intelligenza. Di conseguenza anche coloro che talvolta vedono, cioè che intendono la verità, tuttavia restano ancora ingiusti, e non resistono perché amano le cose che li distolgono dalla verità: portano infatti con sé la loro notte, ossia non soltanto l’abitudine, ma anche l’amore del peccato. Se questa notte avrà fine, cioè se desisteranno dal peccare e saranno fugati quell’amore e quella consuetudine, si farà mattina, tanto che non solo comprenderanno ma anche aderiranno alla verità.

La menzogna.

7. Hai in odio tutti coloro che operano l’iniquità. L’odio di Dio va inteso secondo la espressione con cui diciamo che ogni peccatore odia la verità: sembra infatti che anche la verità nutra odio per coloro cui non consente di restare in lei. In realtà non restano in lei quanti non sono in grado di sopportarla. Perderai tutti coloro che dicono menzogna. Infatti la menzogna è l’opposto della verità. Ma, affinché nessuno pensi che vi sia qualche sostanza o natura contraria alla verità, dobbiamo comprendere che la menzogna compete a ciò che non è, non a ciò che è. Infatti, ciò che è detto essere, è verità; mentre è menzogna ciò che è detto non essere. Ecco perché dice: perderai tutti quelli che dicono menzogna, perché, allontanandosi da ciò che è, ripiegano in ciò che non è. Senza dubbio molte menzogne appaiono [esser state dettate] non da malizia, ma da bontà, per la salvezza o per l’interesse di qualcuno, come quelle delle levatrici di cui [si narra] nell’Esodo che annunziarono il falso al Faraone (Cf. Ex 1,19) per evitare che fossero uccisi i bambini dei figli di Israele. Anch’esse però sono lodate, non per il fatto in sé, ma per la loro intenzione; del resto coloro che mentono soltanto in questo modo meriteranno un giorno di essere liberati da ogni menzogna. Nei perfetti, infatti, non si trovano neppure menzogne di questo genere: a proposito di costoro è detto: sia nella vostra bocca: sì, sì; no, no; tutto quanto è di più viene dal maligno (Mt 5,37). E altrove non senza ragione leggiamo: la bocca che mente uccide l’anima (Sg 1,11), affinché nessuno creda che l’uomo perfetto e spirituale debba mentire per salvare questa vita temporale, per la cui morte non viene a spegnersi l’anima: né la sua né quella del prossimo. Ma, siccome altro è mentire e altro nascondere il vero, cioè altro è dire il falso e altro tacere la verità, se per caso qualcuno non vuole consegnare un suo simile a questa morte temporale, deve esser pronto a celare la verità, non a dire il falso: così non tradirà e non mentirà, in modo da non uccidere la sua anima al posto del corpo di un altro. Ma se non può fare neppure questo, almeno usi unicamente delle menzogne adeguate a questa necessità in modo che anche da queste, se son rimaste le uniche, meriti di esser liberato e di ricevere il vigore dello Spirito Santo per poter disprezzare tutto quanto deve sopportare in nome della verità. Vi sono solo due generi di menzogna che non comportano grave colpa, e che tuttavia non ne sono esenti: quando scherziamo, oppure diciamo il falso per giovare a qualcuno. Nel primo caso, scherzando, la menzogna non è troppo dannosa, perché non trae in inganno: colui che la ascolta, sa infatti che è detta per giuoco. Nel secondo caso, poi, è ancora più compatibile perché contiene una certa bontà. Anzi, quando non vi è doppiezza di cuore, neppure si può dire che vi sia menzogna: come, ad esempio, nel caso in cui sia affidata una spada a qualcuno con la promessa di restituirla quando chi gliel’ha data la richiederà; ma se [il proprietario della spada] la richiede mentre è in preda all’ira, è chiaro che in tal caso non deve essergli restituita, finché non è tornato padrone di sé, nel timore che uccida se stesso o altri. Qui non vi è doppiezza di cuore, perché colui cui è stata affidata la spada, nel promettere di restituirla alla richiesta del proprietario, non pensava che questi avrebbe potuto esigerla mentre era in preda alla collera. E del resto, anche il Signore celò la verità, allorché disse al discepoli non ancora preparati: molte cose ho da dirvi, ma ora non potete sopportarle (Jn 16,12), e l’apostolo Paolo nel dire: non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come a carnali (1Co 3,1). È chiaro dunque che non è una colpa tacere qualche volta la verità. Non ci risulta però che sia permesso ai perfetti dire il falso.

8. [vv 7.8.] Il Signore abominerà l’uomo sanguinario e fraudolento. Può sembrare una ripetizione di quanto è detto prima: Hai in odio tutti coloro che operano l’iniquità, perderai tutti coloro che dicono menzogna, in modo da riferire l’appellativo uomo sanguinario a colui che opera iniquità, e l’aggettivo fraudolento a colui che dice menzogna. La frode, infatti, consiste nel compiere una cosa e nel simularne un’altra. Ha usato un conveniente termine, dicendo abominerà: infatti i diseredati sono soliti esser detti abominati. Ma questo salmo è per colei che riceve l’eredità, la quale subito dopo manifesta la gioia della sua speranza, dicendo: io invece, nella moltitudine della tua misericordia, entrerò nella tua casa. Nella moltitudine della misericordia significa forse nella folla degli uomini perfetti e beati, i quali costituiranno quella città che la Chiesa ora genera e a poco a poco dà alla luce. Come negare che la folla degli uomini rigenerati e perfetti è chiamata giustamente moltitudine della misericordia di Dio, quando con grande verità è detto: che cosa è l’uomo, perché tu ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo che tu ti prenda cura di lui? (Ps 8,5) Entrerò nella tua casa, io credo che sia detto come per intendere una pietra che si colloca nell’edificio. Che cos’altro è la casa di Dio, se non il tempio di Dio, del quale è detto: Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi (1Co 3,17)? E la pietra angolare (Cf. Ep 2,20) di questo edificio è Colui che ha assunto la Potenza coeterna del Padre e la Sapienza di Dio.

9. Mi prosternerò verso il tuo santo tempio, nel tuo timore. Intendiamo verso il tempio come se dicesse presso il tempio. Non dice: mi prosternerò nel tuo santo tempio, ma: mi prosternerò verso il tuo santo tempio. E queste parole si intendono riferite non alla perfezione, ma al progresso verso la perfezione, in modo che entrerò nella tua casa significa appunto la perfezione; ma, per pervenire a tanto, prima mi prosternerò - è detto - verso il tuo santo tempio. Proprio per questo forse ha aggiunto: nel tuo timore, perché il timore è una grande protezione per chi avanza verso la salvezza. Quando vi sarà giunto, si compiranno in lui le parole: l’amore perfetto caccia fuori il timore (1Jn 4,18), perché non temono più l’amico coloro ai quali è detto: non vi chiamerò più servi, ma amici (Jn 15,15), quando saranno stati condotti a ciò che è stato loro promesso.

10. [vv 9.10.] Signore guidami nella tua giustizia a cagione dei miei nemici. Qui chiaramente ha dimostrato di essere in cammino, cioè in via di avanzamento verso la perfezione, non ancora nella perfezione medesima, in quanto supplica di esservi guidato. Nella tua giustizia dice, non in quella che sembra tale agli uomini: infatti, anche rendere male per male sembra giustizia: ma non è la giustizia di Colui del quale è detto che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e i malvagi (Mt 5,45). Dio infatti, anche quando punisce i peccatori, non infligge loro un male suo, ma li abbandona ai loro mali. Ecco - dice - ha partorito ingiustizia, ha concepito sventura e generato iniquità; ha aperta una buca e l’ha scavata ed è caduto nella fossa che ha fatta; il suo male ricadrà sul suo capo, e discenderà sulla sua testa la sua iniquità (Ps 7,15-17). Dunque, quando Dio punisce, punisce come giudice coloro che hanno trascurata la legge, non cagionando loro un male che deriva da Lui stesso, ma ricacciandoli in ciò che essi medesimi hanno scelto per colmare la somma delle loro miserie. L’uomo invece, quando restituisce male per male, lo fa con intenzione malvagia: per questo egli stesso per primo è malvagio, mentre vuole punire il male.

11. Dirigi al tuo cospetto il mio cammino. Qui è ben chiaro che egli raccomanda il tempo in cui avanza: si tratta infatti di un cammino che non passa attraverso i luoghi della terra, ma attraverso i sentimenti dell’animo. Dice: al tuo cospetto dirigi il mio cammino, per quella via cioè che non vede nessuno degli uomini, ai quali non si deve credere né quando lodano né quando offendono; infatti in nessun modo gli uomini possono dare giudizi sulla coscienza altrui, nella quale appunto si svolge il cammino verso Dio. Per questo aggiunge: giacché la verità non è sulla loro bocca, sulla bocca cioè di coloro ai cui giudizi non si deve prestare fede e quindi occorre trovar rifugio dentro la coscienza e al cospetto di Dio. Il loro cuore è vano. Come può essere la verità sulla bocca di coloro il cui cuore si inganna a proposito del peccato e della pena del peccato? Ne consegue che nuovamente gli uomini sono richiamati da quella voce: perché amate la vanità e cercate la menzogna? (Ps 4,3)

12. [v 11.] Sepolcro spalancato è la loro gola. Possiamo riferire queste parole a significare la voracità, per la quale sovente gli uomini mentono a scopo di adulazione. Mirabilmente ha detto: sepolcro spalancato, perché quella voracità sta sempre a bocca aperta, non come i sepolcri i quali, una volta accolti i cadaveri, sono sigillati. Si può anche intendere che attirano a sé, con la menzogna e con la sottile adulazione, coloro che inducono a peccare, ed in certo modo li divorano spingendoli al loro modo di vivere. E poiché ad essi avviene di morire nel peccato, giustamente vengono chiamati sepolcri spalancati coloro dai quali sono indotti a peccare: infatti sono anch’essi in un certo qual modo morti, non avendo in sé la vita della verità; e in se medesimi accolgono come morti coloro che, uccisi dalle parole fallaci e dal cuore vano, rendono simili a se stessi. Con le loro lingue tramavano inganni; cioè con lingua malvagia, poiché questo sembra indicare con quel loro, dato che i malvagi hanno lingue malvage, cioè dicono cose cattive nel tessere inganni. Ad essi il Signore dice: come potete dire cose buone, dato che siete malvagi? (Mt 12,34)

13. Giudicali, o Dio, falliscano nei loro disegni. È una profezia, non una maledizione. Non esprime infatti il desiderio che così accada, ma vede ciò che accadrà: e ciò accade loro non perché egli sembra averlo desiderato, ma perché essi sono tali da meritare che così accada. Nello stesso senso, infatti, anche le parole che seguono: si rallegrino tutti coloro che sperano in te, sono dette in senso profetico, in quanto vede che costoro si allieteranno. Pure in senso profetico è stato detto: ridesta la tua potenza e vieni (Ps 79,3), poiché vedeva che sarebbe avvenuto. Quantunque le parole: falliscano nei loro disegni, possano essere intese anche altrimenti: - si può infatti credere che egli desideri ancor di più proprio che essi desistano dai loro malvagi pensieri, cioè non pensino più cose malvage, - peraltro questa interpretazione ci è vietata dalle parole che seguono: cacciali via. In nessun modo possiamo intendere in senso buono, il fatto che qualcuno sia scacciato da Dio. Ecco perché si intende in senso profetico e non come una maledizione quanto qui si dice: è qui additato che necessariamente così accadrà, a coloro che avranno preferito perseverare nei peccati qui menzionati. È dunque detto: cadano dai loro pensieri, ossia cadano sotto l’accusa dei loro stessi pensieri, grazie alla testimonianza della loro coscienza, come dice l’Apostolo, e dei loro pensieri, che ora li accusano ora li difendono, nella rivelazione del giusto giudizio di Dio (Rm 2,15 Rm 16).

Condanna degli empi.

14. Secondo la moltitudine delle loro empietà, scacciali, cioè scacciali lontano; ossia siano scacciati così lontano quanto merita la moltitudine della loro empietà. Gli empi sono dunque scacciati da quella eredità che si possiede comprendendo e vedendo Dio; così come gli occhi infermi sono scacciati dal fulgore della luce in quanto è pena per essi ciò che per altri è gioia. Costoro perciò non si presenteranno al mattino e vedranno. Questo allontanamento è una pena tanto grande quanto grande è quel premio a proposito del quale è detto: ma per me è bene star stretto a Dio (Ps 72,28). Il contrario di questa pena è: entra nel gaudio del tuo Signore, mentre simile a questa espulsione è: gettatelo nelle tenebre esteriori (Mt 25,21 Mt 30).

Al peccatore la verità è sgradita.

15. Perché ti hanno amareggiato, Signore. Egli dice: Io sono il pane che è disceso dal cielo (Jn 6,51), e: Lavorate per il nutrimento che non si corrompe (Jn 6,27), e: gustate e vedete quanto è dolce il Signore (Ps 33,9). Ma il pane della verità è amaro per i peccatori e per questo hanno odiato la bocca che dice la verità. Hanno dunque amareggiato Dio coloro i quali, peccando, sono caduti in una tale debolezza da non poter più tollerare, quasi fosse fiele, quel cibo della verità di cui godono le anime sane.

Il giusto è tempio di Dio.

16. [v 12.] E si allietino tutti coloro che sperano in te, ai quali, senza dubbio, nel gustarlo, il Signore appare dolce. In eterno esulteranno e tu abiterai in loro. Sarà dunque questa la eterna esultanza, quando i giusti diverranno il tempio di Dio, e il medesimo Abitatore sarà il loro gaudio. E si glorieranno in te tutti coloro che amano il nome tuo, in quanto è presente in loro, perché ne godano, ciò che amano. Giustamente dice in te, in quanto possessori della eredità di cui si parla nel titolo del salmo, e nel contempo essi stessi sono l’eredità di lui, come appunto vogliono intendere le parole: abiterai in loro. Sono respinti da questo bene coloro che Dio ha scacciati, secondo la moltitudine delle loro empietà.

Gratuità della vocazione.

17. [v 13.] Perché tu benedirai il giusto. Questa è la benedizione, gloriarsi in Dio ed essere abitati da Dio. Tale santificazione è concessa ai giusti: ma, per essere giustificati, occorre prima la vocazione la quale non dipende dai loro meriti, ma dalla grazia di Dio. Tutti infatti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio (Rm 3,23). E quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; e quelli che ha giustifìcati, li ha anche glorificati (Cf. Rm 8,30). Proprio perché la vocazione non deriva dai nostri meriti, ma dalla bontà e dalla misericordia di Dio, soggiunge: Signore, come con lo scudo della tua buona volontà ci hai coronati. La buona volontà di Dio per chiamare i peccatori a penitenza precede infatti la nostra buona volontà. E queste stesse sono le armi da cui è sconfitto il nemico, contro il quale sono rivolte le parole: chi accuserà gli eletti di Dio? e: se Dio è con noi, chi è contro di noi? Egli che non ha risparmiato l’unico suo Figlio, ma per tutti noi lo ha dato (Rm 8,33 Rm 31). Poiché, se, essendo ancora peccatori, Cristo è morto per noi, molto di più, riconciliati, saremo salvi dall’ira per suo mezzo (Rm 5,9 Rm 10). Questo è lo scudo invitto, dal quale è respinto il nemico che tenta di farci disperare della salvezza con innumerevoli tribolazioni e tentazioni.

18. Concludendo, da dove è scritto: Esaudisci le mie parole, Signore, fino a: mio Re e mio Dio, tutto il testo del salmo consiste in una preghiera per essere esauditi. Poi, da dove è scritto: poiché a te pregherò, Signore, al mattino esaudirai la mia voce, fino a: il Signore abominerà l’uomo sanguinario e fraudolento, il salmo è una esposizione delle cose che impediscono [all’anima] di vedere Dio, ossia un chiarimento perché si renda conto che è stata esaudita. In terzo luogo, da dove è scritto: io, invece, nella moltitudine della tua misericordia, fino a: mi prosternerò verso il tuo santo tempio nel tuo timore, l’anima spera di divenire la casa di Dio e di avvicinarsi fin da ora a Lui nel timore, prima di raggiungere quella perfezione che scaccia la paura. In quarto luogo, da dove è scritto: Signore guidami nella tua giustizia a cagione dei miei nemici, fino a: con le loro lingue operavano inganni, mentre avanza e progredisce in mezzo a quelle stesse cose dalle quali si sente ostacolata, prega per essere aiutata nell’intimo, ove nessun uomo vede, onde non essere distolta dalle lingue malvage. In quinto luogo, da dove è scritto: giudicali o Dio, sino alla fine del salmo, si profetizza quale pena sovrasta gli empi, dato che a stento si salverà il giusto; e quale premio conseguiranno i giusti i quali, chiamati, sono venuti e hanno virilmente sopportato ogni cosa per tutto il tempo in cui sono stati guidati.


Agostino Salmi 4