Agostino Salmi 18

SUL SALMO 18

18 Ps 18

ESPOSIZIONE I

1. [v 1.] Per la fine, salmo di David. È noto questo titolo: non è il Signore Gesù Cristo che dice queste cose, ma è di lui che si dicono.

2. [v 2.] I cieli narrano la gloria di Dio: i giusti Evangelisti, nei quali Dio abita come nei cieli, raccontano la gloria del Signore nostro Gesù Cristo o la gloria con la quale il Figlio ha glorificato il Padre sulla terra. E il firmamento annunzia le opere delle sue mani: annunzia le opere prodigiose del Signore quel firmamento che ora, in virtù dello Spirito Santo, è divenuto cielo, mentre prima era terra per timore.

3. [v 3.] Il giorno passa la parola al giorno: lo Spirito rivela agli uomini spirituali la pienezza dell’immutabile Sapienza di Dio, e cioè che il Verbo era nel principio Dio presso Dio (Cf. Jn 1,1). E la notte alla notte annunzia la scienza: la mortalità della carne, suggerendo la fede, annunzia la scienza futura a quegli uomini carnali che si trovano lontani.

4. [v 4.] Non vi sono parole né discorsi dei quali non si oda la loro voce, per mezzo di tali discorsi si sono senz’altro udite le voci degli Evangelisti, dato che essi hanno annunziato il Vangelo in ogni lingua.

5. [v 5.] In tutta la terra si è diffusa la loro voce, e le loro parole sino ai confini della terra.

Cristo nel tempo e nell'eternità.

6. [v 6.] Nel sole ha posto il suo tabernacolo: il Signore, che doveva inviare non la pace ma la spada sulla terra (Cf. Mt 10,34), per combattere contro i regni degli errori temporali, ha posto nel tempo, ovvero nel suo manifestarsi, come una sua tenda militare, cioè il dono della sua Incarnazione. Ed egli stesso come sposo che esce dal suo talamo: egli stesso cioè esce dal seno verginale in cui Dio si è unito alla natura umana, come uno sposo alla sposa. È balzato esultante come un gigante per correre la via. È balzato esultante come il più forte di tutti, che per la sua incomparabile forza vince ogni altro uomo, non per fermarsi lungo la via, ma per correrla. Non si è infatti fermato sulla via dei peccatori (Cf. , 1).

7. [v 7.] Da una estremità del cielo la sua levata: è la sua processione dal Padre non nel tempo ma nell’eternità, per la quale è nato dal Padre. E la sua corsa fino all’altra estremità del cielo. E ha corso con la pienezza della divinità fino ad essere uguale al Padre. E non v’è chi si nasconda al suo calore. Quando poi il Verbo si è fatto anche carne ed ha abitato in noi (Cf. Jn 1,14) assumendo la nostra mortalità, non ha consentito che alcun mortale si sottraesse all’ombra della morte; infatti anch’essa è stata penetrata dal calore del Verbo.

Manifestazione del Cristo.

8. [v 8.] Immacolata è la Legge del Signore, converte le anime. Egli stesso è la Legge del Signore, perché è venuto ad adempiere la Legge, non ad abrogarla (Cf. Mt 5,17); e Legge immacolata poiché non ha commesso peccato, né è stato trovato inganno nella sua bocca (Cf. 1P 2,22), e non schiaccia le anime sotto il giogo della servitù, ma le converte in libertà all’imitazione di se stesso. Fedele è la testimonianza del Signore che porge la sapienza ai fanciulli. Fedele è la testimonianza del Signore, perché nessuno ha conosciuto il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio ha voluto rivelarlo (Cf. Mt 11,27); cose queste che sono nascoste ai sapienti e rivelate ai fanciulli, poiché Dio resiste ai superbi mentre dona la grazia agli umili (Cf. Jc 4,6).

9. [v 9.] Le giustizie del Signore sono rette, allietano il cuore. Tutte le giustizie del Signore sono rette in Lui, che non ha insegnato niente che non abbia fatto egli stesso, di modo che quanti lo imiteranno possano gioire nel loro cuore di quelle cose che fanno liberamente per amore e non servilmente per timore. Il comandamento del Signore è nitido, illumina gli occhi: è limpido il comandamento del Signore che senza il velo delle osservanze carnali illumina il volto dell’uomo interiore.

10. [v 10.] Il timore del Signore è puro e rimane eternamente: il timore del Signore, non quello che è posto sotto la legge della pena e che ha terrore che gli siano sottratti i beni temporali, nell’amore dei quali fornica l’anima; ma quello puro con il quale la Chiesa quanto più ardentemente ama il suo sposo, tanto più diligentemente teme di offenderlo; e perciò l’amore perfetto non scaccia via questo timore (1Jn 4,18) che invece rimane eternamente.

11. [vv 10.11.] I giudizi del Signore sono veraci, giusti in se stessi: i giudizi di colui che non giudica nessuno ma ha dato al Figlio ogni potere di giudicarci (Cf. Jn 5,22), sono senz’altro immutabilmente giusti. Perché né Dio ha ingannato qualcuno nel minacciare o nel promettere, né alcuno può togliere agli empi il supplizio, o ai pii il premio che egli dà. Più desiderabili dell’oro e di molte pietre preziose: sia pur molto lo stesso oro e le pietre, e molto preziosi e molto desiderabili, tuttavia i giudizi di Dio sono più desiderabili delle pompe di questo secolo, il cui desiderio fa sì che i giudizi di Dio non siano desiderati, ma temuti o disprezzati o non creduti. E se qualcuno è egli stesso oro o pietra preziosa, tanto da non essere consumato dal fuoco ma da essere assunto nel tesoro di Dio, ebbene costui desidera più di se stesso i giudizi di Dio, la cui volontà antepone alla sua. E dolci più del miele e del favo: e sia uno già miele, in quanto, sciolto già dai vincoli di questa vita, attenda il giorno in cui possa giungere al banchetto di Dio; oppure sia ancora favo, cioè avvolto da questa vita come da cera, non mescolato ad essa ma riempiendola, ed abbia bisogno di una certa pressione della mano di Dio, che non opprime ma trae fuori, per poter passare purificato dalla vita temporale a quella eterna; ebbene per lui sono più dolci i giudizi di Dio che se stesso, perché per lui essi sono più dolci del miele e del favo.

12. [v 12.] Perciò il tuo servo li custodisce: perché è amaro il giorno del Signore per chi non li custodisce. Molta è la ricompensa nel custodirli: molta è la ricompensa, ma non in qualche bene esteriore, bensì proprio nel fatto stesso di custodire i giudizi di Dio, ed è molta poiché si gioisce in essi.

13. [v 13.] I delitti chi li comprende? Quale mai dolcezza può esservi nei delitti, in cui non c’è conoscenza? Invero chi può comprendere i delitti, i quali chiudono quel medesimo occhio cui soave è la verità, per cui sono dolci e desiderabili i giudizi di Dio; e, come le tenebre, gli occhi, così i delitti chiudono la mente, e non lasciano scorgere né la luce né se stesso?

L'apostasia.

14. [vv 13.14.] Dai miei [peccati] occulti purificami, o Signore! Dalle passioni celate in me purificami, o Signore. E da quelli degli altri guarda il tuo servo: perché io non sia sedotto dagli altri; non diviene infatti prigioniero degli altrui peccati chi è libero dai suoi. Libera dunque dalle cupidigie altrui non il superbo e chi desidera esser indipendente, ma il tuo servo. Se non mi avranno dominato, allora sarò immacolato: se non mi avranno dominato i miei peccati occulti e quelli altrui, allora sarò senza macchia. Non c’è infatti una terza origine del peccato, oltre quello proprio e occulto, in cui cadde il diavolo, e quello altrui da cui fu sedotto l’uomo tanto che col suo consenso lo fece suo. E sarò purificato dal grande delitto: da quale altro delitto se non da quello della superbia? Non c’è infatti delitto maggiore del disertare da Dio, in cui sta l’inizio della superbia umana (Cf. Si 10,14). E davvero è senza macchia chi è privo anche di questo peccato; perché esso è l’ultimo [a scomparire] in coloro che ritornano a Dio, come fu il primo [ad apparire] in coloro che si allontanarono [da lui].

15. [v 15.] E incontreranno favore le parole della mia bocca, e la meditazione del mio cuore sarà sempre al tuo cospetto: la meditazione del mio cuore non ha per scopo di piacere agli uomini, perché è già annientata la superbia; ma è sempre al tuo cospetto, perché tu scruti la coscienza pura. Signore mio aiuto e mio redentore: Signore, tu aiuti me che tendo a te; poiché mi hai redento affinché io tenda a te; nessuno attribuisca alla sua sapienza il convertirsi a te o alle sue forze il giungere a te, se non vuole essere respinto ancora di più da te, che resisti ai superbi; costui infatti non si è purificato dal grande peccato né incontra favore innanzi a te, che ci redimi perché ci convertiamo, e ci aiuti perché giungiamo a te.

SULLO STESSO SALMO 18

182 Ps 18

ESPOSIZIONE II

Discorso al popolo

È rivolto a Cristo.

1. Dopo aver supplicato il Signore che ci purifichi dalle nostre colpe occulte e guardi i suoi servi dalle altrui, dobbiamo intendere che cosa questo significhi, per poter cantare secondo la ragione umana e non quasi con voce di uccelli. Infatti i merli, i pappagalli, i corvi, le gazze ed altri simili uccelli spesso sono ammaestrati dagli uomini ad emettere suoni che non comprendono. Alla natura umana invece è concesso dalla divina volontà di cantare consapevolmente. Che molti malvagi e impuri cantino in tal modo cose degne dei loro orecchi e dei loro cuori, è cosa che sappiamo e ci addolora; ed essi sono tanto più detestabili in quanto non possono ignorare ciò che cantano. Sanno bene di cantare sconcezze, eppure lo fanno con tanta maggior passione quanto più sono immonde; perché maggionnente si considerano felici quanto più sono abietti. Noi invece che nella Chiesa abbiamo imparato a cantare le divine parole, dobbiamo nel contempo fare in modo che si compia ciò che sta scritto: beato il popolo che ha l’intelligenza del suo giubilo (Ps 88,16). Perciò, carissimi, quanto abbiamo cantato a una sola voce dobbiamo anche con cuore sereno conoscere e vedere. Ciascuno di noi ha infatti pregato in questo salmo il Signore e ha detto a Dio: dai miei nascosti [peccati] purificami, o Signore, e dagli altrui guarda il tuo servo. Se essi non mi avranno dominato, allora sarò immacolato, e sarò purificato dal grande peccato. Per ben conoscere il significato e la natura di questo salmo, scorriamone brevemente il testo, per quanto il Signore ci concede.

Grazia perché gratuita.

2. [v 1.] Si canta infatti di Cristo: il che è chiaramente manifesto in quanto nel salmo sta scritto: egli è come sposo che esce dal suo talamo. Orbene, chi è questo sposo, se non Colui al quale dall’Apostolo è promessa in sposa una vergine? Per lei il casto amico dello sposo teme castamente che così come il serpente ingannò Eva con la sua astuzia, allo stesso modo si corrompano dalla castità che è in Cristo (Cf. 2Co 11,3) i sentimenti di questa vergine sposa di Cristo. In questo Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo è posta la ricca e piena grazia, di cui dice l’apostolo Giovanni: E abbiamo visto la sua gloria, gloria quale ha l’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (Jn 1,14). Questa gloria narrano i cieli. I cieli, sono i santi: innalzati dalla terra, portano il Signore. Tuttavia anche il cielo in un certo qual modo ha narrato la gloria di Cristo. Quando la narrò? Quando, alla nascita del medesimo Signore, apparve una nuova stella prima mai vista. Peraltro sono più veraci e più sublimi i cieli di cui è detto: non vi sono parole né discorsi, dei quali non si oda la voce loro. In tutta la terra si è diffusa la loro voce, e le loro parole sino ai confini della terra. Di chi, se non dei cieli? E di chi dunque se non degli Apostoli? Essi ci narrano la gloria di Dio, posta nel Cristo Gesù, per la grazia concessa in remissione dei peccati. Tutti infatti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio, e sono gratuitamente giustificati dal suo sangue (Cf. Rm 3,23): gratuitamente, cioè per grazia. Infatti non è grazia, se non è gratuita. Poiché niente di buono avevamo compiuto prima, per meritarci tali doni; a maggior ragione, proprio perché non senza motivo ci sarebbe stata inflitta la pena, gratuitamente ci è stato offerto il beneficio. Da parte nostra non avevamo meritato precedentemente nulla, se non di dover essere condannati. Egli invece, non per nostra giustizia ma per sua misericordia (Cf. Tt 3,5) ci ha salvato nel lavacro della rigenerazione. Questa è, dico, la gloria di Dio; e questa i cieli hanno narrato. Questa è, ripeto, gloria di Dio, non tua. Poiché tu non hai fatto niente di buono, e nondimento hai ricevuto tanto bene. Ebbene, se tu miri alla gloria che i cieli hanno narrato, di’ al Signore Dio tuo: Dio mio, la sua misericordia mi preverrà (Ps 58,11). Ti previene: sì, ti previene, perché niente di buono ha trovato in te. Tu hai prevenuta la sua pena facendoti superbo; egli previene la tua pena distruggendo i peccati. Orbene, come da peccatore [reso] giustificato, da empio fatto pio, e da dannato assunto nel Regno, di’ al Signore Dio tuo: non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria (Ps 113,9). Diciamo: non a noi. A chi di noi, infatti, se tale gloria fosse rivolta a noi? Diciamo, ripeto: non a noi, perché se egli si comportasse come noi meritiamo, dovrebbe infliggerci soltanto castighi. Non a noi, ma al suo nome dia gloria, perché ha agito con noi non secondo le nostre iniquità (Cf. Ps 102,10). Dunque, non a noi, o Signore, non a noi: la ripetizione è una conferma. Non a noi, o Signore, ma al nome tuo da’ gloria. Questo avevano conosciuto quei cieli che hanno narrato la gloria di Dio.

Creazione e gloria di Dio.

3. [v 2.] E il firmamento annunzia le opere delle sue mani. Quanto è stato detto a proposito della gloria di Dio, è ripetuto per le opere delle sue mani. Quali sono le opere delle sue mani? Non è come alcuni pensano, che Dio abbia fatto tutte le cose con la sua Parola, e l’uomo, essendo la più insigne di tutte le creature, l’abbia fatto con le sue mani. Non è così che si deve intendere: è questa un’opinione imperfetta e non sufficientemente elaborata, perché Dio ha fatto ogni cosa per mezzo del Verbo. Infatti, anche se si narrano diverse opere di Dio, tra le quali fece l’uomo a sua immagine (Cf. Gn 1), nondimeno tutte furon fatte per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto (Jn 1,3). E per quanto concerne le mani di Dio è detto anche a proposito dei cieli (Ps 101,26): e opere delle tue mani sono i cieli. Perché tu non creda che anche qui i santi siano detti cieli, aggiunge: essi periranno, tu invece resti (Ps 101,27). Dunque Dio ha fatto con le sue mani non solo gli uomini, ma anche i cieli che periranno, e a Dio sono rivolte le parole: opere delle tue mani sono i cieli. Similmente è detto della terra: poiché di lui è il mare, ed egli l’ha fatto, e le sue mani hanno formata la terra (Ps 94,5). Dunque, se ha fatto con le mani i cieli e la terra, non ha fatto con le mani soltanto l’uomo; e se [ha fatto] i cieli e la terra con la Parola, anche l’uomo ha fatto con la Parola. Ciò che ha fatto con il Verbo, l’ha fatto con la mano; e ciò che ha fatto con la mano l’ha fatto con il Verbo. La grandezza di Dio non è distinta in membra umane: Egli è ovunque tutto intero, e da nessun luogo è circoscritto. Perciò quel che ha fatto con il Verbo lo ha fatto con la Sapienza, e quello che ha fatto con le mani lo ha fatto con la Potenza. Ma Cristo è Potenza di Dio e Sapienza di Dio (Cf. 1Co 1,24). Dunque ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto. Hanno narrato, narrano e narreranno i cieli la gloria di Dio. Narreranno - ripeto - i cieli, cioè i santi, la gloria di Dio, innalzati da terra portando Dio, tuonando con i comandamenti, brillando con la sapienza, [narreranno], come ho detto, quella gloria di Dio per la quale siamo stati salvati pur essendone indegni. Il figlio minore, ridotto alla miseria, riconosce questa indegnità, per cui noi non eravamo degni; riconosce - ripeto - questa indegnità il figlio minore, ramingo lontano dal padre, adoratore di demoni e pastore di porci: riconosce questa indegnità, ma perché è pressato dal bisogno. E siccome da quella gloria di Dio siamo stati fatti quali non eravamo degni di essere, dice al padre suo: non sono degno di essere chiamato tuo figlio (Lc 15,21). L’infelice, per mezzo dell’umiltà, impetra la felicità; e se ne mostra degno nel confessare la sua indegnità. Questa gloria di Dio i cieli narrano, e le opere delle sue mani annunzia il firmamento. Il cielo-firmamento sta a significare il cuore saldo, non quello timoroso. Queste verità infatti sono state annunziate in mezzo agli empi, agli avversari di Dio, agli amici del mondo e ai persecutori dei giusti: insomma in un mondo che incrudeliva [da ogni parte]. Ma che poteva fare un mondo infuriato, dal momento che era il firmamento ad annunziarle? E che cosa annunzia il firmamento? Le opere delle sue mani. Quali sono le opere delle sue mani? Quella gloria di Dio per la quale siamo stati salvati, e creati per il bene. Perché noi siamo sua fattura, creati in Cristo Gesù per le opere buone (Cf. Ep 2,10). Ecco che ci ha creati non soltanto uomini, ma anche giusti, se noi lo siamo: sì, egli ci ha fatti, e non da noi stessi ci siamo fatti (Cf. Ps 99,3).

4. [v 3.] Il giorno passa la parola al giorno, e la notte alla notte annunzia la conoscenza. Che significa? Forse chiare e manifeste sono le parole il giorno passa la parola al giorno: chiare e manifeste come il giorno. Ma la notte alla notte annunzia la conoscenza è oscuro, come la notte. Il giorno al giorno, cioè i santi ai santi, gli Apostoli ai fedeli, Cristo stesso agli Apostoli, ai quali ha detto: Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). Mi sembra che questo sia chiaro e facile a capirsi. Ma in qual modo la notte alla notte annunzia la conoscenza? Alcuni hanno interpretato con semplicità queste parole, e forse con verità: ritennero che esse significassero che quanto avevano udito gli Apostoli al tempo in cui il Signore nostro Gesù Cristo abitava in terra, fosse stato trasmesso ai posteri come da un tempo all’altro: il giorno al giorno, la notte alla notte, il giorno precedente al giorno successivo, la notte avanti a quella seguente, perché questa dottrina è annunziata di giorno e di notte. A chi si contenta può bastare questa semplice interpretazione. Ma alcune parole delle Scritture, proprio per la loro oscurità, ci sono state di grande utilità perché hanno dato luogo a molte interpretazioni. Perciò, se queste parole fossero chiare, udreste una sola spiegazione; ma poiché esse sono oscure ne ascolterete molte. C’è infatti un’altra interpretazione: il giorno al giorno, la notte alla notte, cioè lo spirito allo spirito, la carne alla carne. E un’altra ancora: il giorno al giorno, gli uomini spirituali agli uomini spirituali, e la notte alla notte, i carnali ai carnali. Gli uni e gli altri ascoltano infatti [la parola] ma con un gusto ben diverso. Quelli l’ascoltano come parola proferita, questi invece come conoscenza annunziata: quel che si pronuncia vale per i presenti, mentre ciò che si annunzia, si annunzia a chi si trova lontano. Si possono trovare anche più significati per spiegare i cieli, ma dobbiamo contenerci per la brevità del tempo a nostra disposizione. Ne aggiungiamo peraltro uno che alcuni hanno avanzato come ipotesi. Quando Cristo Signore - essi dicono - parlava agli Apostoli, allora il giorno passava la parola al giorno: quando invece Giuda ha consegnato Cristo Signore ai Giudei, la notte annunziava la conoscenza alla notte.

5. [vv 4.5.] Non vi sono parole, né discorsi, dei quali non si oda la voce loro. Di chi, se non di quei cieli che narrano la gloria di Dio? Non vi sono parole, né discorsi, dei quali non si oda la voce loro. Leggete gli Atti degli Apostoli, [e vedrete] in qual modo, scendendo su di essi lo Spirito Santo, tutti ne furono ricolmati e parlavano nelle lingue di tutte le genti, secondo che lo Spirito dava ad essi di esprimersi (Ac 2 Ac 4). Ecco dunque che non vi sono parole, né discorsi, dei quali non si oda la voce loro. Ma non soltanto qui, ove sono stati ricolmati [dallo Spirito], si sono fatti sentire. Perché: in tutta la terra è uscita la loro voce, e le loro parole sino ai confini della terra. Per questo anche noi qui parliamo. La loro voce è giunta sino a noi, quella voce che è uscita in tutta la terra, mentre l’eretico non entra nella Chiesa. La voce pertanto è uscita in tutta la terra, perché tu possa entrare nel cielo. O appestato, litigioso, malvagio, che ancora insisti nell’errore; o figlio superbo, ascolta il testamento del Padre tuo. Ecco, che cosa c’è di più facile, di più evidente? In tutta la terra è uscita la loro voce, e le loro parole sino ai confini della terra. C’è forse bisogno di spiegazione? Perché ti sforzi contro te stesso? Vuoi ritenere [solo] una parte nella disputa, tu che puoi possedere il tutto nella concordia?

La carità fraterna.

6. [v 6.] Nel sole ha posto il suo tabernacolo, cioè ha posto la sua Chiesa in evidenza e non nel segreto, perché stia nascosta e quasi celata: affinché non sia come una [donna] velata dietro il gregge degli eretici. Di qualcuno è detto nella Sacra Scrittura: Perché tu hai agito in segreto, sopporterai nel sole (2 Sam 2S 12,12): cioè, di nascosto hai fatto il male, e subirai la condanna dinanzi agli occhi di tutti. Nel sole dunque ha posto il suo tabernacolo. Perché tu, o eretico, fuggi nelle tenebre? Sei cristiano? Ascolta Cristo. Sei servo? ascolta il padrone. Sei figlio? Ascolta il padre: correggiti e riprendi a vivere. Si dica anche di te: era morto ed è risuscitato; si era perduto ed è stato trovato (Lc 15,32). Non dirmi: perché mi cerchi, se sono perduto? Proprio per questo ti cerco, perché ti sei perduto. Non cercarmi, egli dice. Questo è quanto vuole l’iniquità, per la quale siamo divisi; ma non lo vuole la carità, per la quale siamo fratelli. Non sarei malvagio, se cercassi il mio servo; e verrò ritenuto tale, perché cerco il mio fratello? Pensi pure così colui nel quale non risiede carità fraterna, quanto a me cerco il mio fratello. Si adiri pure, mentre è cercato, colui che si placherà appena sarà stato trovato. Io cerco, ripeto, il mio fratello, e supplico non contro di lui ma per lui il mio Signore. Non dirò, nel pregare: Signore di’ al mio fratello che divida con me l’eredità (Cf. Lc 12,13); ma: di’ a mio fratello che possegga l’eredità insieme con me. Perché dunque vai errando fratello? Perché fuggi in luoghi remoti? Perché cerchi di occultarti? Nel sole ha posto il suo tabernacolo. Ed egli stesso è come sposo che esce dal suo talamo. Credo che tu lo conosca. Egli, come sposo che esce dal suo talamo, ha esultato come un gigante nel correre la sua via; egli nel sole ha posto il suo tabernacolo; cioè egli, come sposo, quando il Verbo si è fatto carne, ha trovato il suo talamo nel seno della Vergine, e da qui, unitosi alla natura umana, è uscito come da un castissimo letto, umile fra tutti per la misericordia, e forte più di tutti per la maestà. Questo significa infatti: il gigante ha esultato nel correre la sua via, cioè è nato, è cresciuto, ha insegnato, ha patito, è risuscitato, è asceso al cielo; ha percorso in fretta la via e non vi si è fermato. Quello stesso sposo che ha fatto tutto ciò ha anche posto nel sole, cioè in piena evidenza, la sua tenda, ossia la sua santa Chiesa.

Lo Spirito Santo.

7. [v 7.] Vuoi sapere quale via ha percorso così rapidamente? Dalla sommità del cielo fu la sua uscita, e la sua corsa fino all’altro estremo. Ma dopo esserne uscito in fretta e ritornato indietro di corsa, ha mandato il suo Spirito; e coloro sui quali esso è disceso hanno visto delle lingue separate, come di fuoco (Cf. Ac 2,3). Come fuoco è venuto lo Spirito Santo, per consumare l’erba della carne, per crogiolare l’oro e purificarlo; come fuoco è venuto e per questo leggiamo: e non vi è chi si nasconda al suo calore.

8. [v 8.] La legge immacolata del Signore converte le anime. È lo Spirito Santo. La testimonianza del Signore è fedele e porge la sapienza ai fanciulli, non ai superbi. Questo è lo Spirito Santo.

9. [v 9.] I precetti del Signore sono retti, e non spaventano, ma allietano i cuori. Ecco lo Spirito Santo. Il comandamento del Signore è nitido; rischiara gli occhi, non abbaglia: non gli occhi della carne, ma quelli del cuore; non quelli dell’uomo esteriore, ma dell’uomo interiore. Ecco lo Spirito Santo.

10. [v 10.] Il timore di Dio, non il servile ma il puro; che ama gratuitamente e non teme di essere punito da colui per il quale trepida, ma di essere separato da colui che ama. Questo è il timore puro, che non manda fuori la perfetta carità (Cf. Jn 4,18), ma che permane eternamente. Tale è lo Spirito Santo; cioè, questo dona, conferisce, infonde lo Spirito Santo. I giudizi del Signore sono veraci, giusti in se stessi, destinati non alle liti che dividono, ma alla riunione nell’unità. Questo vuol dire in se stessi. Ecco lo Spirito Santo. Per questo ha fatto parlare nelle lingue di tutti coloro nei quali per la prima volta è venuto, poiché ha annunziato che avrebbe riunito nell’unità le lingue di tutte le genti. Ciò che allora faceva un solo uomo dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, cioè parlare in tutte le lingue, ora lo fa l’unità medesima: parla in tutte le lingue. Ed anche ora un solo uomo parla a tutte le genti in tutte le lingue, un solo uomo Capo e Corpo, un solo uomo: Cristo e la Chiesa, l’Uomo perfetto, lui Sposo e lei Sposa. Saranno, dice infatti, due in una carne sola (Gn 2,24). E i giudizi del Signore sono veraci e giustificati in se stessi: in grazia dell’unità.

11. [v 11.] Più desiderabili dell’oro e di molte pietre preziose. O molto oro, o molto prezioso, o molto desiderabili; tuttavia sempre molto, mentre per l’eretico è poco. Non amano con noi il medesimo Cristo, che con noi confessano. Ebbene quello stesso Cristo che con me confessi, amalo con me. E colui che non vuole la stessa cosa, rifiuta, recalcitra, respinge: per lui questo non è desiderabile molto più dell’oro e delle pietre preziose. Ascolta quest’altra cosa: e più dolci - dice - del miele e del favo. Ma queste parole suonano contro l’errante: il miele è amaro per il febbricitante, mentre dolce e gradevole è per chi è guarito, perché è prezioso per la salute. Più desiderabili dell’oro e di molte pietre preziose, e dolci più del miele e del favo.

12. [v 12.] Perciò il tuo servo li custodisce. Quanto essi siano dolci lo dimostra il tuo servo nel custodirli, non nel parlarne. Li custodisce il tuo servo, perché ora sono dolci e nel futuro saranno salutari. Infatti grande è la ricompensa nel custodirli. Amando invece la propria animosità, l’eretico né vede questo splendore né gusta questa dolcezza.

Due specie di peccati.

13. [vv 13.14.] I delitti infatti, chi li comprende? Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno (Cf. Lc 23,34). Perciò, dice, il servo è colui che custodisce questa dolcezza, soavità di carità e amore per l’unità. Ma io stesso che la custodisco, aggiunge, ti prego - dato che i delitti chi li comprende? - perché nessuna colpa si insinui furtivamente in me che sono uomo e perché non sia sorpreso come uomo da qualcuna di quelle colpe e ti dico: dai miei occulti [peccati] purificami, o Signore. Queste parole abbiamo cantato ed ecco che ad esse, parlando, siamo giunti. Diciamole e cantiamole con intelligenza: e cantando preghiamo e pregando supplichiamo. Diciamo: Dai miei nascosti [peccati] purificami, o Signore. E chi comprende i delitti? Se si potessero vedere le tenebre, sarebbero conosciuti i delitti. Quindi, allorché noi ci pentiamo del delitto, siamo nella luce. Infatti, quando uno è avvoltolato nel delitto stesso, come se avesse gli occhi chiusi e ottenebrati, non vede il delitto; è come se ti coprissero gli occhi della carne: non vedresti niente, neppure ciò che ti copre gli occhi. Diciamo dunque a Dio, il quale vede perfettamente ciò che ci può purificarne distingue ciò che ci può risanare, diciamo a Lui: dai miei [peccati] nascosti purificami, o Signore, e dagli altrui guarda il tuo servo. I miei delitti, dice, mi contaminano; gli altrui mi affliggono: da questi purificami, da quelli perdonami. Estirpa dal mio cuore ogni cattivo desiderio, allontana da me il malvagio tentatore. Questo vuol dire: dai miei [peccati] nascosti purificami, e dagli altrui guarda il tuo servo. Infatti questi due generi di peccati, i propri e insieme gli altrui, anche in principio si manifestarono per primi. Il diavolo cadde per il delitto suo, mentre Adamo per quello altrui. Questo stesso servo di Dio che ne custodisce i precetti, per i quali sarà abbondantemente ricompensato, anche in un altro salmo prega così: non mi venga addosso il piede della superbia, e non mi smuovano le mani dei peccatori (Ps 35,12). Non mi venga addosso, dice, il piede della superbia, cioè: dai miei occulti [peccati] purificami o Signore; e le mani dei peccatori non mi smuovano, cioè: dagli estranei guarda il tuo servo.

Schiavitù del peccato.

14. Se non mi avranno dominato, cioè i miei [peccati] segreti e gli altrui delitti, allora sarò immacolato. Non osa [sperare] questo con le sue forze, ma prega che lo compia il Signore, cui è detto nel salmo: dirigi i miei passi secondo la tua parola, e non mi domini alcuna iniquità (Ps 118,133). Se sei cristiano, non voler temere esternamente la signoria dell’uomo, ma temi sempre il Signore tuo Dio. Temi il male che è in te, cioè la tua concupiscenza; non ciò che in te ha fatto Dio, ma ciò che tu stesso ti sei fatto. Il Signore ti fece servo buono, e tu ti sei formato nel tuo cuore un malvagio padrone. Giustamente sei soggetto all’iniquità, giustamente sei soggetto al padrone che tu stesso hai scelto: perché non hai voluto assoggettarti a colui che ti ha fatto.

15. Ma soggiunge: se non mi avranno dominato, allora sarò immacolato; e sarò purificato dal grande peccato. Di quale peccato crediamo si tratti? Che cosa è questo grande peccato? Potrebbe anche trattarsi di un altro, diverso da quello che ora dico, ma tuttavia non terrò celato il mio pensiero. Credo che il gravissimo peccato sia la superbia. Probabilmente questo è significato anche in altro modo laddove si dice: e sarò purificato dal grande peccato. Chiedete quanto sia grande questo peccato che fece precipitare l’angelo, che dell’angelo fece il diavolo e gli sbarrò per sempre il Regno dei Cieli? Grande è questo peccato, ed è l’origine e la causa di tutti i peccati. Sta scritto infatti: l’inizio di ogni peccato è la superbia. E, perché tu non lo trascuri, quasi fosse una colpa lieve, aggiunge: l’inizio della superbia è l’apostasia da Dio (Si 10,15 Si 14). Non piccola sciagura è questo vizio, fratelli miei; non s’accorda con esso l’umiltà cristiana nelle persone che vedete piene di sé. Per questo vizio esse sdegnano di sottomettere il collo al giogo di Cristo, e poi sono incatenate più duramente al giogo del peccato. Perché toccherà loro essere servi; non vogliono servire, ma conviene pure che lo facciano. Ricusando di servire, ottengono non già di non servire affatto, ma di non servire ad un buon Padrone; poiché chi non vuol servire alla carità, sarà inevitabilmente servo dell’iniquità. Con questo vizio, che è la sorgente di tutti gli altri perché da esso sono nati gli altri vizi, è avvenuta la apostasia da Dio, poiché l’anima è caduta nelle tenebre e ha fatto cattivo uso del libero arbitrio, conseguendo da qui anche tutti gli altri peccati. E così, colui che era compagno degli angeli, vivendo prodigalmente, sciupa la sua sostanza con le meretrici, e diviene per la sua miseria pastore di porci (Cf. Lc 15,13). Per colpa di questo vizio, a causa di questo grande peccato della superbia, Dio è venuto nell’umiltà. Ecco il motivo, ecco il grande peccato, il grave male dell’anima, che ha fatto scendere dal cielo il Medico onnipotente, e lo ha umiliato fino alla forma di servo, lo ha coperto di scherno, lo ha inchiodato alla croce, perché questo tumore fosse curato per mezzo di una tanto salutare medicina. Arrossisca finalmente di esser superbo l’uomo, per il quale Dio si è fatto umile. Così, è scritto, sarò purificato dal grande peccato, perché Dio resiste ai superbi, e dona invece la grazia agli umili (Cf. Jc 4,6 1P 5,5).

16. [v 15.] E incontreranno favore le parole della mia bocca, e la meditazione del mio cuore alla tua presenza, sempre. Infatti, se non sarò purificato da questo grave peccato, le mie parole incontreranno il favore degli uomini, non il tuo. L’anima superba vuol piacere agli sguardi degli uomini; l’anima umile vuole piacere in segreto, dove solo Dio vede. Perciò, se incontrerà l’approvazione degli uomini per le sue buone azioni, si congratuli con quelli ai quali piace l’opera buona ma non con se stessa, cui deve bastare averla compiuta. La nostra gloria - dice l’Apostolo - è questa, la testimonianza della nostra coscienza (2Co 1,12). Diciamo quindi anche quanto segue: Signore mio aiuto e mio redentore. Aiuto nelle buone azioni, redentore dalle malvage; aiuto affinché io dimori nella tua carità, redentore per liberarmi dalla mia iniquità.


Agostino Salmi 18