Agostino Salmi 42

SUL SALMO 42

42 Ps 42

ESPOSIZIONE

Discorso al popolo

1. Questo salmo è breve; soddisfa gli animi degli ascoltatori, e non è molesto allo stomaco di chi è digiuno. Si nutra di questo la nostra anima, che chi canta in questo salmo, dice che è triste; triste credo per qualche digiuno che ha fatto, o meglio per la sua fame. Infatti il digiuno è volontario, mentre la fame è imposta dalla necessità. Ha fame la Chiesa, ha fame il Corpo di Cristo, e quell’Uomo che si trova ovunque, il cui Capo è in alto, mentre le membra sono in basso; dobbiamo sentire ormai nota e familiare, come fosse la nostra, la sua voce in ogni salmo, sia che canti o che gema, si allieti nella speranza oppure sospiri per qualche cosa. Non è necessario dunque trattenerci a lungo per chiarirvi chi è che qui ci parla; sia ciascuno di voi nel Corpo di Cristo, e qui parlerà.

Convivenza dei buoni con i cattivi.

2. [v 1.] Ma voi conoscete tutti coloro che progrediscono, e coloro che anelano a quella città celeste, che riconoscono il loro esilio, che non perdono la via, che hanno fissato nel desiderio di quella saldissima terra, come fosse un’ancora, la loro speranza; sapete dunque che questo genere di uomini, questo buon seme, questo frumento di Cristo in mezzo alla zizzania geme; e ciò accade finché non verrà il tempo della mietitura, cioè fino alla fine del mondo, come ci dice la Verità che non sbaglia (Cf. Mt 13,18). Gemendo dunque in mezzo alla zizzania, cioè in mezzo agli uomini malvagi, in mezzo agli ingannatori e ai seduttori, o agli agitati dall’ira o agli avvelenati dalle insidie, rendendosi conto di essere insieme con loro come in uno stesso campo sparso per tutto il mondo, che riceve una stessa pioggia, che ugualmente è percosso dal vento, che parimenti è nutrito in mezzo alle avversità, che ha insieme a costoro in comune gli stessi doni di Dio, ugualmente concessi ai buoni e ai malvagi da colui che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere su giusti ed ingiusti (Cf. Mt 5,45); vedendo dunque il seme di Abramo, il seme santo, avere ora in comune con i malvagi, dai quali a suo tempo sarà separato, tante cose, in quanto ugualmente nasce, riceve in sorte la stessa condizione umana, parimenti porta un corpo mortale, insieme usa della luce, delle fonti, dei frutti, delle prosperità e delle avversità del secolo, della fame, dell’abbondanza, della pace, della guerra, della salute, della peste; orbene vedendo quante cose ha in comune con i malvagi, con i quali tuttavia non ha in comune la causa, prorompe in queste parole: giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Dice: Giudicami, Dio; non temo il giudizio perché ho conosciuto la tua misericordia. Giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Per ora in questo esilio non ancora distingui il mio posto, perché vivo insieme con la zizzania fino al tempo della mietitura; non ancora distingui la mia pioggia, non ancora distingui la mia luce: ebbene distingui la mia causa. C’è distanza fra colui che crede in te e colui che non crede in te. Pari è la debolezza, ma diversa è la coscienza; pari è la fatica, ma diverso è il desiderio. Il desiderio degli empi perirà; dovremmo dubitare anche del desiderio dei giusti se non fossimo certi della promessa che ci è stata fatta. Il fine del nostro desiderio è colui stesso che ci ha fatto tale promessa. Darà se stesso, perché se stesso ha dato, darà se stesso immortale agli immortali, perché ha dato ai mortali se stesso mortale. Giudicami, Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa. Liberami dall’uomo ingiusto e ingannatore cioè liberami dalla gente non santa. Dall’uomo, cioè da quel certo genere di uomini: c’è uomo e uomo, e tra questi due uno sarà accolto ed uno sarà abbandonato (Cf. Mt 24,40).

Tristezza del peccatore e gioia dei giusti.

3. [v 2.] È necessaria dunque con pazienza sopportare fino alla mietitura una certa, se così si può dire, indivisa divisione; perché sono insieme e perciò non ancora sono divisi; ma la zizzania è zizzania, e il frumento è frumento, e perciò già sono divisi. È dunque necessaria la fortezza che dobbiamo implorare da colui che ci ha ordinato di essere forti e, se egli non ci farà forti, non saremo ciò che ci ha ordinato per mezzo di colui che ha detto: Chi avrà perseverato fino alla fine, costui sarà salvo (Mt 10,22 Mt 24,13). E, affinché l’anima stessa non si indebolisca arrogandosi la forza, subito aggiunge: Dato che tu sei il mio Dio, la mia forza, perché mi hai scacciato, e perché, rattristato avanzo mentre il nemico mi affligge? Egli cerca la causa della sua tristezza. Dice: Perché rattristato avanzo mentre il nemico mi affligge? Cammino rattristato, il nemico mi affligge con le sue quotidiane tentazioni, suggerendo ora un amore disordinato, ora un disordinato timore; e nell’anima, combattendo contro l’una e l’altra, anche se non ne è schiava, tuttavia corre pericolo, si rattrista e dice a Dio: Perché? Cerchi dunque da se stesso, e udrà perché. Cerca infatti nel salmo la causa della sua tristezza, dicendo: Perché mi hai scacciato, e perché rattristato cammino? Ascolti Isaia, lo soccorra quel passo, che ora è stato recitato: Lo spirito da me se ne andrà, e io ho emesso ogni soffio, a cagione del piccolo peccato io l’ho reso triste, io ho distolto la mia faccia da lui; ed è rattristato. e se ne va triste sulle sue vie (Is 57,16 Is 17). Che andava dunque cercando: perché mi hai scacciato, e perché rattristato cammino? Hai ascoltato perché: a cagione del peccato. La causa della tua tristezza è il peccato: sia la giustizia la causa della tua gioia. Volevi peccare, e non volevi portarne il peso; come se poco fosse stato per te l’essere ingiusto, avresti voluto che fosse ingiusto anche lui, dal quale non volevi essere punito. Ascolta in un altro salmo queste parole più chiare: bene è per me che tu mi abbia umiliato, affinché io apprenda le tue giustificazioni (Ps 118,71). Inorgoglito io avevo appreso le mie ingiustizie, apprenda umiliato le tue giustificazioni. Perché rattristato cammino, mentre il nemico mi affligge? Cerchi chi è questo nemico; egli veramente ti affligge, ma sei tu che gli hai dato l’occasione. Ed ora sai che cosa fare; prendi la tua decisione, accetta il re, respingi il tiranno.

Dio luce e verità.

4. [v 3.] Ma per far questo, stai attento a che cosa dice, che cosa supplica, che cosa prega. Prega ciò che ascolti, prega quando ascolti; e di tutti noi sia questa voce: Manda la tua luce e la tua verità; esse mi hanno sollevato e mi hanno condotto nel tuo monte santo e nella tua tenda. Parla della tua luce e della tua verità; questi sono due nomi, ma una sola è la cosa. Che altro è infatti la luce di Dio, se non la verità di Dio? E che cosa è la verità di Dio se non la luce di Dio? E ambedue queste cose sono il solo Cristo. Io sono la luce del mondo, chi crede in me non camminerà nelle tenebre (Jn 8,12). Io sono la via, la verità e la vita (Jn 14,6). Egli è la luce, egli è la verità. Venga dunque, e ci liberi distinguendo finalmente la nostra causa da quella della gente non santa; ci liberi dall’uomo ingiusto e ingannatore; separi il frumento dalla zizzania; perché è lui stesso che manderà i suoi angeli alla stagione della mietitura per raccogliere dal suo regno ogni scandalo e gettarli nel fuoco ardente, mentre riuniranno nel granaio il suo frumento (Cf. Mt 13,41-43). Manderà la sua luce e la sua verità; perché esse già ci hanno condotto nel suo santo monte e nella sua tenda. Abbiamo un pegno, speriamo il premio. Santo è il suo monte, santa è la sua Chiesa. Quello è il monte che da una piccolissima pietra tanto crebbe, secondo la visione di Daniele, da schiacciare i regni terreni, e a tal punto divenne grande, da riempire tutta la superficie della terra (Cf. Da 2,35). In questo monte dichiara di essere esaudito colui che dice: Gridai con la mia voce al Signore, ed egli mi esaudì dal suo monte santo (Ps 3,5). Chiunque prega al di fuori di questo monte non speri di essere esaudito in vista della vita eterna. Molti infatti sono esauditi per molte altre cose. Non si rallegrino perché sono stati esauditi; furono esauditi anche i demoni, tanto che furono lasciati entrare nei porci (Cf. Mt 8,32). Aneliamo ad essere esauditi per la vita eterna, con il desiderio con cui diciamo: manda la tua luce e la tua verità. Quella luce penetra l’occhio del cuore: beati infatti i puri di cuore perché essi vedranno Dio (Mt 5,8). Ma ora siamo nel suo monte, cioè nella sua Chiesa, e nella sua tenda. La tenda è propria dei pellegrini, la casa è invece propria di coloro che hanno una dimora stabile; e c’è anche una tenda dei pellegrini e dei soldati. Quando odi parlare della tenda, intendi la guerra, e guardati dal nemico. Ma quale sarà la casa? Beati coloro che abitano nella tua casa, nei secoli dei secoli ti loderanno (Ps 83,5).

Valore della tribolazione.

5. [v 4.] Condotti ormai alla tenda e collocati sul suo santo monte, quale speranza nutriamo? Ed entrerò all’altare di Dio. C’è infatti un certo altare invisibile e sublime, al quale non si avvicina l’ingiusto. A quell’altare si avvicina soltanto colui che si accosta sicuro al suo santo monte, ivi ritroverà la sua vita colui che in questo monte distingue la sua causa. Ed entrerò all’altare di Dio. Dal suo santo monte, dalla sua tenda, dalla sua santa Chiesa entrerò all’altare sublime di Dio. Quale sacrificio vi si compie? Colui stesso che entra è assunto quale olocausto. Entrerò all’altare di Dio. Che significano le parole: all’altare di Dio? A Dio che allieta la mia giovinezza. Giovinezza significa novità; è come se dicesse: a Dio che rallegra la mia novità. Rallegra la mia novità, colui che rattrista la mia vecchiezza. Infatti ora, rattristato, cammino nella vecchiaia, ma allora starò in piedi, lieto nella novità. Ti loderò con la cetra, Dio, Dio mio. Che cosa significa lodare con la cetra e lodare con il salterio? Non sempre infatti si loda con la cetra e neppure sempre con il salterio. Questi due strumenti musicali differiscono l’uno dall’altro e la loro differenza è degna di considerazione e di essere ricordata. Ambedue si tengono con le mani e si toccano e sono l’immagine di qualche nostra opera corporale. Ambedue sono buoni, sempreché chi li usa sappia suonare il salterio o sappia suonare la cetra. Ma il salterio è così chiamato perché nella parte superiore ha la cassa armonica; si tratta di un timpano di un legno concavo in cui le corde toccate risuonano; mentre la cetra ha lo stesso legno concavo e sonoro nella parte inferiore. Dobbiamo perciò distinguere le nostre opere quando sono nel salterio e quando sono nella cetra, anche se ambedue sono gradite a Dio e dolci al suo udito. Quando dunque facciamo qualcosa che ci è indicata dai precetti di Dio, attenendoci ai suoi ordini ed agendo per adempiere i suoi comandamenti, e questo facciamo senza soffrire si tratta del salterio. Così si comportano infatti anche gli angeli; essi non subiscono certo alcuna sofferenza. Quando invece abbiamo qualche tribolazione, subiamo qualche tentazione o qualche scandalo in questa terra, poiché soffriamo nella nostra parte inferiore per il fatto che siamo mortali e dobbiamo le tribolazioni alla nostra prima origine, ed esse ci derivano da coloro che sono inferiori a noi, allora si tratta della cetra. Il suono soave viene infatti dalla parte inferiore; noi soffriamo e cantiamo, o meglio cantiamo e suoniamo la cetra. Quando l’Apostolo dichiarava che evangelizzava e predicava il Vangelo a tutto il mondo in forza del comandamento di Dio, in quanto diceva di avere ricevuto quel Vangelo non dagli uomini e neppure per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo (Cf. Ga 1,12), dall’alto risuonavano le corde; quando invece diceva: ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione suscita la pazienza, la pazienza la prova, la prova la speranza (Rm 5,3 Rm 4), la cetra suonava nella sua parte inferiore, ma con estrema dolcezza. La pazienza è sempre gradita a Dio. Se però in tali tribolazioni sei venuto meno, allora hai spezzato la cetra. Perché dunque ora ha detto: ti loderò con la cetra? Così si è espresso perché prima aveva detto: perché tristemente cammino mentre il nemico mi affligge? Soffriva insomma qualche afflizione nella sua parte inferiore, e in ciò stesso tuttavia voleva essere gradito a Dio e si sforzava di rendere grazie a Dio, forte nelle tribolazioni; e poiché non poteva essere senza tribolazioni offriva a Dio la sua pazienza. Ti loderò con la cetra, Dio, Dio mio.

L'immagine di Dio in noi.

6. [v 5.] E di nuovo si rivolge alla sua anima, affinché essa capti il suono che echeggia da quel legno sonoro che sta nella parte inferiore: Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Sono nelle tribolazioni, nella tristezza, nei dolori, e perché mi turbi, o anima? Chi dice queste parole? A chi le dice? Tutti sappiamo che le dice all’anima; è evidente che questo discorso è diretto a lei. Perché sei triste anima mia e perché mi turbi? Cerchiamo chi è colui che parla. È forse la carne che parla all’anima, dato che la carne senza l’anima non parla? È più logico peraltro che sia l’anima a parlare alla carne, piuttosto che la carne a parlare all’anima. Ma allora perché non ha detto: perché sei triste, carne mia, ma ha detto: perché sei triste, anima mia? Inoltre, se fosse l’anima a parlare alla carne, probabilmente non avrebbe detto: perché sei triste: ma avrebbe detto: perché ti duoli? Il dolore dell’anima infatti è detto tristezza; il disagio che si manifesta nel corpo può esser detto dolore, ma non tristezza. Ma molte volte l’anima si rattrista per il dolore del corpo. Interessa quindi sapere cos’è che duole, e cos’è che rattrista. Duole la carne e l’anima è triste; e chiarissime sono queste parole: perché sei triste, anima mia? Non è dunque l’anima che parla alla carne, dato che non ha detto: perché sei triste carne mia? Ma neppure è la carne che parla all’anima, perché è assurdo che l’inferiore parli con il superiore. Ci rendiamo conto di conseguenza di possedere qualcosa ove sta l’immagine di Dio, la mente e la ragione. La mente stessa invocava la luce di Dio e la verità di Dio. È per suo mezzo che comprendiamo ciò che è giusto e ciò che è ingiusto; che distinguiamo il vero dal falso; esso si chiama intelletto, quell’intelletto di cui mancano le bestie; e chiunque trascura questo intelletto, e lo pospone alle altre cose e si muove quasi non l’avesse, ascolti il salmo: non siate come il cavallo e il mulo che non hanno intelletto (Ps 31,9). È dunque il nostro intelletto che parla alla nostra anima. Essa nelle tribolazioni si è snervata, stancata nelle angosce, ripiegata nelle tentazioni, ammalata nelle fatiche. La mente che comprende dall’alto la verità, solleva l’anima e le dice: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi?

Tutto dobbiamo attenderci dal Signore.

7. Osservate un po’ se questo discorso non si ritrova in quel conflitto di cui parla l’Apostolo il quale, prefigurando in sé alcuni e forse prefigurando proprio noi, dice: Amo con voi la legge di Dio secondo l’uomo interiore ma vedo un’altra legge nelle mie membra cioè i sentimenti carnali; e in questa lotta quasi disperata invoca la grazia di Dio: Me misero uomo, chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (Rm 7,22 Rm 25). Il Signore stesso si è degnato di prefigurare in sé tali forze che tra loro combattono, allorché dice: triste è l’anima mia sino alla morte (Mt 26,38). Egli sapeva infatti per cosa era venuto. Temeva forse la passione colui che aveva detto: Ho il potere di dare la vita mia, ed ho il potere di riprenderla di nuovo; nessuno la toglie a me, ma io stesso la do, e di nuovo la prendo (Jn 10,17 Jn 18)? Ma quando dice: triste è l’anima mia sino alla morte, raffigura in se stesso le sue membra. Di solito infatti lo spirito già crede con certezza e con sicurezza sa che l’uomo sarà, secondo la sua fede, nel seno di Abramo; crede questo, e tuttavia, quando viene il momento della morte, si turba per l’abitudine che ha fatto alla vita in questo secolo; tende l’udito a quella voce interna di Dio, ascolta l’intimo e spirituale canto. Così dall’alto risuona nel silenzio qualcosa, non alle orecchie, ma alla mente; per cui chiunque ode quella melodia, prova disgusto per lo strepito del corpo, e tutta questa vita umana è per lui solo rumore assordante che gli impedisce di udire quel suono sublime, straordinariamente piacevole, incomparabile e ineffabile. E parimenti quando, colpito da qualche turbamento, l’uomo subisce violenza, lo spirito dice all’anima sua: perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? È forse per questo che difficilmente si trova una vita purificata, quando giudica colui che sa giudicare secondo un’estrema purità e sicurezza? Per quanto la vita in mezzo agli uomini sia degna di lode in modo che gli uomini non hanno di che rimproverare con giustizia, si sviluppa il giudizio da parte del Signore, si applica la regola con una equanimità che non conosce errore, e trova nell’uomo qualcosa che Dio rimprovera, e che agli uomini non sembrava degno di rimprovero, neppure a colui che è sottoposto a giudizio. È forse temendo questo che l’anima si turba; le si rivolge allora la mente come dicendole: perché temi i peccati, dal momento che non puoi evitarli tutti? Spero nel Signore perché io a lui confesserò. Questo discorso risana un po’, il resto è purificato dalla fedele confessione. Hai diritto di temere, se ti consideri giusto, e se non hai presenti le parole di quell’altro salmo: Non venire a giudizio con il tuo servo. Perché: non venire a giudizio con il tuo servo? La tua misericordia mi è necessaria. Se applicherai infatti il giudizio senza misericordia, dove andrò a finire? Se terrai conto delle ingiustizie, Signore, chi spererà? (Ps 129,3) Non venire a giudizio con il tuo servo, perché nessun vivente può giustificarsi dinanzi a te (142, 2). Non sarà dunque giustificato al tuo cospetto alcun vivente, perché chiunque qui vive, anche se vive giustamente, guai a lui se Dio entrerà in giudizio con lui. Per mezzo del profeta il Signore così rimprovera gli arroganti e i superbi: Perché volete entrare con me in giudizio? Tutti mi avete abbandonato, dice il Signore (Jr 2,29). Non entrate dunque in giudizio; dàtti da fare per essere giusto; e qualunque cosa tu sia stato, confessati peccatore; sempre spera nella misericordia: e in questa umile confessione parla sicuro con la tua anima che ti turba e tumultua contro di te. Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? Forse volevi sperare in te; Spera nel Signore, non in te. Cosa sei in te e cosa si può attendere da te? Egli sia la tua salvezza, lui che ha accettate le ferite per te. Spera nel Signore, perché lui confesserò. Che cosa confesserai? che egli è la salvezza del mio volto, il mio Dio. Tu sei la salvezza del mio volto, tu mi sanerai. Ti parlo da malato; riconosco il medico, non pretendo di essere sano. Che significa: riconosco il medico, e non pretendo di essere sano? Significa ciò che in un altro salmo è detto: Io dissi: Signore abbi pietà di me, risana l’anima mia, perché ho peccato contro di te (Ps 40,5).

Digiuno ed elemosina.

8. Questa supplica, fratelli, è sicura; ma vigilate nelle opere buone. Toccate il salterio obbedendo ai comandamenti, toccate la cetra, sopportando le passioni. Spezza il tuo pane per chi ha fame (Is 58,7), ha detto Isaia; non credere che sia sufficiente il digiuno. Il digiuno ti mortifica, non soccorre gli altri. Saranno fruttuose le tue privazioni se donerai ad altri con larghezza. Ecco, hai defraudato la tua anima; a chi darai ciò che ti sei tolto? dove porrai ciò che hai negato a te stesso? Quanti poveri potrebbe saziare il pranzo che noi oggi abbiamo interrotto! Il tuo digiuno deve essere questo: mentre un altro prende cibo, godi di nutrirti della preghiera per la quale sarai esaudito. Continua infatti Isaia: mentre ancora tu parli, io ti dirò: ecco son qui; se spezzerai di buon animo il pane a chi ha fame (Is 58,9 Is 10); perché di solito ciò vien fatto con tristezza e brontolando, per evitare il fastidio di colui che chiede, non per ristorare le viscere di chi ha bisogno. Ma Dio ama chi dona con letizia (2Co 9,7). Se avrai dato il pane con tristezza, hai perduto il pane e il merito. Fa’ dunque questo di buon animo; affinché colui che vede dentro mentre ancora stai parlando, ti dica: ecco son qui. Con quanta celerità sono accolte le preghiere di coloro che operano il bene! Questa è la giustizia dell’uomo in questa vita, il digiuno, l’elemosina, la preghiera. Vuoi che la tua preghiera voli fino a Dio? Donale due ali: il digiuno e l’elemosina. Così ci trovi, così tranquilli ci scopra la luce di Dio e la verità di Dio, quando verrà a liberarci dalla morte colui che già è venuto a subire la morte per noi. Amen.

SUL SALMO 43

43 Ps 43

ESPOSIZIONE

Discorso al popolo

Valore del martirio.

1. [v 1.] Questo salmo è chiamato per i figli di Core, come indica il suo titolo. Ma Core si traduce con calvizie oppure Calvario, e troviamo che nel Vangelo il Signore nostro Gesù Cristo è stato crocifisso appunto nel luogo del Calvario (Cf. Mt 27,33). È dunque chiaro che questo salmo si canta per i figli della sua Passione. Abbiamo peraltro anche la chiarissima e certissima testimonianza dell’apostolo Paolo; perché quando la Chiesa soffriva in mezzo alle persecuzioni dei Gentili, egli prese di qui un verso da intercalare ad esortazione e consolazione della pazienza. Qui infatti si dice ciò che egli scrisse nella sua epistola: Per cagion tua siamo dati a morte tutto il giorno e stimati come pecore da macello (Rm 8,36). Ascoltiamo dunque nel salmo la voce dei Martiri; e vedete quale buona causa abbia la voce dei Martiri; dato che egli dice: per cagion tua. Anche il Signore infatti proprio per questo ha aggiunto: a cagione della giustizia, quando dice: Beati coloro che subiscono persecuzioni a cagione della giustizia (Mt 5,10), affinché non cerchi gloria, chi subisce persecuzioni, solo per la pena, senza avere una buona causa. E dopo avere esortati i suoi, dice: sarete beati quando gli uomini vi faranno o vi diranno questo o quello, per cagion mia. Di qui dunque derivano le parole: per cagione tua siamo dati a morte tutto il giorno.

Dio non abbandona mai nessuno.

2. È dunque di grande interesse e di grande profondità la decisione di Dio che strappò con mano fortissima i padri nostri, i Patriarchi e tutto quel popolo di Israele dall’Egitto e, sommergendo in mare i nemici che li perseguitavano, li guidò attraverso genti nemiche e, dopo aver debellati i loro avversari, li collocò nella terra della promessa, riportando straordinarie vittorie con uno scarso numero dei suoi contro la grande folla dei nemici. A Dio piacque poi quasi allontanare da sé il suo popolo, in modo che i suoi santi subissero stragi, uccisioni e morte senza che nessuno resistesse, nessuno si difendesse, e nessuno si opponesse; come se avesse allontanato il suo volto dai loro gemiti, si fosse dimenticato di loro, ed egli non fosse il Dio che con mano valida e braccio forte per la sua straordinaria potenza aveva liberato i nostri padri, cioè quel popolo, come ho detto, dall’Egitto, aveva vinto e scacciati dalla sua terra i Gentili e aveva costituito il regno, mentre tutti si stupivano perché spesso molti erano stati vinti dai pochi. È questo dunque che nel gemito della confessione si comincia a cantare nel presente salmo. Tutte queste cose sono accadute non senza motivo, purché si intenda per quale ragione si sono verificate. È chiaro che sono accadute ma dobbiamo profondamente ricercare il motivo. Per questo il titolo non reca soltanto: per i figli di Core; ma: per l’intelligenza dei figli di Core. Si ritrova questo anche in quel salmo il cui primo verso disse il Signore stesso mentre era appeso alla croce: Dio mio, Dio mio, guardami, perché mi hai abbandonato? Trasfigurandoci in ciò che diceva e nel suo corpo (perché noi siamo il suo Corpo ed egli è il nostro Capo), non parlò dalla croce con la voce sua, ma con la nostra. Perché, Dio mai lo ha abbandonato, né lui mai dal Padre si è allontanato; ma è per noi che disse tali parole: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Continua infatti: lontano dalla mia salvezza le parole dei miei delitti. E mostra nella persona di chi ha detto queste parole: perché in lui non si poté trovare delitto. Griderò a te, dice nello stesso salmo, di giorno, e non mi esaudirai; e di notte, (è sottinteso che non mi esaudirai), ma aggiunge: e non per rendermi Stolto (Ps 21,2 Ps 3), cioè, nel non esaudirmi avrai di mira non la mia stoltezza, ma la intelligenza. Che significa il fatto che non mi esaudirai per l’interigenza? Significa che non mi esaudirai nelle cose temporali, affinché io capisca che da te debbo desiderare le cose eterne. Dio insomma non ci abbandona, e quando sembra abbandonarci, ci toglie ciò che abbiamo desiderato di male, e ci insegna ciò che dobbiamo desiderare di bene. Se Dio sempre ci conservasse in condizioni di prosperità, in modo che ogni cosa abbondasse per noi, e non avessimo da soffrire in questo tempo della nostra mortalità alcuna tribolazione, alcuna strettoia e alcuna angustia, diremmo che questi sono i massimi beni che Dio dona ai suoi servi, e non desidereremmo da lui niente di più grande. Ebbene, è per questo che egli mescola alla dolcezza ingannevole di questa vita le amarezze delle tribolazioni affinché si cerchi un’altra vita che ha in sé una dolcezza salutare; cioè: secondo l’intelligenza per i figli di Core. Ascoltiamo infine il salmo, ed ivi vedremo meglio ciò che diciamo.

3. [vv 2.3.] O Dio, con i nostri orecchi l’abbiamo udito; i nostri padri ce l’hanno annunziato, l’opera che hai compiuto nei loro giorni, nei giorni antichi. Meravigliandosi, come se in questi giorni Dio avesse abbandonato coloro che ha voluto mettere alla prova nelle tribolazioni; costoro ricordano le cose passate che hanno udito dai loro padri, e sembrano dire: non ci hanno tramandato i nostri padri le cose che noi ora soffriamo. Anche in quel salmo infatti ha detto: in te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; io sono un verme e non un uomo, ludibrio degli uomini e abiezione della folla (Ps 21,5 Ps 7). Quelli sperarono e tu li hai liberati; anch’io ho sperato e tu mi hai abbandonato. Forse inutilmente ho creduto in te e senza scopo il mio nome è scritto presso di te, anzi il tuo nome è scritto in me? Queste cose dunque ci hanno indicate i nostri padri: La tua mano ha disperse le genti, e vi hai insediato loro; indebolisti i popoli e li hai scacciati; cioè hai scacciato i popoli dalla loro terra per introdurvi costoro e insediarli a stabilire con la tua misericordia il loro regno. Queste cose le abbiamo udite dai nostri padri.

I nostri occhi vedono solo gli effetti miracolosi dell’opera.

4. [v 4.] Ma forse essi hanno potuto compiere tutte queste cose perché erano forti, perché erano combattenti, invitti, allenati, bellicosi? No di certo. Non questo ci hanno narrato i nostri padri, non questo reca la Scrittura, ma che cosa reca, se non quanto segue? Non con la spada conquistarono la terra, né il loro braccio dette loro vittoria; ma la tua destra e il tuo braccio, e la luce del tuo volto. La tua destra, è la tua potenza; il tuo braccio, è il tuo stesso figlio. E la luce del tuo volto. Che significa questo? Significa che con tali segni ti manifestasti loro, da far capire che eri presente. Forse che quando Dio è presente a noi con qualche miracolo, vediamo il suo volto con i nostri occhi? Ma è con il suo miracolo che egli segnala agli uomini la sua presenza. Che dicono infine coloro che si stupiscono di fronte a miracoli di questo genere? Ho visto Dio presente. Ma la tua destra, e il tuo braccio, e la luce del tuo volto; perché in loro ti sei compiaciuto. Cioè con loro ti sei comportato in modo da compiacerti in essi, affinché chiunque osservasse il loro modo di agire, dicesse che veramente Dio è con loro, e Dio li muove.

Presenza di Dio attraverso le creature.

5. [v 5.] Che dire dunque? Allora era uno, ed ora è un altro? Non sia mai. Che segue infatti? Tu sei lo stesso mio re e mio Dio. Tu sei lo stesso, non sei mutato. Vedo mutati i tempi, non muta il Creatore dei tempi. Tu sei lo stesso mio re e mio Dio. Tu sei solito guidarmi, tu reggermi, tu soccorrermi. Tu, che mandi la salute a Giacobbe. Cosa significa: che mandi? Anche se tu, per la tua sostanza e la tua natura per la quale sei ciò che sei, rimani occulto e quindi non ti manifesti ai padri in modo da farti vedere da essi faccia a faccia, tuttavia per mezzo di una qualche creatura tu mandi la salvezza a Giacobbe. La visione faccia a faccia è riservata ai fedeli liberati nella risurrezione. E anche quei padri del Nuovo Testamento, sebbene avessero visto rivelati i tuoi misteri, e sebbene avessero annunziato i segreti rivelati, tuttavia hanno detto che ti vedevano come in uno specchio e in immagine; e che la visione faccia a faccia era riserbata per il futuro (Cf. 1Co 13,12), quando accadrà ciò che l’Apostolo stesso dice: Voi, infatti, siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; ma quando Cristo, vostra vita, si manifesterà allora anche voi vi manifesterete con lui nella gloria (Col 3,3 Col 4). Ci è riservata dunque per allora quella visione faccia a faccia della quale anche Giovanni dice: Dilettissimi, siamo figli di Dio, e non ancora è manifesto ciò che saremo; sappiamo che, quando sarà manifesto, saremo simili a lui, perché lo vedremo qual è (1Jn 3,2). Ebbene anche se allora i nostri padri non ti hanno visto faccia a faccia così quale sei, anche se questa visione è riservata alla risurrezione, tuttavia, pur essendo presenti i tuoi angeli, tu mandi la salvezza a Giacobbe. Non solo sei presente da te, ma anche per mezzo di qualsiasi tua creatura, e tu mandi, in vista della salvezza dei tuoi servi, ciò che tu stesso per tuo mezzo compi; ed è per la salute dei tuoi servi che si compie ciò che essi fanno a coloro che tu mandi. Orbene dato che tu stesso sei il mio re e il mio Dio, e tu mandi la salvezza a Giacobbe, perché tutte queste sofferenze ora soffriamo?

6. [v 6.] Ma forse si sono narrate soltanto le cose del passato, mentre di quelle future non c’è da sperare altrettanto. Al contrario c’è proprio da sperarlo. In te vaglieremo i nostri nemici. I padri nostri ci hanno indicate le opere che tu hai compiuto nei loro giorni e nei tempi antichi, che la tua mano ha disperso le genti, che hai scacciato i popoli e li hai piantati. Queste sono cose passate, ma nel futuro che cosa accadrà? In te vaglieremo i nostri nemici. Verrà il tempo in cui tutti i nemici dei cristiani saranno passati al vaglio come paglia, come polvere saranno soffiati via e scacciati dalla terra. Dunque se le cose passate ci sono così narrate, e le future ci sono in tal modo preannunziate, perché ci affatichiamo in mezzo alle cose presenti, se non per l’intelligenza dei figli di Core? In te vaglieremo i nostri nemici, e nel tuo nome disperderemo i nostri assalitori. Questo per quanto si riferisce al futuro.

7. [v 7.] Non spererò infatti nel mio arco, allo stesso modo in cui i nostri padri non hanno sperato nella loro spada. E la mia spada non mi salverà.

Il futuro per Iddio è come se fosse passato.

8. [v 8.] Ci hai salvati infatti da coloro che ci affliggevano. E questa immagine del passato si riferisce al futuro; ma è detta come se si riferisse al passato, perché il futuro è tanto sicuro come se già fosse accaduto. Comprendete perché i profeti si esprimono per lo più come se parlassero del passato quando preannunziano fatti che dovevano ancora accadere, non già accaduti. Nello stesso modo viene preannunziata la futura Passione del Signore dicendo: Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa; e non: trafiggeranno e conteranno. Ma essi mi hanno osservato e mi hanno guardato; non: mi osserveranno e mi guarderanno. Si sono divisi le mie vesti (Ps 21,17 Ps 19), non: se le divideranno. Tutte queste cose sono dette come se fossero già avvenute, mentre sono future; perché per Dio il futuro è tanto certo come se già fosse passato. Per noi le cose che sono passate, sono sicure; mentre le future sono incerte. Noi sappiamo infatti che qualcosa è accaduto e non può essere che non sia successo ciò che è accaduto. Dammi un profeta che sia tanto certo del futuro quanto tu lo sei del passato; e come per te ciò che ti ricordi essere accaduto non può darsi che non sia accaduto, così per lui ciò che accadrà, non può darsi che non accada. Con sicurezza perciò si annunziano come se fossero passate quelle cose che ancora dovranno accadere. Questo dunque speriamo. Ci hai salvati infatti da coloro che ci affliggevano e coloro che ci odiano tu hai confusi.

9. [v 9.] In Dio ci glorieremo ogni giorno. Vedete in qual modo mescola verbi passati e futuri, affinché tu intenda che anche le cose passate sono dette come predizioni del futuro. In Dio ci glorieremo ogni giorno; e il tuo nome confesseremo nei secoli. Perché: ci glorieremo? Perché: confesseremo? Perché ci hai liberati da tutti coloro che ci affliggevano, perché ci darai il regno eterno, perché in noi si adempiranno le parole: beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore, ti loderanno nei secoli dei secoli (Ps 83,5).

Le persecuzioni predette ai cristiani.

10. [v 10.] Se le cose future sono certe per noi, e quelle passate le abbiamo udite dai nostri padri, che dice del presente? Ma ora ci hai respinti e ci hai confusi. Ci hai confusi non nella nostra coscienza, ma al cospetto degli uomini. Vi era infatti un tempo in cui i Cristiani erano perseguitati, in cui dovevano fuggirsene lontani e l’espressione: È un Cristiano, veniva considerata come un insulto ed una ingiuria. Dov’è dunque quel Dio nostro, quel nostro re che manda la salvezza a Giacobbe? Dove è Colui che ha fatto tutte le cose che ci hanno narrato i padri nostri? Dove è Colui che farà tutte le cose che ci ha rivelate per mezzo del suo Spirito? Forse è mutato? Ma per l’intelligenza dei figli di Core (Ps 43,1) tutte queste cose accadono. Dobbiamo infatti capire perché ci ha voluto far soffrire tutte queste cose in questa epoca intermedia. Quali cose? Ma ora ci hai respinti e ci hai confusi; e non esci, Dio, con i nostri eserciti. Marciamo contro i nostri nemici, e tu non marci con noi; li vediamo, essi vincono, e noi siamo sconfitti. Dove è quella tua forza, dove è la tua destra e la tua potenza? Dove è il mare prosciugato, dove sono gli Egiziani persecutori sommersi dai flutti (Cf. Ex 14,21 Ex 27)? Dove è Amalec che resiste, ed è vinto nel segno della croce (Cf. Ex 17,11)? Tu non esci Dio con i nostri eserciti.

11. [v 11.] Ma ci fai voltare le spalle davanti ai nostri nemici, in modo che essi sono avanti e noi indietro; essi vincitori e noi sconfitti. E coloro che ci odiano saccheggiano: chi se non noi?

12. [v 12.] Ci hai esposti come pecore da macello, e tra le nazioni ci hai disperso. Dalle nazioni siamo stati mangiati. Essi intendono che hanno sofferto tanto da passare infine nel corpo dei Gentili. La Chiesa infatti li piange, come fossero membra sue divorate.

13. [v 13.] Hai venduto il tuo popolo senza prezzo. Abbiamo visto infatti coloro che hai dato, ma non abbiamo visto ciò che hai ricevuto. E la folla non accorse alle loro feste di giubilo. Forse che quando i Cristiani fuggivano di fronte alle persecuzioni dei nemici idolatri, si tenevano solennità e feste di giubilo per Dio? Si cantavano forse nelle chiese di Dio gli inni che di solito si cantano nei periodi di pace, e risuonano in un dolce concerto di fraternità alle orecchie di Dio? E la folla non accorse alle loro feste di giubilo.

14. [vv 14.15.] Ci hai esposti al ludibrio dei nostri vicini, al sogghigno e alla derisione di coloro che ci stanno intorno. Ci fai essere la favola di paragone fra le nazioni. Che significa: una favola di paragone? Quando gli uomini maldicenti fanno un paragone riguardo a chi detestano, dicono: Così morirai, così sarai punito. Quante cose di questo genere si dissero allora: così sarai crocifisso! E non mancano oggi nemici di Cristo, quegli stessi Giudei, i quali ci dicono, quando difendiamo Cristo contro di loro: morirai così come Egli è morto. Non ci minaccerebbero infatti di quella morte, se non avessero profondo orrore di quel modo di morire e se potessero comprendere quale mistero contiene. Il cieco quando viene curato, non vede il collirio nella mano del medico. La croce di fatto è stata posta anche per i persecutori. Per questo poi sono stati risanati e hanno creduto in lui, quegli stessi che lo uccisero. Ci hai fatti favola di paragone per le nazioni, e dinanzi a noi crollano il capo i popoli: è per insultare che si crolla il capo. Hanno parlato con le labbra, ed hanno crollato il capo (Ps 21,8). Questo hanno fatto al Signore, e questo hanno fatto a tutti i suoi santi, alcuni dei quali hanno potuto perseguitare, altri incarcerare, altri deridere, altri consegnare, altri tormentare, ed altri infine uccidere.

Liberazioni dei cristiani nella vittoria finale di Cristo.

15. [vv 16.17.] Tutto il giorno la mia vergogna è dinanzi a me, e il rossore mi ricopre il volto per la voce di chi mi insulta e mi oltraggia: la voce cioè di coloro che mi insultano e mi rinfacciano il delitto per quel nome nel quale ogni mia colpa sarà distrutta. Per la voce di chi mi insulta e mi oltraggia, cioè parla contro di me. Davanti al nemico e al persecutore. E che significa? Le cose che abbiamo detto come passate non si compiono in noi; quelle che speriamo nel futuro, non si manifestano. Ecco le cose passate: nella tua grande gloria il popolo è stato portato via dall’Egitto, liberato dai persecutori, condotto attraverso le nazioni, collocato nel regno dopo che da esso furono espulse le genti. Quali sono gli eventi futuri? Il popolo dovrà essere portato via da questo Egitto del mondo, sotto la guida di Cristo che apparirà nella sua gloria; i santi saranno posti a destra, gli ingiusti a sinistra e gli ingiusti saranno condannati insieme con il diavolo alla pena eterna; e Cristo entrerà in possesso del regno insieme con i Santi per l’eternità. Queste sono le cose future, quelle le passate. In mezzo che cosa c’è? Le tribolazioni. Perché? Perché si manifesti l’animo di colui che adora Dio, e sia chiaro quanto lo adora, affinché si veda se adora gratis colui dal quale ha ricevuto gratis la salvezza. Se Dio infatti ci dicesse: che cosa mi hai dato perché io ti creassi? Certo se, una volta creato, hai meritato da me, niente hai meritato prima che ti creassi. Che diremo a Lui che per primo gratuitamente ci ha creati, perché è buono, non perché qualcosa abbiamo meritato? E poi che gli diremo dello stesso nostro riscatto, della nostra seconda nascita? È per i nostri meriti che quella perpetua salvezza ci è stata mandata dal Signore? Certamente no. Se i nostri meriti contassero qualcosa, Egli sarebbe venuto per la nostra dannazione. Non è venuto per indagare sui nostri meriti, ma per rimettere i nostri peccati. Non eri e sei stato creato; che cosa hai dato a Dio? Eri malvagio, e sei stato liberato; che cosa hai dato a Dio? Che cosa non hai ricevuto gratuitamente da lui? Giustamente si chiama grazia, perché è data gratuitamente. Si esige dunque da te che anche tu lo adori gratuitamente, non perché elargisce doni temporali, ma perché dona quelli eterni.

La speranza della ricompensa futura.

16. Ma stai attento a non pensare in modo errato degli stessi beni eterni, sì da finire col non adorare più gratuitamente Dio, pensando in modo carnale all’eternità. Che significa? Se infatti ami Dio perché ti ha dato una proprietà, cesserai di amarlo perché ti toglie tale proprietà? Ma forse tu dici: io adoro Dio perché mi darà una villa, ma non una villa temporale. Ma anche così la tua mente è corrotta; perché non lo ami di un amore puro, in quanto desideri da lui la ricompensa. Vuoi avere nella vita futura ciò che qui devi necessariamente lasciare; vuoi modificare il piacere carnale, non tagliarlo via. Non è un digiuno lodevole quello di chi riserba vuoto il suo ventre per una cena luculliana. Spesso infatti gli uomini sono invitati ad un grande banchetto, e siccome vogliono andare ad esso desiderosi di mangiare, digiunano: questo digiuno è forse mosso dalla continenza, o non piuttosto dalla intemperanza? Non sperare dunque che Dio ti dia le cose che qui egli ti ordina di disprezzare. Questo è ciò che speravano i Giudei, e perciò erano turbati di fronte a quella questione. Anch’essi sperano nella risurrezione, ma sperano di risorgere per quelle voluttà del corpo che qui amano. Perciò, quando fu loro proposta dai Sadducei, che non credono alla risurrezione, la questione di quella donna che sposò sette fratelli uno dopo l’altro, per sapere di quale di costoro essa sarebbe stata moglie nella risurrezione, esitavano, e non erano in grado di rispondere. Ma quando tale questione fu proposta al Signore, dato che a noi è promessa una risurrezione nella quale non si ripetono i piaceri di questo mondo, ma nella quale le gioie eterne sono preparate dallo stesso Dio, egli rispose dicendo: sbagliate perché non conoscete le Scritture, e nemmeno la potenza di Dio: nella risurrezione infatti né si sposeranno, né prenderanno moglie; poiché non possono più morire. Cioè non si cerca il successore là dove non ci sarà chi muore. E che cosa ci sarà? Ma saranno - disse - uguali agli angeli di Dio (Mt 22,29 Mt 30 Lc 20,35 Lc 36). A meno che tu non creda che gli angeli si rallegrino in quotidiani banchetti e nel vino in cui tu ti ubriachi, oppure tu creda addirittura che gli angeli prendano moglie. Niente di tutto questo c’è presso gli angeli. E di che cosa si rallegrano gli angeli se non di ciò che dice il Signore: Non sapete che i loro angeli vedono sempre il volto del Padre? (Mt 18,10) Orbene se gli angeli si rallegrano vedendo il volto del Padre, preparati a tale gioia, oppure trovi qualcosa di meglio del vedere la faccia di Dio? Temi del tuo amore se tu credi che vi sia qualcosa di più bello di Colui dal quale deriva ogni bellezza; esso ti possiede al punto tale che tu non meriti neppure di pensare a quello. Il Signore era nella carne e appariva uomo agli uomini. Come appariva? Già l’ho detto, appariva uomo agli uomini. Che cosa di grande appariva? Appariva carne alla carne. Che cosa aveva di straordinario Colui del quale è detto: Lo abbiamo visto, e non aveva bellezza né decoro (Is 53,2)? Chi non aveva bellezza né decoro? Colui del quale altrove è detto: bello al di sopra dei figli degli uomini (Ps 44,3). Come uomo, non aveva bellezza né decoro; ma era bello di quella bellezza che è al di sopra dei figli degli uomini. Ebbene, mostrando quella carne deforme agli occhi di coloro che lo guardavano, che cosa disse? Colui che mi ama osserva i miei comandamenti; e colui che mi ama è amato dal Padre mio, ed io lo amerò e mi mostrerò a lui (Jn 14,21). Lo vedevano, ed egli prometteva che si sarebbe mostrato loro. Che cosa significa questo? È come se dicesse: vedete la forma del servo, la natura di Dio è nascosta, per mezzo di questa vi proteggo, per mezzo di quella vi servo; con una vi nutro come bambini, con l’altra vi pascolo come grandi. Orbene, affinché la nostra fede nella quale siamo purificati ti prepari alle cose invisibili, cioè a ciò che è secondo l’intelligenza per i figli di Core (Ps 43,1), tutte queste cose sono accadute, in modo che sia tolto ai santi tutto ciò che essi avevano, e sia tolta loro la stessa vita temporale; affinché adorino Dio eterno, non per queste cose terrene, ma sopportino nel casto amore di lui tutte le cose che nel tempo debbono soffrire.

Riceve il premio chi non cede alle tentazioni e vive di carità.

17. [vv 18.19] Infine, poiché queste cose hanno capito i figli di Core, che dicono costoro? Tutte queste cose sono venute su di noi, e noi non ci siamo dimenticati di te. Che significa: e noi non ci siamo dimenticati di te? E non abbiamo agito ingiustamente nei confronti del tuo patto; non si è tratto indietro il nostro cuore, e tu hai piegato i nostri sentieri alla tua via. Ecco l’intelligenza, perché non si è tratto indietro il nostro cuore, perché non ci siamo dimenticati di te, perché non ci siamo comportati ingiustamente nei confronti del tuo patto pur essendo in mezzo a grandi tribolazioni e pur essendo perseguitati dalle genti. Hai piegato i nostri sentieri alla tua via. I nostri sentieri erano infatti nei piaceri del secolo; i nostri sentieri erano nella prosperità delle cose temporali; tu hai costretto i nostri sentieri entro la tua via, e ci hai mostrato quanto stretta e angusta sia la via che conduce alla vita. E hai piegato i nostri sentieri alla tua via. Che significa: hai piegato i nostri sentieri alla tua via? È come se si dicesse: voi siete in mezzo alle tribolazioni, soffrite molto, avete perduto molte di quelle cose che amavate in questo secolo; ma non vi ho abbandonato in mezzo alla via, a questa via angusta che vi insegno. Cercavate i lieti sentieri; ed io che vi dico? Di qui si va alla vita eterna; nella via in cui voi volete camminare, giungete alla morte. Quanto larga e spaziosa è la via che conduce alla morte, e quanti sono coloro che camminano per essa! E quanto stretta e angusta è la via che porta alla vita, e come sono pochi coloro che su di essa camminano! (Mt 7,13 Mt 14) Chi sono questi pochi? Sono coloro che sopportano le tribolazioni, che superano le tentazioni, che non vengono meno in mezzo a tutte queste angustie; coloro che non si rallegrano per la parola di Dio solo per un momento, e che nel tempo della tribolazione inaridiscono come se fosse sorto il sole (Cf. Mt 13,20 Mt 21 Mt 23), ma hanno le radici della carità, così come ci è stato letto or ora nel Vangelo (Mc 4,16 Mc 17 Mc 20 Lc 8,13 Lc 15). Abbi, ripeto, la radice della carità, in modo che, quando sarà sorto il sole, non ti brucerà, ma ti nutrirà. Tutte queste cose sono venute su di noi, e noi non ci siamo dimenticati di te; e non abbiamo agito ingiustamente nei confronti del tuo patto: e non si è tratto indietro il nostro cuore. Ma poiché tutte queste cose abbiamo compiuto in mezzo alle tribolazioni, mentre già camminavamo nella via angusta, tu hai piegato i nostri sentieri alla tua via.

18. [v 20.] Perché ci hai umiliato nel luogo della debolezza. Dunque ci esalterai nel luogo della forza. E ci ha coperto l’ombra della morte. E questa condizione mortale è soltanto l’ombra della morte. La vera morte è la dannazione insieme con il diavolo.

19. [v 21.] Se ci siamo dimenticati del nome del Dio nostro. Questa è l’intelligenza dei figli di Core. E se abbiamo steso le nostre mani ad un Dio straniero.

Conoscenza di Dio.

20. [v 22.] Forse Dio non ricercherà queste cose? Egli stesso infatti conosce i segreti del cuore. Conosce, e ricerca; se conosce i segreti del cuore perché ricerca? Forse Dio non ricercherà queste cose? Conosce in sé, ricerca per noi. Infatti per questo Dio ogni tanto ricerca, e dice di conoscere ciò che fa conoscere a te. Ti manifesta la sua opera, non la sua conoscenza. Noi diciamo spesso: un giorno lieto, quando il tempo è sereno; forse che il giorno si rallegra? Ma noi diciamo che si rallegra perché fa rallegrare noi. Diciamo ancora: Cielo triste. Certamente non c’è alcun sentimento di tristezza nelle nubi; ma, poiché gli uomini si rattristano vedendo il cielo con un volto così scuro, lo chiamano triste, in quanto esso ci rende tristi. Così si dice che Dio conosce, quando fa sì che noi conosciamo. Dio dice ad Abramo: Ora ho saputo che tu temi Dio (Gn 22,12). Forse che prima non lo sapeva? Ma era Abramo che non lo sapeva, ha imparato nella tentazione a conoscere se stesso. La maggior parte degli uomini infatti crede di potere ciò che non può, oppure di non potere ciò che può; lo raggiunge la domanda che discende dal disegno divino, e per mezzo di tale domanda gli diventano note le sue possibilità; si dice allora che Dio ha conosciuto ciò che egli ha fatto sì che noi conosciamo. Forse Pietro conosceva se stesso quando disse al medico: sono con te fino alla morte (Mt 26,35)? Il medico avendogli tastato il polso comprese cosa si trovava nell’intimo del malato, ma il malato non lo sapeva. Si presentò la tentazione: il medico provò la verità della sua sentenza, mentre il malato perdette la sua presunzione. Così dunque Dio conosce e ricerca. Conosce. In qual modo ricerca? Ricerca per te, affinché anche tu conosca te stesso, e tu renda grazie a colui che ti ha creato. Forse Dio non ricercherà queste cose?

Dio vede le sofforenze nascoste e i loro motivi.

21. Egli stesso infatti conosce i segreti del cuore. Che significa: conosce i segreti? Quali segreti? Perché per te siamo dati a morte tutto il giorno e siamo stimati come pecore da macello. Tu puoi vedere che l’uomo è dato a morte, ma perché sia dato a morte non sai; Dio lo sa; la ragione è segreta. Ma qualcuno mi dice: ecco, per il nome di Cristo costui è tenuto in prigione, e confessa il nome di Cristo. Perché, non confessano forse anche gli eretici il nome di Cristo e tuttavia non muoiono per tale nome? E nella stessa Chiesa, preciso, nella Chiesa cattolica, credete che sia mancato, o che possa mancare ora, chi soffre per ottenere gloria umana? Se mancassero uomini di questo genere, l’Apostolo non direbbe: Se dessi il mio corpo a bruciare, ma non ho carità, a niente mi giova (1Co 13,3). Sapeva dunque che vi possono essere alcuni che fanno questo per vanagloria, non per amore. Ma ciò rimane nascosto; Dio solo lo vede, noi non possiamo. Egli solo può giudicare, egli che conosce i segreti del cuore. Perché per te siamo dati a morte tutto il giorno e siamo stimati come pecore da macello. Già l’ho detto, di qui anche l’apostolo Paolo ha tratto una testimonianza per esortare i martiri, affinché non vengano meno nelle tribolazioni accettate per il nome di Cristo.

Giudei videro la morte di Cristo ma non credettero alla sua resurrezione.

22. [v 23.] Risvegliati, perché dormi, o Signore? A chi dice? E chi è che dice queste parole? Non sarebbe più opportuno dire che dorme e che spira colui che tali parole proferisce: risvegliati, perché dormi, o Signore? Ti risponderà: so quello che dico; so che non dorme colui che custodisce Israele (Cf. Ps 120,4); ma tuttavia i martiri esclamano: risvegliati, perché dormi, o Signore? O Signore Gesù! Sei stato ucciso, hai dormito nella passione e già per noi sei risorto. Sappiamo infatti che per noi sei risorto. Perché sei risorto? I Gentili che ci perseguitano ti ritengono morto, e non credono che tu sia risorto. Risvegliati dunque per loro. Perché dormi, non per noi, ma per essi? Se essi infatti già credessero alla tua risurrezione, di certo non potrebbero perseguitare coloro che credono in te. Ma perché perseguitano? Distruggi e uccidi certi uomini che credono che tu sia morto non so di quale male. Per costoro ancora tu dormi; risvegliati affinché capiscano che sei risorto, e trovino pace. È accaduto infine che, mentre muoiono i martiri e dicono queste cose, costoro dormono e scuotono Cristo veramente morto nel loro sonno; e Cristo è risorto in un certo qual modo nei Gentili, cioè essi hanno creduto che egli è risorto; così a poco a poco anch’essi, credendo, si sono volti a Cristo ed hanno finito col costituire un grande numero, tanto che i persecutori ne hanno avuto timore ed hanno cessato le persecuzioni. Perché? Perché Cristo è risorto nei Gentili, Cristo che prima dormiva per essi, quando non credevano. Risvegliati, e non respingerci fino alla fine.

23. [v 24.] Perché distogli la tua faccia, come se tu non fossi presente, ma come se ti fossi dimenticato di noi. Ti sei dimenticato della nostra miseria e della nostra tribolazione.

24. [v 25.] Perché la nostra anima si è umiliata nella polvere. Dove si è umiliata? nella polvere, cioè la polvere ci perseguita. Ci perseguitano coloro dei quali tu hai detto: non così gli empi, non così; ma come polvere che il vento spazza dalla faccia della terra (Ps 1,4). L’anima nostra si è umiliata nella polvere; è attaccato alla terra il nostro ventre. Mi sembra che sia espressa la pena della più grande umiliazione che possa esistere, quando si dice di uno che distendendosi aderisce con il ventre alla terra. Quando infatti uno si umilia sino a piegare il ginocchio, ha ancora di che umiliarsi; ma quando uno si umilia tanto da distendere a terra il suo ventre non ha più di che umiliarsi. Se volesse umiliarsi ancora, non ne avrebbe modo, a meno che si ponesse sottoterra. Proprio questo forse ha voluto dire: troppo ci siamo umiliati in questa polvere, e non abbiamo più di che umiliarci; già siamo giunti alla massima umiliazione, venga finalmente la commiserazione.

Fedeltà a Cristo persecuzioni.

151 25. Oppure, fratelli, la Chiesa piange con questa voce coloro che i persecutori hanno costretto a passare dalla parte dell’empietà, tanto che quelli che son rimasti ben saldi nella virtù, così dicono: l’anima nostra si è umiliata nella polvere. Cioè tra le mani di questa polvere, tra le mani degli empi e dei persecutori, l’anima nostra si è umiliata nella polvere e per questo noi ti invochiamo affinché tu ci dia l’aiuto nella tribolazione; perché il ventre nostro si è attaccato alla terra, cioè ha ceduto alla empietà di questa polvere il nostro ventre. Questo infatti significa la parola: si è attaccato. Perché se quando ami e ardi di carità giustamente dici a Dio: l’anima mia si è stretta dietro a te (Ps 62,9); e ancora: per me è buono l’essere attaccato a Dio (Ps 72,28), perché allora tu sei unito a Dio, in quanto acconsenti a Dio; ebbene non senza motivo si dice che questo ventre si è attaccato alla terra, in quanto essi, non sopportando le persecuzioni, hanno ceduto agli ingiusti, e in questo modo si sono attaccati alla terra. Sono chiamati ventre perché sono carnali: e quindi la bocca della Chiesa sono i santi, gli uomini spirituali, mentre il ventre della Chiesa sono gli uomini carnali. Per questo la bocca della Chiesa sta in alto; il ventre invece è nascosto, come qualcosa di più molle e di più debole. Questo intende in un certo passo la Scrittura laddove l’evangelista dice di aver ricevuto il libro: e il libro era dolce nella mia bocca e amaro nel mio ventre (Ap 10,10). Che significano queste parole se non che i maggiori precetti che gli uomini spirituali ricevono non sono accolti dagli uomini carnali, e che di ciò di cui si rallegrano gli uomini spirituali si rattristano invece gli uomini carnali? Fratelli, chi possiede questo libro? Vendi tutto ciò che hai, e donalo ai poveri. Quanta dolcezza c’è nella bocca della Chiesa! Essa si attua in tutti gli uomini spirituali. Ma all’uomo carnale tu dirai: fa’ questo, ed egli più facilmente si allontanerà da te triste come quel ricco si allontanò dal Signore (Mt 19,21 Mt 22) piuttosto che fare ciò che il Signore gli aveva detto. Ma perché si allontana triste, se non perché quel libro è dolce nella bocca, e amaro nel ventre? Hai dato non so quanto oro e argento; ed è venuto il momento in cui, per non perdere niente, forse commetti qualche peccato, forse arrechi ingiuria alla Chiesa, oppure sei costretto a bestemmiare; e, posto nell’alternativa angosciosa di perdere o il denaro o la giustizia, ti viene detto: perdi piuttosto il denaro, ma non perdere la giustizia. Ma tu, che ignori la dolcezza della giustizia e sei ancora debole in quelle membra che la Chiesa ritiene siano nel ventre, rattristato, preferisci perdere qualcosa della giustizia, piuttosto che una sola moneta del denaro, e sei colpito da un danno più grave, riempi la tua borsa, ma annienti il tuo cuore. Probabilmente dunque di costoro ha detto: si è attaccato alla terra il nostro ventre.

L'aiuto della grazia divina.

26. [v 26.] Svegliati, o Signore, aiutaci. E veramente, cari fratelli, si è svegliato e ci ha aiutato. Infatti quando si è svegliato, cioè quando è risorto e dalle genti è stato riconosciuto, mentre cessavano le persecuzioni, anche quelli che erano stretti alla terra si sono sollevati dalla terra, si sono pentiti, e sono tornati al Corpo di Cristo, sebbene deboli, sebbene imperfetti, perché quel corpo si completasse in essi: i tuoi occhi mi hanno visto imperfetto, e nel tuo libro tutti sono scritti (Ps 138,16). Svegliati, Signore, aiutaci, e riscattaci per il tuo nome. Cioè riscattaci gratuitamente: per il tuo nome, non per i miei meriti; perché tu ti sei degnato di fare, non perché io sia degno che tu operi per me. Infatti anche se noi non ci siamo dimenticati di te, e non si è voltato indietro il nostro cuore, e non abbiamo steso le nostre mani verso il Dio straniero, se tu non ci avessi aiutati come avremmo potuto? Di che cosa saremmo capaci se tu non parlassi entro di noi, e tu non ci esortassi, e, tu non ci abbandonassi? Riscattaci dunque sia quando soffriamo nelle tribolazioni sia quando ci rallegriamo nella prosperità; non per i nostri meriti, ma per il tuo nome.


Agostino Salmi 42