Agostino Salmi 8

SUL SALMO 8

8 Ps 8

ESPOSIZIONE

Il significato di “ torchi ”.

1. [v 1.] Per la fine, per i torchi: salmo di David stesso. Non sembra che nel testo di questo salmo, che ha un simile titolo, si dica qualcosa dei torchi; dal che risulta che, spesso, nelle Scritture, sotto molte e diverse similitudini si intende una sola e medesima cosa. Possiamo perciò nei torchi vedere le chiese, per la stessa ragione per cui vediamo anche nell’aia la Chiesa. Sia nell’aia sia nel torchio infatti non si compie niente altro se non la liberazione dei frutti dai tegumenti, necessari perché nascessero, crescessero e giungessero alla maturità sia della mietitura che della vendemmia. Orbene, quanto a questi tegumenti e peduncoli, il frumento si libera nell’aia dalla pula, e il vino si libera nel torchio dalle vinacce; allo stesso modo, nelle chiese, si separano in forza di spirituale amore, ad opera dei ministri di Dio, i buoni dalla moltitudine degli uomini del secolo che sta riunita insieme con loro; moltitudine che era necessaria ai buoni perché nascessero e divenissero idonei a ricevere la parola divina. Questa divisione si verifica anche ora, in modo però che i buoni sono separati dai malvagi, non nello spazio ma nell’amore, anche se gli uni e gli altri stanno insieme nelle chiese per quanto si riferisce alla presenza corporale. Verrà poi un altro tempo nel quale il frumento sarà raccolto nei granai e il vino nelle cantine. Dice: il grano raccoglierà nei granai, mentre brucerà la pula nel fuoco inestinguibile (Lc 3,17). In un’altra similitudine si può intendere la stessa cosa: il vino raccoglierà nelle cantine, mentre getterà le vinacce al bestiame in modo che i ventri delle bestie possano raffigurare - in similitudine - le pene dell’inferno.

2. Possiamo interpretare i torchi anche in un altro modo, senza tuttavia rinunziare a vedere in essi le chiese. Possiamo infatti scorgere nell’uva anche il Verbo divino: anche il Signore è stato chiamato grappolo d’uva, che portarono dalla terra promessa, sospeso a un ramo come fosse crocifisso (Cf. Nb 13,24) coloro che erano stati mandati in avanscoperta dal popolo di Israele. Ora, allorché il Verbo divino, per la necessità dell’enunciazione, assume suono di voce per giungere all’orecchio degli ascoltatori, nel medesimo suono della voce si racchiude il significato come il vino nelle vinacce; e così questa uva giunge all’orecchio come al pressatoio ove sono situati i torchi. Si compie infatti qui la separazione, per cui il suono si ferma alle orecchie, mentre il senso si raccoglie nella memoria di coloro che ascoltano, come in una specie di tino, da cui passa nella disciplina dei costumi e nell’atteggiamento della mente, come (il vino) passa dal tino nelle cantine, ove, se non diverrà aceto per negligenza, acquisterà vigore con l’invecchiare. Presso i Giudei è divenuto aceto, ed essi diedero da bere al Signore questo aceto (Cf. Jn 19,29). È infatti necessario che quel vino, generato dalla vite del Nuovo Testamento e che il Signore berrà insieme con i suoi santi nel regno del Padre suo (Cf. Lc 22,18), sia dolcissimo e robustissimo.

3. Si suole scorgere anche il martirio nel torchio, in quanto, essendo stati premuti dalla violenza delle persecuzioni coloro che hanno confessato il nome di Cristo, i loro resti mortali rimarranno in terra come le vinacce, mentre le loro anime voleranno nella pace della dimora celeste. Neppure questa interpretazione si allontana dalla fruttificazione delle chiese. Quindi si canta il salmo per i torchi, cioè per la fondazione della Chiesa, quando il nostro Signore è asceso al cielo dopo essere risorto: è allora che ha mandato lo Spirito Santo, ricolmi del quale i discepoli hanno predicato con fiducia la parola di Dio, onde costituire le chiese.

4. [v 2.] Per questo è detto: o Signore, Signore nostro, quanto è ammirabile il tuo nome in tutta la terra! Chiedo: perché è ammirabile il suo nome in tutta la terra? Mi si risponde: perché la tua magnificenza è innalzata sopra i cieli. Il senso è dunque questo: o Signore, tu che sei il nostro Signore, quanto ti ammirano tutti coloro che abitano la terra! Perché la tua magnificenza si è innalzata dalla umiltà terrena fin sopra i cieli. Di là infatti si è reso manifesto chi eri tu che, ne discendevi, quando alcuni hanno visto, e altri hanno creduto, ove tu salivi.

La Chiesa è costituita anche da peccatori.

5. [v 3.] Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto perfetta lode, contro i tuoi nemici. Non posso ritenere che si tratti di fanciulli e di lattanti diversi da quelli ai quali dice l’Apostolo: come a fanciulli in Cristo vi ho dato da bere il latte, non il cibo solido (1Co 3,1 1Co 2). Tali fanciulli erano raffigurati da quei bambini che precedevano il Signore inneggiando a lui, ai quali applicò il Signore stesso questa testimonianza quando, ai Giudei che gli dicevano di rimproverarli, rispose: non avete letto: dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto perfetta lode? (Mt 21,16) Giustamente non dice: hai tratto lode, ma: hai tratto perfetta lode. Vi sono infatti nelle chiese anche coloro che non bevono più il latte, ma mangiano il cibo solido, ai quali allude lo stesso Apostolo dicendo: parliamo della sapienza tra i perfetti (1Co 2,6). Le chiese, peraltro, non si compongono solo di questi, perché se vi fossero soltanto perfetti non si provvederebbe al (bene del) genere umano. Ed invece si provvede, quando anche coloro che non sono ancora capaci della conoscenza delle cose spirituali ed eterne, sono nutriti con la fede della storia temporale, la quale, dopo i Patriarchi e i Profeti, è stata governata per la nostra salvezza dalla superiore potenza e sapienza di Dio anche con il mistero dell’assunzione della natura umana, nella quale [fede] risiede la salvezza per ogni credente, in modo che mosso dall’autorità, obbedisca ai comandamenti; e ciascuno, purificato da essi e radicato e stabilito nella carità, possa correre insieme con i santi non più come un bambino [da nutrirsi] con il latte, ma come un giovane capace del cibo solido, e comprendere la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere anche la sovraeminente scienza della carità di Cristo (Cf. Ep 3,18 Ep 19).

Scienza e fede.

6. Dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai tratto perfetta lode, contro i tuoi nemici. Per nemici di questa [opera di] salvezza, compiuta per mezzo di Gesù Cristo e della sua crocifissione, dobbiamo intendere in generale tutti coloro che dicono di non credere nel Mistero, e promettono una scienza certa; come appunto fanno tutti gli eretici e coloro che sono detti filosofi nella superstizione dei gentili. Non perché la promessa della scienza sia da condannarsi, ma perché costoro pensano di poter trascurare quel salutare e necessario gradino della fede, mezzo indispensabile per elevarci a qualcosa di certo, che non può essere se non l’eterno. Da ciò risulta che costoro non posseggono neppure quella scienza che promettono disprezzando la fede, perché disconoscono questo gradino tanto utile e necessario. Per questo il nostro Signore ha tratto perfetta lode dalla bocca dei bambini e dei lattanti dando dapprima il precetto per mezzo dei profeti: se non avrete creduto non intenderete (Is 7,9 sec. LXX), e dicendo poi egli stesso di persona: beati coloro che non avranno visto e crederanno (Jn 20,29). Contro i nemici, ossia contro coloro a proposito dei quali dice anche: ti confesso, Signore del cielo e della terra, perché hai celato queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25). Ha detto ai sapienti non perché sono sapienti, ma perché credono di esserlo. Per annientare il nemico e difensore. Chi è costui se non l’eretico? È infatti insieme nemico e difensore colui che, mentre combatte la fede cristiana, sembra difenderla. Tuttavia possono essere definiti correttamente nemici e difensori anche i filosofi di questo mondo, dato che il Figlio di Dio è Potenza e Sapienza di Dio, da cui è illuminato chiunque diventa sapiente per mezzo della verità. Costoro si proclamano amici della verità, e anche per questo sono detti filosofi: ecco perché sembrano difenderla, mentre sono suoi nemici, perchée non cessano di insinuare nocive superstizioni per fare adorare e venerare gli elementi di questo mondo.

Lo Spirito Santo dito di Dio.

7. [v 4.] Giacché vedrò i cieli, opera delle tue dita. Leggiamo che è stata scritta dal dito di Dio la Legge data per mezzo di Mosè, suo santo servo (Cf. Ex 31,18 Dt 9,10); e molti in questo dito di Dio riconoscono lo Spirito Santo. Per questa ragione se intendiamo giustamente come dita di Dio i ministri stessi ricolmi dello Spirito Santo - poiché è lo Spirito stesso che opera in essi, ed è per loro mezzo che è stata redatta a nostro vantaggio tutta la divina Scrittura - altrettanto giustamente intenderemo che sono detti cieli, in questo passo, i libri dell’uno e dell’altro Testamento. Sta di fatto che i maghi del re Faraone, dopo essere stati vinti da Mosè, dissero di lui: questi è il dito di Dio (Ex 8,19); sta inoltre scritto: il cielo sarà piegato come un libro (Is 34,4); anche se così è detto di questo cielo etereo, opportunamente tuttavia con questa stessa similitudine si nominano i cieli per intendere allegoricamente i libri. Giacché vedrò - dice - i cieli, opera delle tue dita, cioè vedrò e comprenderò le Scritture, che tu hai scritte per mezzo dei tuoi ministri grazie all’opera dello Spirito Santo.

Non c'è vera scienza senza fede.

8. Possiamo vedere questi stessi libri anche in quei cieli che ha menzionato prima, quando ha detto: perché la tua magnificenza è innalzata sopra i cieli, in modo che il senso integrale sia questo: invero la tua magnificenza è innalzata sopra i cieli, in quanto la tua gloria supera l’eloquenza di tutte le Scritture. E hai tratto perfetta lode dalla bocca dei bambini e dei lattanti, affinché inizino dalla fede nelle Scritture coloro che desiderano pervenire alla conoscenza della tua gloria, che si innalza sopra le Scritture stesse, in quanto trascende e supera le espressioni di ogni parola e di ogni linguaggio. Dio ha dunque piegato le Scritture fino alla capacità dei bambini e dei lattanti, come si canta in un altro salmo: piegò il cielo e discese (Ps 17,10), e ha fatto questo a cagione dei nemici, i quali, contrastando con la superbia della loro loquacità la croce di Cristo, anche quando dicono qualcosa di vero, non possono tuttavia giovare ai fanciulli e ai lattanti. Così è annientato il nemico e difensore, il quale, mentre sembra tutelare la sapienza e anche il nome di Cristo, allontanandosi dal gradino di questa fede, combatte quella verità che promette con tanta prontezza. Ecco perché mostra chiaramente di non possederla, dato che, opponendosi al gradino che a lei conduce, cioè alla fede, non conosce in qual modo si può giungere ad essa. Viene così annientato colui che - temerario e cieco - promette la verità (ed invece è nemico e difensore), allorché si manifestano i cieli opera delle dita di Dio; quando cioè vengono comprese le Scritture, piegate fino al livello della debolezza dei fanciulli, e questi, attraverso l’umiltà della fede nella storia che si è attuata nel tempo, sono innalzati, ben nutriti e rinvigoriti, alla sublimità della conoscenza delle cose eterne, e in esse confermati. Dunque questi cieli, cioè questi libri, sono opera delle dita di Dio: perché sono stati redatti dallo Spirito Santo che opera nei santi. Infatti coloro che si sono curati della propria gloria piuttosto che della salvezza degli uomini, hanno parlato senza quello Spirito Santo, che ha le viscere della misericordia di Dio.

9. Giacché vedrò i cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fondate. La luna e le stelle sono fondate nei cieli, perché anche la Chiesa universale (ad indicar la quale spesso si pone la luna) e le chiese particolari di ogni singola regione (che credo siano simboleggiate con il nome di stelle) sono collocate in quelle stesse Scritture che riteniamo essere rappresentate nella parola cieli. Perché poi la luna designi a ragione la Chiesa, lo considereremo con più agio in un altro Salmo, laddove si dice: i peccatori hanno teso l’arco, per saettare i retti di cuore mentre oscura è la luna (Ps 10,3).

Rapporto tra uomo e figlio dell'uomo.

10. [v 5.] Che cosa è l’uomo, che tu ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo, che tu lo visiti? Ci si può chiedere quale differenza vi sia tra l’uomo e il figlio dell’uomo. Se non vi fosse alcuna differenza, il salmista non avrebbe scritto così: l’uomo, o il figlio dell’uomo, separandoli con la disgiunzione. Se fosse scritto infatti: che cosa è l’uomo che tu ti ricordi di lui, e il figlio dell’uomo che tu lo visiti, sembrerebbe trattarsi di una ripetizione della parola uomo; ma siccome qui leggiamo l’uomo, o il figlio dell’uomo, si suggerisce chiaramente che vi è una differenza. Dobbiamo senz’altro intendere così, perché mentre ogni figlio dell’uomo è uomo, non ogni uomo può essere ritenuto figlio dell’uomo. Adamo infatti era uomo, ma non figlio dell’uomo. Ecco perché è fin d’ora lecito esaminare e distinguere quale differenza vi sia in questo luogo tra l’uomo e il figlio dell’uomo, in modo che coloro che portano l’immagine dell’uomo terreno - che non è figlio dell’uomo - siano indicati con il nome di uomini; mentre coloro che portano l’immagine dell’uomo celeste siano piuttosto chiamati figli degli uomini (Cf. 1Co 15,49). Quello, infatti, è detto anche uomo vecchio, e questo nuovo (Cf. ); ma il nuovo nasce dal vecchio, perché la rigenerazione spirituale si inizia con il mutamento della vita terrena e secolare; e perciò l’uomo nuovo è detto figlio dell’uomo. Orbene, in questo passo l’uomo è quello terreno, mentre il figlio dell’uomo è l’uomo celeste; il primo è ben lontano da Dio, il secondo è presente a Dio: ecco perché il Signore si ricorda del primo, come di chi si trova lontano, mentre visita il secondo, che, presente, illumina con il suo volto. Lontana - infatti - è la salvezza dai peccatori (Ps 118,155), e impressa è in noi la luce del tuo volto, o Signore (Ps 4,7). Così, in un altro salmo, avendo associato gli uomini agli animali, non per la loro attuale interiore illuminazione ma per quell’effusione della misericordia di Dio, a motivo della quale la sua bontà si estende fino alle più basse creature, dice che [gli uomini] sono salvati insieme con gli stessi animali; poiché la salvezza degli uomini carnali è carnale come quella delle bestie. Invece, separando i figli degli uomini da quelli che - [chiamati] uomini - aveva associato agli animali, annunzia che saranno beati in un modo di gran lunga più sublime, nella illuminazione della stessa verità e come in una sorta di inondazione della fonte di vita. Dice infatti: uomini e animali salverai, Signore, così come si è moltiplicata la tua misericordia, o Dio. Ma i figli degli uomini spereranno nella protezione delle tue ali. Si inebrieranno nella abbondanza della tua casa, e tu li disseterai al torrente delle tue delizie. Perché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce. Dispiega la tua misericordia su coloro che ti conoscono (Ps 35,7-11). Si ricorda dunque dell’uomo, come degli animali, nella moltiplicazione della sua misericordia poiché la misericordia moltiplicata giunge fino a coloro che sono lontani; invece visita il figlio dell’uomo al quale porge, dopo averlo posto sotto la protezione delle sue ali, la misericordia, e al quale offre la luce nella sua luce, e lo disseta alle sue delizie, e lo inebria nell’abbondanza della sua casa, affinché dimentichi le sofferenze e gli errori della vita passata. La penitenza dell’uomo vecchio partorisce, con dolore e gemito, questo figlio dell’uomo, cioè l’uomo nuovo. Questi, sebbene sia nuovo, è tuttavia detto ancora carnale, quando è nutrito con il latte: non vi ho potuto parlare come a uomini spirituali, ma come a uomini carnali, dice l’Apostolo, e, per mostrare poi che sono già rigenerati, aggiunge: come fanciulli in Cristo vi ho dato da bere il latte, non il cibo solido. Se, come spesso accade, costui ricadrà nella vecchia vita, si sentirà dire, con tono di rimprovero, che è uomo: forse che non siete uomini - dice - e secondo l’uomo camminate? (1Co 3,1-3)

11. [vv 6.7.] Orbene, il figlio dell’uomo è visitato dapprima nello stesso Uomo del Signore, nato da Maria Vergine. Di lui, a cagione della stessa debolezza della carne che la Sapienza di Dio si è degnata di assumere e della umiliazione della passione, è detto giustamente: lo hai fatto di un poco inferiore agli angeli. Ma si aggiunge poi quella glorificazione nella quale, risorgendo, è asceso al cielo: di gloria - dice - e di onore lo hai coronato; lo hai costituito sopra le opere delle tue mani. Poiché anche gli angeli sono opere delle mani di Dio, comprendiamo che anche al di sopra degli angeli è stato costituito il Figlio Unigenito, che abbiamo sentito, e crediamo, essere stato reso un poco inferiore rispetto agli angeli a causa della umiltà della sua generazione carnale e della passione.

Nobiltà e grandezza di Cristo.

12. [vv 8.9.] Tutte le cose - dice - hai poste sotto i suoi piedi. Non eccettua niente, dicendo tutte le cose. E per evitare che si intenda altrimenti, l’Apostolo così ci ordina di credere: eccetto colui che tutto gli ha sottomesso (1Co 15,27). Scrivendo agli Ebrei si serve della medesima testimonianza di questo salmo, quando vuol far intendere che tutte le cose sono sottomesse al nostro Signor Gesù Cristo, tanto che niente è eccettuato (Cf. He 2,8). Non sembra tuttavia aggiungere niente di straordinario, dicendo: le pecore e i buoi tutti, in più anche gli animali dei campi, gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare. Sembra infatti aver sottomesso al Signore soltanto gli animali, avendo lasciato da parte le Virtù e le Potenze, e tutti gli eserciti degli angeli, e tralasciando gli uomini stessi; a meno che non si vedano nelle pecore e nei buoi le anime sante [nel senso] che o danno i frutti dell’innocenza, oppure si adoperano affinché la terra dia frutto, cioè affinché gli uomini terreni siano rigenerati nella abbondanza spirituale. In queste anime sante dobbiamo perciò vedere non soltanto gli uomini, ma anche tutti gli angeli, se vogliamo con queste parole intendere che tutte le cose sono soggette al nostro Signore Gesù Cristo. Non c’è infatti creatura che non sia soggetta a colui al quale sono soggetti, per esprimerci così, gli spiriti superiori. Ma come possiamo provare che si possono vedere nelle pecore anche gli spiriti supremamente beati, non gli uomini, ma gli spiriti angelici? Forse con le parole del Signore, che dice di aver lasciato sui monti, cioè nei luoghi più sublimi, novantanove pecore, e di essere disceso a causa di una sola (Cf. Mt 18,12)? Se intendiamo infatti per quella sola pecora l’anima umana caduta in Adamo, in quanto anche Eva fu fatta dal suo fianco (Cf. Gn 2,22) - tutte cose di cui ora non è il momento di trattare e di trarne il senso spirituale -, non ci resta che vedere nelle novantanove pecore lasciate sui monti gli spiriti non umani, ma angelici. Riguardo ai buoi, l’affermazione si delucida facilmente, dato che gli uomini stessi sono chiamati buoi in quanto imitano gli angeli nell’annunziare la parola di Dio, come risulta dalle parole: non metterai il freno alla bocca del bue che trebbia. Premesso questo, quanto più facilmente possiamo vedere nei buoi gli angeli messaggeri di verità, dato che sono chiamati buoi gli stessi Evangelisti, poiché partecipano del loro nome (Dt 25, 4, cf. 1Co 9,3 1Tm 5,18)? Hai sottomesso - dice dunque - le pecore e i buoi tutti, cioè tutte le creature sante e spirituali; nelle quali intendiamo anche i santi uomini che sono nella Chiesa, cioè in quei torchi che, in un’altra similitudine, sono raffigurati nella luna e nelle stelle.

13. In più - dice - anche gli animali dei campi. L’aggiunta in più non è affatto inutile. In primo luogo perché gli animali del campo possono essere anche le pecore e i buoi; in modo che, se gli animali delle rupi e dei luoghi scoscesi sono le capre, giustamente si intende con pecore gli animali del campo. Cosicché, anche se fosse scritto: le pecore e i buoi tutti e gli animali del campo, ci si chiederebbe giustamente che cosa significano questi animali del campo, dato che in essi possiamo vedere anche le pecore e i buoi. Siamo pertanto indotti a riconoscere l’esistenza di una certa differenza, proprio perché è aggiunto anche in più. Ma sotto queste parole - che suonano: in più - son posti non solo gli animali del campo, ma anche gli uccelli del cielo e i pesci del mare che percorrono le vie del mare. Ebbene, di quale differenza si tratta? Ricordiamoci dei torchi che hanno le vinacce e il vino, dell’aia che contiene la pula e il grano (Cf. Mt 13,24 ss), delle reti in cui sono chiusi i pesci buoni e cattivi (Cf. Mt 13,47 s), e dell’arca di Noè nella quale stavano gli animali puri e quelli immondi (Cf. Gn 7,8), e vedrai allora che le chiese di questo tempo transeunte contengono, fino all’ultimo giorno del giudizio, non solo le pecore e i buoi, cioè santi laici e santi ministri, ma in più anche gli animali del campo, gli uccelli del cielo, e i pesci del mare che percorrono le vie del mare. In modo quanto mai preciso sono raffigurati negli animali dei campi gli uomini immersi nei piaceri della carne, stato dal quale non si innalzano a niente di arduo, a niente di faticoso. Infatti il campo è anche la via larga che conduce alla morte (Cf. Mt 7,13), ed è nel campo che è ucciso Abele (Cf. Gn 4,8). Ecco perché è da temersi che uno, discendendo dai monti della giustizia di Dio (perché la tua giustizia - dice - è come i monti di Dio (Ps 35,7)), scegliendo la larghezza e la facilità dei piaceri carnali, sia così trucidato dal diavolo. Vedi poi ora negli uccelli del cielo i superbi, a proposito dei quali leggiamo: hanno messo la loro bocca in cielo (Ps 72,9). Guarda come siano trasportati in alto dal vento coloro che dicono: innalzeremo la nostra lingua, le nostre labbra sono con noi, chi è il nostro Signore? (Ps 11,5) Considera anche i pesci del mare, cioè quei curiosi che percorrono le vie del mare, ossia ricercano nell’abisso di questo mondo le cose temporali; le quali, simili alle vie [che si aprono] nel mare, all’istante svaniscono e scompaiono come l’acqua che subito si ricompone dopo aver fatto posto alle navi che passano o a qualsiasi altra cosa che transita o nuota in essa. Non ha detto infatti soltanto: camminano per le vie del mare, ma percorrono, mostrando così lo sforzo tenacissimo di coloro che ricercano le cose vane e passeggere. Orbene, questi tre generi di vizi, cioè il piacere della carne, la superbia e la curiosità, racchiudono tutti i peccati. Mi sembra che essi siano elencati dall’apostolo Giovanni, quando dice: non vogliate amare il mondo, perché tutte le cose che stanno nel mondo sono concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e ambizione del secolo ( 1Jn 2,15 1Jn 16). La curiosità si esercita soprattutto per mezzo degli occhi; a chi poi appartengano le altre cose, è evidentissimo. Del resto, la tentazione dell’Uomo del Signore fu appunto triplice: per mezzo del cibo, cioè della concupiscenza della carne, là dove gli viene suggerito: Di’ a queste pietre che diventino pani (Mt 4,3); per mezzo della vanagloria quando, dopo essere stato posto sul monte, gli vengono mostrati i regni di questa terra e gli vengono promessi se adorerà [il tentatore]; per mezzo della curiosità, quando gli viene proposto di gettarsi giù dal pinnacolo del tempio, per provare se sarebbe stato sorretto dagli angeli. Perciò, dopo che il nemico non riuscì a vincerlo con nessuna di queste tentazioni, è detto di lui: il diavolo dopo avere esaurito ogni tentazione (Lc 4,13). I torchi significano quindi che sono sottomessi ai suoi piedi, non soltanto il vino, ma anche le vinacce; vale a dire non soltanto le pecore e i buoi, cioè le sante anime dei fedeli, sia tra il popolo che tra i sacerdoti, ma, in più, anche gli animali del piacere, gli uccelli della superbia e i pesci della curiosità. Vediamo che ora nelle chiese tutti questi generi di peccatori sono frammisti con i buoni e i santi. Operi dunque nelle sue chiese, separi il vino dalle vinacce; quanto a noi adoperiamoci per essere vino, o pecore, o bovi; non vinacce, o animali del campo, o uccelli del cielo, o pesci del mare che percorrono le vie del mare. Tutti questi nomi, peraltro, possono essere anche intesi e spiegati in altro modo, a seconda del contesto: in altri passi infatti hanno un altro significato. Ma in ogni allegoria dobbiamo tenere presente questa norma: che nei confronti dell’argomento di cui si tratta si consideri quel che si dice in similitudine: è infatti questo l’insegnamento del Signore e degli Apostoli. Ripetiamo dunque l’ultimo verso, che si legge anche nell’esordio del salmo, e lodiamo Dio dicendo: o Signore, Signore nostro, quanto è ammirabile il tuo nome in tutta la terra! Invero opportunamente, dopo lo svolgimento del discorso si torna all’inizio, cui si deve riferire il sermone tutto intero.

SUL SALMO 9

9 Ps 9

ESPOSIZIONE

Il giudizio di Dio.

1. [v 1.] Il titolo di questo salmo è: per la fine, riguardo alle cose occulte del Figlio, salmo di David. Possiamo chiederci che cosa significhi riguardo alle cose occulte del Figlio; ma poiché non ha aggiunto di quale figlio, si deve intendere trattarsi dello stesso Figlio Unigenito di Dio. Dove ci si riferiva infatti al figlio di David, nel salmo che aveva per titolo: nel fuggire dal volto di Assalonne suo figlio (Ps 3,1), pur essendo stato espresso il suo nome e non potendo perciò restar dubbi sulla persona di cui si trattava, tuttavia non si diceva soltanto dal volto del figlio Assalonne, ma si era aggiunto suo. Invece qui, sia perché non ha aggiunto suo, sia perché dice molte cose concernenti i Gentili, non si può correttamente intendere Assalonne. La guerra che quell’empio condusse contro il padre non ha infatti in nessun modo attinenza con i Gentili, in quanto là era soltanto il popolo di Israele diviso ed in lotta con se stesso. Questo salmo si canta dunque sui segreti dell’Unigenito Figlio di Dio. Anche il Signore, quando dice Figlio senza aggiungere niente, vuol indicare se stesso, l’Unigenito, là dove dice: se il Figlio vi avrà liberati, allora sarete veramente liberi (Jn 8,36). Non ha detto: il Figlio di Dio; ma dicendo soltanto il Figlio, fa capire di chi è figlio. Tale modo di esprimersi è possibile solo per l’eccellenza di Colui del quale parliamo, tanto che, anche non nominandolo, si comprende a chi ci riferiamo. Diciamo infatti: piove, si rasserena, tuona, ed altre cose simili; non aggiungiamo chi è che le compie, perché spontaneamente si presenta alla mente di tutti la grandezza del loro autore, e non c’è bisogno di parole. Orbene, quali sono i segreti del Figlio? In questa parola dobbiamo prima di tutto comprendere che vi sono alcune cose del Figlio manifeste, dalle quali sono distinte queste che sono dette segrete. Perciò, dato che noi crediamo in due avventi del Signore, uno passato, che i Giudei non hanno compreso, ed uno futuro in cui speriamo noi e i Giudei; e poiché quest’avvento che i Giudei non hanno compreso ha giovato ai Gentili, si intende detto correttamente di tale avvento: riguardo ai segreti del Figlio, poiché in esso si è compiuta la cecità di una parte di Israele affinché entrasse la totalità dei Gentili (Cf. Rm 11,25). Inoltre, per chi osserva bene, sono due i giudizi cui fanno riferimento le Scritture, uno segreto e l’altro manifesto. Quello segreto si compie ora, e di esso dice l’apostolo Pietro: è tempo che cominci il giudizio dalla casa del Signore (1P 4,17); ne consegue che il giudizio segreto è la pena dalla quale attualmente ciascun uomo, o è tormentato perché si purifichi, o è ammonito perché si converta, oppure, se avrà disprezzato la chiamata e l’insegnamento di Dio, rimane accecato per la dannazione. Il giudizio manifesto è invece quello per cui il Signore, quando verrà, giudicherà i vivi e i morti, allorché tutti dovranno riconoscere che è lui ad assegnare i premi ai buoni e i supplizi ai malvagi. Ma allora tale confessione varrà non a rimedio dei mali, sibbene ad accumulare la condanna. Di questi due giudizi, uno segreto e l’altro manifesto, mi sembra abbia parlato il Signore dicendo: chi crede in me, passa dalla morte alla vita, e non verrà in giudizio (Jn 5,24), cioè nel giudizio manifesto. Infatti il passare dalla morte alla vita attraverso qualche sofferenza, con la quale colpisce ogni figlio che accoglie, è appunto il giudizio segreto. Chi invece non crede - dice - è già giudicato (Jn 3,18), ossia in questo segreto giudizio è già pronto per subire quello manifesto. Di questi due giudizi leggiamo anche nella Sapienza, ove sta scritto: perciò come a ragazzi scapestrati, mandasti loro un giudizio di beffa; ma coloro che da questo giudizio non furono corretti, sperimentarono il degno giudizio di Dio (Sg 12,25 Sg 26). Coloro, dunque, che non si correggono in seguito a questo segreto giudizio di Dio, saranno puniti come meritano in quello manifesto. È necessario quindi osservare in questo salmo le cose occulte del Figlio, cioè il suo umile avvento che portò giovamento alle genti, insieme con la cecità dei Giudei, e la pena che si attua ora in segreto, non ancora a dannazione dei peccatori, ma a stimolo per i convertiti, o ad ammonizione perché si convertano, oppure ad accecamento che predisponga alla dannazione quanti non hanno voluto convertirsi.

Due specie di miracoli.

2. [v 2.] Ti confesserò, Signore, con tutto il mio cuore. Confessa Dio con tutto il cuore non chi dubita riguardo a qualche cosa della sua provvidenza, ma chi vede già le cose occulte della sapienza di Dio e quanto grande sia il suo premio invisibile, e dice: rallegriamoci nelle tribolazioni (Rm 5,3), e [intende] come tutti i dolori che ci sono inflitti nel corpo, [siano] o per provare coloro che si sono convertiti a Dio, o per ammonirli a convertirsi, oppure per preparare gli ostinati alla giusta condanna estrema; in tal modo vengono attribuite al governo della provvidenza divina tutte le cose che gli stolti pensano che accadano come per caso o alla cieca e senza alcuna divina disposizione. Racconterò tutte le tue meraviglie. Narra tutte le meraviglie di Dio chi le vede compiersi, non solo visibilmente nei corpi, ma anche invisibilmente nelle anime: qui anzi, in modo di gran lunga più sublime e perfetto. Infatti gli uomini terreni, quando si dedicano alle cose occulte, provano più meraviglia per la resurrezione corporale di Lazzaro morto, che per la resurrezione spirituale di Paolo persecutore. Il miracolo visibile chiama l’anima verso l’illuminazione, mentre quello invisibile illumina l’anima che, chiamata, viene. Racconta dunque tutte le meraviglie di Dio colui che, credendo a quelle visibili, progredisce verso la comprensione di quelle invisibili.

3. [v 3.] Mi allieterò ed esulterò in te. Non più in questo mondo, non nel piacere del contatto tra i corpi, non nei sapori del palato e della lingua, non nella soavità dei profumi, non nella giocondità dei suoni che svaniscono, non nelle forme multicolori dei corpi, non nella vanità delle lodi umane, non nel matrimonio o nei figli che morranno, non nelle superfluità delle ricchezze temporali, non nella investigazione di questo mondo, sia per le cose che si estendono nello spazio, sia per quelle che si svolgono nel succedersi del tempo; ma mi allieterò ed esulterò in te, cioè nei segreti del Figlio, da cui si è impressa in noi la luce del tuo volto, o Signore (Cf. Ps 4,7). Infatti li nasconderai - dice - nel segreto del tuo volto (Ps 30,21). Si allieterà insomma ed esulterà in te colui che racconta tutte le tue meraviglie. E narrerà tutte le tue meraviglie - dato che ora si parla in profezia - colui che non è venuto per fare la sua volontà, ma la volontà di colui che lo ha mandato (Cf. Jn 6,38).

Uomo terreno e uomo celeste.

4. [v 4.] Così comincia già ad apparire la persona del Signore che parla in questo salmo. Infatti continua: inneggerò al tuo nome, o Altissimo, volgendo indietro il mio nemico. Quando si è voltato indietro questo nemico? Forse quando gli è stato detto: Va’ indietro, Satana (Mt 4,10)? Allora è stato infatti sospinto indietro colui che, tentando, desiderava mettersi innanzi, non riuscendo a ingannare il tentato e non potendo niente contro di lui; poiché all’indietro stanno gli uomini terreni, mentre l’uomo celeste è stato fatto per primo, sebbene sia venuto dopo. Giacché il primo uomo, tratto dalla terra, è terreno; il secondo uomo è dal cielo e celeste (Cf. 1Co 15,47), ma procedeva dalla stessa stirpe di colui che ha detto: chi viene dopo di me, è fatto prima di me (Jn 1,15). E l’Apostolo dimentica le cose che stanno indietro, per gettarsi verso quelle che gli stanno innanzi (Cf. Ph 3,13). Il nemico è stato dunque volto indietro non essendo riuscito a trarre in inganno l’uomo celeste quando fu tentato; e si rivolse agli uomini terreni, sui quali può esercitare il suo dominio. Ecco perché nessun uomo lo precede e lo fa volgere indietro, eccettuato colui che, deponendo l’immagine dell’uomo terreno, avrà assunta quella dell’uomo celeste (Cf. 1Co 15,49). Ma se volessimo intendere le parole: il mio nemico, come riferite in senso generale al peccatore o al pagano, non sarebbe cosa assurda; né esprimeranno un castigo le parole volgendo indietro il mio nemico, ma piuttosto un beneficio, anzi un beneficio tale che niente può essergli paragonato. Cosa c’è infatti di più beato che abbandonare la superbia, e non voler andare innanzi al Cristo (come se vi fosse un sano che non abbia bisogno del medico) ma preferire invece andare dietro a Cristo che, chiamando il discepolo alla perfezione, gli dice: seguimi (Mt 19,21)? È tuttavia più opportuno riferire al diavolo le parole: volgendo indietro il mio nemico. Infatti il diavolo è stato volto indietro anche nel perseguitare i giusti; ed è molto più utile come persecutore che se andasse innanzi come duce e principe. Dobbiamo dunque inneggiare al nome dell’Altissimo nel volgere indietro il nemico; perché dobbiamo preferire di fuggire lui come persecutore che seguirlo come guida. Abbiamo infatti ove fuggire e nasconderci nelle cose occulte del Figlio, poiché il Signore si è fatto rifugio per noi (Cf. Ps 89,1).

5. [vv 4.5.] Diverranno impotenti e periranno dal tuo cospetto. Chi diverrà impotente e perirà, se non gli iniqui e gli empi? Diverranno impotenti quando non saranno più capaci di niente; e periranno, cioè non saranno più empi, dal cospetto di Dio, cioè dinanzi alla conoscenza di Dio, come perì colui che disse: e vivo non più io, ma vive in me Cristo (Ga 2,20). Ma perché diverranno impotenti e periranno gli empi di fronte a te? Perché tu hai fatto il mio giudizio e la mia causa; cioè hai fatto mio quel giudizio in cui sembravo esser giudicato; e hai fatta mia quella causa nella quale gli uomini mi hanno condannato, mentre ero giusto e innocente. Tutte queste cose infatti hanno cooperato con lui alla nostra liberazione: in questo stesso senso anche i marinai chiamano loro il vento di cui si servono per navigare felicemente.

6. Ti sei assiso sul trono, tu che giudichi secondo equità. È forse il Figlio che dice questo al Padre, giacché il Figlio ha detto anche: non avresti potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto (Jn 19,21), attribuendo il potere alla equità del Padre ed ai suoi segreti, in quanto il giudice degli uomini è stato giudicato per il bene degli uomini; oppure è l’uomo che dice a Dio: ti sei assiso sul trono, tu che giudichi secondo equità, chiamando la sua anima trono di lui, in modo che il corpo sia forse la terra che fu detta sgabello dei suoi piedi (Cf. Is 66,1) (Dio era infatti in Cristo nel riconciliare in sé il mondo (Cf. 2Co 5,19)); o infine l’anima della Chiesa che, già perfetta e senza macchia né ruga (Cf. Ep 5,27), degna cioè dei segreti del Figlio - poiché il re l’ha introdotta nella stanza intima (Cf. Ct 1,3) - dica al suo sposo: ti sei assiso sul trono, tu che giudichi secondo equità, perché sei risorto da morte, sei asceso in cielo e siedi alla destra del Padre. Qualunque interpretazione si preferisca tra queste per spiegare il versetto, non esce dalla norma della fede.

Il mondo immagine dell'eternità.

7. [v 6.] Hai rimproverato le genti, e l’empio è perito. Riteniamo più opportuno intendere queste parole come rivolte al Signore Gesù Cristo, anziché dette da lui stesso. Chi altri ha rimproverato le genti - e l’empio è perito - se non colui che, dopo essere salito al cielo, ha mandato lo Spirito Santo, ricolmi del quale gli Apostoli hanno annunziato con fiducia la parola di Dio e hanno rimproverato liberamente i peccati degli uomini? In questo rimprovero è perito l’empio, perché l’empio è stato giustificato e trasformato in pio. Il loro nome hai distrutto nel secolo, e nel secolo del secolo. Il nome degli empi è distrutto, poiché non si chiamano empi coloro che credono al vero Dio. E il loro nome è distrutto nel secolo, cioè finché scorrerà il secolo temporale, e nel secolo del secolo. Che cosa è il secolo del secolo, se non ciò di cui questo secolo porta la immagine e come l’ombra? Infatti l’avvicendarsi dei tempi che si succedono gli uni agli altri - mentre la luna diminuisce e di nuovo cresce, il sole ripete ogni anno il suo corso, mentre la primavera e l’estate, l’autunno e l’inverno passano per ritornare - è una sorta di imitazione dell’eternità; ma il secolo di questo secolo è quello che costituisce la immutabile eternità. Come il verso [risuona] nell’anima e [risuona] nella voce, e quello si intende e questo si ode, e quello modifica questo: perciò quello si attua nell’arte e permane, mentre questo risuona nell’aria e svanisce; così la misura di questo secolo mutevole è stabilita da quel secolo immutabile che è detto secolo del secolo. Perciò, quello permane nell’Arte di Dio, cioè nella Sapienza e nella Potenza, mentre questo si attua nel governo della creazione. A meno che non si tratti di una ripetizione, in modo che, dopo aver detto nel secolo non sia stato aggiunto nel secolo del secolo, affinché non si intenda il tempo che passa. Leggiamo infatti così in molti esemplari greci: e  che molti latini hanno tradotto non nel secolo e nel secolo del secolo, ma in eterno e nel secolo del secolo, in modo che le parole nel secolo del secolo, siano spiegate col dire in eterno. Orbene, il nome degli empi hai distrutto in eterno, perché d’ora innanzi non vi saranno più empi. E se il loro nome non resiste in questo secolo, molto meno nel secolo del secolo.

Le città del diavolo.

8. [v 7.] Le lance del nemico sono venute meno per sempre. Non parla al plurale, cioè dei nemici, ma al singolare, di questo nemico. Le lance di quale nemico sono venute meno, se non quelle del diavolo? Esse raffigurano le diverse dottrine dell’errore, con le quali, come se fossero spade, quello uccide le anime. Per vincere queste spade e trascinarle alla disfatta, incalza quella spada della quale nel settimo salmo è detto: se non vi convertite vibrerà la sua spada (Ps 7,13). E forse questa è la fine nella quale vengono meno le lance del nemico, poiché fino ad allora esse valgono qualcosa. Ora [questa spada] opera di nascosto, ma nell’ultimo giudizio vibrerà scopertamente; da essa sono distrutte le città: continua infatti così: le lance del nemico sono venute meno per sempre; e hai distrutto le città. Ma [si tratta di] quelle città sulle quali regna il diavolo, ove tengono luogo di senato consigli ingannatori e fraudolenti, alla cui autorità si accompagnano come sicari e ministri gli uffici di ciascuno dei membri: gli occhi per la curiosità, le orecchie per la lascivia o per le altre cose che siano volentieri ascoltate con spirito deteriore, le mani per la rapina o per qualsiasi altra scelleratezza o delitto, e le restanti membra [sottoposte] per scopi analoghi all’autorità tirannica, ossia che militano sotto ai perversi consigli. La plebe di questa città è costituita da tutti i sentimenti sensuali e dai moti turbolenti dell’animo, che sollevano nell’uomo rivolte quotidiane. Infatti laddove si trova un re, un senato, dei ministri, un popolo, là esiste una città. E non vi sarebbero tali elementi nelle città malvage, se prima essi non fossero nei singoli uomini, che sono come gli elementi e i germi delle città. Ha distrutto queste città quando ne ha scacciato il principe del quale è stato detto: il principe di questo secolo è stato gettato fuori (Jn 12,31). Dalla parola della verità sono devastati questi regni, tramortiti i malvagi consigli, i disonesti sentimenti domati, le funzioni delle membra e dei sensi assoggettate e poste al servizio della giustizia e delle buone opere; in modo che ormai, come dice l’Apostolo, non regni il peccato nel nostro corpo mortale (Rm 6,12) e le altre cose che dice in questo passo. Allora l’anima è pacificata, e l’uomo è avviato alla conquista della pace e della beatitudine. È perito con strepito il loro ricordo, cioè degli empi. Ma è detto con strepito, o perché è con strepito che è distrutta l’empietà: infatti non passa alla somma pace, ove regna altissimo il silenzio, se non colui che prima ha combattuto con grande strepito contro i suoi vizi; oppure è detto con strepito in modo che sia perduta la memoria degli empi e perisca, insieme, lo stesso strepito nel quale tumultuava l’empietà.

Il giudizio del Signore.

9. [vv 8.9.] E il Signore resta in eterno. A che scopo hanno dunque mormorato le genti e i popoli hanno tramate cose vane, contro il Signore e contro il suo Messia (Cf. Ps 2,1)? Infatti il Signore resta in eterno. Ha preparato nel giudizio il suo trono, ed egli stesso giudicherà il mondo secondo equità. Ha preparato il suo trono quando è stato giudicato: l’uomo ha infatti conseguito il cielo grazie a quella pazienza, e Dio ha concesso la salvezza a coloro che hanno creduto nell’Uomo: ecco il giudizio occulto del Figlio. Ma poiché verrà anche apertamente e pubblicamente per giudicare i vivi e i morti, ha preparato in segreto il suo trono; ed egli stesso, ancora apertamente, giudicherà il mondo secondo equità, cioè distribuirà la mercede secondo i meriti, ponendo gli agnelli alla sua destra e i capri alla sinistra (Cf. Mt 25,33). Giudicherà i popoli con giustizia. È una ripetizione di quanto è detto prima con le parole: giudicherà il mando secondo equità. Non nel modo in cui giudicano gli uomini, i quali non vedono i cuori e dai quali sono il più delle volte assolti piuttosto che condannati i più malvagi; il Signore giudicherà secondo equità e con giustizia, perché è la coscienza che rende testimonianza, e sono i pensieri che accusano o difendono (Cf. Rm 2,15).

10. [v 10.] E il Signore si è fatto rifugio per il povero. Persèguiti quanto vuole quel nemico che è stato volto indietro: che male potrà fare a coloro dei quali il Signore si è fatto rifugio? Ma questo accadrà solo se avranno scelto di essere poveri in questo secolo, di cui quegli è reggitore, non amando niente di ciò che può venir meno a colui che qui vive o ama, o è abbandonato da colui che muore. Per un tale povero il Signore si è fatto rifugio, soccorritore nel tempo opportuno, nella tribolazione. Così forma i poveri, perché flagella ogni figlio che accoglie (Cf. He 12,6). Che cosa significhi soccorritore nel tempo opportuno, lo spiega aggiungendo nella tribolazione. L’anima infatti si converte a Dio solo quando si distacca da questo secolo: e non ha occasione più favorevole per distaccarsi da questo secolo se non quando alle sue leggerezze e ai suoi piaceri dannosi e perversi si mescolano fatiche e sofferenze.

Il valore del nome.

11. [v 11.] E sperino in te coloro che conoscono il tuo nome, allorché avranno cessato di sperare nelle ricchezze e nelle altre lusinghe di questo secolo. La conoscenza del nome di Dio accoglie, al momento opportuno, l’anima che, strappandosi da questo mondo, cerca ove riporre la sua speranza. Oggi infatti il nome stesso di Dio è diffuso ovunque: ma si ha la conoscenza del nome quando si conosce colui che ha quel nome. Il nome infatti non è tale per se stesso, ma per ciò che significa. Ora sta scritto: il suo nome è: Signore (Jr 33,2). Ecco perché chi si assoggetta volentieri al servizio di Dio conosce questo nome. E sperino in te coloro che conoscono il tuo nome.Parimenti il Signore dice a Mosé: io sono colui che sono; e dirai ai figli di Israele: colui che è mi ha mandato (Ex 3,14). Sperino dunque in te coloro che conoscono il tuo nome, onde non sperare più in queste cose che scorrono via per la mutevolezza del tempo, e in cui non c’è se non il “sarà” e il “fu”, giacché quanto in esse è futuro, appena giunto diviene subito passato: lo si aspetta con avidità e lo si perde con dolore. Invece nella natura di Dio, non c’è nulla che “ sarà ”, come se ancora non fosse; o che “ fu ”, quasi che ora non sia più; c’è soltanto ciò che è, e questo appunto è l’eternità. Coloro che conoscono il nome di Colui che ha detto: Io sono colui che sono, e del quale è detto: colui che è, mi ha mandato, cessino dunque di sperare nelle cose temporali e di amarle, e si abbandonino nell’eterna speranza. Perché non hai abbandonato coloro che ti cercano, o Signore. Coloro che lo cercano non cercano già più le cose passeggere ed effimere: nessuno può infatti servire due padroni (Cf. Mt 6,24).

Sion torre di guardia.

12. [v 12.] Inneggiate al Signore, che abita in Sion: è detto a coloro che il Signore non abbandona poiché Lo cercano. Egli stesso abita in Sion, che significa speculazione e che è immagine della Chiesa attuale; come Gerusalemme è immagine della Chiesa futura, cioè della Città dei santi che già fruiscono della vita angelica, poiché Gerusalemme significa visione di pace. La speculazione precede invero la visione, come questa Chiesa precede quella che ci è promessa, la città immortale ed eterna: ma la precede nel tempo, non nella dignità, perché la mèta cui ci sforziamo di pervenire è assai più onorevole di ciò che operiamo per meritare di giungervi; e attuiamo la speculazione per pervenire alla visione. Ma, se il Signore non abitasse anche in questa Chiesa attuale, cadrebbe in errore anche la più attenta speculazione. A questa Chiesa è detto: santo è il tempio di Dio, che siete voi (1Co 3,17), e: nell’uomo interiore abita Cristo per mezzo della fede nei vostri cuori (Ep 3,16). Ci è dunque ordinato di inneggiare al Signore che abita in Sion, affinché lodiamo all’unisono il Signore che abita nella Chiesa. Annunziate tra le genti le sue meraviglie. Così è stato fatto, e non cessa di essere fatto.

13. [v 13.] Giacché si è ricordato chiedendo conto del loro sangue. Quasi che coloro, che sono stati mandati a evangelizzare in forza di quel precetto rivolto loro: annunziate tra le genti le sue meraviglie, rispondessero: Signore, chi ha creduto al nostro annunzio? (Is 53,1), e: per te siamo messi a morte tutto il giorno (Ps 43,22), opportunamente continua dicendo che i cristiani moriranno nella persecuzione non senza trarne grande frutto di eternità: giacché si è ricordato chiedendo conto del loro sangue. Ma perché ha preferito dire del loro sangue? Non è forse come se qualche altro, meno capace e dotato di minor fede, richiedesse in qual modo annunzieranno - dato che l’incredulità delle genti si scatenerà contro di loro - e a costui si risponda: giacché si è ricordato chiedendo conto del loro sangue: verrà cioè l’ultimo giudizio, in cui sarà manifesta e la gloria degli uccisi e la pena degli uccisori? Ma nessuno creda che qui sia detto si è ricordato come se a Dio attenesse l’oblio: ma, poiché il giudizio si compirà dopo molto tempo, è posta [tale espressione] riguardo ai sentimenti degli uomini deboli, i quali pensano che Dio si sia quasi dimenticato perché non agisce così rapidamente quanto essi desidererebbero. E a costoro è detto anche quanto segue: Non ha dimenticato il grido dei poveri, ossia: non l’ha dimenticato, come voi credete; quasi che essi, dopo avere udito: si è ricordato, avessero detto: dunque se ne era dimenticato. Non ha dimenticato - dice - il grido dei poveri.

Malizia della cupidigia.

14. [vv 14.15.] Chiedo però quale sia il grido dei poveri che Dio non dimentica. Si tratta forse del grido le cui parole sono: abbi pietà di me, o Signore, guarda alla mia umiliazione da parte dei miei nemici? Perché non ha detto allora: abbi pietà di noi, o Signore, guarda alla nostra umiliazione da parte dei nostri nemici, come cioè se gridassero molti poveri, ma ha detto, come se si trattasse di uno solo: abbi pietà di me, o Signore? Forse perché è uno colui che intercede per i santi, quegli che per primo si è fatto povero per noi, mentre era ricco (Cf. 2Co 8,9), ed è quindi egli stesso che dice: Tu che mi innalzi dalle porte della morte, affinché io annunzi tutte le tue lodi alle porte della figlia di Sion? In lui infatti viene esaltato non solo l’uomo assunto, in quanto capo della Chiesa, ma anche chiunque di noi appartenga alle altre membra; ed è innalzato al di sopra di tutti i desideri perversi, che sono le porte della morte, perché per loro mezzo si va alla morte. Morte poi è già la stessa allegrezza che si prova nel godimento quando si ottiene ciò che si è desiderato perversamente: imperocché la cupidigia è la radice di ogni male (Cf. 1Tm 6,10); e per questo essa è la porta della morte, perché è morta la vedova che vive nei piaceri (Cf. 1Tm 5,6), cui si arriva attraverso i desideri, come attraverso porte di morte. Sono invece porte della figlia di Sion tutti i desideri di bene, per il cui mezzo si arriva alla visione della pace nella santa Chiesa. È dunque in queste porte che a ragione si annunziano tutte le lodi di Dio, in modo da non dare il santo ai cani, né da gettare le perle ai porci (Cf. Mt 7,6): i primi preferiscono latrare ostinatamente piuttosto che ricercare con zelo, gli altri né latrare né cercare, ma avvoltolarsi nel brago delle loro voluttà. Quando invece si annunciano a Dio le lodi con ricerca amorosa, a chi chiede è dato, a chi cerca è fatto conoscere, e a chi bussa è aperto. Oppure le porte della morte sono forse i sensi del corpo e gli occhi, che si aprirono all’uomo quando gustò dall’albero proibito (Cf. Gn 3,7), sopra i quali si innalzano coloro cui è detto di cercare non le cose che si vedono, ma le cose che non si vedono; perché quelle che si vedono sono temporali, mentre quelle che non si vedono (Cf. 2Co 4,18) sono eterne; e le porte della figlia di Sion sono forse i misteri e i fondamenti della fede, che si aprono a coloro che bussano per giungere ai segreti del Figlio. Poiché occhio non vide, né udì orecchio, né entrò nel cuore dell’uomo quel che Dio ha preparato per coloro che lo amano (Cf. 1Co 2,9). Fin qui è il grido dei poveri, che il Signore non ha dimenticato.

L'amore è un trasporto dell'anima.

15. [v 16.] Poi continua: esulterò per la tua salvezza, cioè con gioia sarò rafforzato a causa della tua Salvezza, che è il Signore nostro Gesù Cristo, Potenza e Sapienza di Dio (Cf. 1Co 1,24). Qui dunque chi parla è la Chiesa che ora è afflitta ed è salva nella speranza; e, finché il giudizio del Figlio è segreto, dice, con la medesima speranza, esulterò per la tua salvezza, perché ora è spaventata sia dalla violenza che dall’errore dei gentili che le tumultuano intorno. Sprofondate sono le genti nella corruzione che hanno suscitata. Osserva in qual modo al peccatore sia riservata una pena secondo le sue stesse opere, e come coloro che hanno voluto perseguitare la Chiesa siano sprofondati in quella corruzione che credevano di infliggerle. Desideravano infatti uccidere i corpi, mentre essi stessi morivano nell’anima. In questa rete, che avevano occultata, è stato preso il loro piede. La rete nascosta è il pensiero ingannatore. Per piede dell’anima si intende giustamente l’amore; il quale, quando è perverso, è detto cupidigia e libidine; mentre, quando è retto, è chiamato dilezione o carità. È infatti con l’amore che si muove verso il luogo al quale si dirige: ma il luogo dell’anima non è situato in qualche spazio occupato da una forma corporea, bensì nella gioia in cui, chi vi è giunto per mezzo dell’amore, si allieta. Ora il diletto mortale segue la cupidigia, quello fruttuoso la carità. Per questo la cupidigia è detta anche radice (Cf. 1Tm 6,10): senza dubbio si intende per radice il piede dell’albero. Radice è stata detta altresì la carità quando il Signore parla dei semi che, [caduti] in luoghi petrosi, si disseccano per il bruciore del sole, appunto perché non hanno una profonda radice (Cf. Mt 13,5): si tratta perciò di coloro che si rallegrano nell’accogliere la parola della verità, ma cedono poi alle persecuzioni, alle quali si resiste solo con la carità. Anche l’Apostolo dice: affinché, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere (Ep 3,17). Orbene, il piede, cioè l’amore, dei peccatori, è preso nella rete che essi nascondono; poiché, quando hanno conseguito il piacere con una azione fraudolenta - dato che Dio li ha abbandonati alla concupiscenza del loro cuore (Cf. Rm 1,24) - già quel piacere li incatena in modo che non osano strappar via l’amore e volgersi verso le cose utili; se tenteranno infatti di farlo, soffriranno nell’animo come coloro che tentano di strappare il piede dai ceppi. Soccombendo quindi a tale dolore, non vogliono più separarsi dai piaceri micidiali. Nella rete dunque che avevano occultata, cioè nel consiglio ingannatore, è stato preso il loro piede, cioè l’amore che con l’inganno è pervenuto a quella vana gioia che può essere paragonata al dolore.

16. [v 17.] Il Signore è conosciuto nel fare i giudizi. Questi sono i giudizi di Dio. Non dalla serenità della sua beatitudine, né dai segreti della sapienza nei quali sono accolte le anime beate, derivano il ferro, il fuoco, le belve feroci, o qualsiasi altra cosa da cui sono tormentati i peccatori. Ma allora, in qual modo essi sono tormentati, ed in qual modo il Signore compie il giudizio? Nelle opere delle sue mani - dice - è stato preso il peccatore.

17. [v 18.] Qui si intercala un cantico di intermezzo (diapsalma), quasi per la segreta letizia (per quanto possiamo giudicare), a motivo della separazione che si compie ora - non nello spazio ma nei sentimenti degli animi - tra i peccatori e i giusti, come tra il grano e la pula che sono ancora sull’aia. Continua: si volgano i peccatori verso l’inferno; cioè siano consegnati nelle loro stesse mani, anche se sono risparmiati, e siano avvinti nei lacci del piacere mortale. Tutte le genti che dimenticano Dio: siccome non hanno tenuto in alcun conto la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa dei loro sentimenti perversi (Cf. Rm 1,28).

18. [v 19.] Perché non per sempre sarà dimenticato il povero, cioè colui che ora pare essere dimenticato, quando i peccatori sembrano godere nella felicità di questo secolo e i giusti esser travagliati; ma la pazienza dei poveri - dice - non perirà in eterno. Ecco perché è necessaria ora la pazienza per sopportare i malvagi, i quali si sono separati già ora nella loro volontà [dai buoni], finché non saranno separati anche nell’ultimo giudizio.

19. [vv 20.21.] Sorgi, o Signore, non prevalga l’uomo. Si implora il giudizio futuro; ma prima che venga, siano giudicate - dice - le genti al tuo cospetto, cioè in segreto, perché il giudizio è pronunziato alla presenza di Dio, e pochi santi e giusti lo intendono. Poni, Signore, un legislatore su di essi. Mi sembra che qui alluda all’anticristo, del quale l’Apostolo dice: Quando sarà rivelato l’uomo del peccato (2Th 2,3). Imparino le genti che sono uomini: affinché coloro che non vogliono essere liberati dal Figlio di Dio e appartenere al figlio dell’uomo, ed essere figli degli uomini, cioè uomini nuovi, siano servi dell’uomo, ossia del vecchio uomo peccatore, poiché sono uomini.

Sull’altro Salmo 9.

20. [vv 1-3.] Poiché si crede che l’“uomo del peccato” giungerà ad un tale culmine di vanagloria e che tante cose gli sarà concesso di fare sia centro tutti gli uomini che contro i santi di Dio, che allora davvero alcuni deboli crederanno che Dio trascuri le vicende umane; per questo, interposta una pausa, soggiunge, [come per esprimere] la voce di coloro che gemono e che si chiedono perché il giudizio è rinviato: perché, o Signore, te ne sei andato lontano? Poi, colui che ha fatto questa domanda, come se d’un tratto avesse capito, oppure come se, conoscendo già la risposta, avesse formulato quella domanda per insegnare, continua dicendo: non badi [a noi] nei momenti opportuni, nelle tribolazioni, cioè opportunamente non badi a noi e disponi le tribolazioni per infiammare gli animi nel desiderio del tuo avvento. Infatti diviene più gradevole la fonte della vita per coloro che hanno sofferto molta sete. Suggerisce così la ragione del rinvio dicendo: mentre insuperbisce l’empio, il povero si accende. È cosa certa e meravigliosa vedere con quanto zelo di salutare speranza si accendono i fanciulli per vivere rettamente, in confronto a coloro che peccano. Per questo mistero accade che anche le eresie siano permesse: non perché lo vogliono gli stessi eretici, ma perché così dispone per i loro peccati la divina Provvidenza, la quale crea e ordina la luce, mentre ordina soltanto le tenebre (Cf. Gn 1,3 Gn 4), affinché la luce sia più gradita a confronto delle tenebre, così come, a confronto degli eretici, più gradita si fa la conquista della verità. E invero da quel confronto i provati, che sono conosciuti da Dio, divengono manifesti fra gli uomini.

21. Sono presi nei loro pensieri che escogitano, cioè i loro cattivi pensieri diventano per essi catene. Ma perché diventano catene? Perché il peccatore è lodato nelle brame della sua anima, dice. Le lingue degli adulatori avvincono le anime ai peccati, poiché si prova piacere nel compiere quelle cose per le quali, non soltanto non si temono rimproveri, ma si è anche lodati. E chi compie cose inique è benedetto: da qui [deriva che] sono presi nei loro pensieri, che rimuginano.

Il peccatore.

22. [v 4.] Il peccatore ha irritato il Signore. Nessuno si congratuli con l’uomo che prospera nella sua via, e il cui peccato non è punito, mentre non manca chi lo loda: questa è la vendetta maggiore del Signore. Infatti il peccatore ha irritato il Signore fino al punto di patire queste cose, cioè di non patire i flagelli della correzione. Il peccatore ha irritato il Signore; non indagherà secondo la grandezza della sua ira. Molto si adira, quando non indaga e quasi dimentica e non sta attento ai peccati, mentre si raggiungono ricchezze ed onori con frodi e delitti; il che accadrà soprattutto in quell’anticristo il quale sarà considerato così beato dagli uomini da essere anche creduto Dio. Ma quanto grande sia questa ira di Dio, lo mostrano le parole seguenti.

Sua cecità e dannazione.

23. [v 5.] Non c’è Dio alla sua presenza, le sue vie si contaminano in ogni tempo. Colui che conosce ciò di cui gode o di cui si allieta nell’anima, sa quale grande disgrazia sia essere abbandonati dalla luce della verità, dato che gli uomini considerano come una grande sventura la cecità degli occhi del corpo, per la quale viene meno questa luce [terrena]. Quale grande condanna subisce dunque chi dal prospero sviluppo dei suoi peccati è condotto al punto che Dio non sta più alla sua presenza, e in ogni momento le sue vie sono contaminate, cioè sono sempre impuri i suoi pensieri e i suoi consigli! Sono sottratti i tuoi giudizi dalla sua vista. Infatti l’animo poco consapevole di se medesimo, in quanto gli sembra di non subire alcuna condanna, crede che Dio non lo giudicherà, e in questo modo sono sottratti alla sua vista i giudizi di Dio, e proprio questa è la grande condanna. E trionferà di tutti i suoi nemici. Si narra infatti che vincerà tutti i re, e che egli solo avrà il regno, quando, anche secondo l’Apostolo che profetizza di lui, nel tempio di Dio si assiderà, ponendosi al di sopra di tutto ciò che si adora e che viene chiamato Dio (2Th 2,4).

L'oppressione del male.

24. [v 6.] E poiché, abbandonato alla concupiscenza del suo cuore e destinato alla dannazione ultima, con arti scellerate giungerà a quel vano e inutile culmine del potere, continua: Ha detto infatti nel suo cuore: non sarò scosso di generazione in generazione senza male; cioè, la mia fama e il mio nome non passeranno da questa generazione alla generazione dei posteri, se non conquisterò con arti malvage un così eccelso primato che di esso non possano tacere i posteri. Infatti l’animo perduto, incapace di operare il bene ed estraneo alla luce della giustizia, cerca di aprirsi con arti malvage la via [per giungere] ad una fama tanto duratura da essere celebrata anche presso i posteri. E coloro che non possono farsi conoscere nel bene, desiderano che gli uomini parlino di loro almeno nel male, purché il loro nome sia largamente diffuso. Credo che questo sia detto con le parole: non sarò scosso di generazione in generazione senza male. C’è anche un’altra interpretazione, il caso che l’animo vano e ricolmo di errore creda di non poter passare dalla generazione mortale alla generazione dell’eternità se non per mezzo di male arti: il che consta chiaramente nei riguardi di Simone (Cf. Ac 8,9-23), il quale credette di poter conquistare il cielo con arti scellerate e passare con mezzi magici dalla generazione umana a quella divina. Che c’è dunque da stupirsi se anche quell’uomo del peccato, il quale deve completare la malvagità e l’empietà che tutti i falsi profeti hanno iniziato, e farà tanti prodigi da ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti, dirà nel suo cuore: non sarò scosso di generazione in generazione senza male?

25. [v 7.] La sua bocca è piena di questa maledizione, e di asprezza e d’inganno. È infatti una grande maledizione desiderare il cielo con arti tanto nefande, e approntare meriti di tal genere per conquistare l’eterna dimora. Ma di questa maledizione è piena la sua bocca: tale cupidigia infatti non avrà risultati, ma nella sua bocca soltanto varrà a perdere colui che ha osato ripromettersi queste cose con asprezza ed inganno, cioè con la collera e con le insidie, [strumenti] con cui convertirà la folla alla sua parte. Sotto la sua lingua travaglio e dolore. Niente è più faticoso dell’iniquità e dell’empietà; e a questo travaglio fa seguito il dolore, perché ci si affatica, non solo senza frutto, ma anzi a perdizione. Questo travaglio e questo dolore hanno attinenza con quanto ha detto in cuor suo: non sarò scosso di generazione in generazione senza male. E per questo è detto: sotto la sua lingua, non nella lingua, in quanto tramerà queste cose in silenzio, mentre in un altro modo parlerà agli uomini per apparire buono, giusto e figlio di Dio.

26. [v 8.] Siede in agguato insieme con i ricchi. Con quali ricchi, se non con coloro che ha ricolmati dei doni di questo secolo? E per questo è detto che siede in agguato con costoro, perché ostenterà la loro fallace felicità per ingannare gli uomini. Costoro, mentre con malvagia volontà desiderano esser tali e non ricercano i beni eterni, incappano nei suoi lacci. In nascondigli, per uccidere l’innocente. Credo sia detto in nascondigli perché non è facile intendere ciò che si deve desiderare e ciò che si deve fuggire. Ma uccidere l’innocente significa fare dell’innocente un colpevole.

Le persecuzioni.

27. [v 9.] I suoi occhi spiano il povero. Perseguiterà infatti soprattutto i giusti, dei quali è detto: beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3). Insidia nel nascondiglio, come il leone nella sua tana. È chiamato leone nella sua tana colui nel quale agiscono la violenza e l’inganno. La prima persecuzione della Chiesa fu infatti violenta, quando si costringevano i Cristiani a sacrificare a base di prescrizioni, torture e stragi; è invece insidiosa la seconda persecuzione che si attua ora per mezzo degli eretici e dei falsi fratelli; resta la terza, quella che verrà con l’Anticristo, e di cui nulla sarà più pericoloso, perché sarà violenta e insidiosa insieme. Nel potere manifesterà la violenza, l’inganno nei prodigi: alla violenza si riferisce la similitudine come il leone, all’inganno quella nella sua tana. E di nuovo le stesse cose sono ripetute in ordine inverso: Insidia - dice - per ghermire il povero, il che si riferisce all’inganno. Le parole che invece seguono: per ghermire il povero attirandolo a sé, sono da attribuire alla violenza. Attirandolo significa infatti trascinarlo a sé, affliggendolo con ogni sofferenza possibile.

28. [v 10.] I due versetti che seguono esprimono gli stessi concetti. Nella sua rete lo umilierà, significa l’inganno. Si piegherà e cadrà, mentre dominerà sui poveri, mostra invece la violenza. Perché chiaramente la rete indica l’insidia, e la dominazione apertamente suggerisce il terrore. Giustamente dice: Lo umilierà nella sua rete. Quando infatti avrà preso a compiere quei prodigi, quanto più essi sembreranno straordinari agli uomini, tanto più saranno disprezzati i santi che allora vivranno, e tenuti quasi in nessun conto, poiché sembrerà vincere con i suoi atti miracolosi quelli che gli si opporranno con la giustizia e l’innocenza. Allora si piegherà e cadrà, mentre dominerà sui poveri, cioè mentre infliggerà ogni genere di tormenti ai servi di Dio che gli resisteranno.

29. [vv 11.12.] Ma in che modo si piegherà e cadrà? Ha detto infatti in cuor suo: Dio si è dimenticato, ha rivolto altrove la sua faccia, per non vedere più. Questo è il piegarsi e il disastroso cadere [che accade] quando l’animo umano sembra prosperare nelle sue iniquità e crede di essere risparmiato: e invece è accecato e sarà riserbato per l’ultima giusta vendetta, della quale già ora è detto: sorgi, o Signore Dio, si levi la tua mano, cioè si manifesti la tua potenza. Prima aveva detto invece: sorgi, Signore, non prevalga l’uomo, siano giudicate le genti al tuo cospetto (Ps 9,20), cioè in segreto, dove solo Dio vede. Questo è accaduto quando gli empi hanno raggiunto quella che agli uomini sembra essere una grande felicità; e al di sopra di essi si è costituito il legislatore che essi si sono meritati di avere, del quale è detto: poni, Signore, un legislatore su di essi, conoscano le genti che sono uomini (Ps 9,21). Ma ora, dopo quella occulta condanna e vendetta, è detto: sorgi o Signore Dio, si levi la tua mano, non più in segreto ma nella chiarissima gloria. Non dimenticarti dei poveri per sempre, come credono gli empi, i quali dicono: Dio si è dimenticato, ha rivolto altrove la sua faccia per non vedere più. Ma Dio non vedrà mai, affermano quanti dicono che egli non si cura delle vicende umane e terrene. La terra infatti è per essi quasi il fine delle cose, perché è l’elemento ultimo nel quale gli uomini si affaticano ordinatamente, senza però poter vedere l’ordine delle loro fatiche, cosa che compete ai segreti del Figlio. Orbene la Chiesa, affaticandosi in quei tempi come una nave in mezzo a grandi ondate e tempeste, sveglia il Signore che sembra dormire, affinché dia ordini ai venti e torni la serenità (Cf. Mt 8,26 Mc 4, 39, Lc 8,24). Dice perciò: sorgi, o Signore Dio, si levi la tua mano, non dimenticarti per sempre dei poveri.

30. [vv 13.14.] Perciò, comprendendo ormai che il giudizio è manifesto, dicono esultanti: per quale ragione l’empio ha irritato Dio?; cioè, che cosa gli ha giovato aver commesso tante azioni malvage? Ha detto infatti in cuor suo: non indagherà. Continua poi: Tu vedi, perché tu consideri il travaglio e l’ira, per trascinarli nelle tue mani. Questo significato richiede una [retta] pronuncia: sbagliando in questa resta oscura l’espressione. Infatti l’empio ha detto così in cuor suo: Dio non indagherà, quasi che Dio consideri la fatica e l’ira per trascinarli nelle sue mani; cioè come se temesse di affaticarsi e di adirarsi, e per questa ragione perdoni loro per risparmiarsi l’onere di condannarli, oppure per non essere turbato dalla tempesta dell’ira, come appunto fanno spesse volte gli uomini, i quali dissimulano la vendetta per non affaticarsi e non adirarsi.

Il Signore è speranza del povero.

31. In te si è abbandonato il povero. Per questo è povero; ha infatti disprezzato tutti i beni temporali di questo mondo proprio perché soltanto tu sia la sua speranza. Tu sarai l’aiuto dell’orfano, cioè di colui cui è morto questo mondo - suo padre - per cui mezzo è stato generato secondo la carne; e può già dire: il mondo è crocifisso per me, ed io per il mondo (Ga 6,14). Dio si fa padre di tali orfani. Il Signore insegna infatti ai suoi discepoli a diventare orfani, dato che dice loro: non chiamate alcuno vostro padre sulla terra (Mt 23,9). E di ciò offrì in se stesso l’esempio per primo, col dire: chi è mia madre, o chi sono i miei fratelli? (Mt 12,48) Donde alcuni pericolosissimi eretici pretendono affermare che egli non avesse madre e non vedono che, se si attengono a tali parole, ne consegue che neppure i suoi discepoli avrebbero padre. Poiché come ha detto: chi è mia madre, così insegna loro, dicendo: non chiamate alcuno padre vostro sulla terra.

32. [vv 15.16.] Spezza il braccio del peccatore e del malvagio, cioè di colui del quale era detto prima: e di tutti i suoi nemici sarà dominatore. Definisce suo braccio quella sua potenza cui si oppone la potenza di Cristo, della quale è detto: sorgi, o Signore Dio, si levi la tua mano. Sarà ricercato il suo delitto, e non sarà trovato a causa di quello, cioè sarà giudicato riguardo al suo peccato, ed egli stesso perirà a causa del suo peccato. Donde non meravigliamoci se poi così continua: il Signore regnerà in eterno e per i secoli dei secoli, e voi, genti, sarete sterminate dalla sua terra. Con genti intende i peccatori e gli empi.

33. [v 17.] Il Signore ha esaudito il desiderio dei poveri, quel desiderio di cui essi ardevano, quando bramavano il giorno del Signore nelle angustie e nelle tribolazioni di questo secolo. Il tuo orecchio ha ascoltato la disposizione del loro cuore. Questa è la disposizione del cuore, di cui si canta in un altro salmo: pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore (Ps 56,8), e della quale dice l’Apostolo: ma se speriamo ciò che non vediamo, con pazienza aspettiamo (Rm 8,25). Dobbiamo naturalmente intendere per orecchio di Dio non un membro corporeo, ma la potenza con la quale esaudisce; e del pari - onde non ripetere spesso queste cose - è necessario vedere nelle varie membra di Lui che nominiamo, e che sono in noi visibili e corporee, le potenze operative. Infatti non si può ritenere un fenomeno corporeo il fatto che egli oda, poiché il Signore Dio esaudisce la disposizione del cuore, non la voce che risuona.

34. [v 18.] Per giudicare in favore dell’orfano e dell’umile, cioè non in favore di colui che vive secondo questo secolo, e neppure in favore del superbo. Una cosa è infatti giudicare l’orfano, ed un’altra giudicare in favore dell’orfano. Giudica l’orfano anche chi lo condanna; giudica invece in favore dell’orfano chi emana una sentenza a suo vantaggio. Affinché l’uomo non insista oltre nel magnificare se stesso sopra la terra. Sono infatti uomini, dei quali è detto: poni, Signore, un legislatore su di essi, imparino le genti che sono uomini. Ma sarà un uomo anche colui che nel medesimo passo si intende posto sopra di essi; di lui dice ora: affinché l’uomo non insista oltre nel magnificare se stesso sopra la terra, quando appunto verrà il Figlio dell’uomo a giudicare in favore dell’orfano, che si è spogliato del vecchio uomo, quasi esaltando in questo modo il Padre.

Divinità di Cristo.

35. Orbene, dopo i segreti del Figlio di cui molto si è detto in questo salmo, verranno le cose manifeste del Figlio, delle quali poco, ora, si è detto alla fine del salmo stesso. Ma il titolo è tratto da ciò che ha qui la parte maggiore. Lo stesso giorno dell’avvento del Signore può essere a ragione annoverato tra i segreti del Figlio, anche se diverrà manifesta la presenza stessa del Signore. Di quel giorno è stato detto infatti che nessuno lo conosce, né gli angeli, né le virtù e neppure il Figlio dell’uomo (Cf. Mt 24,36). Che cosa vi è di tanto nascosto da esser detto celato, non per la conoscenza, ma per la manifestazione, allo stesso giudice? Se qualcuno, riguardo alle “cose occulte del Figlio”, non volesse intendere che si tratti del Figlio di Dio, ma del figlio dello stesso David, al cui nome è attribuito tutto il Salterio, dato che i salmi sono chiamati di David, ascolti costui quelle parole con le quali si dice al Signore: abbi pietà di noi, Figlio di David (Mt 20,30); e comprenda anche in tal caso che si tratta del medesimo Cristo Signore, ai cui segreti fu intitolato il salmo stesso. Così dice infatti anche l’angelo: Dio gli darà il trono di David suo padre (Lc 1,32). E a questa interpretazione non sono contrarie le parole con cui il Signore stesso chiede ai Giudei: se Cristo è Figlio di David, come mai lo chiama in spirito Signore, dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? (Mt 22,44) È detto così agli inesperti, i quali, sebbene sperino nell’avvento di Cristo, lo attendono tuttavia come uomo, non in quanto è Potenza e Sapienza di Dio. Dunque qui insegna la fede verissima e sincera, secondo la quale egli è Signore del re David (in quanto è Verbo in principio, Dio presso Dio, per cui tutte le cose furono fatte (Cf. Jn 1,1)) e insieme figlio, perché nato dalla stirpe di David secondo la carne (Cf. Rm 1,3). Non dice infatti: Cristo non è Figlio di David, ma dice: se già ritenete che sia suo figlio, apprendete in qual modo sia anche suo Signore; e non ricordate solo il fatto che Cristo, in quanto figlio dell’uomo, è figlio di David, dimenticando che è Figlio di Dio, dato che è Signore di David.


Agostino Salmi 8