Agostino Salmi 342

SUL SALMO 34

342 Ps 34

ESPOSIZIONE

Discorso 2

Passione di Cristo e della Chiesa.

1. Volgiamo la nostra attenzione a ciò che resta del salmo e supplichiamo il Signore e Dio nostro per rettamente comprendere e trarne come frutto buone opere. Credo che la Carità vostra si ricordi fin dove è stato trattato ieri; prendiamo oggi le mosse da quel punto. Abbiamo qui inteso infatti la voce di Cristo: cioè la voce del Capo e del Corpo di Cristo. Quando odi Cristo, non separare lo Sposo dalla Sposa, e tieni presente quel grande mistero: Saranno due in una sola carne (Ep 5,31). Se sono due in una sola carne, perché non due in una sola voce? Non vi è infatti tentazione che tocchi il Capo senza che sia subita anche dal Corpo; e non vi era motivo per cui il Capo dovesse soffrire, se non per offrire un esempio al Corpo. Il Signore ha sofferto per sua volontà, noi per necessità; Egli ha sofferto per compassione, noi perché tale è la nostra condizione. Perciò la sua volontaria Passione è la nostra necessaria consolazione, in modo che, quando per caso patiamo simili sofferenze, volgiamo gli occhi al nostro Capo e possiamo dire, ammoniti dal suo esempio, a noi stessi: Se Egli [ha patito], perché non anche noi? Come Egli [ha patito], così anche noi. Per quanto poi abbia incrudelito il nemico, è potuto giungere sino alla morte del corpo; e neppure il corpo ha potuto distruggere nel Signore, poiché il terzo giorno è risorto. Ciò che in Lui è accaduto nel terzo giorno, in noi accadrà alla fine dei secoli. La speranza della nostra risurrezione è rimandata, ma può forse esser tolta? Riconosciamo dunque qui, carissimi, le parole di Cristo, e teniamole distinte dalle voci degli empi. Sono infatti parole del Corpo che soffre, in questo secolo, persecuzioni, angustie e tentazioni. Ma poiché molti qui soffrono, e per i loro peccati e per i loro delitti, dobbiamo discernere con grande attenzione la causa delle sofferenze, non la pena che subiscono. Uno scellerato può infatti subire una pena simile a quella di un martire, ma tuttavia ben dissimile ne è la causa. Erano tre sulla croce (Cf. Lc 23 Lc 33): uno il Salvatore, il secondo da salvare, il terzo da condannare: pari era la pena per tutti, ma diversa la causa.

Il Signore allontana da sé gli iniqui.

2. [vv. 11.12.] Dica dunque il nostro Capo: Levandosi testimoni iniqui, mi interrogavano su quanto non sapevo. E diciamo noi al nostro Capo: Signore, che cosa non sapevi? Forse tu ignoravi qualcosa? Non conoscevi forse anche i cuori di coloro che ti interrogavano? non avevi previsto i loro inganni? non ti eri forse dato ben consapevole in loro mano? non eri forse venuto per soffrire a causa di loro? Che cosa dunque ignoravi? Ignorava il peccato: e lo ignorava non perché non lo giudicava, ma perché non lo commetteva. Quotidianamente usiamo modi di dire di questo genere, come quando tu dici di qualcuno: Non sa stare, cioè non sta; non sa fare il bene, poiché non lo fa; non sa fare il male, poiché non lo commette. Ciò che è estraneo all’azione è estraneo alla coscienza, e ciò che è estraneo alla coscienza sembra esserlo anche alla conoscenza. Così si dice che Dio non sa, allo stesso modo per cui la teoria non conosce la deformità; e tuttavia è per mezzo della teoria che sono giudicate le cose conosciute. Così dunque il nostro Capo, per la verità del suo stesso Vangelo, a noi che Lo interroghiamo dicendogli: Signore, che cosa ignoravi? che cosa hanno potuto chiederti che tu non conoscessi?, risponde: Ignoravo le iniquità, ero interrogato riguardo a iniquità. Lo trovi nel Vangelo, se non credi che io ignorassi le iniquità, dato che non conosco neppure gli iniqui, ai quali alla fine dirò: Non vi conosco, via da me, voi che operate iniquità (Mt 7,23). Non conosceva dunque coloro che condannava? e come può condannare secondo giustizia se non chi conosce bene? E tuttavia il buon conoscitore non ha mentito dicendo: Non vi conosco; cioè non vi siete uniformati al mio corpo, non vi siete attenuti alle mie norme; voi siete i vizi, mentre io sono la teoria stessa che non ha vizio, e nella quale ciascuno non apprende niente altro che non sia il non commettere vizi. Levandosi testimoni iniqui mi interrogavano su quanto non sapevo. Che cosa Cristo tanto ignorava quanto il bestemmiare? Eppure era interrogato dai persecutori, e, poiché disse il vero, fu giudicato un bestemmiatore (Cf. Mt 26,65). Ma da chi? Da coloro di cui parla dopo: Mi rendevano male per bene e sterilità alla mia anima. Io avevo portato la fecondità, essi mi restituivano la sterilità; io la vita ed essi la morte; io l’onore, essi le offese; io la medicina, essi le ferite; ed in tutte queste cose che rendevano certamente era la sterilità. Egli ha maledetto questa sterilità nell’albero, sul quale non ha trovato il frutto che cercava (Mt 21,19). C’erano foglie, e non c’erano frutti; erano parole, e non erano fatti. Osserva l’abbondanza nelle parole, e la sterilità nei fatti: Tu che predichi contro il furto, rubi; tu che dici che non si deve commettere adulterio, sei adultero (Cf. Rm 2,21 Rm 22). Tali erano coloro che interrogavano Cristo su quanto Egli ignorava.

Cilicio di Cristo è il suo corpo mortale.

3. [v 13.] Ma io, quand’essi mi molestavano, mi vestivo di cilicio; umiliavo nel digiuno l’anima mia; e la mia preghiera ritornava nel mio seno. Ricordiamoci, o fratelli, che noi apparteniamo al Corpo del Cristo, che siamo membra di Cristo (Cf. 1Co 12,27) e siamo qui esortati, in ogni nostra tribolazione, a non pensare in qual modo rispondere ai nemici, ma al modo di renderci benigno Dio con la preghiera, e soprattutto a come non essere vinti dalla tentazione; infine, anche al modo di convertire coloro che ci perseguitano alla salvezza della giustizia. Nella prova, niente di più importante, niente di meglio c’è da fare, quanto l’allontanarsi dal chiasso che fuori regna, e entrare nell’intimo segreto dell’anima (Cf. Mt 6,6): ivi, dove nessuno vede colui che geme e Colui che soccorre, invocare Dio; e chiudere la porta della propria cella in faccia ad ogni molestia che dal di fuori preme, umiliare noi stessi nella confessione del peccato, magnificare e lodare Dio sia quando corregge come quando consola; è così che in ogni modo dobbiamo comportarci. Ma tuttavia, abbiamo detto questo riguardo al corpo, cioè a noi: che cosa di simile riconosciamo nel Signor nostro Gesù Cristo? Leggendo accuratamente il Vangelo ed esaminandolo con grande attenzione, non abbiamo trovato che il Signore abbia indossato il cilicio in qualche sua sofferenza o tribolazione. Certo abbiamo letto che ha digiunato dopo essere stato battezzato: ma non abbiamo sentito parlare, né abbiamo letto, che abbia indossato il cilicio; e abbiamo visto che ha digiunato non quando i Giudei lo perseguitavano, ma quando il diavolo lo tentava (Cf. Mt 4, l). Voglio dire che il Signore non ha digiunato nel tempo in cui lo interrogavano su ciò che non sapeva e quando gli restituivano male per bene, inseguendolo, perseguitandolo, catturandolo, flagellandolo, ferendolo, uccidendolo, ma tuttavia in queste cose, o fratelli, se con la nostra pia curiosità solleviamo un poco il velo e scrutiamo con l’attento occhio del cuore nell’intimo della Scrittura, troviamo che anche questo ha fatto il Signore. Probabilmente chiama cilicio la mortalità della sua carne. Perché cilicio? Per la sua somiglianza con la carne del peccato. Dice infatti l’Apostolo: Dio mandò il suo Figlio in carne simile a quella del peccato, affinché con il peccato condannasse il peccato della carne (Rm 8,3). Cioè: rivestì di cilicio il suo Figlio, affinché con il cilicio condannasse i capri. Non perché vi fosse peccato, non dico nel Verbo di Dio, ma neppure in quella stessa anima santa e nella mente dell’uomo che il Verbo e la Sapienza di Dio aveva assunto nell’unità della persona; e nemmeno vi era alcun peccato nel corpo stesso in quanto nel Signore era soltanto la rassomiglianza con la carne del peccato; e, pur non essendoci morte se non per il peccato (Cf. Rm 5,12), certamente mortale era quel corpo. Se non fosse stato mortale, non sarebbe morto; se non fosse morto, non sarebbe risorto; e se non fosse risorto non ci avrebbe dato il modello della vita eterna. Ne consegue che si dice peccato la morte che deriva dal peccato, allo stesso modo in cui si dice lingua greca, o lingua latina, non la lingua quale membro della carne, ma ciò che si compie per mezzo di tale membro. La lingua infatti è uno tra gli altri membri della nostra carne, come gli occhi, il naso, le orecchie, eccetera; mentre la lingua greca sono le parole greche: non perché le parole siano la lingua, ma perché le parole si pronunciano mediante la lingua. Tu dici di uno: Ho riconosciuto la sua faccia, riferendoti a quella parte del suo corpo; e dici anche: Ho riconosciuto la mano di colui che è assente, non riferendoti alla mano del corpo, ma alla scrittura che è stata tracciata dalla mano che era nel corpo. Così dunque è riguardo al peccato del Signore; perché Egli è stato fatto dal peccato, in quanto ha assunto la carne da quella stessa massa che per il peccato aveva meritato la morte. Per dirlo in una parola: Maria, discendente di Adamo, è morta a cagione del peccato, Adamo è morto a cagione del peccato, e la carne del Signore figlio di Maria è morta per distruggere i peccati. Di questo cilicio si è rivestito il Signore; e per questo non è stato riconosciuto, perché era nascosto sotto il cilicio. Quand’essi mi molestavano ? dice - mi vestivo di cilicio, cioè: essi incrudelivano ed io mi nascondevo. Infatti, se non avesse voluto nascondersi, neppure avrebbe potuto morire, dato che, quando ad un certo momento manifestò una stilla della sua potestà - se stilla si può chiamare - allorché essi lo volevano catturare, alla sua semplice domanda: Chi cercate?, furono tutti rigettati e stramazzarono a terra (Cf Jn 18,4 Jn 6). Non avrebbe potuto umiliare nella Passione una così grande potenza, se non l’avesse nascosta sotto il cilicio.

4. Dunque, mi vestivo di cilicio; e umiliavo nel digiuno l’anima mia. Abbiamo capito il significato del cilicio: come interpreteremo il digiuno? Voleva mangiare Cristo, quando cercava i frutti sull’albero, e ne avrebbe mangiati se ne avesse trovati (Mc 11,13)? Voleva bere Cristo, allorché disse alla donna Samaritana: Dammi da bere (Jn 4,7) e quando disse sulla croce: Ho sete (Jn 19,28)? Di che cosa aveva fame, di che cosa aveva sete Cristo, se non delle nostre buone opere? In coloro che lo crocifiggevano e lo perseguitavano, poiché in essi nessuna buona opera aveva trovato, digiunava; rendevano infatti sterilità all’anima sua. Quale fu mai il suo digiuno, dato che a stento trovò un solo ladrone, di cui sfamarsi sulla croce? Gli Apostoli erano infatti fuggiti, e si erano nascosti tra la folla. E quel Pietro che aveva promesso di essere fedele al Signore fino alla morte, già tre volte lo aveva rinnegato, già aveva pianto ed ancora stava nascosto tra la folla, ancora temeva di essere riconosciuto. Infine, vistolo morto, tutti disperarono della stessa salvezza; dopo la risurrezione li trovò infatti disperati, e parlò con loro trovandoli in lacrime e addolorati, senza più alcuna speranza. In tale condizione sono taluni di loro che con Lui parlano, allorché Egli dice: Di che parlate tra voi? Essi parlavano di Lui: Tu solo - dicono - sei forestiero in Gerusalemme e non hai saputo ciò che hanno fatto i sacerdoti e i nostri capi di Gesù Nazareno, che era potente nei fatti e nelle parole, e come lo hanno crocifisso e lo hanno ucciso? Ora noi speravamo che Egli avrebbe riscattato Israele (Lc 24,18-21). Il Signore sarebbe rimasto del tutto digiuno, se non avesse ristorato coloro di cui voleva nutrirsi. Ed infatti li ristorò, li consolò, li rafforzò, e li convertì nel suo corpo. Fu dunque in questo modo che il Signore nostro soffrì il digiuno.

La preghiera nascosta.

5. E la mia preghiera - dice - ritornava nel mio seno. In questo verso il seno appare come un grande abisso, e ci assista il Signore affinché possiamo penetrarlo. Per seno infatti si intende un luogo segreto, e qui, o fratelli, siamo in verità esortati a pregare nel nostro seno, ove Dio vede, ove Dio ascolta, dove nessun occhio umano penetra, dove nessuno ci vede se non Chi ci sostiene; ivi pregò Susanna, e mentre la sua voce non era udita dagli uomini, fu tuttavia udita da Dio (Cf. Da 13,35 Da 44). Ed a questo siamo giustamente esortati; ma dobbiamo intendere qualcosa di più quando si tratta del nostro Signore, e della sua preghiera. Pertanto, stando alla lettera, il Vangelo non ci dice che Egli abbia mai portato il cilicio e neppure troviamo, secondo la lettera, che abbia digiunato nel corso della sua Passione: ed abbiamo perciò spiegato, come abbiamo potuto, tutte queste cose come allegorie e figure. Invece la sua preghiera l’abbiamo udita, quando era sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Ps 21,2 Mt 27,46) E là, è di noi che si trattava. Quando infatti lo ha abbandonato il Padre, dal quale mai si è allontanato? E leggiamo anche che Gesù pregò sul monte da solo, che trascorse la notte in preghiera: e così fece nell’imminenza della sua Passione (Cf. Mt 14,23 Lc 6,12). Nel mio seno - dunque - ritornava la mia preghiera. Poiché per ora non so trovare interpretazione migliore riguardo al Signore, dirò ciò che mi viene in mente e più tardi forse verrà in mente qualcosa di meglio a me o a chiunque altro più capace. Io intendo che le parole nel mio seno ritornava la mia preghiera, si riferiscano alla presenza del Padre nel suo seno. Dio era infatti in Cristo, per riconciliare a sé il mondo (Cf. 2Co 5,19). Aveva in sé Colui che doveva pregare; non era lontano da Lui, dato che Egli stesso aveva detto: Io sono nel Padre, ed il Padre è in me (Jn 14,10). Ma, poiché la preghiera compete di più all’uomo stesso, il Cristo in quanto Verbo non prega ma esaudisce; e non chiede di essere aiutato, ma, insieme con il Padre, tutti soccorre. E quindi le parole: La mia preghiera ritornava nel mio seno, significano che nel Cristo stesso l’umanità invoca la divinità che è in Lui medesimo.

Vicinanza e somiglianza con Dio.

6. [v 14.] Come in un prossimo, come in un nostro fratello, così mi compiacevo; come un uomo che piange e si rattrista, così mi umiliavo. Guarda egli il suo Corpo, nel quale dobbiamo riconoscere noi stessi. Quando proviamo la gioia della preghiera, quando la nostra anima gusta la pace non nella prosperità terrena ma nella luce della verità, colui che avverte questa luce sa che cosa dico, e vede, e riconosce la verità di queste parole: Come in un prossimo, come in un nostro fratello, così mi compiacevo. È così che l’anima infatti si compiace in Dio, da cui non è lontana. In Lui - dice l’Apostolo - ci muoviamo e siamo (Ac 17,28), come in un fratello, come in un vicino, in un amico. Ma se non è tale da poter così gioire, così risplendere, così avvicinarsi, così stringersi a Lui, e si accorge perciò di essere lontano, faccia quanto segue: come un uomo che piange e si rattrista, così mi umiliavo. Come in un nostro fratello così mi compiacevo, ha detto per indicare quando si è vicini; Come uomo che piange e si rattrista, così mi umiliavo è detto per chi è distante, per chi si trova lontano. Perché, infatti, piange, se non perché desidera e non ha? Talvolta nello stesso uomo accadono ambedue le cose, per cui ora si avvicina, ed ora si trova lontano; si avvicina per la luce della verità, è tenuto lontano dalla nube della carne. Ma pensiamo, fratelli, che Dio è ovunque e non è contenuto da alcuno spazio: quindi non attraverso dei luoghi ci avviciniamo o ci allontaniamo da Lui. Avvicinarci a Lui significa diventare simili a Lui; allontanarci divenire da Lui dissimili. Non dici forse, quando vedi due cose quasi simili: questa si avvicina a quella? E quando ti sono mostrate due cose diverse, anche se sono nello stesso luogo e magari nella stessa mano, non dici: Questa è di una specie lontana da quella? Ambedue tieni in mano, ambedue tieni vicine, eppure dici: questa cosa è lontana da quella, non certo per il luogo, ma per la diversità. Orbene, se ti vuoi avvicinare a Lui, sii a Lui simile; se non vuoi essergli simile, ti allontanerai da Lui. Ma quando gli sei simile, gioisci; quando non gli rassomigli, gemi, affinché il gemito ecciti il desiderio, o meglio il desiderio susciti il gemito e possa con il gemito avvicinarti, tu che avevi cominciato ad allontanarti. Forse Pietro non si avvicinò, quando disse: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente (Mt 16,16)? E di nuovo si allontanò, dicendo: Signore, lungi da te, questo non accadrà (Mt 16,22)? E che disse, infine, come un prossimo, a colui che si avvicinava? Beato te, Simone Bariona (Mt 16,17). Del pari, a colui che si allontanava, e diveniva dissimile, disse: Va indietro, Satana (Mt 16,23). Ed a colui che si avvicinava: Non te lo ha rivelato la carne o il sangue - disse - ma il Padre mio che sta nei cieli (Mt 16,17), la luce di Lui che ti ha illuminato, di questa luce risplendi. Ma quando, allontanatosi, si oppose alla Passione del Signore che doveva accadere per la nostra salvezza: Non hai il senso - disse - delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini (Mt 16,23). Giustamente dunque, unendo il Profeta ambedue le cose, dice nel salmo: Io ho detto nella mia estasi: sono stato rigettato dalla vista dei tuoi occhi (Ps 30,23). Non potrebbe parlare nell’estasi se non si fosse avvicinato: l’estasi infatti è l’uscita da sé della mente. Ha elevato al di sopra di sé la sua anima, e si è avvicinato a Dio; ma poi il peso della carne lo ha rigettato di nuovo a terra come attraverso una nube: allora, ripensando a dove era e vedendo dove è, ha detto: Sono stato rigettato dalla vista dei tuoi occhi. Orbene, faccia il Signore che in noi si compia quanto qui è detto: Come in un prossimo, come in un nostro fratello, così mi compiacevo. Ma quando così non accade, accada almeno questo: Come uno che piange e si rattrista, così mi umiliavo.

7. [v 15.] E contro di me si sono allietati e si sono radunati insieme. Essi lieti, io triste. Ma abbiamo ora ascoltato nel Vangelo le parole: Beati coloro che piangono (Mt 5,5). Se sono beati coloro che piangono, sono miseri quelli che ridono. Contro di me si sono allietati e si sono radunati; si sono accumulati supplizi contro di me, ed essi non sapevano. Perché mi interrogavano su ciò che non sapevo, ed essi stessi non sapevano chi era colui che interrogavano.

Persecuzioni al corpo di Cristo.

8. [v 16.] Mi hanno tentato e mi hanno schernito con scherno feroce. Cioè mi hanno deriso, mi hanno insultato: sia nel Capo, che nel Corpo. Fate attenzione, fratelli, alla gloria della Chiesa che qui appare; ricordate la sua vergogna passata, pensate che un tempo i Cristiani erano scacciati da ogni parte, e, dovunque erano trovati, derisi, percossi, uccisi, gettati alle belve, bruciati e contro di loro si rallegravano gli uomini. Ciò che è accaduto al Capo, è accaduto anche al Corpo. Quel che è accaduto al Signore sulla croce, così si è verificato nel suo Corpo in ogni persecuzione inflittagli; e neppure ora desistono le persecuzioni degli uomini. Ovunque trovano un cristiano, sono soliti insultarlo, tormentarlo, deriderlo, chiamarlo folle, sciocco, di nessun coraggio, a niente capace. Facciano tutto quanto vogliono: Cristo è in cielo. Facciano tutto quello che vogliono: Egli ha onorato il suo supplizio, già la sua croce ha segnato sulla fronte di tutti; all’empio è permesso insultare, ma non incrudelire, anche se tuttavia, da ciò che la lingua palesa, si intende che cosa reca in cuore. Hanno digrignato i denti contro di me.

9. [v 17.] Signore, quando guarderai? Libera l’anima mia dalle loro astuzie, dai leoni l’unica mia. Infatti per noi lunga è l’attesa, ed è in persona nostra che vien detto: quando guarderai? cioè: quando vedremo il castigo di coloro che ci oltraggiano? Quando ascolterà la causa di quella vedova il giudice ora preso dal tedio (Cf. Lc 18,3)? Ma in verità il nostro giudice, non per il tedio ma per amore, differisce la nostra salvezza; intenzionalmente, non per manchevolezza; non perché non ci possa soccorrere anche ora, ma perché il numero di tutti noi possa alla fine essere completato. E tuttavia noi, spinti dal desiderio, che cosa diciamo? Signore, quando guarderai? Libera l’anima mia dalle loro astuzie, dai leoni l’unica mia, cioè la mia Chiesa dai potenti che incrudeliscono.

Cristiani buoni e cattivi.

10. [v 18.] Vuoi infine sapere perché ella è unica? Leggi le parole che seguono: Ti confesserò, o Signore, nella grande Chiesa, nel popolo forte ti loderò. È chiaro, nella grande Chiesa ti confesserò, nel popolo forte ti loderò. La confessione di fede si compie infatti in tutta la folla, ma non da tutti Dio è lodato; tutta la folla ascolta la nostra confessione, ma non in tutta la folla echeggia la lode di Dio. Perché in tutta questa moltitudine, cioè nella Chiesa che è diffusa in tutto il mondo, c’è la paglia ed il grano; la paglia vola via, il grano resta; perciò: nel popolo forte ti loderò. Nel popolo forte, che il vento della tentazione non porta via, in questo è lodato Dio. Tra la paglia infatti sempre si bestemmia. Che si dice, quando si osserva la nostra paglia? Ecco in qual modo vivono i Cristiani, ecco che cosa fanno i Cristiani: si compie tra essi quanto sta scritto: Poiché il mio nome per cagion vostra è bestemmiato tra le genti (Is 52,5 Rm 2,24). O ingiusto, o invidioso, tu che sei tutto intero nella paglia, scruti l’aia: difficilmente incontrerai il grano; cercalo e troverai il popolo forte, nel quale lodare il Signore. Vuoi trovarlo? Sii tu tale. Se non sarai infatti simile, è difficile che non ti sembrino tutti come sei tu. E paragonando - dice l’Apostolo - se stessi con se medesimi (2Co 10,12), non comprendono: nel popolo forte ti loderò.

11. [vv 19-21.] Non mi offendano coloro che ingiustamente mi combattono. Mi offendono infatti riguardo a quanto di paglia è in me. Coloro che gratuitamente mi hanno odiato, cioè coloro ai quali non ho fatto niente di male. E ammiccando con gli occhi, cioè gli ipocriti simulatori. Perché mi parlavano in modo pacifico. Che vuol dire ammiccando con gli occhi? Vuol dire manifestando nel volto ciò che non hanno nel cuore. E chi sono coloro che ammiccano con gli occhi? Perché mi parlavano in modo pacifico; e nell’ira meditavano inganni. E hanno spalancato contro di me la loro bocca. Dapprima ammiccando con gli occhi, quei leoni che cercano di rapire e divorare, dapprima lusingando, parlavano in tono pacifico e nell’ira meditavano inganni. Che cosa dicevano in tono pacifico? Maestro, sappiamo che non tieni conto della persona di nessuno, e nella verità insegni la via di Dio: è lecito pagare il tributo a Cesare, o non è lecito? Certamente mi parlavano in tono pacifico. Ma come? Tu non li riconoscevi, e ti ingannavano ammicando con gli occhi? Certo che li riconosceva: per questo dice: Perché mi tentate, o ipocriti? (Mt 22,16-18) Più tardi hanno spalancato contro di me la loro bocca, gridando: Crocifiggilo, crocifiggilo! (Lc 23,21) Hanno detto: Ah, ah! i nostri occhi hanno visto. Di già insultano: Ah! ah! indovinaci, Cristo (Mt 26,68). Allo stesso modo in cui era falsa la loro pace quando lo tentavano a proposito del tributo, così ora insultante è la loro lode. Hanno detto: Ah! ah! i nostri occhi hanno visto cioè hanno visto le tue opere, i tuoi miracoli. Questi è il Cristo. Se egli è il Cristo, discenda dalla croce e gli crederemo. Ha salvato gli altri, e non può salvare se stesso (Mt 27,42). I nostri occhi hanno visto. Cioè hanno visto che si vantava, quando diceva di essere il Figlio di Dio (Cf. Jn 19,7). Ma il Signore paziente stava confitto alla croce; non aveva perduto la sua potenza, dimostrava invece la sua sapienza. Che cosa sarebbe stato di straordinario discendere dalla croce, per Lui che poté poi risorgere dal sepolcro? Ma sarebbe sembrato che avesse ceduto a coloro che lo insultavano; e questo era necessario, per potersi manifestare, risorgendo, ai suoi e non a quelli, implicando un grande mistero, perché la sua risurrezione significava la nuova vita, e la nuova vita è conosciuta dagli amici, non dai nemici.

12. [v 22.] Hai visto, Signore: non tacere. Che significa: non tacere? Giudica. Del giudizio infatti è detto in un certo passo: Ho taciuto, forse sempre tacerò? (Is 42,14) Ed a proposito del differimento del giudizio è detto al peccatore: Hai fatto questo, ed ho taciuto; hai creduto empiamente che fossi simile a te (Ps 49,21). In qual modo tacerà Colui che parla per mezzo dei Profeti, che parla con la sua bocca nel Vangelo, che parla per mezzo degli Evangelisti, che parla attraverso noi stessi allorché diciamo il vero? E che dunque? Si astiene dal giudizio: non dal precetto, non dalla dottrina. Ma questo suo giudizio invoca in certo modo il Profeta, predicendo: Hai visto, Signore, e non te ne starai zitto, cioè non tacerai, poiché è necessario che tu giudichi. Signore, non allontanarti da me. Fino a quando giunga il giudizio, non allontanarti da me, come hai promesso: Ecco, io sono con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt 28,20).

Il vero martirio.

13. [v 23.] Levati, o Signore, e prendi a cuore il mio giudizio. Quale giudizio? Per il fatto che stai soffrendo, che sei tormentato dalla fatica e dal dolore? Forse che non soffrono tali cose anche molti malvagi? Quale giudizio? Saresti dunque giusto perché soffri tutto questo? No! ma che cosa allora? Il mio giudizio. Come prosegue? Prendi a cuore il mio giudizio, Dio mio e mio Signore, secondo la mia causa. Non secondo la mia pena, ma secondo la mia causa: non secondo ciò che con me ha in comune il ladrone, ma secondo ciò che io ho in comune con i beati che subiscono persecuzioni a cagione della giustizia (Mt 5,10). Perché ben distinta è questa causa. La pena, infatti, è uguale per i buoni come per i cattivi. Ciò che fa i martiri non è il supplizio, ma la causa. Se infatti fosse il castigo a fare i martiri, tutte le miniere sarebbero piene di martiri, tutte le catene trascinerebbero dei martiri, e sarebbero coronati tutti coloro che sono colpiti dalla spada. Si distingua dunque la causa. Nessuno dica: Dato che patisco, sono un giusto. Infatti colui che per primo ha patito, ha patito per la giustizia; per questo aggiunge la grande precisazione: Beati coloro che soffrono persecuzioni a cagione della giustizia. Molti per una buona causa compiono persecuzioni, e molti ne subiscono per una cattiva causa. Perché, se la persecuzione non potesse avere il bene per effetto, non si direbbe nel salmo: Chi in segreto sparla del prossimo, costui io perseguiterò (Ps 100,5). E poi, fratelli, il padre buono e giusto non perseguita forse il figlio vizioso? Perseguita i suoi vizi, non lui stesso: non ciò che ha generato, ma ciò che quello ha aggiunto a se medesimo. Ed il medico, chiamato per far ricuperare la salute, noti si arma il più delle volte del ferro? Ma contro le ferite, non contro l’uomo. Taglia per guarire; e tuttavia mentre incide nel malato, questi soffre, grida, fa resistenza, e se per caso perde il senno per la febbre, arriva anche a colpire il medico; ma questi non cessa di curare l’ammalato, perché sa quello che fa, e non si cura se quello lo maledice e lo insulta. Non sono forse bruscamente scossi quelli affetti da sonno letargico, affinché quel pesante sonno non li spinga alla morte? E questo subiscono dai loro figli che han generato amatissimi; e non è caro il figlio se non avesse molestato il padre che dorme. Quelli affetti da sonno letargico sono risvegliati, gli epilettici sono legati; ma tuttavia gli uni e gli altri sono amati. Nessuno dica dunque: Subisco persecuzioni. Non sbandieri la pena, ma ne dimostri la causa, perché non accada che, se non ne avrà dimostrato la causa, sia annoverato fra gli iniqui. Per questo con quanta diligenza ed efficacia qui è detto: Signore, prendi a cuore il mio giudizio, non le mie pene, Dio mio e mio Signore, secondo la mia causa!

14. [v 24.] Giudicami, o Signore, secondo la mia giustizia. Cioè secondo la mia causa. Non secondo la mia pena, ma secondo la mia giustizia, Signore Dio mio, cioè secondo questo giudicami.

Convertire il mondo a noi.

15. [vv 24-26.] E non si faccian beffe di me i miei nemici. Non dicano in cuor loro: Bene, bene, per l’anima nostra, cioè: Abbiamo fatto quanto abbiamo potuto, lo abbiamo ucciso, lo abbiamo tolto di mezzo. Non dicano, cioè: Mostra che non hanno fatto niente. Non dicano: Lo abbiamo divorato. Per questo i martiri gli dicono: Se il Signore non era in noi, forse ci avrebbero divorati vivi (Ps 123,1 Ps 3). Che significa ci avrebbero divorati? Che ci avrebbero fatti passare per il loro corpo. Tu infatti divori quando fai passare qualcosa per il tuo corpo. Il mondo ti vuole divorare; e tu divora il mondo, fallo passare per il tuo corpo, uccidilo e mangialo. Questo è detto a Pietro: Uccidi e mangia (Ac 10,13), cioè uccidi in essi ciò che essi sono, e fa di loro ciò che tu sei. Ma se essi invece ti avranno indotto all’empietà, sarai da loro divorato. Non ti divorano quando ti perseguitano, ma quando ti inducono ad essere ciò che essi sono. Non dicano: l’abbiamo divorato. Divora tu il corpo dei pagani. Perché il corpo dei pagani? Esso ti vuole inghiottire, ebbene fa’ a lui ciò che egli vuole fare a te. Forse per questo quel vitello ridotto in polvere e gettato nell’acqua fu dato da bere a Israele, affinché, cioè, esso inghiottisse il corpo degli empi (Cf. Ex 32,20). Arrossiscano e sian svergognati a un tempo coloro che si rallegrano delle mie sciagure; siano coperti di confusione e di rossore, affinché noi li inghiottiamo vergognosi e confusi. Coloro che parlano perversamente contro di me: costoro arrossiscano e siano confusi.

Continua lode a Dio.

16. [vv 27.28.] Che dici tu, che sei il Capo, con le membra? Esultino e si rallegrino coloro che vogliono la mia giustizia, cioè che si sono tenuti stretti al mio corpo. E dicano sempre: Sia magnificato il Signore, coloro che vogliono la pace del suo servo. E la mia lingua celebrerà la tua giustizia, tutto il giorno la tua lode. La lingua di chi, continua a celebrare tutto il giorno la lode di Dio? Ecco, ora il discorso si è fatto un poco più lungo, e siamo affaticati. Chi è capace di lodare Dio tutto il giorno? Ti suggerisco un mezzo, perché tu possa lodare Dio tutto il giorno, se lo vuoi. Qualunque cosa tu faccia, falla bene e avrai lodato Dio. Quando canti gli inni, lodi Dio; ma che cosa fa la tua lingua, se non lodi anche con la tua coscienza? Hai smesso di cantare l’inno: te ne vai a rifocillarti? Non ubriacarti, e avrai lodato Dio. Te ne vai a dormire? Non alzarti per compiere il male e avrai lodato Dio. Tratti un affare? Non imbrogliare, e avrai lodato Dio. Coltivi un podere? Non muover lite a nessuno, e avrai lodato Dio. Nella purezza delle tue opere disponiti a lodare Dio tutto il giorno.

SUL SALMO 35

35 Ps 35

ESPOSIZIONE

Discorso al popolo

Odiare il male per aderire a Dio.

1. [v 2.] Intenda un poco la vostra Carità il testo e i misteri contenuti in questo salmo, e scorriamolo, dato che in molti passi il suo significato è chiaro; ma dove ci costringerà a soffermarsi la necessità di chiarire qualche oscurità, accetterete per il frutto dell’apprendimento. Ha detto l’ingiusto per peccare. tra sé e sé: non c’è timor di Dio davanti ai suoi occhi. Non parla di un uomo solo, ma della genia degli uomini ingiusti, i quali combattono con se stessi, non comprendendo come vivere bene, non perché non possono, ma perché non vogliono. Una cosa è infatti quando uno si sforza di capire qualcosa, ma non lo può per la debolezza della carne, come dice in un certo passo la Scrittura: Perché il corpo che si corrompe appesantisce l’anima, e la dimora terrena deprime la mente che pensa molte cose (Sg 9,15); un’altra cosa è invece quando il cuore umano agisce in modo dannoso contro se medesimo, tanto che non capisce quanto potrebbe capire se ne avesse la buona volontà, non perché è difficile, ma perché la volontà vi si oppone. Questo accade quando [gli ingiusti] amano i loro peccati, e odiano i comandamenti di Dio. La parola di Dio è dunque tua nemica, se sei amico della tua ingiustizia; ma se sei nemico della tua ingiustizia, la parola di Dio è tua amica e nemica della tua iniquità. Orbene, se hai odiato la tua ingiustizia, ti unisci alla parola di Dio; e sarete in due impegnati a distruggerla, tu e la parola di Dio. Tu infatti niente puoi fare con le sole tue forze; ma ti aiuta Colui che ti ha mandato la sua Parola, e l’ingiustizia è vinta. Se tu l’hai odiata, Dio ti ha perdonato e tu sarai libero; ma se l’ami, sarà contrario a te comprendere ciò che si dice contro di essa. Supponi che uno indaghi in qual modo il Figlio sia uguale al Padre; lo ha creduto, cerca di intenderlo, ma ancora non può. È un grande mistero, e necessita di forze ben più grandi per poter essere compreso; è l’inizio della fede che custodisce l’anima finché non si è fatta più forte. Si nutre con il latte, affinché giunga alla condizione e alla robustezza del cibo più solido e possa così intendere: In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo (Jn 1,1). Prima di poter intendere, si nutre con la fede, e si sforza di comprendere, per capire quanto Dio ha offerto. Forse che occorre uno sforzo anche per capire questo: Ciò che non vuoi ti sia fatto, non fare ad altri (Tb 4,16), in modo che, se non vuoi subire ingiustizia, tu non ne faccia ad altri, e se non vuoi patire inganno e insidie, tu non tenda insidie ad altri? Ma se non vuoi intendere questo, la colpa è della tua volontà. Ecco perché ha detto l’ingiusto per peccare tra sé e sé; cioè l’ingiusto si è proposto di peccare.

2. Ma forse chi si propone di peccare lo dichiara pubblicamente, e non in se stesso? Perché in se stesso? Perché l’uomo non vede il suo interno. E che, dunque, perché l’uomo non vede nel suo cuore ove dice a se stesso di peccare, neppure Dio vede in tal luogo? Dio vede colà. Ma che cosa segue? Non c’è timor di Dio davanti ai suoi occhi. Davanti agli occhi sta il timore degli uomini. Non osa infatti proclamare pubblicamente la sua iniquità, per non essere rimproverato o condannato dagli uomini. Si allontana dunque dal cospetto degli uomini: [per andare] dove? In se stesso! rientra in se medesimo, e nessuno lo vede; laddove medita inganni, insidie e delitti, nessuno lo vede. Neppure qui, tra sé, potrebbe meditare [il peccato], se pensasse che Dio lo vede, ma poiché non c’è timore di Dio davanti ai suoi occhi, quando si è distolto dallo sguardo degli uomini al suo cuore, là di chi avrà timore? Ma forse là non è presente Dio? Sì, ma non c’è timor di Dio al suo cospetto.

Responsabilità nel peccato d'ignoranza.

3. [v 3.] Trama dunque inganni; e continua (è forse nascosto, dato che là Dio lo vede? ecco dunque che si manifesta ciò che avevo intrapreso a dire; si nasconde, ma per sua volontà, poiché ha agito contro di sé non volendo comprendere): Perché ha agito con inganno al cospetto di lui. Al cospetto di chi? Al cospetto di Colui del quale non c’è timore davanti agli occhi di chi ha agito con inganno. Per trovare la sua malvagità e odiarla. Costui insomma ha operato in modo da non trovare. Vi sono infatti uomini che sembra che si sforzino di cercare la loro iniquità e temono di trovarla; perché, se l’avranno trovata, verrà loro detto: Allontanati da essa; queste cose hai commesso prima di conoscere, sei caduto nell’iniquità quando eri nell’ignoranza; Dio ti perdona; ora l’hai conosciuta, abbandonala, affinché possa facilmente esser concesso il perdono alla tua ignoranza, e tu dica con fronte alta a Dio: Non ricordarti dei delitti della mia gioventù e della mia ignoranza (Ps 24,7). Questa ingiustizia cerca, e teme di trovarla; quindi la cerca in modo disonesto. Quand’è che l’uomo dice: non sapevo che è peccato? Quando vedrà che è peccato, e cesserà dal commettere quel peccato che commetteva perché non lo sapeva; così costui davvero ha voluto conoscere l’ingiustizia, per trovarla ed odiarla. Ma invece ora molti agiscono disonestamente per scoprire la loro malvagità, cioè non operano con l’intenzione di trovarla e di odiarla. E, dato che c’è inganno nella stessa ricerca, nel trovarla ci sarà la difesa del male. Quando infatti avrà trovato l’iniquità, ecco che ormai gli è manifestato che si tratta di iniquità. Non ho voluto commetterla, tu dici. E quello che disonestamente si comportava nel ricercarla, ormai l’ha trovata, e non la odia: che dice costui? Molti fanno così: e chi non lo fa? Forse che Dio perderà tutti costoro? Oppure costui dice: Se Dio non volesse che queste cose accadessero, vivrebbero coloro che le commettono? Vedi dunque perché disonestamente ti comportavi nel ricercare la tua malvagità? Infatti, se tu avessi agito non disonestamente ma sinceramente, già l’avresti trovata e la odieresti; ora invece l’hai trovata e la difendi. Ingannevolmente dunque agivi, quando la cercavi.

4. [v 4.] Le parole della sua bocca sono iniquità e inganno; non ha voluto intendere per fare il bene. Vedete che la colpa di questo comportamento è della volontà, in quanto vi sono uomini che vogliono comprendere e non possono, ma vi sono anche uomini che non vogliono capire, e per questo non intendono. Non ha voluto intendere per fare il bene.

Nel segreto del cuore preghiamo.

5. [v 5.] Ha meditato iniquità sul suo giaciglio. Perché ha detto sul suo giaciglio? Ha detto l’ingiusto per peccare tra sé e sé; ciò che prima ha detto con le parole tra sé e sé, ora ha detto con le parole sul suo giaciglio. Il nostro giaciglio è il nostro cuore; è là che subiamo il tumulto della cattiva coscienza, ed è là che riposiamo, quando la nostra coscienza è buona. Chi ama il giaciglio del suo cuore, compia in esso qualcosa di buono. Là vi è il giaciglio, ove il Signore Gesù Cristo ci ordina di pregare: Entra nella tua cella e chiudi la tua porta. Che significa chiudi la tua porta? Non attendere da Dio cose esteriori, ma quelle che sono nell’intimo, e il Padre tuo, che vede nel segreto, te le darà (Mt 6,6). Chi è che non chiude la sua porta? Chi chiede a Dio, come cosa di gran pregio e a cui dedica tutte le sue preghiere, di ottenere i beni di questo mondo. Allora la tua porta è aperta, la folla vede quando preghi. Che significa chiudere la tua porta? Significa chiedere a Dio ciò che solo Dio sa in qual modo darti. E che cos’è ciò per cui chiudi la porta e preghi? Ciò che occhio non ha visto, né orecchio ha udito, né è salito al cuore dell’uomo (Cf. Is 44,4 1Co 2,9). E probabilmente non è salito allo stesso tuo giaciglio, cioè al tuo cuore. Ma Dio sa che cosa ti darà. E quando accadrà? Quando il Signore si rivelerà, quando apparirà come giudice. Che cosa c’è infatti di più chiaro di quanto Egli dirà a coloro che staranno alla sua destra? Venite, benedetti del Padre mio, entrate in possesso del Regno che è stato preparato per voi sin dall’origine del mondo (Mt 25,34). Ascolteranno queste parole quelli che saranno alla sinistra, e gemeranno in una infruttuosa penitenza (Cf. Sg 5,3) perché, vivendo in tal modo, non hanno voluto utilmente pentirsi. Perché gemeranno? Perché non vi sarà per loro più modo per correggersi. Ed essi stessi udranno: Andate nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi (Mt 25,41). Ecco la terribile parola. Infatti i giusti godranno nell’udire la parola buona, così come sta scritto: In eterna memoria resterà il giusto, non avrà da temere la terribile parola (Ps 111,7). Terribile parola in effetti quella che udranno i malvagi: Andate nel fuoco eterno. Dio insomma, che può fare ben al di là di quanto noi chiediamo o concepiamo (Cf. Ep 3,20), cerca il nostro nascosto gemito affinché noi siamo graditi ai suoi occhi, e non ci vantiamo dinanzi agli uomini della nostra pretesa giustizia. Perché colui che vuol trar profitto dalla sua giustizia per piacere agli uomini, non allo scopo che gli uomini che lo vedono lodino Dio, ma con la mira di essere egli stesso lodato, non chiude la sua porta in faccia allo strepito del mondo; apre anzi la porta a tale strepito, e Dio non lo ode nel modo in cui vuole udire. Diamoci dunque da fare per purificare il giaciglio del nostro cuore; in modo che ivi possiamo essere in pace. La Carità vostra sa tutto quello che tanti devono sopportare in pubblico, nel foro, nelle liti, nelle cause, nelle difficoltà degli affari; e come ognuno, stanco per gli affari del foro, corre alla sua casa per riposarvi, e come ciascuno si preoccupa di concludere presto gli affari esterni, onde concedersi il riposo in casa sua. È per questo che ciascuno ha una sua casa, per trovarvi la calma. Ma se anche qui subisce fastidi, dove può riposare? E allora? È bene che almeno a casa sua trovi riposo. Ma se fuori deve sopportare gente non amica, ed in casa anche una cattiva moglie, preferisce andarsene fuori; allorché vuol riposarsi dalle fatiche di fuori, entra in casa; ma se qui non trova quiete, e nemmeno fuori trova requie, dove avrà pace? Almeno nella cella del cuore, penetrando nell’intimo della tua coscienza. Se per avventura ivi hai trovato una sposa che non ti amareggia, cioè la Sapienza di Dio, con essa unisciti, riposa nella tua cella e non ti scacci di là il fumo della cattiva coscienza. Ma colui di cui parla la Scrittura si ritirava dalla vista degli uomini per meditare l’inganno; e tale era l’oggetto della sua meditazione che non trovava riposo neppure nel suo cuore. Ha meditato iniquità sul suo giaciglio.

Il combattimento spirituale.

6. Si è fermato per ogni via non buona. Che significa si è fermato? Ha peccato insistentemente. Per questo di chi è pio e buono è detto: E sulla via dei peccatori non si è fermato (Ps 1,1). Come quello non si è fermato, così questo si è fermato. E non ha avuto in odio il male. Qui è il fine, qui è il frutto; se non può non avere il male, almeno lo abbia in odio. Quando infatti lo hai in odio, a stento esso ti induce a fare qualcosa di malvagio. È vero che il peccato è insito al corpo mortale; ma cosa dice l’Apostolo? Non regni il peccato nel vostro corpo mortale, in modo da obbedire ai suoi desideri (Rm 6,12). Quando comincia a non esservi più? Quando si adempirà in noi ciò che egli dice: Allorché questo corpo corruttibile si rivestirà di incorruttibilità, e questo corpo mortale si rivestirà di immortalità (1Co 15,53). Prima che tutto questo accada, nel corpo esiste il piacere del male; ma più grande è il piacere che deriva dal godimento della parola della Sapienza, del comandamento di Dio. Vinci il peccato e la sua volontà. Devi odiare il peccato e l’iniquità per unirti a Dio, che con te li odia. Se già sei unito con la mente alla Legge di Dio, con la mente servi la Legge di Dio. E se per via della carne servi la legge del peccato (Cf. Rm 7,25), dato che in te ci sono alcuni piaceri carnali, allora non ve ne saranno più, quando più non combatterai. Una cosa è non combattere ed essere nella pace vera e perpetua, un’altra cosa è combattere e vincere, un’altra cosa ancora è combattere ed essere vinti, ed un’altra ancora è non combattere ma essere presi prigionieri. Vi sono infatti senza dubbio uomini che non combattono, come questo di cui si parla; quando dice: Non ha avuto in odio il male, in qual modo potrebbe combattere contro ciò che non odia? Costui è fatto prigioniero dal male, e non combatte. Ma ve ne sono altri che cominciano a combattere; ma, poiché presumono delle loro forze, Dio, per mostrar loro che è Lui che vince se l’uomo si unisce a Dio, fa sì che pur combattendo siano vinti, e, mentre quasi cominciavano a conquistare la giustizia, divengano superbi e siano sconfitti. Costoro combattono, ma sono vinti. Chi è dunque colui che combatte e non è vinto? Colui che dice: Vedo un’altra legge nelle mie membra che si oppone alla legge della mia mente. Osserva questo combattente: costui non presume delle sue forze, e per questo sarà vincitore. Che cosa segue infatti? Me infelice uomo, chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (Rm 7,23-25). Confida in Colui che ordina di combattere, e vince il nemico aiutato da Chi dà tale ordine. Questi invece, non ha avuto in odio il male.

Tutto è dono di Dio.

7. [v 6.] Signore, nel cielo è la tua misericordia, e la tua verità [giunge] sino alle nubi. Non so di quale sua misericordia parli, dicendo che è nel cielo. Perché la misericordia del Signore è infatti anche in terra. Sta scritto: Della misericordia del Signore piena è la terra (Ps 32,5). Di quale misericordia parla dunque, quando dice: Signore, nel cielo è la tua misericordia? I doni di Dio sono in parte temporali e terreni ed in parte eterni e celesti; chi ama Dio per ricevere questi beni terreni e temporali, che sono a disposizione di tutti, è ancora come un animale: si serve certo della misericordia di Dio, ma non di quella speciale, che viene data solo ai giusti, ai santi, ai buoni. Quali sono i doni che abbondano per tutti? Il sole che Egli fa sorgere sopra buoni e cattivi, la pioggia che fa cadere su giusti ed ingiusti (Cf. Mt 5,45). Chi non ha questa misericordia di Dio? Gli è necessaria in primo luogo per essere, per distinguersi dalle bestie, per essere un animale razionale capace di conoscere Dio, e poi per godere di questa luce, di questa aria, della pioggia, dei frutti, della diversità delle stagioni, delle consolazioni terrene, della salute del corpo, dell’affetto degli amici, della prosperità della sua casa. Tutti questi sono beni, e sono doni di Dio. Non crediate, fratelli, che possa dare tali beni qualcun altro all’infuori di Dio. Orbene, chiunque attende questi doni solo dal Signore, si differenzia molto da coloro che li richiedono o ai demoni, o ai maghi o agli indovini. Questi infatti per due ragioni seno miserabili, perché desiderano soltanto i beni terreni, e perché non li chiedono a Colui che elargisce tutti i beni. Coloro invece che desiderano questi beni ed in essi vogliono essere felici e questi soli domandano a Dio, sono certamente migliori, perché appunto a Dio li chiedono; ma peraltro corrono ancora gravi rischi. Qualcuno dirà: perché corrono rischi? Perché, se ad un certo momento si mettono a considerare le cose umane, constatano che tutti questi beni terreni che desiderano, sono in abbondanza posseduti da empi e da ingiusti; e possono credere di aver perduto la ricompensa della loro adorazione a Dio, in quanto hanno ciò che hanno anche i malvagi, mentre essi amano Dio che invece i malvagi non amano; oppure quando essi, che adorano Dio, non hanno ciò che hanno quanti Lo bestemmiano. Di conseguenza versano ancora in pericolo.

La speranza.

8. Ma questi veramente ha capito quale misericordia si deve chiedere a Dio. Signore nel cielo è la tua misericordia, e la tua verità [giunge] sino alle nubi; cioè quella misericordia che doni ai tuoi santi è celeste, non terrena; è eterna, non temporale. Ed in qual modo hai potuto annunziarla agli uomini? Perché la tua verità [giunge] sino alle nubi. Chi potrebbe infatti conoscere la misericordia celeste di Dio, se Dio non l’avesse annunziata agli uomini? Ed in qual modo l’ha annunziata? Mandando sino alle nubi la sua verità. Che cosa sono le nubi? Sono gli annunziatori della parola di Dio. Per questo in un certo passo Dio è adirato con una certa vigna. Intenderà la Carità vostra, a quanto credo, che mi riferisco al profeta Isaia, laddove parla di una certa vigna: Ho aspettato che facesse l’uva, ha fatto invece spine. E affinché non si creda che egli parli di questa vigna visibile, così conclude: La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; e gli uomini di Giuda la piantagione sua prediletta. Rimproverava dunque la vigna stessa, aspettava che facesse l’uva e invece produsse spine. E che cosa dice? Comanderò alle mie nubi di non piovere sopra di essa (Is 5,4 Is 6 Is 7). Adirato Dio ha detto: Comanderò alle mie nubi di non piovere sopra di essa; e così è accaduto. Sono stati mandati gli Apostoli predicatori. Leggiamo infatti negli Atti degli Apostoli che l’apostolo Paolo voleva predicare ai Giudei, e trovò tra essi non uva ma spine; cominciarono a rendere male per bene ed a perseguitarlo. E continua, come per completare quanto già detto: Comanderò alle mie nubi di non piovere sopra di essa: A voi eravamo stati mandati, ma, poiché avete respinto la parola di Dio, ecco che ci siamo volti alle Genti (Ac 13,46). Si sono adempiute dunque le parole: Comanderò alle mie nubi di non piovere sopra di essa. La verità è venuta sino alle nubi; per questo ha potuto esserci annunziata la misericordia di Dio che è in cielo, e non in terra. Ripeto, fratelli, le nubi sono i predicatori della parola della verità. Quando Dio minaccia per mezzo dei predicatori, tuona per mezzo delle nubi. Quando Dio compie miracoli per mezzo dei predicatori, lampeggia attraverso le nubi, spaventa con le nubi, ed irriga per mezzo della pioggia. Dunque questi predicatori, per cui mezzo è annunziato il Vangelo di Dio, sono le nubi di Dio. Speriamo perciò nella misericordia, ma in quella che è in cielo.

9. [v 7.] La tua giustizia come i monti di Dio; i tuoi giudizi come profondo abisso. Quali sono i monti di Dio? Coloro che son chiamati nubi, essi stessi sono anche i monti di Dio: i grandi predicatori sono i monti di Dio. Allo stesso modo per cui, quando sorge il sole, dapprima la luce investe i monti e poi discende sino all’infima terra, così quando è venuto il Signore nostro Gesù Cristo, per prima cosa ha illuminato con i suoi raggi la sublimità degli Apostoli, per prima cosa ha rischiarato i monti, e da lì la sua luce è discesa alle valli della terra. Per questo in un certo passo dice nel salmo: Ho levato i miei occhi verso i monti, donde mi verrà l’aiuto (Ps 120,1). Ma non credere che questi stessi monti ti daranno l’aiuto; essi ricevono ciò che danno, non danno del loro. E se ti sarai fermato ai monti, non sarà sicura la tua speranza; ma la tua speranza e la tua fiducia debbono invece essere riposte in Colui che illumina i monti. Peraltro l’aiuto ti viene dai monti, perché le Scritture ti sono insegnate per mezzo dei monti, cioè per bocca dei grandi predicatori della verità; ma non fondare in essi la tua speranza. Ascolta quanto dice ancora: Ho levato i miei occhi verso i monti, donde mi verrà l’aiuto. E che dunque? I monti ti danno aiuto? No! Ascolta ciò che segue: Il mio aiuto [procede] dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra (Ps 120,1 Ps 2). L’aiuto viene dai monti, ma non è dato dai monti. E da chi? Dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra. C’erano altri monti, ma chiunque guidava la sua nave in mezzo a loro, faceva naufragio. Sono emersi infatti i capi delle eresie, ed erano monti. Ario era un monte, Donato era un monte, Massimiano si è fatto ora quasi un monte. Molti, guardando a questi monti e anelando alla terra, volendosi liberare dai flutti tempestosi, hanno urtato violentemente contro gli scogli, e sono naufragati sulla terra. Da tali monti non era sedotto colui che dice: Nel Signore confido, in qual modo dite all’anima mia: Migra ai monti come il passero? (Ps 10,2) Non voglio che la mia speranza sia in Ario, non voglio che sia in Donato: Il mio aiuto [procede] dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra. Apprendete quello per cui dovete confidare in Dio, e quello che dovete attribuire agli uomini; perché è maledetto chiunque ripone la sua speranza nell’uomo (Cf. Jr 17,5). Con grande modestia e umiltà il santo apostolo Paolo, davvero ardente di zelo verso la Chiesa, ma per lo Sposo, non per sé, e pieno di severità per quelli che avevano voluto affermare: Io sono di Paolo, io di Apollo (1Co 3,4), citando proprio la sua stessa persona per calpestarla e disprezzarla, onde glorificare Cristo: Forse che Paolo - dice - per voi è stato crocifisso, oppure nel nome di Paolo siete stati battezzati? (1Co 1,13) Li respinge da sé, ma per mandarli a Cristo. Non vuole essere amato dalla sposa al posto dello Sposo, neppure come amico dello Sposo. Infatti gli Apostoli sono amici dello Sposo. Per questo Sposo ardeva anche quell’umile Giovanni, che era ritenuto il Cristo. Per questo diceva: Non sono io il Cristo, ma Colui che viene dopo di me è maggiore di me, di cui non son degno di sciogliere la correggia dei calzari (Jn 1,20 Mc 1,7). Invero, poiché tanto si umiliava, ha dimostrato di non essere lo Sposo, ma l’amico dello Sposo; e perciò ha detto: Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e lo ascolta, gioisce di gioia alla voce dello sposo (Jn 3,29). E se l’amico dello sposo è un monte, tuttavia il monte non ha da se stesso la luce; ma ascolta ed è pieno di gioia alla voce dello sposo. Noi - dice - dalla pienezza di Lui abbiamo ricevuto. Dalla pienezza di chi? Di Colui che era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Jn 1,16 Jn 9). Per Lui dunque ardeva di zelo verso la Chiesa l’Apostolo dicendo: Ci considerino gli uomini come servi di Cristo, e dispensatori dei misteri di Dio; cioè: Ho levato i miei occhi verso i monti, donde mi verrà l’aiuto. Così ci considerino gli uomini come servi di Cristo, e dispensatori dei misteri di Dio (1Co 4,1). Ma, affinché ancora una volta tu non riponga nei monti la tua speranza invece di riporla in Dio, ascolta: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha dato l’incremento; ed ancora: Né chi pianta, né chi irriga è qualcosa, ma chi fa crescere, cioè Dio (1Co 3,6 1Co 7). Tu hai già detto: Ho levato i miei occhi verso i monti donde mi verrà l’aiuto, ma poiché né chi pianta è qualcosa, né chi irriga, aggiungi: Il mio aiuto [procede] dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra, e: la tua giustizia come i monti di Dio, cioè la tua giustizia è realizzata dai monti.

Giusti e peccatori nella Chiesa.

10. I tuoi giudizi come profondi abissi. Chiama abisso la profondità dei peccati, ove ognuno precipita se disprezza Dio; così altrove sta scritto: Li ha abbandonati Dio alle concupiscenza del loro cuore, sì da commettere azioni disdicevoli. Presti attenzione la Carità vostra. È cosa di grande importanza; si tratta di un argomento fondamentale. Quale è? Li ha abbandonati Dio alle concupiscenza del loro cuore, sì da commettere azioni disdicevoli. Se Dio dunque li ha abbandonati alle concupiscenza del loro cuore, sì da commettere azioni disdicevoli, è per questo che compiono tante cattive opere? Forse qualcuno porrà la domanda: Se Dio fa così, in modo cioè che essi facciano cose disdicevoli, che cosa hanno essi compiuto? Un mistero è ciò che hai udito: Li ha abbandonati Dio alle concupiscenze del loro cuore. È stata dunque la concupiscenza, che essi non hanno voluto vincere, che li ha consegnati al giudizio di Dio. Ma perché sian ritenuti degni di essere stati tradotti in giudizio, osserva quanto ha detto prima a loro proposito: I quali pur conoscendo Dio, non Lo glorificarono come Dio, né gli resero grazie ma vaneggiarono nei loro pensieri, e si ottenebrò il loro stolto cuore. Per qual motivo? Per la superbia. Dicendo di esser sapienti, divennero stolti. Per questo segue che: Dio li ha abbandonati alle concupiscenze del loro cuore (Rm 1,21 Rm 22 Rm 24). Dunque, poiché sono stati superbi ed ingrati, furon degni di essere abbandonati alle concupiscenza del loro cuore, e sono divenuti come abisso profondo, non solo per commettere il peccato, ma anche per operare con inganno, non rendendosi conto della propria iniquità e non odiandola. Questo abisso, di non voler trovare l’iniquità e di odiarla, è proprio della malvagità. Ma osserva come si può precipitare sino a tale profondità: I giudizi di Dio abisso profondo. Come i monti di Dio sono la sua giustizia e per la sua grazia divengono grandi, così per i suoi giudizi divengono abisso coloro che alla fine sono sommersi. Per questo ti allietino i monti, per questo tienti lontano dall’abisso, e volgi il tuo animo alle parole: Il mio aiuto [procede] dal Signore. Ma in che modo? Perché ho levato i miei occhi verso i monti. Che significa? Lo dirò chiaramente: nella Chiesa di Cristo tu trovi l’abisso e trovi anche i monti; vi trovi pochi buoni, perché pochi sono i monti, mentre l’abisso è ampio: cioè vi sono molti che vivono nel male per l’ira di Dio, in quanto si sono comportati in modo da essere abbandonati alla concupiscenza del loro cuore, tanto che ormai difendono i loro peccati, e non li confessano, anzi dicono: Perché? che cosa ho fatto? Anche costui lo ha fatto, anche quello lo ha fatto. Ormai vogliono anche difendere ciò che la parola di Dio condanna: questo è l’abisso. Perciò la Scrittura in un certo passo dice (stai attento all’abisso): Il peccatore, quando sarà caduto nel profondo dei mali, disprezza (Pr 18,3). Ecco, i tuoi giudizi come abisso profondo. Ma tu non sei ancora monte, non sei ancora abisso; fuggi l’abisso, guarda ai monti, ma non fermarti ai monti. L’aiuto per te viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra.

11. [vv 7.8.] Uomini e bestie tu salvi, o Signore; come si è moltiplicata la tua misericordia, o Dio! Poiché ha detto: La tua misericordia è in cielo, affinché si sappia che è anche in terra, dice: Uomini e bestie tu salvi, o Signore; come si è moltiplicata la tua misericordia, o Dio! Grande è la tua misericordia, molteplice è la tua misericordia, o Dio; e tu la doni sia agli uomini che agli animali. Infatti, da chi deriva la salvezza degli uomini? Da Dio. E forse la salvezza degli animali non deriva da Dio? Perché Colui che ha fatto gli uomini, Egli stesso ha fatto anche gli animali; Colui che ambedue ha fatto, ambedue salva; ma la salvezza degli animali è temporale. Vi sono però alcuni che chiedono a Dio come grande grazia proprio ciò che Egli ha dato agli animali. Si è moltiplicata la tua misericordia, o Dio, per cui questa salute carnale e temporale che è data agli uomini, è data non solo a loro, ma anche agli animali.

Adamo e Cristo.

12. Dunque gli uomini non hanno presso Dio una particolare considerazione che gli animali non meritano, ed alla quale gli animali non pervengono? Certo che ce l’hanno. E dov’è ciò che hanno? Ma i figli degli uomini spereranno nella protezione delle tue ali. Stia attenta la Carità vostra a queste dolcissime parole: Uomini e animali tu salvi, o Signore. Ha detto uomini e animali, ma poi dice: i figli degli uomini, come se altri fossero gli uomini ed altri i figli degli uomini. Talvolta nelle Scritture figli degli uomini sono chiamati gli uomini in generale; tal’altra si parla di figli degli uomini in modo particolare, con uno speciale significato, perché si intenda che non ci si riferisce a tutti gli uomini; soprattutto quando viene fatta una distinzione. Infatti non senza motivo qui è scritto: Uomini e animati tu salvi, o Signore; ma i figli degli uomini, come se, dopo averli divisi, guardasse separati ai figli degli uomini. Separati da chi? Non soltanto dagli animali, ma anche dagli uomini che chiedono a Dio la salute di cui fruiscono gli animali, e la desiderano come cosa di grande valore. Chi sono dunque i figli degli uomini? Coloro che sperano nella protezione delle sue ali. Quegli uomini, insieme con gli animali, si allietano nella realtà presente, mentre i figli degli uomini si allietano nella speranza; quelli, insieme con gli animali, ricercano i beni presenti, questi, insieme con gli angeli, sperano nei beni futuri. Orbene, perché per distinguerli quelli sono chiamati uomini, e questi sono chiamati figli degli uomini? Infatti anche altrove così si esprime la Scrittura: Che cos’è l’uomo, che tu ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo, che tu lo visiti? (Ps 8,5) Che cos’è l’uomo che tu ti ricordi di lui? Ti ricordi di lui, come di uno che è assente; ma il figlio dell’uomo lo visiti come presente. Che vuol dire: ti ricordi dell’uomo? Uomini e animali tu salvi, o Signore, perché doni salute anche agli stessi malvagi, e il Regno dei Cieli anche a coloro che non lo desiderano. Poiché Egli li protegge, e non li abbandona secondo il suo modo di agire; come suo gregge, non li lascia soli; tuttavia di loro si ricorda come di chi è assente. Ma colui che Egli visita, è il figlio dell’uomo; ed a lui è detto: Ma i figli degli uomini spereranno nell’ombra delle tue ali. E se volete distinguere questi due generi di uomini, osservate dapprima i due uomini, Adamo e Cristo. Ascolta l’Apostolo: Come in Adamo tutti sono morti, così in Cristo tutti saranno vivificati (1Co 15,22). Siamo nati da Adamo per morire; risorgiamo in Cristo per vivere eternamente. Quando portiamo l’immagine dell’uomo terrestre, siamo uomini; quando portiamo l’immagine dell’uomo celeste, siamo figli degli uomini, poiché Cristo è detto Figlio dell’uomo (Cf. Mt 8,20 etc). Infatti Adamo era uomo, ma non era figlio dell’uomo; appartengono perciò ad Adamo coloro che desiderano i beni carnali e questa salute temporale. Esortiamo costoro affinché siano figli degli uomini, che sperano nella protezione delle sue ali e desiderano quella misericordia che è in cielo ed è annunziata per mezzo delle nubi. Ma se ancora non ne sono capaci, desiderino almeno, per ora, i beni temporali soltanto dall’unico Dio, e in tal guisa obbediscano al Vecchio Testamento, in modo da pervenire al Nuovo.

Dio manterrà la sua promessa.

13. Infatti anche quel popolo desiderò i beni terreni, il regno di Gerusalemme, la soggezione dei suoi nemici, l’abbondanza dei frutti, la salute propria e quella dei loro figli. Tali cose desideravano e tali cose ricevevano, ed erano protetti sotto la legge. Desideravano da Dio i beni che egli dà anche agli animali, perché non era ancora venuto loro il Figlio dell’uomo in modo che potessero essere figli degli uomini; tuttavia già avevano nubi che annunziavano il Figlio dell’uomo. Vennero ad essi i profeti, annunziarono il Cristo; e vi erano tra loro alcuni che capivano l’annunzio, e nutrivano la futura speranza di ricevere la misericordia che è in cielo. Ve ne erano altri che non desideravano se non i beni carnali, e la felicità terrena e temporale. Vacillavano così i loro piedi, fino a giungere a fabbricare e ad adorare idoli. Quando infatti Egli li ammoniva, li colpiva in tutte quelle cose nelle quali trovavano piacere, e le toglieva loro, essi soffrivano la fame, le guerre, le pestilenze, le malattie, e si volgevano agli idoli. Quei beni che ardentemente avrebbero dovuto desiderare da Dio, li desideravano dagli idoli, e abbandonavano Dio. Vedevano infatti che gli stessi beni che cercavano erano posseduti in abbondanza dagli empi e dagli scellerati, e credevano quindi di rendere invano culto a Dio, perché Egli non dava una ricompensa terrena. O uomo! sei un operaio di Dio; ma verrà piu tardi il tempo di ricevere la mercede; perché insistentemente richiedi la mercede ora, prima di avere operato? Se viene un operaio alla tua casa, forse gli darai in anticipo la ricompensa, prima che abbia portato a termine la sua opera? Lo stimeresti infatti perverso, se ti dicesse: Prima voglio la ricompensa, e poi lavorerò. Saresti acceso d’ira. Ma perché ti adireresti? Perché non ha avuto fede nell’uomo che è mendace. E come può non adirarsi Dio, quando tu non hai fede nella Verità stessa? Ciò che ti ha promesso, darà; non inganna, perché è la Verità che ha promesso. Ma temi forse che non abbia di che dare? È onnipotente. Non temere che non ci sia Colui che dà: è immortale. Non temere che qualcuno gli subentri: è eterno, stai tranquillo. Se vuoi che il tuo operaio si fidi di te per tutto il giorno, credi anche tu in Dio per tutta la tua vita, poiché la tua vita è solo un frammento di tempo davanti a Dio. E che cosa sarai? Ma i figli degli uomini spereranno nella protezione delle tue ali.

14. [v 9.] Si inebrieranno nell’abbondanza della tua casa. Intravvedo che ci promette qualcosa di grande. Vuol dirlo, e non lo dice; non può, oppure siamo noi che non comprendiamo? Oso dire, fratelli miei, anche riguardo alle sante lingue e ai cuori, per cui mezzo ci è stata annunziata la verità, che non può esser detto e neppure pensato ciò che essi annunziavano. È infatti una realtà grande e ineffabile, ed essi stessi la videro in parte ed in enigma, come dice lo Apostolo: Ora vediamo in parte e in enigma, ma allora vedremo faccia a faccia (1Co 13,12). Ecco, effondevano con le labbra quel che vedevano in enigma. Quali saremo noi, quando avremo visto faccia a faccia ciò che essi concepivano nel cuore e non potevano generare con parole comprensibili agli uomini? Infatti, quale necessità c’era di dire: Si inebrieranno nell’abbondanza della tua casa? Ha cercato fra le cose umane una parola con cui esprimere ciò che doveva dire; e poiché ha visto gli uomini bere fino all’ubriachezza, prendere smoderatamente il vino e perdere la mente, ha compreso che espressione usare: perché, una volta ricevuta quella ineffabile letizia, vien meno in certo modo la mente umana, e diventa divina, e si inebria nell’abbondanza della casa di Dio. Per questo in un altro salmo è detto: La tua coppa inebriante quanto è eccellente! (Ps 22,5) Da questo calice erano inebriati i martiri, quando, andando al martirio, non riconoscevano i loro parenti. Quale altro effetto è così proprio dell’ebbrezza quanto il non riconoscere la sposa che piange, i figli, i parenti? Non li riconoscevano, non credevano di averli dinanzi agli occhi. Non stupitevi: erano ebbri. E di che cosa erano ebbri? Osservate: avevano ricevuto la coppa con cui inebriarsi. Per questo anche il salmista ringrazia Dio, dicendo: Che renderò al Signore per tutte le cose che mi ha dato? Prenderò il calice della salute, e invocherò il nome del Signore (Ps 115,12 Ps 13). Dunque, fratelli, siamo figli degli uomini, speriamo nella protezione delle sue ali, e ci inebrieremo nell’abbondanza della sua casa. Mi sono espresso come ho potuto, e come posso vedo, ma non posso esprimermi come vedo. Si inebrieranno nell’abbondanza della tua casa; e li disseterai al torrente della tua delizia. È detto torrente il corso d’acqua che scorre con impeto. Impetuosa sarà la misericordia di Dio, nell’irrigare e nell’inebriare coloro che ora pongono la loro speranza sotto la protezione delle sue ali. Che cos’è quella delizia? È come un torrente che inebria gli assetati. Chi ora dunque ha sete, fondi la sua speranza; chi ha sete abbia la speranza e, inebriato, avrà la realtà; ma prima di avere la realtà, sia assetato nella speranza. Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati (Mt 5,6).

Cristo sorgente di vita.

15. [v 10.] Da quale fonte dunque sarai inondato, e donde scaturisce questo così grande torrente della sua delizia? Perché presso di te è la sorgente della vita, dice. Chi è la sorgente della vita, se non Cristo? È venuto a te nella carne, per bagnare la tua gola assetata; sazierà chi spera, Colui che ha bagnato l’assetato. Perché presso di te è la sorgente della vita, nella tua luce vedremo la luce. Qui una cosa è la sorgente ed un’altra la luce: non così lassù. Perché ciò che è la fonte è anche la luce; chiamalo come vuoi, ma non è quello che tu chiami, perché non puoi trovare un nome adeguato, non è racchiuso in un solo nome. Se tu dicessi che è soltanto luce, ti si potrebbe rispondere: Senza ragione dunque mi è stato detto di aver fame e sete: chi infatti può mangiare la luce? Con tutta verità mi è stato detto: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8); se è luce preparo i miei occhi. Prepara anche la gola, perché ciò che è luce è anche sorgente; è sorgente perché sazia gli assetati, luce perché illumina i ciechi. Sulla terra talora in un luogo è la luce, ed in un altro la sorgente. Talvolta infatti i fiumi scorrono anche nelle tenebre; e talora, nel deserto sopporterai il sole, ma non troverai la fonte. Qui dunque queste due cose possono essere separate: lassù non ti affaticherai, perché è sorgente; e non sarai ottenebrato, perché è luce.

La divina volontà.

16. [v 11.] Porgi la tua misericordia a coloro che ti conoscono, e la tua giustizia a coloro che sono retti di cuore. Spesso lo abbiamo detto: retti di cuore sono coloro che seguono in questa vita la volontà di Dio. La volontà di Dio è che a volte tu sia sano, a volte ammalato; se, quando sei sano, ti è dolce la volontà di Dio e ti è invece amara quando sei ammalato, non sei retto di cuore. Perché? Perché ti rifiuti di uniformare la tua volontà al volere di Dio, ma vuoi piegare la volontà di Dio alla tua. Essa è retta, sei tu che sei curvo; la tua volontà deve correggersi su quella, non quella deve piegarsi a te: allora avrai il cuore retto. Se uno sta bene in questo mondo, sia benedetto Dio che consola; se nel mondo soffre, sia benedetto Dio che corregge e mette alla prova. Sarai retto di cuore, se dirai: Benedirò il Signore in ogni tempo, sempre la sua lode sulla mia bocca (Ps 33,2).

L'umiltà del Cristo.

17. [v 12.] Non mi venga addossò il piede della superbia. Ha già detto: All’ombra delle tue ali spereranno i figli degli uomini, e si inebrieranno nell’abbondanza della tua casa. Quando ciascuno avrà cominciato ad essere più abbondantemente irrigato da questa fonte, stia attento a non insuperbire. Non mancò infatti tale abbondanza ad Adamo, il primo uomo, ma a lui venne addosso il piede della superbia, e lo smosse la mano del peccatore, cioè la mano superba del diavolo. Così come il suo seduttore disse: Porrò il mio trono nei penetrali aquilonari (Is 14,13), parimenti persuase l’uomo dicendo: Gustatene, e sarete come dèi (Gn 3,5). Siamo dunque caduti per la superbia, fino a precipitare in questa condizione mortale. E poiché la superbia ci ha ferito, l’umiltà ci fa sani. Dio è venuto umile, per guarire l’uomo dalla così grande ferita della superbia. È venuto, perché il Verbo si è fatto carne, ed ha abitato tra noi (Jn 1,14). È stato preso dai Giudei, è stato coperto di insulti. Avete udito, quando è stato letto il Vangelo, che cosa, dissero ed a chi dissero: Sei indemoniato (Jn 8,48); mentre Egli non replicò: Voi siete indemoniati, perché giacete nei vostri peccati, e il diavolo possiede i vostri cuori. Non disse questo, ed avrebbe detto il vero, se lo avesse detto: ma non era il momento di dirlo, perché non sembrasse che non già predicava la Verità, ma rendeva l’offesa. Trascurò quanto aveva udito, quasi non avesse sentito nulla. Era il medico, ed era venuto per curare il folle. Come il medico non si preoccupa di quanto sente dire dal pazzo, ma del modo di guarirlo e di farlo da furioso sano, e non si preoccupa se riceve da lui anche un pugno - e mentre quello gli procura nuove ferite, il medico lo guarisce dalla vecchia febbre -; così anche il Signore è venuto a malati, è venuto a pazzi, non tenendo conto di quanto udì e patì, proprio per questo insegnando loro l’umiltà in modo che, eruditi nell’umiltà, guarissero dalla superbia: è da quest’ultima che appunto il Salmista supplica di essere liberato, dicendo: Non mi venga addosso il piede della superbia, né mi smuova la mano dei peccatori. Se infatti ci verrà addosso il piede della superbia, ci smuoverà la mano del peccatore. Quale è la mano del peccatore? L’opera di chi persuade al male. Sei divenuto superbo? Immediatamente ti rovina colui che persuade al male. Stai fermo, umile, in Dio, e non curarti troppo di quanto ti si dice. Da qui deriva quanto altrove è detto: Dai miei [peccati] occulti purificami, o Signore, e da quelli altrui guarda il tuo servo (Ps 18,13 Ps 14). Che significa dai miei [peccati] occulti? Significa non mi venga addosso il piede della superbia. Che significa e dagli altrui guarda il tuo servo? Che non mi smuova la mano dei peccatori. Custodisci ciò che hai dentro, e non avrai timore di ciò che sta fuori.

18. [v 13.] Ma perché temi tanto questo? È come se si dicesse: Qui sono caduti tutti coloro che operano iniquità, per precipitare in quell’abisso di cui è detto: I tuoi giudizi come abisso profondo; per precipitare cioè fino a quella profondità in cui sono caduti i peccatori che disprezzano [il, Signore]. Sono caduti; e dove hanno inciampato in primo luogo? Nel piede della superbia. Ascoltate che cos’è il piede della superbia: Avendo conosciuto Dio, non Lo glorificarono come Dio. È venuto dunque loro addosso il piede della superbia, e di conseguenza sono precipitati nell’abisso: Li ha abbandonati Dio alle concupiscenza del loro cuore, sì da commettere azioni disdicevoli (Rm 1,21 Rm 24). Teme la radice e la testa del peccato, colui che dice: Non mi venga addosso il piede della superbia. Perché lo chiama piede? Perché divenendo superbo ha abbandonato Dio e se ne è allontanato: chiama piede la passione di chi così agisce. Non mi venga addosso il piede della superbia, né mi smuova la mano dei peccatori, cioè non mi distolgano da te le opere del peccatore, tanto che io brami imitarle. Ma perché contro la superbia dice: Qui sono caduti coloro che operano iniquità? Perché coloro che ora sono iniqui, sono caduti nella superbia. Perciò il Signore, nel mettere sull’avviso la Chiesa, dice: Essa mirerà al tuo capo, e tu al suo calcagno (Gn 3,15). Il serpente guarda quando ti viene addosso il piede della superbia, quando vacilli, per farti cadere; ma tu sta attento al suo capo, perché la superbia è l’inizio di ogni peccato (Cf. Si 10,15). Qui sono caduti coloro che operano iniquità; sono stati scacciati, e non hanno potuto reggersi in piedi. Si tratta per primo di colui che non stette fermo nella verità, poi di coloro che, per colpa di lui, Dio scacciò dal paradiso. Ne consegue che quell’umile che dice di non essere degno di sciogliere la correggia dei calzari, non è stato scacciato, ma sta in piedi e lo ascolta, e in gran gioia gioisce per la voce dello Sposo (Cf. Jn 1,27 Jn 3,29) e non per la sua, nel timore che gli venga addosso il piede della superbia, e sia scacciato e non possa reggersi in piedi.

19. Se con fatica abbiamo stancato alcuni di voi, abbiamo però finito il salmo, la noia è passata e rendiamo grazie, perché tutto il salmo è stato spiegato. A metà della spiegazione, temendo di stancarvi, stavo per rinunziare; ma ho pensato che il nostro sforzo sarebbe stato spezzato, e non avremmo potuto riprendere dalla metà con la stessa attenzione come se lo avessimo spiegato tutto insieme; ed ho preferito riuscirvi pesante piuttosto che lasciare delle cose in sospeso, non avendo completato il commento. Vi debbo infatti anche il sermone di domani; pregate per noi affinché siamo in grado di esporvelo, e porgete bocche affamate e cuori devoti.


Agostino Salmi 342