Agostino Salmi 293

293 L’esercizio delle molteplici virtù, ora necessarie, farà posto in cielo alla beatificante contemplazione della verità.

11. [v 8.] Ma perché nella valle del pianto? E qual è la valle del pianto dalla quale perverremo a quel luogo di delizie? Dice: Infatti chi ha dato la legge darà la benedizione. Con la legge ci ha tribolati, schiacciati: ci ha fatto sperimentare il torchio e noi abbiamo assaporato l'angustia, abbiamo conosciuto lo stritolamento della nostra carne e siamo usciti in gemiti, vedendo l'insorgere del peccato contro la nostra mente. Abbiamo gridato: Oh, misero uomo che sono io! (
Rm 7,24) Oppressi dalla legge, abbiamo gemuto. Che cosa resta se non che colui che ci ha dato la legge ci dia la benedizione? Dopo la legge verrà la grazia ed essa è la benedizione. E tale grazia, o benedizione, che vantaggi ci apporterà? Cammineranno dalle virtù alla virtù. Infatti molteplici sono le virtù che qui in terra ci vengono apportate dalla grazia. A uno, dice, viene concesso, tramite lo Spirito, il linguaggio della sapienza; a un altro, secondo il medesimo Spirito, il linguaggio della scienza; a un terzo la fede, e poi a un altro il dono delle guarigioni, a un altro quello di molte lingue, ad altri quello di spiegare i discorsi o quello di profetizzare (1Co 12,8-10). Molteplici dunque le virtù, ma in questa vita necessarie. Da tali virtù ci avanziamo verso l'unica virtù. Quale è questa virtù? Il Cristo, virtù di Dio e sapienza di Dio (Cf. 1Co 1,24). È lui che ci dispensa quaggiù in terra le diverse virtù e che, in sostituzione delle tante virtù, necessarie ed utili fino a quando siamo in questa valle di lacrime, alla fine ci darà un'unica virtù, vale, a dire se stesso. Infatti, che quattro siano le virtù su cui si regge la nostra vita, lo troviamo descritto in molti trattatisti, e lo attesta anche la sacra Scrittura. Di esse quella che ci fa discernere il bene dal male è chiamata prudenza. Giustizia vien detta quella in forza della quale rendiamo a ciascuno il suo, senza aver debiti con nessuno ma amando tutti (Cf. Rm 13,8). È chiamata temperanza la virtù con cui teniamo a freno gli appetiti; fortezza quella con cui sosteniamo le avversità. Queste sono le virtù che per grazia di Dio ci vengono distribuite adesso, nella valle delle lacrime. Da queste virtù avanziamo verso l'unica virtù che non consisterà in altro se non nella contemplazione di Dio. Lassù non sarà necessaria la prudenza, dove non ci potranno incogliere mali che occorra schivare. Inoltre, cosa penseremo, o fratelli? Non ci sarà più nemmeno la giustizia che occorre praticare quaggiù, poiché nessuno avrà quei bisogni per cui altri lo debbano soccorrere. Non vi sarà la temperanza, poiché non ci saranno più appetiti disordinati da tenere a bada. Non vi sarà la fortezza, poiché non ci saranno mali da sopportare. Quindi, da queste molteplici virtù e attività, passeremo a quella sola virtù che sarà la contemplazione di Dio visto svelatamente. Come sta scritto: Di buon mattino mi porrò dinanzi a te e contemplerò (Ps 5,5). E sta a sentire come veramente dalle presenti virtù attive passeremo a questa contemplazione. Seguita il testo: Andranno dalle virtù alla virtù. Qual è questa virtù? La contemplazione. Gli chiedi: Ma cos'è questa contemplazione? Il Dio degli dei apparirà in Sion. Dio degli dei è Cristo rispetto ai cristiani. In che senso farà posto in cielo alla beatificante contemplazione della verità. Cristo, rispetto ai cristiani, è Dio degli dei? Ecco! Io ho detto: Voi siete dèi e figli dell'Altissimo voi tutti (Ps 81,6). Diede infatti ad essi il potere di diventare figli di Dio (Cf. Jn 1,12) colui nel quale abbiamo creduto, lo sposo leggiadro che, per rimediare alla nostra deformità, volle apparire lui stesso deforme. L'abbiamo visto, dice, e non aveva bellezza né attrattiva (Is 53,2). Ma quando ogni condizionamento della nostra mortalità sarà stato eliminato, allora egli si svelerà ai puri di cuore tale quale è: Dio presso Dio, Verbo del Padre per mezzo del quale tutto è stato creato. Beati infatti i mondi di cuore poiché vedranno Dio (Mt 5,8). Il Dio degli dei apparirà in Sion.

12. [v 9.] A questo punto il salmista dal pensiero di tanta felicità ritorna ai suoi gemiti. Vede dove fosse arrivato con la speranza e dove, invece, ora si trovi realmente. A suo tempo, è vero, Dio apparirà in Sion, e di questo godremo e della lode di lui ci occuperemo senza fine, ma, attualmente, è ancora tempo di preghiera, tempo di suppliche; e, se c'è una qualche gioia, essa viene solo dalla speranza. Siamo pellegrini; siamo nella valle del pianto. E allora, tornando al gemito che si confà a questo luogo, esclama: Signore, Dio degli eserciti, esaudisci la mia invocazione! Porgi l'orecchio, o Dio di Giacobbe, tu che cambiasti Giacobbe in Israele. Dio, infatti, gli si fece vedere, ed egli fu chiamato Israele, vale a dire “ l'uomo che ha veduto Dio ”. Ascoltami dunque, o Dio di Giacobbe, e fa' di me un Israele. Ma quando diverrò un Israele? Quando apparirà in Sion il Dio degli dei (Cf. Gn 32,28).

13. [v 10.]O Dio, nostro protettore, volgiti a noi. All'ombra delle tue ali essi spereranno (Cf. Ps 35,8). Per questo si dice: O Dio, nostro protettore, volgiti a noi. E volgi lo sguardo al volto del tuo Cristo. Ma che forse vi è tempo in cui Dio non guarda al volto del suo Cristo? Che vuol dire, dunque: Guarda al volto del tuo Cristo? Attraverso i lineamenti del volto ci si riconosce. E allora, Guarda al volto del tuo Cristo, non significa altro se non: “ Rivela a tutti il tuo Cristo ”. Volgi lo sguardo al volto del tuo Cristo, ecco quel che vuol dire: “ Fa' che sia conosciuto da tutti il tuo Cristo ”, di modo che ci sia dato passare dalle virtù alla virtù, e la grazia abbia ad essere effusa oltre misura, dal momento che grande è stato il peccato (Rm 5,20).

I giorni della vita presente e l’Oggi eterno.

14. [v 11.] Un giorno solo nei tuoi atri è più prezioso che non mille. Si riferisce a quegli atri ai quali sopra indirizzava il sospiro e per brama dei quali sentiva struggersi. L'anima mia anela e si strugge verso gli atri del Signore. Un giorno lì dentro val più che non migliaia di giorni. Gli uomini si augurano di vivere giorni a migliaia e vogliono vivere a lungo quaggiù. Oh! disprezzino queste migliaia di giorni e volgano una buona volta il loro desiderio a quell'unico giorno che non ha né alba né tramonto: giorno unico, giorno eterno, prima del quale non c'è stato un ieri e dopo del quale non incalza un domani. Quest'unico giorno ha da essere l'oggetto dei nostri desideri. Cosa faremo noi delle migliaia di giorni? Noi procediamo dai mille giorni all'unico giorno, allo stesso modo come procediamo dalle molte virtù all'unica virtù.

Sorte magnifica abitare nella casa del Signore.

15. Ho scelto d'essere tenuto in nessun conto nella casa del Signore piuttosto che soggiornare nelle tende dei peccatori. Il salmista ha individuato la valle del pianto e ha scoperto l'umiltà, mediante la quale può iniziare l'ascesa. Egli sa che se vorrà innalzarsi cadrà, mentre se si abbasserà sarà sollevato in alto: e allora sceglie di stare in basso per essere innalzato. Quanti ce ne sono che vogliono tenersi in alto al di fuori di quel padiglione che è anche il torchio del Signore, voglio dire al di fuori della Chiesa cattolica, e, attaccati ai loro privilegi, non vogliono conoscere la verità! Se nel loro cuore trovasse posto il verso: Ho scelto di essere tenuto in nessun conto nella casa del Signore piuttosto che soggiornare nelle tende dei peccatori, non butterebbero forse via i loro privilegi ed accorrerebbero nella valle del pianto? E qui troverebbero le ascensioni spirituali e avanzerebbero dalle virtù alla virtù e riporrebbero la loro speranza nel Cristo e non in non so quale uomo! Voce saggia, voce gioconda, voce preferibile a qualunque altra, quella che suona: Ho scelto d'essere tenuto in nessun conto nella casa del Signore, piuttosto che soggiornare nelle tende dei peccatori. Egli preferisce essere collocato tra i rifiuti della casa del Signore, ma colui che aveva mandato gli inviti per il banchetto chiama in alto colui che si è scelto il posto più basso e gli dice: Vieni avanti! (Lc 14,10) Personalmente, però, egli non ambisce altro se non stare dentro la casa del Signore, in qualunque posto: purché non debba rimanere fuori della porta.

Perdono della colpa e corona di gloria.

16. [v 12.] Perché mai ha scelto d'essere tenuto in nessun conto nella casa del Signore piuttosto che abitare sotto le tende dei peccatori? Poiché Dio ama la misericordia e la verità. Il Signore ama la misericordia, in quanto mi è venuto inizialmente in aiuto, e ama la verità, in quanto dà ciò che ha promesso al credente. Ascolta come siano intervenute misericordia e verità nel caso dell'apostolo Paolo, un tempo Saulo persecutore. Aveva certo bisogno di misericordia, ed eccolo confessare come gliene sia stata usata: Antecedentemente io ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma mi fu fatta misericordia. Gesù Cristo volle in me far mostra di tutta la sua longanimità, a pro di coloro che crederanno in lui per la vita eterna (1Tm 1,13 1Tm 1,16). Avendo un Paolo conseguito il perdono di tanti misfatti, nessuno avrebbe dovuto disperare che non gli venissero condonati i propri peccati. Ecco la misericordia. Dio non volle allora porre in opera la sua verità, per punire il colpevole. La punizione del reo non sarebbe stata, in tal caso, una verità? O che, forse, avrebbe potuto dirgli: “ Io non merito di essere punito ”, mentre certo non gli poteva dire: “ Io non ho peccato ”? Che se avesse osato fare una tale affermazione, chi era colui al quale la faceva? Forse uno capace d'essere ingannato? Quindi, verso Paolo, Dio prima usò misericordia; dopo la misericordia, la verità. Sentilo come esige la verità. Aveva detto: In un primo tempo io ottenni misericordia, io che fino allora ero stato blasfemo, persecutore e violento. Ma per grazia di Dio sono quello che sono (1Co 15,10). Più tardi, ormai alla vigilia del martirio, dice: Ho sostenuto una buona battaglia, ho portato a termine la corsa, sono rimasto fedele. Ormai è pronta per me la corona della giustizia. Colui che gli aveva accordata la misericordia gli tiene in serbo la verità. In che modo? Tale corona me la renderà in quel giorno il Signore, giusto giudice (2Tm 4,7-8). Gli aveva accordato gratuitamente il perdono; ma, quanto alla corona, il Signore gliela renderà. Del perdono è datore benevolo; della corona è debitore. Ma perché “ debitore ”? Forse che Dio aveva preso in prestito qualcosa da lui? Con quale uomo Dio sarà mai in debito? Eppure, vediamo che Paolo lo ritiene suo debitore, quando, ottenuta la misericordia, ne esige la verità. Dice: Il Signore, giudice giusto, in quel giorno me la renderà. Ma, che ti verrà a rendere, se non una cosa che ti è dovuta? E di che cosa può Dio essere in debito con te? Che gli hai prestato? C'è stato forse qualcuno che per primo gli ha dato qualcosa, sì che abbia ad essere ripagato da lui? (Cf. Rm 11,35) È stato lui, il Signore, che s'è voluto rendere nostro debitore, non ricevendo qualcosa da noi, ma facendoci delle promesse. Non gli si va, quindi, a dire: “ Restituiscimi ciò che m'hai preso ”, ma: “ Rendimi quel che mi hai promesso ”. Dio mi ha accordato misericordia, diceva, ridonandomi l'innocenza. E se io prima ero stato un bestemmiatore e uno spietato, dopo per dono della sua grazia divenni innocente. Orbene, colui che prima gli ha elargito la misericordia, forse che potrà in seguito negargli una cosa dovuta? Egli ama la misericordia e la verità. Egli concederà la grazia e la gloria. Quale grazia se non quella di cui diceva Paolo: Per grazia di Dio sono ciò che sono? Quale gloria, se non quella di cui lo stesso apostolo affermava: Mi è tenuta in serbo la corona della giustizia?

I beni divini riservati agli amici del Signore.

294 17. [v 13.] Pertanto, così prosegue il salmo: Il Signore non priverà dei beni coloro che vivono nell'innocenza. Perché mai, o uomini, vi allontanate dall'innocenza, se non perché vi piace conseguire altri beni? Uno è disposto a perdere l'innocenza per non restituire ciò che era stato depositato presso di lui. Vuol possedere l'oro e perde l'innocenza. Cosa guadagna? e a che prezzo lo guadagna? Guadagna un po' di denaro; compromette la sua innocenza. E che cosa c'è di più prezioso dell'innocenza? Ma, ribatte l'amico, se vorrò conservarmi irreprensibile, mi toccherà restare per sempre in miseria! Ebbene, ti par proprio che sia un tesoro trascurabile codesta tua onestà? Se, quando hai la cassetta piena d'oro, ti senti ricco, quando hai il cuore ricolmo di virtù, forse che sarai povero? Comunque, se aspiri ai [veri] beni, conservati irreprensibile adesso, in mezzo alle scarsezze, alle tribolazioni, nella valle del pianto, nell'oppressione e nelle prove. Verrà poi anche il benessere che desideri. Verranno in seguito il riposo, l'eternità, l'immortalità, l'incorruttibilità. Ché questi sono i beni da Dio tenuti in serbo per i giusti suoi amici. Quanto agli altri beni, che ora avidamente desideri, beni per i quali consentiresti, forse, a peccare e a compromettere la tua innocenza, guarda un istante chi li possegga e chi ne disponga in gran copia. Le ricchezze le ritrovi presso i ladri, presso gli empi, presso la gente dedita al delitto e ad attività ignominiose, presso gli infami e gli assassini: là trovi le ricchezze. Dio dispensa loro tali beni perché anch'essi partecipano al consorzio umano, mosso dall'infinita larghezza della sua bontà. È lui infatti che fa brillare il suo sole sui buoni e sui cattivi e invia la sua pioggia ai giusti e agli ingiusti (Cf. Mt 5,45). Anche ai cattivi, dunque, Dio dispensa doni magnifici; e non vorrà tener nulla in serbo per te? E sarà fallace tutto quello che ti ha promesso? Te lo tiene da parte, sta' sicuro! Colui che ha avuto misericordia di te allorché eri nell'empietà, potrà abbandonarti ora che sei suo servo devoto? Lui che per il peccatore ha sacrificato gratuitamente il suo proprio Figlio, cosa non terrà in serbo per colui che la morte del suo Figlio ha condotto a salvezza? Sta' dunque tranquillo! Considera pure Dio qual tuo debitore, dal momento che credi in lui, autore delle promesse. Il Signore non priverà dei beni coloro che vivono nell'innocenza. E allora, che cosa ci resta da fare quaggiù, mentre viviamo nel torchio, nell'afflizione, nelle asperità e nei pericoli della vita presente? Cosa ci resta per poter arrivare lassù? O Signore, Dio degli eserciti, beato l'uomo che ripone in te la sua speranza!

SUL SALMO 84

84 Ps 84

ESPOSIZIONE

DISCORSO AL POPOLO

Dio nostro medico e nostra luce.

1. Ci siamo raccomandati a Dio, nostro Signore, affinché volesse mandarci la sua misericordia e donarci l'autore della nostra salute. Quando i salmi venivano pronunziati o scritti, tali invocazioni avevano valore profetico; per quanto riguarda invece il nostro tempo, il Signore ha già mostrato alle genti la sua misericordia e dato ad esse la salute. Egli l'ha mostrata, ma ci sono molti che non vogliono essere sanati onde vedere ciò che Dio ha mostrato. Il Signore però sana ad essi gli occhi del cuore perché abbiano a vederlo. Per questo il salmista, dopo aver implorato: Mostraci la tua misericordia, quasi figurandosi una numerosa schiera di ciechi che gli dicesse: “ Ma come la vedremo, questa misericordia, allorché apparirà? ”, aggiunge: E donaci la tua salute. Dandoci la salute, guarisce in noi le facoltà con cui possiamo vedere quello che egli ci mostra. Egli non cura come un medico umano, il quale, curati gli occhi, prende una lucerna e la pone dinanzi a quegli occhi, ma una cosa è la luce che il medico fa vedere e un'altra il medico stesso che cura gli occhi davanti ai quali viene collocata la luce; evidentemente la luce differisce dal medico. Non fa certamente così il Signore nostro Dio. Egli infatti è il medico che con le sue cure ci ridona la vista ed egli medesimo è la luce che ci è dato di vedere. Ad ogni modo, scorriamo celermente - dato che il tempo è limitato - ma con grande attenzione il salmo tutto intero, nella misura consentita alle nostre capacità e secondo quanto il Signore vorrà concederci.

Cristo verità e vita.

2. [v 1.] La sua intestazione è: Per la fine, per i figli di Core, salmo. Per “ fine ” non abbiamo da intendere altri se non colui che indica l'Apostolo: Fine della legge è Cristo, a giustificazione di ogni credente (Rm 10,4). Quindi già fin dal principio, avendo posto nel titolo Per la fine, indirizza il nostro cuore a Cristo. Se guardiamo fissi a lui, non andremo vagando senza meta, poiché egli è la verità verso la quale ci affrettiamo e la via nella quale corriamo (Cf. Jn 14,6). Cosa vuol dire: Ai figli di Core? “ Core ”, rendendo in latino la parola ebraica, si traduce con “ calvo ”. Quindi, per i figli di Core è uguale a “ per i figli del calvo ”. E chi è questo “ calvo ”? Non ci mettiamo a schernirlo; piuttosto piangiamo dinanzi a lui (Cf. Ps 94,6). Ci furono una volta di quelli che lo schernirono e furono malmenati dai demoni. Mi riferisco al libro dei Re, a quei ragazzacci che presero a beffarsi del profeta Eliseo (che era appunto calvo) e gli sghignazzavano dietro: “ Testa pelata, testa pelata! ”, finché non sbucarono fuori dal bosco certi orsi che li sbranarono (Cf. Re 2R 2,23 2R 24). Avevano riso a sproposito; e dovettero essere pianti dai loro genitori. L'episodio, attraverso la profezia, indicava che sarebbe venuto il nostro Signore Gesù Cristo, il quale dai giudei beffardi sarebbe stato schernito come un calvo; nel senso che l'avrebbero crocifisso in un luogo chiamato Calvario. Quanto a noi però, se crediamo in lui, siamo suoi figli, ed è per noi che si canta questo salmo, intitolato appunto: Per i figli di Core. Noi siamo i figli dello sposo (Cf. Mt 9,15). Egli è lo sposo, che in pegno dà alla sua sposa il proprio sangue e lo Spirito Santo, del quale ha effuso in noi le ricchezze già al presente durante il nostro peregrinare terreno, mentre ci tiene in serbo ancora le sue ricchezze occulte. Ma se tale e tanto è il pegno che ci ha anticipato, che cosa sarà mai quello che ci tiene in serbo?

La prospettiva profetica.

3. [v 2.] Comunque, notiamo subito che il profeta canta a Dio in vista del futuro, pur servendosi di voci verbali del passato. Espone come avvenute cose che dovranno accadere, poiché dinanzi a Dio anche ciò che deve avvenire è già avvenuto. In realtà il profeta vedeva in Dio gli eventi, i quali, se rispetto a noi erano ancora futuri, quanto alla provvidenza divina e alla sua predestinazione infallibile erano già accaduti. Non diversamente si dice nell'altro salmo dove tutti riconoscono la voce del Cristo (infatti lo si legge come se si leggesse il Vangelo): Mi hanno traforato le mani e i piedi, hanno contato tutte le mie ossa. Mi hanno posto davanti ai loro sguardi e mi hanno fissato. Si sono divisi le mie vesti, e la mia tunica l'hanno tirata a sorte (Ps 21,17-19). Chi, al sentirsi leggere questo salmo, non vi riconosce il Vangelo? Eppure le parole del salmo non suonano “ Mi traforeranno le mani e i piedi ”, ma Mi hanno traforato le mani e i piedi. Non “ Conteranno le mie ossa ”, ma Hanno contato le mie ossa. E ugualmente non “ Si spartiranno le mie vesti ”, ma Si sono spartiti le mie vesti. Eventi che vedeva futuri venivano descritti dal profeta come se fossero già passati. E così anche il nostro salmo dice: Hai benedetto, o Signore, la tua terra, come se l'avesse già benedetta.

Asservimento e liberazione del popolo di Dio.

4. Hai tenuto lontana da Giacobbe la schiavitù. Giacobbe è l'antico popolo di Dio, il quale era chiamato anche popolo d'Israele. Esso, traendo origine dalla stirpe di Abramo, in conformità con la promessa, un tempo sarebbe divenuto l'erede di Dio. A questo popolo fu dato il Vecchio Testamento, nel quale il Nuovo veniva prefigurato. Il primo era l'immagine, l'altro la manifestazione della realtà. Orbene, in quella figura [che era il Vecchio Testamento] al popolo d'Israele fu data, come presagio di eventi futuri, una terra promessa, in una certa plaga della terra ove il popolo giudaico si stabilì: là c'era anche la città di Gerusalemme, della quale tutti conosciamo il nome. Entrato in possesso di questo territorio, quel popolo ebbe da sopportare molte molestie da parte delle popolazioni confinanti, che gli erano ovunque ostili. Quando commetteva dei peccati contro il suo Dio, era ridotto in schiavitù: non perché fosse sterminato ma perché si ravvedesse. Misure quindi adottate da un Padre non a condanna definitiva, ma come castighi salutari. Così, dopo essere stata alquanto sotto l'occupazione degli stranieri, quella gente veniva liberata. Difatti parecchie volte venne condotta in cattività e successivamente liberata. Al presente poi essa è in stato di servitù, e questo per la gravissima colpa d'aver crocifisso il suo Signore. Applicate dunque a costoro, che senso avranno le parole: Hai tenuta lontana da Giacobbe la schiavitù? Ovvero, che non si abbia da intendere nell'espressione del salmo un'altra schiavitù, dalla quale noi tutti vogliamo essere liberati? Difatti tutti apparteniamo alla famiglia di Giacobbe, se tutti facciamo parte della discendenza di Abramo. Così infatti si esprime l'Apostolo: Da Isacco trarrà il nome la tua posterità; e voleva dire: Non quei che sono figli secondo la carne sono figli di Dio, ma come discendenza sono ritenuti [soltanto] i figli della promessa (Rm 9,7 Rm 8). Se come discendenza sono ritenuti i figli della promessa, i giudei, avendo offeso Dio, hanno degenerato. Noi al contrario, avendo ottenuto il favore di Dio, siamo divenuti della stirpe di Abramo: non per legami di sangue ma per comunione di fede. Avendone infatti imitato la fede, ne siamo divenuti figli; mentre gli altri, divenuti degeneri dalla fede, meritarono di venire privati dell'eredità. Per rendervi conto poi di come i giudei abbiano perduto il privilegio di discendenti di Abramo, pensate all'episodio evangelico quando essi se ne vantavano arrogantemente alla presenza del Signore Gesù Cristo. Gloriandosi del sangue e non della [somiglianza di] vita, dissero al Signore: Noi abbiamo Abramo per padre. Ma Gesù rispose loro, come a dei figli degeneri: Se siete davvero figli di Abramo, compite le opere di Abramo (Jn 8,39). Pertanto, se essi cessarono di essere figli di Abramo perché non ne praticavano le opere, noi ne siamo figli perché ne compiamo le opere. Quali? Abramo prestò fede a Dio e gli fu ascritto a giustizia (Cf. Gn 15,6 Ga 3,6). Sicché tutti facciamo parte della famiglia di Giacobbe, quanti imitiamo la fede di Abramo, il quale ebbe fede in Dio e gli fu ascritto a giustizia. E allora, qual è la schiavitù da cui vogliamo essere liberati? Suppongo infatti che, oggi come oggi, nessuno di noi si ritenga d'essere preda dei barbari, o che popolazioni in armi abbiano invaso le nostre terre e ci abbiano portati in prigionia. Ma vi voglio mostrare subito una certa forma di servitù, nella quale gemiamo e dalla quale vogliamo essere liberati. Ci faccia strada l'apostolo Paolo e ce la descriva. Sia la sua persona specchio a ciascuno di noi. Egli parli, e noi riconosciamoci in ciò che egli dice, poiché veramente non c'è nessuno che non vi si debba raffigurare. Ecco dunque le parole dell'Apostolo: Per quanto riguarda l'uomo interiore, io mi compiaccio nella legge di Dio (cioè nella parte mia interiore la legge di Dio mi dà gioia), ma nelle mie membra io riscontro un'altra legge, che si ribella contro la legge della mia mente. Hai udito la legge, hai udito la battaglia: della prigionia ancora non ha parlato, ma ascolta ancora. Dice: Una legge che si ribella contro la legge della mia mente; e aggiunge: [Questa legge] mi rende schiavo della legge di peccato che è nelle mie membra. Ecco la schiavitù. Chi di noi non vorrà essere liberato? Ma donde verrà la liberazione? Poiché è proprio questo che il salmo attesta doversi verificare: Hai allontanato da Giacobbe la schiavitù. A chi lo dice? A Cristo, come si ricava dal titolo: Per la fine e per i figli di Core. È infatti lui che allontana la servitù da Giacobbe. Senti ancora Paolo, come apre il suo cuore. Confessa di sentirsi trascinato in servitù dalla legge posta nelle sue membra, legge avversa alla legge della sua mente. Rese ormai prigioniero esclama: O uomo infelice che altro non sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Chiede chi possa liberarlo, e subito se ne rammenta: La grazia di Dio, ad opera del nostro Signore Gesù Cristo (Rm 7,22-25). È a proposito di questa grazia di Dio che il profeta dice, rivolto al nostro Signore Gesù Cristo: Hai allontanato la schiavitù da Giacobbe. Ponete mente a questa schiavitù di Giacobbe. Badate che “ allontanare da noi la schiavitù ” non consiste nell'averci liberati da barbari (che attualmente non ci invadono) ma nell'averci liberati dalle opere cattive, dai nostri peccati, per i quali eravamo incorsi nel dominio di satana. Poiché, quando uno viene liberato dai peccati, satana, il capo dei peccatori, non ha più modo di dominare su di lui.

In che senso Dio non vede i peccati.

5. [vv 3.4.] Ma in che modo allontanerà la schiavitù da Giacobbe? Osservate come questa liberazione è d'indole spirituale, come essa si operi nell'interno. Dice: Hai condonato l'iniquità della tua gente, hai coperto tutti i loro peccati. Ecco in che modo ha tenuta lontana la schiavitù: rimettendo le iniquità. L'iniquità ti teneva prigioniero; rimessa l'iniquità, sei divenuto libero. Riconosci dunque di essere nella schiavitù, per così meritare d'essere liberato. Poiché, se uno non individua il suo nemico, come farà ad invocare il liberatore? Hai coperto tutti i loro peccati. Che vuol dire: Hai coperto? Non hai voluto vederli. E cos'è questo “ non volerli vedere ”? Non te ne sei vendicato. Non hai voluto vedere i nostri peccati, e proprio per questo non li hai visti, perché non li hai voluti vedere. Hai coperto tutti i loro peccati. Placasti il grande tuo sdegno. Ci sottraesti al furore della tua ira.

295 6. [v 5.] E siccome queste cose vengon dette in riferimento al futuro (per quanto i verbi si trovino nei tempi del passato), seguita dicendo: Convertici, o Signore, autore della nostra salute. Ciò che or ora esprimeva come già avvenuto, adesso l'implora perché avvenga. Come può parlare così se non perché i verbi sono, è vero, di tempo passato, ma hanno valore di profezia? Che poi quanto asseriva come avvenuto in realtà non sia ancora avvenuto, lo indica chiaramente il fatto che egli prega affinché accada. O Signore, autore della nostra salute, convertici, e distogli da noi la tua indignazione. Ma non diceva più avanti: Hai allontanato da Giacobbe la schiavitù; hai coperto tutti i loro peccati; hai placato il grande tuo sdegno; non hai proceduto secondo il furore della tua ira? Come fa adesso a dire: Distogli da noi la tua indignazione? Ti risponde il profeta: Tali cose io le enunzio come già avvenute, poiché le vedo realizzarsi in futuro. Ma siccome di fatto non sono ancora avvenute, supplico affinché si verifichino le cose che ho viste. Distogli da noi la tua indignazione.

In Adamo nasciamo tutti figli dell’ira.

7. [v 6.]Non restare per sempre adirato con noi. È dovuto all'ira divina se siamo mortali, come pure è per l'ira di Dio che in questa terra mangiamo il pane con scarsità e col sudore della nostra fronte. Tale la sentenza che risuonò agli orecchi di Adamo quando ebbe peccato (Cf.
Gn 3,19). E quell'Adamo eravamo noi tutti, poiché è in Adamo che tutti si muore. E la sentenza che sentì Adamo ha raggiunto anche noi. Non che noi già esistessimo personalmente, ma eravamo in Adamo. Pertanto quel che capitò ad Adamo persona ha raggiunto anche noi, per cui dobbiamo morire: infatti noi tutti eravamo in lui. Le colpe dei genitori non ricadono sui figli se i genitori le commettono dopo che i figli sono nati, poiché, una volta nati, i figli sono esseri indipendenti, come lo sono i genitori. Quindi, se, dopo nati, i figli continuano a vivere con la condotta perversa dei loro genitori, allora debbono necessariamente portarne anche le responsabilità. Ma se, al contrario, essi cambiano vita e non imitano i loro cattivi genitori, allora sono responsabili solo del loro agire personale, e non delle opere compiute dai genitori. Se tu cambi vita, non può nuocerti la colpa di tuo padre; e ciò a tal segno che essa non può nuocere nemmeno al tuo stesso padre qualora egli si cambi. In realtà però tutto ciò che la nostra radice ha sorbito di mortalità, l'ha tratto da Adamo. E cosa ne ha tratto? La fragilità della carne, il tormento del dolore, la miseria che ci ricopre, la morte che ci tiene avvinti, le tentazioni con le loro insidie. Tutte queste miserie portiamo nella nostra carne mortale, e tutte ci provengono dall'ira di Dio, essendo punizioni divine. Ma un giorno noi avremmo dovuto rinascere e attraverso la fede saremmo divenuti uomini nuovi; e poi nella resurrezione la nostra mortalità sarebbe stata completamente eliminata e il rinnovamento totale dell'uomo sarebbe stato portato a compimento: poiché, come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo saranno tutti ricondotti a vita (Cf. 1Co 15,22). In vista di tutto questo, il profeta esclama: Non restare per sempre adirato con noi! Non protrarre il tuo sdegno da generazione a generazione! Se la prima generazione, quella alla vita mortale, ci venne dalla tua ira, la seconda generazione, quella all'immortalità, sarà dono della tua misericordia.

La conversione è dono di Dio.

8. [v 7.] Che dire, dunque? È dipeso forse da te, o uomo, se una volta convertito a Dio ti sei meritato la sua misericordia, mentre al contrario coloro che non si sono convertiti non hanno conseguito la misericordia ma si sono imbattuti nell'ira di Dio? Ma tu di quali risorse disponevi per convertirti, se non fossi stato chiamato? Non è stato forse colui che ti ha chiamato, quando gli eri nemico, a concederti la grazia del ravvedimento? Non ascrivere dunque a te stesso il merito della tua conversione: perché, se non fosse intervenuto Iddio a chiamarti quando fuggivi da lui, tu non avresti potuto volgerti indietro. Per questo il profeta, riferendo a Dio il beneficio della conversione, prega e dice: O Dio, tu volgendoti a noi ci darai la vita. Non che noi, da noi stessi, di nostra iniziativa, senza l'intervento della tua misericordia, ci convertiamo a te e poi vieni tu a darci la vita, ma sei tu che volgendoti a noi ci dài la vita. Per cui non solo il nostro passare da morte a vita proviene da te, ma anche la nostra conversione ad essere vivificati. O Dio, tu volgendoti a noi ci darai la vita, e il tuo popolo si allieterà in te. Sarà suo danno se vorrà trovare la gioia in se stesso; suo vantaggio se si allieterà in te. Quando infatti si ripromise di trovare in sé la propria felicità, trovò in sé solo di che piangere, poiché tutta la nostra gioia è Dio, e pertanto uno che voglia godere stabilmente deve godere in colui che non può mai venir meno. Che senso ha infatti, fratelli miei, voler riporre la felicità nel denaro? Esso sparisce o, quanto meno, scompari tu, e nessuno sa a chi di voi due tocchi per primo. Ma per quanto sia incerto a chi tocchi per primo, è però certo che tutti e due, tu e il denaro, siete destinati a finire. Difatti né l'uomo può restare illimitatamente su questo mondo, né tanto meno il denaro. Così l'oro, le vesti, le case, i capitali, i latifondi e, poniamola per ultima, anche questa stessa luce. Che non ti venga dunque la voglia di riporre la tua felicità in cose di questo genere. Godi piuttosto di quella luce che non conosce tramonto, di quella luce che non è stata preceduta dal giorno di ieri né sarà seguita da quello di domani. E cosa è questa luce? La luce del mondo, dice, sono io (Jn 8,12). Colui che ti dice: Io sono la luce del mondo ti chiama a sé. Quando ti chiama, ti converte; quando ti converte, ti guarisce. E una volta guarito, ti sarà dato scorgere colui che t'ha fatto volgere al bene. Colui al quale viene detto: Il tuo popolo si allieterà in te.

Salvezza iniziale e salvezza perfetta.

9. [v 8.]Mostraci la tua misericordia, o Signore. È quello che abbiamo cantato e a cui accennavamo più sopra. Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salute. Quella tua salute che è il tuo Cristo. Beato l'uomo al quale Dio fa mostra di sua misericordia! Egli sarà uno che non si può insuperbire, dopo che Dio gli ha mostrato la sua misericordia. Mostrandogli infatti la sua misericordia, lo convince che, qualunque bene egli possegga, non gli proviene da altri se non da colui che costituisce tutto il nostro bene. E quando l'uomo constata che, qualunque bene abbia, non se l'è dato da sé, ma gli proviene dal suo Dio, s'accorge pure che tutto quello che ha meritevole di lode gli proviene dalla misericordia di Dio e non dai suoi meriti personali. E vedendo in sé delle cose buone, non se ne insuperbisce. Non insuperbendosi, non s'innalza. Non ponendosi in alto, non rotola a terra, e naturalmente, se non cade, resta in piedi. Stando in piedi, aderisce a Dio e resta saldo in lui, gode e si allieta nel Signore suo Dio. Sarà il suo Creatore che verrà a formare la sua delizia; e tale delizia nessuno riuscirà a turbarla, nessuno a ostacolarla, nessuno a strappargliela dal cuore. Quale potente potrà mai rapirti un tal bene? Qual perfido vicino, quale furfante, quale aggressore potrà mai toglierti Dio? Potrà rapirti tutto quello che possiedi di materiale, senza dubbio, ma colui che possiedi col cuore nessuno mai te lo toglierà. Egli è la tua misericordia. Volesse il cielo che ci venga mostrata! Mostraci, o Signore, la tua misericordia, e donaci la tua salute. Donaci il tuo Cristo; poiché in lui è la tua misericordia. Diciamogli dunque anche noi: Donaci il tuo Cristo! È vero che già ce l'ha dato, il suo Cristo; tuttavia diciamogli ancora: Donaci il tuo Cristo! Gli diciamo infatti: Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6,11). Chi è il nostro pane quotidiano, se non colui che disse: Io sono il pane vivo che discesi dal cielo (Jn 6,41)? Diciamogli: Donaci il tuo Cristo! Dio infatti ce l'ha donato, ma come uomo, mentre, dopo esserci stato donato come uomo, ha da esserci donato come Dio. Essendo noi uomini, Dio ce lo diede come uomo: tale cioè che, essendo donato a degli uomini, potesse essere accolto dagli uomini. Se infatti l'avesse inviato come Dio, nessuno fra gli uomini sarebbe stato in grado di accoglierlo. E allora, per adattarsi agli uomini, si fece uomo; riservandosi di comparire come Dio agli dèi. Ma che esagerazioni sto mai dicendo? Certo che la mia espressione sarebbe presuntuosa, se non l'avesse dichiarato lui stesso: Io attesto: Voi siete degli dei; figli dell'Altissimo voi tutti (Ps 81,6 Jn 10,34). Mediante l'adozione si opera in noi un rinnovamento per cui diventiamo figli di Dio. E ora già lo siamo, ma per fede; siamo infatti ancora nella speranza, non nel reale possesso. Noi abbiamo conseguito la salvezza, ma nella speranza (come si esprime l'Apostolo); e la speranza, se la si vede, non è più speranza. Come fa infatti uno a sperare ciò che vede? Che se invece speriamo in ciò che non vediamo, lo attendiamo con pazienza (Rm 8,24 Rm 25). E cos'è mai quel che aspettiamo con pazienza, se non vedere svelato ciò che conosciamo per fede? Al presente infatti prestiamo fede a cose che non vediamo; aderendo saldamente a ciò che crediamo senza vedere meriteremo di contemplare quello in cui crediamo. A questo proposito cosa dice Giovanni nella sua epistola? Carissimi, noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo in appresso non si è ancora palesato. Come non esulterebbe di gioia un esule, ignaro del suo casato, oppresso da varie strettezze, gravato da fatiche ed affanni, se inopinatamente gli si andasse a dire: “ Sai? Tu sei figlio di un senatore; tuo padre possiede uno sterminato patrimonio, per te e per i tuoi! Io vengo a ricondurti da tuo padre ”. Come non sobbalzerebbe di gioia?, sempre supposto che a fargli tali assicurazioni non sia un imbroglione. Viene a noi un apostolo di Cristo, quindi un uomo veridico, e ci dice: “ Cos'è mai codesto vostro disperarvi? Perché affliggervi tanto e lasciarvi sconvolgere dall'angoscia? Perché seguire le vostre malnate passioni e lasciarvi schiacciare dai vostri miserabili piaceri? Avete un padre, avete una patria, avete un patrimonio! ” Chi è questo padre? O carissimi, noi siamo figli di Dio! Ma, allora, perché non ci è dato vedere subito il nostro padre? Perché non si è ancora palesato quel che saremo. Figli di Dio già lo siamo, ma nella speranza, poiché quel che saremo [definitivamente] non ci si è ancora palesato. E cosa saremo? Dice: Noi sappiamo che, quando si paleserà, noi saremo simili a lui, poiché lo vedremo quale egli è (1Jn 3,2). Questo lo dice a proposito del Padre; e non lo avrà detto anche a proposito del Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo? O forse che saremo beati vedendo il Padre ma non il Figlio? Ascolta Cristo in persona: Chi ha veduto me, ha veduto anche il Padre (Jn 14,9). Quando infatti si fissa lo sguardo in Dio, essendo un Dio unico, si vede la Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ascolta un'asserzione più recisa, secondo la quale è la visione del Figlio che ci renderà beati, non essendoci alcuna differenza tra la visione di lui e quella del Padre. È Gesù che nel Vangelo afferma: Chi mi ama tiene a cuore i miei precetti; e io lo riamerò e mi manifesterò a lui (Jn 14,21). Parlava a della gente che gli stava dinanzi, eppure diceva: Mi manifesterò a lui. Come mai? Non si trattava di colui che stava parlando? Certo; ma l'occhio carnale vedeva in lui solo la carne, mentre il cuore non vedeva la divinità. Tuttavia, vedendo l'occhio l'umanità di Cristo, il cuore per mezzo della fede ne veniva purificato e reso capace di vedere Dio. Fu detto infatti del Signore che con la fede egli purifica i cuori degli uomini (Ac 15,9). E lo stesso nostro Signore affermava: Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio (Mt 5,8). In conclusione egli ha promesso di mostrarsi a noi. E voi, o fratelli, pensate quale debba essere la sua bellezza. Le cose belle che voi vedete ed amate, le ha tutte create lui. Se dunque queste cose sono belle, quale non sarà la bellezza di lui? Se esse sono grandi, quanto non dovrà essere grande lui? Quindi dalle cose che amiamo quaggiù prendiamo lo spunto per desiderare sempre più ardentemente lui e, non curandoci del resto, amiamo lui solo. Così per via d'amore e mediante la fede rendiamo puro il nostro cuore, in modo che lo sguardo di Dio abbia a trovarlo senza macchia. La luce che ci si farà brillare dinanzi allo sguardo deve trovarci ben sani. Questo è ciò che ora compie in noi la fede e questo abbiamo chiesto al Signore. Donaci la tua salute. Donaci il tuo Cristo. Facci conoscere il tuo Cristo. Faccelo vedere. Non come lo videro i giudei che lo crocifissero, ma come lo vedono gli angeli che ne sono ricolmi di gaudio.

La nostra pace è solo in Dio.

10. [v 9.]Voglio udire ciò che dentro di me proferisce il mio Dio. Così si esprime il profeta. Dio gli parlava nell'intimo, mentre il mondo dal di fuori gli faceva udire il suo strepito. Ritraendosi pertanto dal frastuono del mondo, egli si riconcentrava in se stesso, e da se stesso si volgeva a colui che gli parlava dentro. Egli si turava, per così dire, l'orecchio contro il fracasso e l'agitazione della vita presente, diventando sordo alle voci dell'anima appesantita dal corpo corruttibile e a quelle del senso che, appiattito dalla dimora terrena, si perde in molte fantasticherie (Sg 9,15). Diceva: Voglio udire ciò che dentro mi proferisce il mio Dio. E gli fu dato di ascoltarlo: ma che cosa? Egli dirà parole di pace nei confronti del suo popolo. La voce di Cristo dunque, come la voce di Dio, è pace ed invita alla pace. Dice: “ Suvvia! Voi tutti che ancora non godete della pace, amate la pace! Cosa infatti potete attendervi da me, che sia più prezioso della pace? ” Cos'è la pace? L'assenza di guerra. E che vuol dire “ assenza di guerra ”? Uno stato in cui non c'è contrasto, né resistenza, né opposizione. E allora vedete se noi ci troviamo in tale pace. Vedete se, dove ci troviamo noi, non ci sia da lottare contro il demonio. Vedete se i santi e le anime buone non abbiano tutte da sostenere la lotta col principe dei demoni. Ma se non lo vedono, come possono lottare con lui? Lottano contro le proprie passioni sregolate, attraverso le quali il demonio insinua il peccato; e sebbene non ne, risultino vinti, poiché non consentono alle sue suggestioni, tuttavia hanno da lottare. Non c'è dunque in essi la pace, se ancora sono nel combattimento. Ancora: supponete un uomo che non incontri tentazioni nella sua carne, tanto che si possa dire di lui che già si trova nella pace. Ammettiamo che non abbia a sperimentare tentazioni da parte di voglie illecite; certamente però egli ne subisce le suggestioni. Si sentirà incline a cose che disapprova o proverà del gusto per le cose da cui si astiene. Ma, anche escludendo ogni gusto per quello che è illecito, avrà però, quanto meno, da lottare ogni giorno contro gli stimoli della fame e della sete. Quale santo infatti non esperimenta tali necessità? Combattono dunque contro di noi la fame e la sete, e la stanchezza del corpo, e la voglia gradita di dormire, e la stanchezza. Vorremmo stare svegli e ci viene sonno. Vorremmo digiunare ed ecco la fame e la sete. Ci piacerebbe stare in piedi e ci sentiamo stanchi. Ci mettiamo a sedere e, se va per le lunghe, alla fine non ne possiamo più. Ci facciamo delle provviste allo scopo di sostentarci, e anche in esse riscontriamo che sono destinate a svanire. Eccoti uno che viene a dirti: Hai fame? Gli rispondi: sì, ho fame. Ti mette allora dinanzi il cibo che ti aveva preparato per rifocillarti. Pròvati a mangiare senza fine! Volevi ristorare le tue forze; seguita allora! A lungo andare, quanto ti era servito a ristoro alla fine ti causerà nausea e stanchezza. Eri stanco per il troppo stare seduto. Ti alzi, ti metti a camminare, e te ne viene un sollievo. Pròvati a continuare un bel pezzo in ciò che ti ha procurato sollievo. Passeggiando molto tempo, alla fine ti stanchi e senti voglia di metterti daccapo a sedere. Trovami dunque qualcosa che era destinato al tuo ristoro e che, se ti ci dilunghi, non abbia a causarti stanchezza. Che pace potrà dunque essere quella che hanno gli uomini quaggiù sulla terra, combattuti da tante molestie, cupidigie, miserie e fragilità? Non è vera pace; non è pace perfetta. Quale sarà la pace perfetta? Bisogna che questo nostro corpo corruttibile si rivesta d'incorruttibilità e questo nostro corpo mortale si rivesta di immortalità. Allora si avvererà il detto scritturale: La morte è stata inghiottita nella vittoria. O morte, dov'è il tuo pungiglione? O morte, dov'è la tua forza di resistenza? (1Co 15,53-55) Difatti, finché dura la mortalità, come può aversi pace completa? È dalla morte che ci viene la stanchezza, che riscontriamo in tutto ciò che è destinato a sostenerci: dalla morte, poiché portiamo con noi un corpo mortale, che anzi l'Apostolo osa chiamare già morto anche prima della separazione dell'anima. Dice: A motivo del peccato il corpo è morto (Rm 8,10). Usa pure di tutto quello che può donarti vigore: morrai lo stesso. Insisti nel mangiare: l'ingordigia ti ucciderà. Prolunga i tuoi digiuni: morrai sfinito. Sta' seduto, tanto da non alzarti mai; finirai col morirne. Mettiti a passeggiare e non sederti mai: finirai col morirne. Veglia senza interruzione di sonno: ne morrai. Dormi senza interruzione: la morte ti verrà dal troppo dormire. Ma quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria, tali miserie non ci saranno più e la pace sarà assoluta ed eterna. Vivremo in quella città! Miei fratelli, quando mi metto a parlare di essa, non la finirei mai, specie quando vedo moltiplicarsi gli scandali. Chi non vorrà desiderare quella città, da cui gli amici mai si allontanano e nella quale non entrano nemici? Dove non c'è alcun tentatore, nessun rivoluzionario, nessuno che semini discordie fra il popolo di Dio, nessuno che tormenti la Chiesa perché asservito al diavolo. Difatti lo stesso capo dei perversi sarà cacciato nel fuoco eterno, e con lui tutti coloro che gli hanno dato retta e non si sono voluti staccare da lui. Ci sarà allora tra i figli di Dio una pace perfetta. Essi si ameranno scambievolmente tutti, riscontrandosi tutti ripieni di Dio, il quale sarà tutto in tutti (Cf. 1Co 15,28). Avremo una comune visione: Dio. Avremo un comune possedimento: Dio. Avremo una pace comune: Dio. Qualunque cosa ci conceda egli adesso, lassù, in luogo delle svariate cose che ora ci dona, avremo lui stesso. Sarà lui la nostra pace piena e perfetta: pace di cui egli parla al suo popolo e che voleva sentirsi risuonare all'orecchio colui che diceva: Voglio udire ciò che pronunzierà dentro di me il Signore Dio. Egli parlerà di pace nei riguardi del suo popolo e dei suoi santi e di coloro che volgono a lui il loro cuore. Su dunque, o fratelli! Volete che sia per voi questa pace di cui parla il Signore? Rivolgete a lui il vostro cuore: non a me, non a questa o a quell'altra persona. Qualunque uomo pretenda che sia rivolto a lui il cuore dei propri simili, cadrà in terra insieme con loro. E cos'è meglio: cadere a terra assieme alla persona alla quale ti rivolgi, ovvero startene in piedi, in compagnia di colui insieme al quale ti sei rivolto a Dio? Il nostro gaudio, la nostra pace, il nostro riposo, la cessazione di ogni nostra miseria altri non è se non Dio. Beati coloro che a lui dirigono il cuore!

I privilegi, del popolo giudaico.

11. [v 10.] Certamente la sua salute è accanto a coloro che lo temono. Già nel popolo giudaico c'erano di quelli che lo temevano. Difatti, mentre in tutta la terra si veneravano ovunque gli idoli e si prestava il culto al demonio e non a Dio, in quella nazione al contrario si onorava il vero Dio. Ma qual era il fine per cui lo si onorava? Finché durò l'economia del Vecchio Testamento [gli ebrei] onoravano Dio perché non li facesse cader prigionieri di altri popoli, non li privasse della loro terra, non mandasse la grandine ad ammaccare i loro vigneti, o non punisse con la sterilità le loro mogli e non strappasse loro i propri figli. Queste promesse materiali, avute da Dio, condizionavano le loro anime ancora meschine, e in vista di esse lo onoravano. Comunque Dio era in mezzo a loro, poiché essi, sebbene spinti da tali motivi, lo onoravano. Il pagano chiedeva la terra al diavolo; il giudeo la chiedeva a Dio. Chiedevano la stessa cosa, ma non alla stessa persona. Per cui, sebbene chiedessero le stesse cose, il giudeo e il pagano, tuttavia il giudeo si differenziava dall'altro, perché si rivolgeva a colui che aveva creato l'universo. In tal modo Dio era vicino al giudeo, mentre si teneva lontano dai gentili. Se non che alla fine volse il suo sguardo tanto a coloro che gli erano lontani come a coloro che gli erano vicini, per usare l'espressione dell'Apostolo: Venendo, annunziò la pace a voi che eravate lontani e a coloro che erano vicini (Ep 2,17). Chi sarebbero coloro che definisce come vicini? I giudei: e ciò per il fatto che venerano l'unico Dio. E chi, coloro che erano lontani? Ipagani: per la ragione che avevano dimenticato colui che li aveva creati e veneravano oggetti fabbricati da loro. Non è infatti per fattori territoriali che si è lontani da Dio, ma per l'affetto del cuore. Ami Dio? allora gli sei vicino. Sei in odio con Dio? allora gli stai lontano. Pur trovandoti sempre nello stesso luogo, puoi stargli vicino e puoi stargli lontano. Orbene, fratelli, il profeta aveva in mente tutto questo. Scorgeva una misericordia divina generale che si estendeva a tutti; ma siccome riscontrava alcunché di speciale e di esclusivo nei confronti del popolo giudaico, poteva esclamare: Certamente. Io voglio udire ciò che pronunzierà dentro di me il Signore Dio, poiché parlerà di pace nei confronti del suo popolo. Questo suo popolo non sarà la sola Giudea, ma sarà radunato di mezzo a tutte le genti. Poiché, [egli parlerà di pace] e nei riguardi dei suoi santi e di quanti volgono a lui il loro cuore, e verso tutti coloro che, da qualunque parte del mondo, si volgeranno a lui nell'intimo del cuore. Certamente la sua salute è accanto a coloro che lo temono, per cui la gloria dimorerà nella nostra terra. Nella terra cioè in cui il profeta aveva sortito i natali ci sarebbe stata una gloria più grande. E difatti fu da lì che cominciò la predicazione cristiana. Da lì partirono gli Apostoli e a quella gente furono diretti prima che alle altre. Da lì i profeti; lì il tempio dell'era antica; lì i sacrifici al vero Dio. Lì vissero i patriarchi; lì, dalla stirpe di Abramo, venne al mondo il Cristo. Lì si manifestò e apparve. Da tal popolo traeva origine la vergine Maria che mise al mondo il Cristo. Furono quelle le contrade che egli percorse a piedi e nelle quali operò i suoi prodigi. E, finalmente, tale e tanta dignità conferì a quel popolo che, apostrofandolo un giorno una donna cananea in cerca della guarigione della figlia, si sentì rispondere: Non sono stato inviato se non alle pecore smarrite della casa d'Israele (Mt 15,24). In vista di tali privilegi il profeta diceva: Certamente la sua salute è accanto a coloro che lo temono, per cui la gloria dimorerà nella nostra terra.

296 La pace è frutto di giustizia.

12. [v 11.]Misericordia e verità si sono corse incontro. La verità [è] nella nostra terra! Ciò dice impersonandosi con i giudei. La misericordia invece [è] nella terra dei gentili. Dove infatti poteva essere la verità? Là dove c'era la parola di Dio. E la misericordia dove avrebbe dovuto risiedere? Tra coloro che, abbandonando il vero Dio, si erano volti al demonio. Difatti nemmeno costoro sono stati dimenticati da Dio; anzi, rivolto a loro, dice presso a poco così: “ Va' a chiamare anche codesti fuggiaschi, tanto lontani da me. Chiamali! Che essi mi trovino in atto di ricercarli, mentre loro non mi cercavano più”. Pertanto la misericordia e la verità si sono corse incontro; la giustizia e la pace si scambiarono baci. Pratica la giustizia e avrai la pace; e in tal modo giustizia e pace si scambieranno baci. Che se al contrario non amerai la giustizia, non potrai conseguire la pace: poiché queste due, giustizia e pace, si amano tra loro e si danno dei baci; per cui solo chi pratica la giustizia consegue la pace che bacia la giustizia. Sono due amiche! Tu ne vorresti forse una, ma non pratichi l'altra. Difatti non c'è nessuno che rifugga dal volere la pace, mentre al contrario non tutti sono disposti a praticare la giustizia. Chiedi agli uomini se vogliano o no la pace. Tutta l'umanità, senza eccezioni, ti risponderà a una voce che se l'augura, che vi aspira, che la vuole e l'ama. Ma allora ama anche la giustizia! Poiché giustizia e pace sono amiche fra loro e si scambiano baci. Se non sentirai amore per la sua amica, la pace non ti amerà né potrà venire a te. E infatti che c'è di eccezionale nell'amare la pace? Chiunque, per quanto si voglia perverso, aspira alla pace, essendo la pace una cosa sovranamente buona. Esegui però le opere di giustizia: tenendo presente che giustizia e pace si baciano, non sono in discordia. Perché vuoi tu porti in contrasto con la giustizia? Eccoti, ad esempio, la giustizia che ti dice di non rubare, ma tu non le dài retta; di non commettere adulterio, e fai il sordo; di non fare agli altri ciò che a te non piacerebbe subire; di non dire, nei riguardi del prossimo, le cose che non vorresti fossero dette sul tuo conto. Ti dice la pace: “ Tu sei un nemico della mia amica. Come osi venire in cerca di me? Io sono amica della giustizia, né fo lega con chi trovo nemico della mia amica”. Vuoi dunque conseguire la pace? Pratica la giustizia! Come t'esorta anche un altro salmo: Tienti lontano dal male e opera il bene, che è la stessa cosa di amare la giustizia. Una volta che sarai riuscito a tenerti lontano dal male e a praticare il bene, va pure alla ricerca della pace e mettiti sulle orme di lei (
Ps 33,15). Non durerai gran fatica a ricercarla: lei stessa ti muoverà incontro, al fine di scambiare il suo bacio con la giustizia.

Cristo vittima dei nostri peccati.

13. [v 12.]La verità è spuntata fuori dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo. La verità spuntata dalla terra è Cristo, nato da donna. Dalla terra è spuntata fuori la verità: il Figlio di Dio ha tratto origine dalla carne. Cos'è infatti la verità? Il Figlio di Dio. E la terra cos'è? La carne. Provati a domandare come sia nato il Cristo, e riscontrerai che dalla terra è spuntata fuori la verità. Tuttavia questa verità, che nasce dalla terra, esisteva già prima della terra; anzi, fu per opera di lei che vennero all'esistenza il cielo e la terra. Ma perché la giustizia ci guardasse dal cielo, vale a dire, perché gli uomini avessero a conseguire la giustificazione mediante la grazia divina, la verità accettò di nascere dalla Vergine Maria, e in tal modo poté offrire il sacrificio con il quale fu giustificato l'uomo: il sacrificio della passione, il sacrificio della croce. Come avrebbe potuto, infatti, offrire il sacrificio per i nostri peccati, se non avesse potuto morire? Ma come sarebbe potuto morire, se non avesse preso da noi ciò che gliene avrebbe dato la possibilità? Voglio dire: se Cristo non avesse assunto da noi una carne mortale, non sarebbe potuto morire: dal momento che il Verbo di Dio è immortale, com'è immortale la divinità, immortale la potenza e la sapienza di Dio. Ma allora, se il Cristo non fosse morto, come avrebbe potuto offrire a Dio il sacrificio della nostra salvezza? E come sarebbe potuto morire, se non si fosse rivestito di carne umana? Ma come rivestirsi di carne senza che la verità traesse origine dalla terra? La verità è spuntata fuori dalla terra; la giustizia si è affacciata dal cielo.

Confessione e giustificazione.

14. A questo punto io vorrei proporvi un'altra interpretazione. La verità è spuntata fuori dalla terra significa che dall'uomo è venuta fuori la confessione. Ecco: tu eri un uomo gravato di peccati. O terra, tu avevi peccato e t'eri sentita rivolgere le parole: Tu sei terra, e alla terra ritornerai (Gn 3,19). Oh! spunti allora dal tuo cuore la verità, e la giustizia ti guarderà dal cielo. Ma in che modo da te, peccatore ed iniquo, potrà germogliare la verità? Confessa i tuoi peccati, e la verità spunterà fuori da te. Se infatti, essendo peccatore, ti ritieni per giusto, come farà la verità a spuntare fuori da te? Se invece nella tua iniquità ti confessi iniquo, allora dalla terra spunta fuori la verità. Volgi un istante lo sguardo a quel pubblicano che prega là nel tempio a distanza dal fariseo. Egli non osa levare al cielo gli occhi, si batte il petto dicendo: Signore, sii benigno con me che sono un peccatore. Ecco la verità che spunta fuori dalla terra: la confessione dei peccati che viene effettuata da un uomo. E quale ne è la conseguenza? Ve lo dico in verità; il pubblicano se ne ripartì giustificato; non altrettanto il fariseo. Poiché chiunque si innalza verrà abbassato e chi si umilia verrà posto in alto (Lc 18,13-14). È spuntata fuori dalla terra la verità nella confessione dei peccati; dal cielo si è affacciata la giustizia, a far ripartire giustificato il pubblicano e non altrettanto il fariseo. Difatti che la verità abbia attinenza con la confessione dei peccati è noto a voi tutti. Lo dice l'evangelista Giovanni: Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e in noi non c'è verità. Come viceversa possa succedere che la verità spunti fuori dalla terra e dal cielo le si affacci incontro la giustizia, sentilo ancora dal medesimo evangelista che prosegue: Se confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto, e ci condona le nostre colpe e ci rende puri da ogni peccato (1Jn 1,8 1Jn 9). Ecco pertanto come la verità è spuntata fuori dalla terra e come la giustizia si è affacciata dal cielo. Vuoi sapere qual è la giustizia che si è affacciata dal cielo? Quella di Dio. Il quale dice all'incirca così: “ Siamo larghi di perdono con quest'uomo, che da se stesso non si è risparmiato. Usiamogli misericordia, poiché si riconosce peccatore. Egli si è rivolto contro se stesso e si è messo ad espiare il proprio peccato; io mi rivolgerò a lui per liberarlo ”. Dalla terra è spuntata fuori la verità; la giustizia si è affacciata dal cielo.

La soavità della giustizia.

15. [v. 13.]Il Signore infatti ci farà dono di sua dolcezza, e la nostra terra darà il suo frutto. Rimane un versetto soltanto: vi chiedo di non annoiarvi per quanto starò per dirvi. Ponete anzi molta attenzione, o miei fratelli, a una cosa assai importante. State attenti, imprimetevela nella mente e portatevela con voi, e che il seme divino non abbia a restare infecondo nel vostro cuore. Aveva detto: La verità è spuntata fuori dalla terra (cioè dall'uomo è scaturita la confessione dei peccati) e dal cielo si è affacciata la giustizia. Cioè: a colui che riconosceva la propria colpa Dio ha fatto dono della giustificazione. L'empio ha da riconoscere che egli, da sé solo, non può diventare santo, ma può rendercelo solamente colui dinanzi al quale ha confessato i propri peccati. E questo avviene mediante la fede in colui che giustifica l'empio (Cf. Rm 4,5). Di tuo quindi puoi avere i peccati, ma frutti di opere buone non puoi averne, se non te li dà colui al quale ti confessi. È per questo che, dopo aver detto: La verità è spuntata fuori dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo, quasi immaginandosi l'obiezione: “ Ma cosa intendevi dire con La giustizia si è affacciata dal cielo? ”, soggiunse: In verità, il Signore ci farà dono di sua dolcezza, e la nostra terra darà il suo frutto. Facciamo dunque un esame di noi stessi e, se non troveremo in noi altro che peccato, concepiamo odio per il peccato e vivo desiderio per la giustizia. Dal momento che ci metteremo ad odiare il peccato, già questa avversione al peccato comincia a renderci simili a Dio: odiamo infatti le stesse cose che Dio odia. Se pertanto avrai iniziato a odiare il peccato e a confessarlo a Dio, quando brame di piaceri illeciti verranno a trascinarti con violenza ad atti nocivi, mettiti a gemere dinanzi a Dio. Confessando a lui i tuoi peccati, meriterai di ottenere da lui altre dolcezze: ti darà il gusto di compiere la giustizia; e così comincerà a procurarti gioia la giustizia, mentre prima era la malizia che ti dilettava. Godrai della sobrietà, mentre prima godevi dell'ubriachezza. Tu che prima godevi a rubare, sottraendo al tuo simile quel che mancava a te, sentirai l'inclinazione a donare ciò che possiedi a chi ne è sprovvisto. Prima godevi nel predare, ora ti piace donare; prima godevi degli spettacoli, ora godi della preghiera; prima godevi di canzoni fatue e oscene, ora dei cantici in onore di Dio, e corri alla chiesa, mentre prima correvi al teatro. Da qual radice è potuta mai nascere una simile attrattiva, se non dal fatto che il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto? Riflettete un istante a quel che vi dico. Vi abbiamo annunziato la parola di Dio; abbiamo sparso della semente in cuori ben disposti, trovando il petto di ciascuno di voi come solcato dall'aratro della confessione. Voi avete ricevuto la semente con devozione ed attenzione. Vogliate ripensare alla parola che avete udita, quasi per sminuzzare le zolle, di modo che non vengano gli uccelli a portarsi via il seme destinato a germogliare. Ma se non interverrà Dio a mandare la pioggia, che cosa varrà l'aver seminato? Ecco cosa significa: Il Signore darà la sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto. Oh, sì, venga il Signore a visitare il vostro cuore: nelle ore di svago e fra le occupazioni, in casa, nel letto, durante la refezione e la conversazione o il passeggio, in ogni luogo ove a noi non è dato di venire. Venga la pioggia divina, e il seme che è stato sparso produca i suoi frutti! Là, dove noi non arriviamo e mentre noi ce ne stiamo riposando tranquilli o badiamo ad altre occupazioni, venga Iddio a far crescere le sementi che abbiamo sparse; di modo che, riscontrando in seguito i vostri costumi divenuti migliori, possiamo anche rallegrarci del frutto. Poiché, il Signore darà la sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto.

Preparare la via al Signore mediante la confessione.

16. [v 14.]Davanti a lui procederà la giustizia, ed egli porrà nella via i suoi passi. La giustizia di cui qui si parla è quella che consiste nella confessione dei peccati e che è lo stesso di verità. Tu infatti devi essere giusto verso di te, al punto di saperti anche punire. Il primo atto di giustizia dell'uomo è questo: saperti punire quando ti riscontri cattivo, di modo che Dio possa renderti buono. E siccome una tale giustizia è la prima che l'uomo ottenga, essa si fa via al Signore affinché egli possa venire a te. Apri dunque una via al Signore mediante la confessione dei peccati. Proprio come si comportava Giovanni, il quale, allorché amministrava il battesimo d'acqua in segno di penitenza, volendo che andassero da lui quanti si pentivano delle loro colpe passate, diceva: Preparate la via al Signore; rendete dritti i sentieri dinanzi a lui (Mt 3,3). O uomo, provavi gusto nei tuoi peccati? Ti dispiaccia quel che sei stato, e così potrai diventare quel che non eri. Preparate la via al Signore! Preceda questa giustizia che è il confessare i tuoi peccati. Appresso verrà Dio e ti farà visita, ponendo nella via i suoi passi. Troverà infatti dove poggiare i piedi per venire da te; mentre prima, quando ancora non confessavi il tuo peccato, la via era sbarrata, e Dio non aveva modo di venire da te. Fa' dunque a Dio confessione di tua vita: così apri la via; e Cristo verrà a te, e porrà nella via i suoi passi per modellarti sulle sue impronte.


Agostino Salmi 293