Agostino Salmi 86

SUL SALMO 86

86 Ps 86

ESPOSIZIONE

DISCORSO

Desiderio della patria.

1. Il salmo che ora è stato cantato è breve quanto al numero delle parole, ma importante per il contenuto. Lo abbiamo letto tutto intero, e avete visto in quanto poco tempo siamo giunti alla fine. Dobbiamo ora spiegarlo alla vostra Carità (e lo faremo nella misura che il Signore si degnerà concederci), dato che ci suggerisce di farlo il Padre nostro beatissimo che è qui presente. L’improvvisa richiesta mi metterebbe in difficoltà, se, nello stesso tempo, non mi aiutasse la preghiera di colui che tale suggerimento avanza. Faccia, dunque, attenzione la vostra Carità. In questo salmo si canta e si ricorda una città della quale noi siamo cittadini, in quanto siamo cristiani, sebbene, finché siamo mortali, ne siamo esiliati. Da tempo eravamo incamminati verso di lei, ma non riuscivamo a trovare la sua via (perché era sbarrata quasi del tutto da cespugli e roveti) finché il re di quella stessa città non si fece via per permettere a noi di giungervi. Ebbene, camminando in Cristo ma ancora da pellegrini, finché non giungiamo lassù, noi sospiriamo per il desiderio della ineffabile quiete che regna in tale città. A proposito di tale quiete ci sono state promesse cose che occhio non vide né orecchio udì, né entrarono mai nel cuore dell’uomo (1Co 2,9). Camminiamo, dunque, e cantiamo per animarci nel desiderio. Chi desidera, infatti, anche se tace con la lingua, canta con il cuore; chi invece non desidera, anche se ferisce con le sue grida le orecchie degli uomini, è muto dinanzi a Dio. Guardate quanto erano infuocati d’amore per questa città coloro che pronunziarono per primi le parole di questo salmo e che le hanno inculcate anche a noi. Guardate con quanto trasporto hanno cantato questi versi. Era l’amore per quella città che suscitava in loro tale trasporto; e questo amore era infuso in loro dallo Spirito di Dio. Dice l’Apostolo: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). Ebbene, ardenti di questo Spirito, ascoltiamo ciò che si dice a proposito di quella città.

Le fondamenta e la pietra angolare della Chiesa.

2. [vv 1.2.] Sui monti santi le sue fondamenta. Il salmo non ha ancora detto niente di quella città, e comincia dicendo: Sui monti santi le sue fondamenta. Le fondamenta di che cosa? Non c’è dubbio che sono le fondamenta di una qualche città, soprattutto se sono nei monti. Questo cittadino era ricolmo di Spirito Santo e nel suo intimo doveva avere meditato a fondo sull’amore e il desiderio di questa città; e ora, come se avesse su di essa riflettuto molte volte, prorompe in queste parole: Sui monti santi le sue fondamenta. Sembrerebbe che già abbia detto di essa altre cose; e difatti, come si fa a pensare che non abbia detto nulla di lei colui che mai ha cessato di parlarne col cuore? E potrebbe dire le sue, se di lei non avesse detto niente? Ma, ripeto, egli tra sé e sé in silenzio, rivolgendosi cioè a Dio, aveva concepito grandi affetti riguardo a quella città. Ora grida anche alle orecchie degli uomini: Sui monti santi le sue fondamenta. E come se gli uomini in ascolto gli avessero chiesto: “ Le fondamenta di che cosa? ”, aggiunge: Il Signore ama le porte di Sion. Ecco di chi sono le fondamenta poste sui monti santi. Sono di questa città, chiamata Sion, le cui porte sono amate dal Signore, come dice subito dopo, più che tutte le abitazioni di Giacobbe. Ma che significano le parole: Sui monti santi le sue fondamenta? Quali sono i monti santi sopra i quali è edificata questa città? Ce lo dice più apertamente un altro cittadino, l’apostolo Paolo. Era cittadino di quella città il Profeta e lo era anche l’Apostolo; e ambedue parlavano per esortare gli altri cittadini. Ma in che modo costoro, cioè i Profeti e gli Apostoli, sono cittadini? Forse, in modo da essere insieme anche monti, sopra i quali si elevano le fondamenta di questa città, le cui porte sono amate dal Signore. Ce lo dica, dunque, chiaramente quest’altro cittadino, perché non sembri trattarsi di una nostra supposizione. Parlando ai gentili e ricordando loro come siano stati restituiti a Cristo e, per così dire, inseriti nella santa costruzione, dice: Edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti (Ep 2,20). E, affinché gli Apostoli e i Profeti, sui quali poggia il fondamento della città non si fermassero su se stessi, immediatamente aggiunge: Mentre pietra posta al vertice dell’angolo è lo stesso Gesù Cristo, Per evitare, poi, che i gentili ritenessero di non appartenere a Sion - dato che c’era una Sion terrena, che nell’allegoria prefigurava questa Sion di cui ora si parla, la Gerusalemme celeste che, secondo l’Apostolo, è la madre di tutti noi (Ga 4,26) - per evitare, ripeto che i gentili credessero di non appartenere a Sion perché non facevano parte del popolo dei Giudei, il medesimo Apostolo diceva loro: Voi non siete più esuli né forestieri; ma siete concittadini dei santi, familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti. Eccoti, dunque, la mole di questa grande città. Ma, da che cosa è sostenuto, dove poggia, tutto questo edificio per non cadere mai? Pietra posta al vertice dell’angolo - dice l’Apostolo - è lo stesso Gesù Cristo (Ep 2,19 Ep 20).

Cristo fondamento delle fondamenta.

3. Qualcuno forse dirà: Se Gesù Cristo è la pietra angolare, certamente in lui si uniscono le due pareti, dato che soltanto due pareti che provengono da lati diversi formano, unendosi, un angolo. E così dovrà essere dei due popoli che vengono alla pace cristiana dalla circoncisione e dal prepuzio, e sono cementati nell’unica fede, speranza e carità. Ebbene, se Gesù Cristo è l’angolo al vertice, sembrerebbero, quasi, essere più importanti le fondamenta che non la pietra angolare. E qualche altro potrebbe anche dire che è piuttosto Cristo a poggiare sui Profeti e su gli Apostoli che non questi a poggiare su di lui; dato che essi sono le fondamenta mentre Cristo è l’angolo. Chi dice questo si ricordi che l’angolo sta anche nelle fondamenta. Non si trova, infatti, soltanto là dove è visibile e donde si eleva fino alla sommità. Esso comincia dalle fondamenta. E proprio perché comprendiate che Cristo è anche il primo e più importante fondamento, dice l’Apostolo: Nessuno può porre altro fondamento all’infuori di quello che è stato posto, e che è Cristo Gesù (1Co 3,11). Ebbene, in qual modo i Profeti e gli Apostoli sono le fondamenta, e in qual modo lo è Cristo Gesù, del quale, anzi, non c’è fondamento più profondo? Come ci faremo un’idea di tutto questo, se non pensando a Cristo - in senso figurato - come al fondamento delle fondamenta, così come effettivamente lo si denomina “ Santo dei santi ”? Se pensi al mistero, Cristo è il Santo dei santi; se pensi al gregge a lui soggetto, Cristo è il pastore dei pastori; se pensi all’edificio, Cristo è il fondamento delle fondamenta. In questi edifici terreni la stessa pietra non può stare nelle fondamenta e nella sommità. Se è in basso, non sarà in alto; se è in alto, non sarà in basso. Quasi tutti i corpi sono soggetti a queste limitazioni e non possono essere in tutte le parti né possono esservi sempre. Invece la divinità, che ovviamente è presente in ogni parte, può essere paragonata ad ogni cosa; nella similitudine può essere qualsiasi cosa, perché nella realtà non è nessuna di esse. È forse Cristo porta così come sono porte quelle che vediamo fabbricate dal falegname? Certamente no; e tuttavia ha detto: Io sono la porta (Jn 10, 9, 11). È, forse, pastore così come lo sono questi pastori che vediamo guidare i greggi? Eppure ha detto: Io sono il pastore. In uno stesso passo, anzi, ha detto ambedue le cose. Nel Vangelo diceva che il pastore entra attraverso la porta; e subito dopo soggiungeva: Io sono il buon pastore, ma poi ancora: Io sono la porta. Il pastore entra per la porta; e chi è questo pastore che entra per la porta? Io sono il buon pastore. E quale è questa porta per la quale tu entri, o buon pastore? Io sono la porta. Ma, come puoi tu essere tutt’e due le cose insieme? Allo stesso modo come tutte le cose furono fatte per mezzo di me. Ad esempio: quando Paolo entra per la porta, non è forse Cristo che entra per la porta? Ma in che modo? Non perché Paolo sia Cristo, ma perché in Paolo c’è Cristo, e Paolo entra per mezzo di Cristo. Lo diceva lui stesso: Volete forse avere la prova di colui che parla in me, cioè in Cristo? (2Co 13,3) E non è, forse, Cristo che entra per la porta quando entrano per la porta i suoi santi e i suoi fedeli? E come possiamo provarlo? Quando Saulo - che ancora non era divenuto Paolo - perseguitava i suoi santi, cosa gli gridò dal cielo Gesù? Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (Ac 9,4) Cristo, dunque, è il fondamento e la pietra angolare che dal profondo sale in alto: seppure è dal profondo che sale. L’origine di questo fondamento sta, infatti, nella sommità: poiché, come il fondamento di un edificio materiale è nel profondo, così il fondamento dell’edificio spirituale è nella sommità. Se fossimo edificati per rimanere terra, certamente avremmo dovuto porre in basso le nostre fondamenta. Ma, siccome il nostro edificio è celeste, il nostro fondamento ci ha preceduti nei cieli. Ebbene, questa pietra angolare e i monti (che sono gli Apostoli e i grandi Profeti) reggono la costruzione di questa città e costituiscono un edificio vivente. Grida ora dai vostri cuori questo edificio? È la magistrale mano di Dio che compie tutto questo per mezzo della nostra lingua, affinché siate squadrati e immessi nella struttura di quell’edificio. Non fu senza ragione che Noè si servì di legni squadrati per costruire l’arca (Cf. Gn 6,14), che senza alcun dubbio prefigurava la Chiesa. Che vuol dire essere squadrati? Guardate alla forma d’una pietra squadrata: il cristiano deve essere simile ad essa! Di fronte a qualsiasi tentazione il cristiano non cade. Anche se è spinto e, quasi, capovolto, egli non cade. Una pietra di forma quadrata, infatti, da qualunque parte tu la giri, sta dritta. I martiri quando venivano uccisi sembravano cadere; ma che cosa dice la voce del salmo? Non si turberà il giusto quando cadrà perché il Signore sorregge la sua mano (Ps 36,24). Siate, dunque, squadrati in questo modo, cioè pronti a qualsiasi tentazione. Qualunque cosa vi colpisca, non abbia a rovesciarvi! Ogni avversità ti trovi ben saldo! Quanto, poi, al crescere in questo edificio, lo si fa con affetto devoto, con sincera religione, con la fede, la speranza e la carità. Lo stesso venire crescendo dell’edificio è un camminare. Nelle città terrene, una cosa è la mole degli edifici, e un’altra cosa sono i cittadini che vi abitano. La città celeste, invece, viene edificata mediante i suoi stessi cittadini: i cittadini ne sono le pietre. Essi, infatti, sono pietre viventi. Dice l’apostolo Pietro: Voi, come pietre viventi, siate edificati in una dimora spirituale (1P 2,5). Queste parole sono rivolte a noi. Ma seguitiamo ad ascoltare qualcosa su questa città.

Il mistero del numero dodici.

4. Sui monti santi le sue fondamenta; il Signore ama le porte di Sion. Ho già parlato di questo verso, affinché non crediate che altre siano le fondamenta e altre le porte. Ma. perché sono fondamenta gli Apostoli e i Profeti? Perché la loro autorità sorregge la nostra debolezza. E perché sono porte? Perché attraverso loro noi entriamo nel regno di Dio: sono essi che ce lo annunciano. E, quando noi entriamo attraverso loro, entriamo attraverso Cristo, dato che egli è la porta (Jn 10,9). E, se si dice che Gerusalemme ha dodici porte (Cf. Ap 21,12), l’unica porta è Cristo, e le dodici porte sono Cristo, perché Cristo è nelle dodici porte. Per questo motivo gli Apostoli sono dodici. Grande mistero, questo numero dodici! Dice il Signore: Sederete sopra dodici troni, per giudicare le dodici tribù d’Israele (Mt 19,28). Se gli scanni sono dodici, non c’è posto ove segga Paolo, tredicesimo apostolo, ed egli non avrà modo di giudicare; eppure, egli dice che giudicherà non soltanto gli uomini, ma anche gli angeli (quali angeli se non gli angeli disertori?). Dice: Non sapete che giudicheremo gli angeli ? (1Co 6,3) Potrebbe obiettargli la folla: Come fai a dire così boriosamente che giudicherai? Dove sta la tua sede? Il Signore disse che ci sono dodici troni, per i dodici Apostoli: uno di essi, Giuda, ha tradito, ma al suo posto è stato ordinato Mattia, e così tutti e dodici i troni sono occupati (Cf. Ac 1,15-26). Prima trovati il posto dove sedere, e poi minaccia che giudicherai! Vediamo che cosa significhino i dodici troni. È un simbolo per rappresentare la totalità: poiché la Chiesa doveva diffondersi in tutto il mondo, da cui questo edificio è chiamato ad unirsi a Cristo. E allora, siccome da ogni parte si viene al giudizio, ci sono dodici troni; così come ci sono dodici porte perché da ogni parte si entra in quella città. A quei dodici troni non appartengono, dunque, soltanto i dodici Apostoli e l’apostolo Paolo, ma appartengono tutti quanti giudicheranno, perché il dodici significa la totalità. Così come tutti quanti entreranno appartengono alle dodici porte. Sono, infatti, quattro le parti del mondo: oriente, occidente, settentrione e mezzogiorno; e spessissimo queste quattro parti sono menzionate nelle Scritture. Da tutte queste quattro parti, o venti - come li chiama il Signore nel Vangelo - egli riunirà i suoi eletti (Cf. Mc 13,27). Cioè da questi quattro venti è convocata la Chiesa. E in qual modo è convocata? Da ogni dove, nel nome della Trinità. Non è chiamata se non mediante il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Orbene, quattro moltiplicato per tre fa dodici!

I patimenti di Cristo continuano nelle sue membra.

5. Bussate, dunque, con trasporto a queste porte, e Cristo gridi in voi: Apritemi le porte della giustizia! (Ps 117,19) Cristo-capo è andato avanti, lo segue Cristo-corpo. Ascoltate le parole dell’Apostolo, nel quale soffriva lo stesso Cristo: Ho da compiere nella mia carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo (Col 1,24). Ho da compiere... che cosa? Ciò che manca. Ciò che manca a chi? Alle tribolazioni di Cristo. E dove è che manca? Nella mia carne. Mancava forse qualche tribolazione in quell’uomo assunto dal Verbo di Dio, nato da Maria Vergine? Egli soffrì tutto quanto doveva soffrire e lo soffrì di sua spontanea volontà, non perché ve lo obbligasse il peccato; e, a quanto è dato capire, lo soffrì veramente tutto. Infatti, quando inchiodato sulla croce, ebbe assaporato l’aceto, ultima sofferenza, disse: È compiuto! E chinato il capo, emise lo spirito (Jn 19,30). Che significa: È compiuto? Che non manca niente per completare la misura delle mie sofferenze; e che tutte le cose che erano state predette di me si sono compiute. Sembrerebbe quasi che avesse atteso che si compissero per emettere lo spirito. Chi abbandona questa vita come egli se ne uscì dal corpo? Ma, chi è costui che ha potuto agire così? Colui che già prima aveva detto: Io ho il potere di dare la mia vita e ho il potere di prenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; ma io la do e di nuovo la prendo (Jn 10,17-18). La diede quando volle, e quando volle la riprese. Nessuno gliela tolse, nessuno gliela strappò. Ebbene, tutte le sofferenze si erano compiute, ma nel capo; restavano ancora da compiersi le sofferenze di Cristo nel corpo. E corpo e membra di Cristo siete voi (Cf. 1Co 12,27). E, siccome una di queste membra era anche l’Apostolo, per questo diceva: Ho da compiere nella mia carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo. Noi andiamo, dunque, là dove Cristo ci ha preceduti; e Cristo continua ancora ad andare là dove una volta andò come precursore. Ci ha infatti preceduti come capo; ora segue nel suo corpo. Frattanto, però, Cristo sta soffrendo quaggiù. Così come egli soffriva per colpa di Saulo, quando a costui rivolgeva le parole: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (Ac 9,4) Se tu pesti il piede a uno, ecco la sua lingua subito dire: Mi hai pestato. Nessuno ha toccato la lingua. Essa grida perché condivide il dolore dell’altro membro, non perché sia stata essa stessa colpita. Cristo è ancora qui in miseria, è ancora qui esule, è ancora ammalato, è ancora chiuso in carcere. Così dicendo, gli arrecheremmo ingiuria, se non avesse detto egli stesso: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dissetato; ero esule e mi avete ospitato; nudo, e mi avete vestito; ammalato, e mi avete visitato. Diranno a lui: Quando ti abbiamo visto soffrire tutte queste cose, e ti abbiamo soccorso? Egli risponderà: Quando lo avete fatto a uno dei miei piccoli lo avete fatto a me (Mt 25,35-40). Ebbene, edifichiamoci in Cristo sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, con lui quale somma pietra angolare (Cf. Ep 2,20); poiché il Signore ama le porte di Sion più che tutte le abitazioni di Giacobbe. Sembrerebbe, quasi, che Sion non fosse in mezzo alle abitazioni di Giacobbe. Dove era Sion, se non nel popolo di Giacobbe? Quando si parla di Giacobbe, nipote di Abramo, da cui ha avuto origine il popolo dei Giudei, si intende il popolo d’Israele, poiché Giacobbe stesso fu chiamato Israele (Cf. Gn 32,28). La vostra Santità conosce perfettamente tutte queste cose. Ebbene, siccome quelle abitazioni erano terrene e avevano valore soltanto figurativo, mentre il salmista parla di una città, che intende spiritualmente, una città di cui quella terrena era l’ombra e l’immagine, per questo può dire: Il Signore ama le porte di Sion più di tutte le abitazioni di Giacobbe. Cioè: il Signore ama quella città spirituale più di tutte quelle che la raffiguravano, e nelle quali era preannunciata quella città che resta in eterno, la città celeste che è sempre nella pace.

Gerusalemme madre di tutte le genti.

6. [vv 3.4.] Cose gloriose sono state dette di te, città di Dio. Dice così, come se già in terra contemplasse quella città, Gerusalemme. Notate bene, infatti, a quale città si riferisca e chi sia colei della quale sono dette cose tanto gloriose. La Gerusalemme terrena è stata distrutta: la invasero i nemici e fu ridotta a un cumulo di rovine. Era, ma adesso non è più. Fece la sua parte di simbolo ed, essendo ombra, è passata. Come si fa, allora, a dire: Cose gloriose sono state dette di te, città di Dio? Ascolta come: Mi ricorderò di Raab e di Babilonia, che mi conoscono. In quella città - parla ormai nella persona di Dio - mi ricorderò di Raab e di Babilonia. Raab non appartiene al popolo dei Giudei, e a questo popolo non appartiene neppure Babilonia. Continua infatti: Così gli stranieri, e Tiro, e il popolo degli Etiopi: tutti questi furono qui. Giustamente, cose gloriose sono state dette di te, città di Dio! Dentro di te non c’è soltanto il popolo dei Giudei, nato dalla discendenza di Abramo; ma ci sono tutte le genti, delle quali nomina alcune per intenderle tutte. Dice: Mi ricorderò di Raab. Si tratta di quella meretrice, di quella prostituta di Gerico, che accolse gli emissari [giudei] e li fece uscire per un’altra via: di colei che ebbe fede nella promessa e timore di Dio, e alla quale gli emissari dissero di mettere alla finestra un panno rosso, cioè di avere in fronte il segno del sangue di Cristo. Costei, salvandosi (Cf. Jos 2 Jos 6,25), prefigurò la Chiesa delle genti. Per questo il Signore diceva ai Farisei superbi: In verità vi dico che i pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno dei cieli (Mt 21,31). Li precedono perché fanno violenza al regno di cieli. Fanno ressa credendo; e, dinanzi alla fede, non rimane che arrendersi: nessuno può loro resistere. Conquistano il regno dei cieli perché gli fanno violenza. Leggiamo, infatti, nel Vangelo: Il regno dei cieli subisce violenza, e coloro che fanno violenza lo conquistano (Mt 11,12). Questo fece quel ladrone, più forte sulla croce (Cf. Lc 23,40-43) che nella crudeltà. Mi ricorderò di Raab e di Babilonia. Babilonia è una città terrena. Come c’è una sola città santa, Gerusalemme, così c’è un’unica città perversa: Babilonia; e tutti i malvagi appartengono a Babilonia, così come tutti i santi appartengono a Gerusalemme. Ma da Babilonia si passa a Gerusalemme. In qual modo se non ad opera di colui che giustifica l’empio (Cf. Rm 4,5)? Gerusalemme è la città dei pii; Babilonia è la città degli empi. Ma viene colui che giustifica l’empio; come sta scritto: Mi ricorderò non solo di Raab, ma anche di Babilonia. Ma di quale Raab e di quale Babilonia si ricorderà? Di coloro che mi conoscono. Dice altrove la Scrittura: Scatena la tua ira contro le genti che non ti hanno conosciuto (Ps 78,6). In questo passo dice: Scatena la tua ira contro le genti che non ti hanno conosciuto; ma in un altro invoca: Mostra la tua misericordia a coloro che ti conoscono (Ps 35,11). Come voi sapete, in Raab e in Babilonia egli vede simboleggiate le nazioni pagane; e, come se gli avessero chiesto: “ Che significano le parole mi ricorderò di Raab e di Babilonia che mi conoscono? Perché hai detto questo? ”, egli aggiunge: Perché sono stranieri, (appartengono, cioè, a Raab e a Babilonia) anche [gli abitanti di Tiro. Ma fin dove si estenderanno queste genti? Fino ai confini della terra. Egli ha scelto anche un popolo che si trova ai confini della terra: Il popolo degli Etiopi: tutti questi furono qui. Se, dunque, sono qui Raab e i cittadini di Babilonia, che sono stranieri, e sono qui anche Tiro e il popolo degli Etiopi, giustamente cose molto gloriose sono dette di te, città di Dio.

Cristo, la sua città e la sua madre.

7. [v 5.] State attenti a un grande mistero! Raab entra qui per opera di colui per mezzo del quale vi entra Babilonia, che ormai non è più Babilonia, in quanto ha cessato di essere Babilonia e ha cominciato ad essere Gerusalemme. La figlia si è divisa da sua madre, per essere nelle membra di quella regina di cui è detto: Dimentica il tuo popolo e la casa del padre tuo; il re ha desiderato la tua bellezza (Ps 44,11-12). Altrimenti come avrebbe osato Babilonia aspirare d’appartenere a Gerusalemme? E come avrebbe potuto Raab giungere a quelle fondamenta? E come possono giungervi gli stranieri? e Tiro, e il popolo degli Etiopi? Ascolta come. Madre Sion!, dirà l’uomo. C’è dunque un uomo che chiama Sion madre, e per mezzo di quest’uomo verranno tutti costoro. Ma chi è quest’uomo? Dice, se siamo capaci di ascoltare, se siamo capaci di intendere: Madre Sion! dirà l’uomo. E continua come se tu gli avessi chiesto per mezzo di chi verranno Raab, Babilonia, gli stranieri, Tiro, gli Etiopi. Ecco per mezzo di chi verranno: Madre Sion!, dirà l’uomo; e si è fatto uomo in lei, ed egli stesso, l’Altissimo, l’ha fondata. Che cosa c’è di più chiaro di questo, fratelli? Veramente cose molto gloriose sono state dette di te, città di Dio! Ecco, madre Sion!, dice l’uomo.Quale uomo? Colui che si è fatto uomo in lei. In lei si è fatto uomo, ed egli stesso l’ha fondata. Come ha potuto farsi uomo in lei e averla fondata? Essa era stata fondata perché egli si facesse uomo in lei. Così devi intendere, se puoi. Infatti madre Sion!, dirà; ma è l’uomo che dirà: Madre Sion! Egli si è fatto uomo in lei; mentre egli stesso l’ha fondata; non come uomo ma come Altissimo. Ha, insomma, fondato la città nella quale doveva nascere, così come ha creato la madre dalla quale doveva nascere. Che significa tutto questo, fratelli miei? Quali promesse, quante speranze abbiamo! Ecco, l’Altissimo, che ha fondato la città, dice per noi a tale città: Madre!, e si è fatto uomo in lei, ed egli stesso, l’Altissimo, l’ha fondata.

I dignitari della città celeste.

8. [v 6.] Ci si potrebbe chiedere: Come fate a sapere queste cose? Tutti le abbiamo cantate, e in tutti noi canta l’uomo Cristo: uomo per amor nostro, Dio prima di noi. Ma, che c’è di grande nell’essere lui prima di noi? Anzi, egli è prima della terra e del cielo, prima dei secoli. Per noi si è fatto uomo in tale città, ed egli stesso è l’Altissimo che l’aveva fondata. Ci chiedono: Come facciamo a sapere queste cose? Rispondiamo: Il Signore narrerà nella scrittura dei popoli. Così, infatti, continua il salmo: Madre Sion, dirà l’uomo; e si è fatto uomo in lei, ed egli stesso, l’Altissimo, l’ha fondata (Ps 86,5). Il Signore narrerà nella scrittura dei popoli e dei principi. Di quali principi? Di quelli che furono fatti in lei. I principi che furono fatti in lei, che in lei sono divenuti principi: difatti, prima che in lei divenissero principi, erano di quelle cose spregevoli del mondo che Dio ha scelte per confondere le cose forti. È, forse, un principe il pescatore? È un principe il pubblicano? Certo che sono principi; ma perché tali sono divenuti in lei. E che sorta di principi sono mai costoro? Ecco dei principi venire da Babilonia, principi secolari credenti, venire alla città di Roma, come alla capitale di Babilonia. Essi non si sono recati al tempio dell’imperatore ma al sepolcro del Pescatore. In che senso, dunque, erano principi quei tali? Dio ha scelto ciò che è debole nel mondo per confondere ciò che è forte; ha scelto le cose ignobili e quelle che non sono, come se fossero, per annientare quelle che sono (Cf. 1Co 1,27-28). Ha fatto questo colui che solleva il misero dalla terra e rialza il povero dal letame. E perché lo solleva? Per metterlo a fianco dei principi, insieme con i principi del suo popolo (Cf. Ps 112,7-8). Grande cosa, questa! grande gioia! grande letizia! Vennero più tardi in questa città anche dei retori; ma non sarebbero venuti se non fossero stati preceduti da pescatori. Tutto questo è sublime; ma dove è accaduto, se non in quella città di Dio, della quale sono state dette cose gloriosissime?

Prepariamoci alla lode eterna

9. [v 7.] Perciò, raccogliendo ed unificando tutte le gioie, come conclude? La dimora in te è come di gente che tutta quanta si allieta. La vita di tutti coloro che gioiscono in questa città è una vita di persone colme di gioia. In questo esilio siamo schiacciati; in quella nostra dimora vi sarà soltanto gioia. Scompariranno la tribolazione e il gemito; cesseranno le suppliche, le lodi prenderanno il loro posto. Sarà, dunque, una dimora di gente che si allieta; non ci sarà il gemito di quelli che desiderano ma la letizia di quelli che posseggono. Sarà, infatti, presente colui al quale ora aneliamo; e noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come è (1Jn 3,2). Lassù tutte le nostre occupazioni saranno il lodare Dio e il fruire di Dio. E che cos’altro cercheremo, quando a saziarci avremo colui per cui mezzo tutte le cose sono state fatte? Abiteremo e saremo abitati: a lui tutte le cose saranno sottomesse, in modo che Dio sia tutto in tutti (Cf. 1Co 15,28). Beati, insomma, coloro che abitano nella tua casa! Perché beati? Perché posseggono oro, argento, una famiglia numerosa o molti figli? Perché beati? Beati coloro che abitano nella tua casa! Nei secoli dei secoli ti loderanno (Ps 83,5). Saranno beati per questa sola riposante occupazione. Ebbene, fratelli, quando saremo giunti a tal fine, desidereremo soltanto questo; intanto, però, prepariamoci a godere di Dio e a lodare Dio. Non avranno posto, lassù, le opere buone che ora lassù ci conducono. Ve l’abbiamo detto ieri, come abbiamo potuto. Non vi saranno le opere della misericordia, poiché lassù non ci sarà alcuna miseria. Non vi troverai alcun bisognoso, nessuno che sia nudo, nessuno che ti venga incontro assetato, nessun esule, nessun malato da visitare, nessun morto da seppellire; non vi saranno litiganti tra cui mettere pace. Che farai, dunque? Forse, per la necessità del nostro corpo, avremo da piantare nuove viti, o da arare, o da combinare affari, o da andare pellegrini? Grande quiete lassù! Spariranno, infatti, tutte le opere richieste dalla necessità. Scomparsa la necessità, scompariranno anche le sue opere. Che cosa ci sarà allora? La lingua umana lo ha detto come le è stato possibile: La dimora in te sarà come di gente che tutta quanta si allieta. Che vuol dire: Come? E perché ha detto: Come? Perché lassù vi sarà tale gioia quale noi non conosciamo. Molte gioie mi passano sotto gli occhi quaggiù, e molti son coloro che gioiscono in questo mondo: gli uni in un modo, gli altri in un altro; ma non c’è niente che possa essere paragonato a quella gioia. La quale solo remotamente può confrontarsi alle gioie comuni. Se parlo, infatti, di gioia o di piacere, all’uomo viene in mente quel piacere che suole trovare nel bere, nei banchetti, nell’avarizia, negli onori mondani. Gli uomini, infatti, si esaltano e in un certo senso divengono folli di gioia: ma, dice il Signore, non c’è gioia per gli empi (Is 48,22). Opposta a questa, c’è una gioia che né occhio ha visto, né orecchio udito, né è salita nel cuore dell’uomo (Cf. 1Co 2,9). La dimora in te è come quella di gente che tutta quanta si allieta. Prepariamoci a un’altra gioia, perché qui incontriamo qualcosa di simile alla gioia, ma non è la gioia. Non prepariamoci a godere, lassù, di cose come quelle di cui godiamo qui in terra. Se così facessimo, la nostra continenza sarebbe ingordigia. Vi sono infatti uomini che, invitati ad una ricca cena ove sono imbandite molte e squisite vivande, non pranzano. Se chiedi loro perché non pranzino, rispondono che digiunano. È un’opera sublime, è una pratica cristiana, il digiunare. Ma non lodarlo troppo presto! Cerca il motivo: si tratta di una faccenda di ventre, non di religione. Perché digiunano? Per non riempire il ventre con cibi ordinari, e poterlo, poi, riempire con quelli squisiti. Questo digiuno, dunque, è una faccenda di gola. Il digiuno è certamente una bella opera: combatte contro l’avidità e contro la gola; però, qualche volta combatte a loro favore. Perciò, fratelli miei, se pensate che in quella patria alla quale ci chiama la tromba celeste avremo beni simili a quelli terreni, e per questo vi astenete dai piaceri presenti per godere in maggior copia di quelli futuri, sarete come coloro che digiunano per sedersi con maggior appetito a più lauti banchetti, e, se si moderano, lo fanno per accontentare meglio la loro golosità. Non siate voi così! Preparatevi a qualcosa di ineffabile: purificate il vostro cuore da ogni affetto terreno e mondano. Vedremo qualcosa la cui visione ci renderà beati, e soltanto questo ci basterà. E allora? Non mangeremo forse? Certamente mangeremo! Dio stesso sarà il nostro cibo. Un cibo che ci ristorerà e non si esaurirà mai. La dimora in te è come quella di gente che tutta quanta si allieta. Abbiamo già detto perché ci allieteremo. Beati coloro che abitano nella tua casa! Ti loderanno nei secoli dei secoli. Lodiamo anche ora il Signore, per quanto possiamo, mescolando la lode con i gemiti. Lodandolo lo desideriamo, ora che non lo possediamo. Quando lo possederemo, sparirà ogni gemito e ci sarà soltanto la lode pura ed eterna. Rivolti al Signore.

SUL SALMO 87

87 Ps 87

ESPOSIZIONE

Il mistero di Cristo paziente.

1. [v 1.] Il titolo di questo salmo ottantasettesimo offre al commentatore un nuovo spunto. In nessun altro salmo troviamo, infatti, ciò che qui si legge: Per melec, da cantarsi con risposta. Abbiamo già detto quanto ci è sembrato opportuno dire a proposito del salmo del cantico o del cantico del salmo. Del pari, spessissimo, abbiamo spiegato nei titoli dei salmi il significato delle parole: Per i figli di Core, o delle altre: Per la fine (Cf. I, En. in Ps 67,1 cf. Ps 84,1). Mai, tuttavia, abbiamo trovato un titolo come questo: Per melec, da cantarsi con risposta. Possiamo peraltro tradurre in latino: Per melec con “ per il coro ”; melec, infatti, in ebraico significa “ coro ”. Che significa, dunque, dire: Per il coro, da cantarsi con risposta, se non che il coro deve rispondere armonizzandosi con colui che canta? È da credere del resto, che non solo questo salmo sia stato cantato ma anche altri, sebbene portino titoli differenti: fenomeno che io ritengo doversi ascrivere al desiderio di variare il salterio, onde evitare la noia che darebbe l’uniformità. Questo salmo non è il solo ad esigere una risposta da parte del coro, come non è l’unico scritto sulla passione del Signore. Oppure, ci potrebbe essere un’altra ragione della grande varietà dei titoli, apposti nei diversi salmi: ragione che spieghi il perché ciascuno dei salmi sia stato intitolato a suo modo (dato che ciascuno si intitola in modo diverso e nessun titolo concorda con gli altri). Quanto a me, debbo confessarvi che non sono riuscito a trovarla, malgrado i miei molteplici sforzi. E debbo anche dire che quanto ho letto in trattatisti dei tempi passati su tale argomento non ha appagato la mia attesa o scarsa intelligenza. Premesso questo, voglio precisare quale sia il mistero a proposito del quale mi sembrano dette le parole: “ Per il coro, da cantarsi con risposta ”, cioè in modo che il coro risponda a colui che intona. Si annuncia, qui, la passione del Signore. Ma l’apostolo Pietro dice: Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio affinché seguiamo le sue orme (1P 2,21). Ecco cos’è rispondere. Ugualmente l’apostolo Giovanni: Cristo ha immolato per noi la sua vita; e così anche noi dobbiamo immolarci per i fratelli (1Jn 3,16). Ecco cos’è rispondere! E il coro raffigura la concordia, frutto della carità. Chiunque, quindi, voglia farsi imitatore della passione del Signore fino a dare il suo corpo alle fiamme, se non ha la carità, non risponde in coro; e perciò a nulla gli giova [il suo sacrificio] (1Co 13,3). Viene fatto di ricordare qui che nell’arte musicale si parla di intonatore e di accompagnatore (così li hanno chiamati in latino gli esperti): l’intonatore è colui che inizia il canto, l’accompagnatore è colui che risponde cantando dietro all’altro. Allo stesso modo, in questo cantico della passione, al Cristo che avanza per primo, tien dietro cantando il coro dei martiri, che avanzano verso la fine, cioè verso la corona celeste. È questo, infatti, un salmo che si canta per i figli di Core, cioè per quanti imitano la passione di Cristo. Cristo, infatti, fu crocifisso nel luogo del Calvario (Cf. Mt 27,33), che in ebraico si dice “ Core ”, come appare dalla traduzione dei nomi ebraici. Ma questo salmo è anche dell’intelligenza di Eman israelita, come leggiamo alla fine del suo titolo. Ora, si dice che Eman significhi “ fratello di lui ”. E, difatti, Cristo si è degnato di fare suoi fratelli coloro che intendono il sacramento della sua croce, e non solo non si vergognano di essa ma di essa religiosamente si gloriano. Né s’inorgogliscono dei propri meriti, né restano ingrati alla grazia di lui. A ciascuno di loro possono applicarsi le parole: Ecco un vero Israelita in cui non c’è inganno (Jn 1,47). La Scrittura dice, infatti, che Israele stesso fu esente da inganno (Cf. Gn 25,27). Ascoltiamo, dunque, la voce di Cristo che canta per primo nella profezia. Gli risponda il suo coro, o imitandolo o rendendogli grazie.

2. [vv 2.3.] Signore, Dio della mia salute, di giorno e di notte ho gridato dinanzi a te. Entri la mia preghiera al tuo cospetto! China il tuo orecchio alla mia supplica! Ha pregato, infatti, anche il Signore; non nella natura di Dio, ma nella natura del servo, nella quale ha anche subìto la passione. Egli pregava nella letizia, significata nel “ giorno ”, e nelle avversità, rappresentate, credo, nella “ notte ”. L’ingresso della preghiera al cospetto di Dio significa che Dio l’accetta; che poi Dio porga l’orecchio significa il suo misericordioso esaudimento. Dio, infatti, non ha le membra che noi abbiamo nel corpo. Secondo il solito, c’è qui una ripetizione; e la stessa cosa è dire: Entri la mia preghiera al tuo cospetto, e l’altra: China il tuo orecchio alla mia supplica.

I patimenti di Cristo e quelli delle sue membra.

3. [v 4.]Perché la mia anima è ricolma di mali e la mia vita si è avvicinata all’inferno. Oseremo dire che l’anima di Cristo fu ricolma di mali quando il tormento della passione con tutte le sue acerbità si riversò sulla carne di lui? Ne parlava lui stesso, allorché, incitando i discepoli a sopportare le sofferenze (come invitando il suo coro a rispondere al suo canto) diceva: Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima (Mt 10,28). O, forse, l’anima non può essere uccisa dai persecutori, ma può essere colmata di mali? Se è così, dobbiamo cercare quali siano questi mali. Non possiamo, certo, affermare che una tale anima possa essere colmata di vizi, attraverso cui il peccato istaura il suo dominio sull’uomo. Potrebbe, invece, essere colmata di dolori, che lei condivide con la sua carne quando questa ne è afflitta. Non può, infatti, non toccare l’anima quel che si chiama dolore corporale, poiché, quando questo è inevitabile e sta per coglierci, lo precede la tristezza, la quale è soltanto un dolore dell’anima. L’anima può, quindi, essere addolorata anche senza che il corpo soffra, mentre il corpo non può soffrire senza che soffra anche l’anima. E allora, perché non dovremmo dire che l’anima di Cristo fu col ma, non dei peccati dell’uomo, ma dei suoi mali? Di lui un altro profeta dice che ha sofferto per noi (Cf. Is 53,4), e l’Evangelista aggiunge: Presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a rattristarsi e ad essere mesto. Infine il Signore, parlando di se stesso, diceva loro: L’anima mia è triste da morire. Ebbene, il profeta che ha scritto questo salmo, vedendo tutte queste vicende future, le preannunzia facendo dire a Cristo: La mia anima è ricolma di mali, e la mia vita si è avvicinata all’inferno. Pur usando parole diverse, egli commentava quella parola [del Signore] che suona va: La mia anima è triste fino a morirne (Mt 26,37-38). Le parole: Triste è la mia anima equivalgono a: La mia anima è ricolma di mali; e quanto il Signore aggiunge, cioè, da morirne, era stato detto con le parole: E la mia vita si è avvicinata all’inferno. Orbene, il Signore Gesù prese tutte queste conseguenze proprie della debolezza umana (come ne prese la morte corporale), non per una necessità impostagli, ma per una volontà di misericordia. Volle in tal modo rappresentare nella sua persona quel suo corpo che è la Chiesa, di cui egli si era degnato essere capo. Cioè volle trasfigurare in sé le sue membra, che sono i suoi santi e fedeli. Per cui, se a qualcuno di essi fosse capitato di rattristarsi e di soffrire in mezzo alle tentazioni umane, non dovesse, perciò, ritenersi abbandonato dalla grazia di Cristo. Queste sofferenze non le si sarebbero dovute reputare peccato, ma risultanze della fragilità umana. E così, come coro che canta in armonia con la voce che lo precede, il suo corpo avrebbe imparato a soffrire nel suo stesso Capo. Leggiamo ed ascoltiamo questo da uno dei principali membri di questo corpo, cioè dall’apostolo Paolo. Egli confessa che la sua anima è colma di mali di tal genere, e dice che la sua tristezza è immensa, e senza tregua è il dolore del suo cuore a causa di chi gli è fratello secondo la carne, cioè degli Israeliti (Cf. Rm 9,2-4). Per costoro, credo che si sia rattristato (né sarà fuori posto la supposizione) anche il nostro Signore nell’imminenza della sua passione, nella quale essi si sarebbero macchiati di un così enorme delitto.

4. [vv 5.6.] Infine, ciò che disse il Signore mentre era sulla croce: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34) è detto anche in questo salmo con le parole: Sono annoverato con coloro che discendono nella fossa. Così, infatti, ritenevano coloro che non sapevano quello che facevano, che credevano che egli morisse come muoiono gli altri uomini, soggetto alla necessità e dalla necessità schiacciato. Con fossa, infatti, viene designato l’abisso, o della miseria o dell’inferno.

Dio non abbandona Cristo nella morte.

5. Sono divenuto, dice, come un uomo senza appoggio, libero in mezzo ai morti. In queste parole risalta magnificamente la persona del Signore. Chi altro, infatti, fu mai libero in mezzo ai morti, se non colui che, pur essendo tra i peccatori e in una carne simile a carne peccatrice (Cf. Rm 8,3), è stato l’unico a non commettere peccato? Per questo, diceva a coloro che scioccamente si credevano liberi: Chiunque commette peccato è schiavo del peccato. E aggiungeva, per dimostrare che per essere liberati dal peccato, è necessario l’intervento di colui che non ha commesso peccato: Se vi avrà liberati il Figlio, allora sarete veramente liberi (Jn 8,34 Jn 36). Costui dunque, libero in mezzo ai morti, aveva il potere di dare la propria vita e di prenderla di nuovo. A lui nessuno la toglieva, ma egli stesso la dava di sua volontà (Cf. Jn 10,18); anzi, quando voleva, poteva anche risuscitare la sua carne (Cf. Jn 2,19), qual tempio abbattuto dai nemici. Egli, mentre tutti lo abbandonavano, non rimase solo ad affrontare la passione, perché il Padre non lo abbandonava mai, come egli stesso ebbe ad attestare (Cf. Jn 8,29). Ebbene, costui è divenuto, ossia dai nemici fu considerato, come un uomo senza appoggio: da coloro, cioè, per i quali egli volle pregare, perché non sapevano quello che facevano. Dicevano infatti: Ha salvato gli altri; non può salvare se stesso! Se è Figlio di Dio, scenda ora dalla croce, e gli crederemo. Dio lo salvi, se lo vuole! (Mt 27,40-43) Continua: Come i feriti che dormono nel sepolcro. Aggiunge però: Dei quali non ti sei ancora ricordato, per sottolineare la differenza tra il Signore Gesù Cristo e gli altri morti. Anche egli, infatti, fu coperto di piaghe, e, dopo morto, fu deposto nel sepolcro (Cf. Mt 27,50 Mt 60); ma coloro che non sapevano quello che facevano, che non sapevano cioè chi egli fosse, lo, ritennero simile agli altri morti di ferite e giacenti nel sepolcro, dei quali Dio ancora non si ricorda, cioè, per i quali non è ancora venuto il tempo della resurrezione. La Scrittura è solita chiamare i morti col nome di “ dormienti ”, per fare intendere che si risveglieranno, cioè risorgeranno. Ma, questo ferito che dormiva nel sepolcro si svegliò al terzo giorno e divenne come il passero solitario sul tetto (Cf. Ps 101,8). Cioè : ascese in cielo alla destra del Padre, e più non muore né la morte avrà più oltre potere su di lui (Cf. Rm 6,9). Ben diversa fu, dunque, la sua sorte da quella di coloro dei quali Dio non si ricorda ancora per farli risorgere. In lui, capo, doveva necessariamente precedere ciò che al corpo è riservato per la fine. Dire, pertanto, che Dio si ricorda, è dire che agisce; dire, invece, che si dimentica, è dire che non agisce: non perché in Dio ci sia dimenticanza (dato che egli mai cambia) o reminiscenza (dato che egli mai dimentica). Ebbene, sono divenuto, per coloro che non sapevano quello che facevano, come uomo senza appoggio, mentre ero libero tra i morti. E per coloro che non sapevano quello che facevano sono diventato come i feriti che dormono nel sepolcro. Ed essi sono stati scacciati dalla tua mano. Cioè: quando io venivo ridotto da loro in tali condizioni, essi sono stati scacciati dalla tua mano. Mi credevano un uomo senza appoggio; invece sono stati loro ad essere privati dell’appoggio della tua mano. Infatti, hanno scavato, come dice un altro salmo, una fossa dinanzi a me, ma vi sono caduti loro stessi (Ps 56,7). Credo che le parole: E sono stati scacciati dalla tua mano sia meglio interpretarle in questa maniera, anziché riferirle a coloro che dormono nel sepolcro, dei quali Dio ancora non si ricorda. Tra costoro, infatti, vi sono dei giusti, dei quali è vero che egli non si ricorda ancora per risuscitarli, tuttavia di questi è detto altrove: Le anime dei giusti sono nella mano di Dio (Sg 3,1). Cioè: godono dell’appoggio dell’Altissimo e dimorano nella protezione del Dio del cielo (Cf. Ps 90,1). Quanto agli altri, invece, essi furono scacciati dalla mano di Dio, poiché credettero che il Signore Gesù Cristo fosse un rigettato dalla mano di lui, in quanto essi poterono annoverarlo tra i malfattori e ucciderlo.

6. [v 7.]Mi hanno deposto, dice, in una fossa profonda, o piuttosto, in una fossa profondissima, come si legge in greco. Ma, che cos’è la fossa profondissima, se non quell’abisso di miseria di cui non ne esiste uno più profondo? Per questo altrove leggiamo: Mi hai tratto dalla fossa della miseria (Ps 39,3). Mi hanno gettato in luoghi tenebrosi e nell’ombra della morte. Così, per lo meno, essi pensavano, quando agivano senza sapere quello che facevano e senza conoscere colui che nessun principe di questo mondo ha conosciuto (1Co 2,8). Quanto all’ombra della morte, non so se si debba intendere qui la morte del corpo, o non piuttosto quella della quale sta scritto: La luce è sorta per coloro che sedevano nelle tenebre e nell’ombra della morte (Is 9,2). Credendo, infatti, nella luce e nella vita, essi sono stati sottratti alle tenebre e alla morte dell’empietà. Così considerarono il Signore coloro che non sapevano quello che facevano. Ignorando chi egli fosse, lo gettarono tra i morti, ma questi morti egli soccorse perché non fossero più morti.

Le umiliazioni di Cristo.

7. [v 8.] Su di me si è rafforzata la tua indignazione; oppure, come recano alcuni codici, la tua ira, o, come altri ancora, il tuo furore. Infatti, la parola greca  è stata diversamente interpretata dai nostri traduttori. Dove nei codici greci leggiamo  quasi nessun interprete esita a tradurre in latino “ ira ”, ma, dove leggiamo , molti hanno ritenuto che non si dovesse tradurre con “ ira ”, anche se grandi maestri dell’eloquenza latina hanno reso con “ ira ” questa parola, quando traducevano dai libri dei filosofi greci. Non è il caso di discutere a lungo su tale questione; tuttavia, se anche noi dovessimo usare un altro vocabolo, preferiremmo dire “ indignazione ” piuttosto che “ furore ”. Il furore, infatti, secondo il significato proprio della lingua latina, in genere non si riscontra nei sani [di mente], Che significano, allora, le parole: Su di me si è rafforzata la tua ira, se non che tale fu la persuasione di coloro che non seppero riconoscere il Signore della gloria? Costoro, infatti, erano convintissimi che l’ira di Dio non soltanto si fosse scatenata, ma anche rafforzata, contro colui che essi avevano potuto mandare a morte, e non a una morte qualsiasi, ma alla morte sulla croce, che essi ritenevano la più esecrabile di tutte. Per questo dice l’Apostolo: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, facendosi per noi maledizione. Sta scritto, infatti, che è maledetto chiunque pende dalla croce (Ga 3,13 Dt 21,23). E, volendo poi elogiare la sua obbedienza fino all’estrema umiliazione, dice: Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte; e, siccome questo gli sembrava ancora poco, aggiunge: Alla morte sulla croce (Ph 2,8). Per questo, a mio parere, il salmo continua con il versetto: E ogni tua procella (oppure, come altri hanno tradotto: E ogni tua ondata, oppure: Ogni tuo maroso) hai rovesciato su di me. In un altro salmo leggiamo: Ogni tua procella ed ogni tua ondata è entrata su di me (Ps 41,8), o, come hanno tradotto con più esattezza altri: è passata su di me (poiché in greco si legge  non ). Orbene, là dove troviamo ambedue le parole “ procella ” e “ ondata ”, non possiamo sostituire l’una con l’altra. Noi le abbiamo spiegate (Cf. I, En. in Ps 41,15) dicendo che le procelle sono le minacce, e le ondate le tribolazioni stesse, provenienti, ambedue, dal giudizio di Dio. Ma, nel salmo che abbiamo citato, leggiamo: È passata su di me; mentre qui leggiamo: Hai rovesciato su di me. Là, dunque, voleva dire che, anche se si erano verificati soltanto in parte, tuttavia i mali che indicavano le sue parole erano passati tutti sopra di lui. Qui, invece, ricorda al Signore che egli li ha rovesciati su di lui. Passano, infatti, sia le cose che non ci toccano, come le procelle, sia le cose che ci toccano, come le ondate. Riferendosi peraltro alle varie procelle non dice che sono passate su di me, ma che le hai rovesciate su di me; il che significa che tutte le minacce si sono compiute. Esse erano soltanto minacce finché in profezia si annunziavano come future le cose che si predicevano a proposito della sua passione.

Passione di Cristo e sgomento degli Apostoli.

8. [vv 9.10.] Dice: Hai allontanato da me i miei conoscenti. Se si intende per miei conoscenti coloro che egli conosceva, si tratta senza dubbio di tutti. Chi, infatti, egli non conosceva? Chiama, però, conoscenti coloro ai quali egli era noto per quanto potevano allora conoscerlo: coloro che almeno sapevano che egli era un innocente, anche se lo ritenevano soltanto un uomo e non Dio. Potrebbe anche chiamare conoscenti i buoni, che egli conosce e approva; così come chiama “ sconosciuti ” i malvagi, che egli condanna e ai quali alla fine dirà: Non vi ho conosciuti (Mt 7,23). Quanto poi alle parole: Mi hanno preso per loro oggetto di abominio, esse possono riferirsi anche a coloro che ha chiamato suoi conoscenti, perché anch’essi aborrivano il genere della sua morte. Meglio si intendono, però, se si riferiscono a coloro di cui parlava prima come di suoi persecutori. Ero tradito, dice, e non uscivo.Forse perché i suoi discepoli stavano fuori, mentre egli nell’interno era giudicato? (Cf. Mt 23,53) O piuttosto, dobbiamo intendere le parole: E non uscivo in un altro senso più sublime, cioè, stavo nascosto nel mio intimo, non mostravo chi ero, non mi dichiaravo, non mi facevo conoscere? Per questo aggiunge: I miei occhi si sono estenuati per lo stento. Di quali occhi dovremo intendere le sue parole? Se si riferisce agli occhi esteriori, quelli del corpo in cui soffriva, non leggiamo che essi, durante la passione, si siano stancati per gli stenti, cioè che abbiano perso del loro vigore a causa della fame, come di solito accade. Leggiamo, infatti, che egli fu catturato un dopo cena e che fu crocifisso in quello stesso giorno. Se, invece, si riferisce agli occhi interiori, in qual modo potrebbero essersi estenuati negli stenti, se in essi c’era la luce che mai vien meno? Non v’è dubbio, quindi, che chiama “ suoi occhi ” quelle membra del suo corpo di cui egli stesso è il capo, che egli amava come più insigni, più eccelse ed importanti. L’Apostolo, parlando di questo corpo, prende l’immagine dal nostro corpo e dice: Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove sarebbe l’olfatto? Se tutti i sensi fossero un solo membro, dove sarebbe il corpo? Senza dubbio, ora vi sono molte membra, ma un solo corpo. L’occhio non può dire alle mani: non ho bisogno della vostra opera. E, se la mano dicesse: non appartengo al corpo perché non sono occhio, potrebbe forse per questo ritenersi estranea al corpo? E cosa volesse intendere con tali parole, lo esprime più chiaramente con le altre: Voi siete il corpo e le membra di Cristo (1Co 12,12-27). Ebbene, quegli occhi, ossia i santi Apostoli, cui la verità non era rivelata dalla carne e dal sangue ma dal Padre che è nei cieli (come quando Pietro disse: Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivente) (Mt 16,16), vedendo la sua cattura, vedendolo subire tante sofferenze e non vedendolo come volevano vederlo (poiché egli non usciva, cioè, non si manifestava nella sua virtù e nella sua potenza, ma se ne stava celato nel suo intimo e sopportava ogni tribolazione come vinto e impotente) si estenuarono negli stenti, come se fosse stato loro sottratto il cibo, cioè la luce.

Cosa significhi: Un giorno intero.

9. Continua: E ho gridato a te, Signore. Lo fece, com’è a tutti noto, mentre era inchiodato alla croce. A buon diritto ci chiediamo, però, come dobbiamo intendere le parole che seguono: Per tutto il giorno ho proteso le mie mani verso di te. Se le parole: Ho proteso le mie mani le intendiamo riferite al supplizio della croce, in che senso dobbiamo intendere le altre: Per tutto il giorno?Rimase, forse, il Cristo inchiodato alla croce per tutto un giorno, includendo in “ tutto un giorno ” anche la notte? E, anche se in questo passo si dovesse intendere il giorno senza la notte, tuttavia è risaputo che, quando egli venne crocifisso, era già trascorsa la prima, e non trascurabile, parte di quel giorno. Più ardua ancora si presenta la questione, se volessimo intendere “ giorno ” nel significato di “ tempo ”. Veramente, in tal senso dovremmo orientarci poiché l’autore del salmo ha usato il vocabolo dies (giorno) al genere femminile, che in latino significa soltanto “tempo ”. In greco è diverso, poiché in questa lingua “ giorno ” è sempre di genere femminile, ed è per questo che, io credo, i nostri interpreti lo hanno tradotto così. Ad ogni modo, come può dire “ per tutto il tempo ”, se Cristo non stese le mani sulla croce neppure per un intero giorno? Infine, se diciamo doversi prendere il tutto per una parte (forma letteraria comune nelle sante Scritture), non mi viene in mente alcun esempio che mostri potersi prendere questo “ tutto ” per una parte quando alla parola è aggiunto l’aggettivo “ intero ”. Così, ad esempio, nelle parole dette dal Signore nel Vangelo: Così anche il Figlio dell’uomo starà nel cuore della terra per tre giorni e tre notti (Mt 12,40) non è azzardato prendere il tutto per la parte, non avendo egli detto “ per tre giorni interi ” né “ per tre notti intere ”. E, veramente, solo un giorno, quello di mezzo, trascorse tutto intero [mentre il Signore era nel sepolcro]; degli altri due ne trascorse solo una parte: del primo l’ultima parte, e dell’ultimo la prima. Se, poi, nelle parole di questo salmo profetico non si prefigura la crocifissione del Signore ma la preghiera che nella natura di servo egli rivolse a Dio Padre (come apprendiamo dalla testimonianza del Vangelo), riconosciamo che egli ha pregato sia molto tempo prima della passione, sia nell’imminenza della passione, sia mentre era sulla croce; mai, però, leggiamo che la sua preghiera si sia prolungata per un giorno intero. Possiamo, perciò, convenientemente intendere nelle mani protese per tutto il giorno il suo ininterrotto operare il bene, da cui mai la sua volontà venne meno.

Docilità e ostinazione di fronte all’azione salvifica di Dio.

10. [v 11.] Siccome, però, le sue buone opere hanno giovato soltanto ai predestinati alla salvezza eterna, e non a tutti gli uomini (neppure a tutti coloro in mezzo ai quali esse furono compiute), per questo aggiunge: Farai forse miracoli per i morti? Se riteniamo che queste parole si riferiscano a coloro la cui carne era divenuta esanime, è certo che per i morti sono stati fatti grandi miracoli, quando, ad esempio, alcuni di loro tornarono alla vita (Cf. Mt 27,52). E, quando il Signore entrò nell’inferno e ne risalì dopo aver vinto la morte, certamente si compì per i morti un grande miracolo. Le parole: Farai forse miracoli per i morti? si riferiscono, quindi, agli uomini che nel cuore sono tanto morti da non essere spinti alla vita della fede neppure dagli strepitosi miracoli di Cristo. Non dice, infatti, che per loro non avvengano miracoli in quanto essi non li vedono, ma in quanto loro non giovano. Per questo, come nel nostro salmo si dice: Io ho proteso tutto il giorno le mie mani verso di te, nel senso che egli riferiva tutte le sue opere alla volontà del Padre (spessissimo afferma di essere venuto per compiere la volontà del Padre) (Cf. Jn 6,38), allo stesso modo, volendo sostenere che il popolo incredulo aveva visto tali opere, un altro profeta diceva: Per tutto il giorno ho teso le mie mani a un popolo che non crede e contraddice (Is 65,2). Sono questi i morti per i quali non ha compiuto miracoli. Non perché non li abbiano visti, ma perché, pur vedendoli, non ne abbiano profittato per rinascere. Le parole che seguono: O che i medici opereranno delle resurrezioni e ti loderanno? vogliono dire che non saranno i medici a risuscitare la gente per lodarti. Alcuni affermano che in ebraico il versetto è diverso, e che si legge “giganti”, e non “medici”. Ma i Settanta, la cui autorità è tale che non senza ragione si dice abbiano tradotto ispirati dallo Spirito divino, data la loro straordinaria concordanza, rilevando che nella lingua ebraica le parole “ giganti ” e “ medici ” suonano quasi nello stesso modo ed è minima la differenza tra loro, hanno voluto precisarci, che non si tratta di errore ma di scelta intenzionale, per manifestarci in che senso si parli di “ giganti ” nel nostro passo. Se, infatti, col nome di giganti intendiamo che si voglia alludere ai superbi dei quali l’Apostolo dice: Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è l’investigatore di questo secolo? (1Co 1,20), non è errato chiamare medici questi tali giganti. Essi, infatti, promettono la salvezza delle anime mediante l’esercizio della loro sapienza. Contro costoro si dice: La salvezza è del Signore (Ps 3,9). Se intendiamo, invece, in senso buono la parola “ giganti ”, un gigante è proprio il Signore, dato che di lui si dice: Esultò come gigante nel percorrere la via (Ps 18,6). Anzi, egli è il gigante dei giganti, cioè, il più grande fra i grandi e i possenti che eccellano nella Chiesa per il loro vigore spirituale. Allo stesso modo è il monte dei monti, dato che di lui sta scritto: Negli ultimi tempi si manifesterà il monte del Signore, collocato sulla vetta dei monti (Is 2,2); o si dice che è il santo dei santi. Ebbene, anche in questa ipotesi, non è assurdo chiamare “ medici ” questi personaggi grandi e forti, ai quali si applicano le parole dell’apostolo Paolo: Se potrò, in qualche modo, rendere gelosa la mia carne, per salvare qualcuno di loro (Rom 11, 14). Ma anche questi medici non curano per la loro virtù, come del resto non curano per la loro virtù nemmeno i medici del corpo, e, sebbene possano giovare molto a guarire la gente con le loro assidue cure, tuttavia possono curare i viventi, non risuscitare i morti (dei quali è detto: Farai forse miracoli per i morti?). È, infatti, una grazia di Dio, e profondamente occulta, quella per mezzo della quale l’anima umana in qualche modo rivive e riesce ad ascoltare dal ministro del Signore i precetti della salute. Il Signore nel Vangelo ricorda questa grazia, allorché dice: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato. E poco più avanti ripete chiaramente lo stesso concetto, dicendo: Le parole che vi ho dette sono spirito e vita; ma vi sono alcuni tra voi che non credono. A questo punto l’Evangelista aggiunge: Fin dall’inizio, infatti, Gesù conosceva coloro che credevano, e chi era quello che lo avrebbe tradito; poi, ricollegandosi sempre alle parole del Signore, continua: E diceva: per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli sarà stato concesso dal Padre mio. Prima aveva detto: Ma vi sono alcuni di voi che non credono; poi, come per spiegare la causa di tale incredulità, aggiunge: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli sarà stato concesso dal Padre mio (Jn 6,44 Jn 6,64-66). In tal maniera mostra chiaramente che è Dio che ci dà la stessa fede con la quale si crede, e con la quale l’anima rivive sottraendosi alla morte del suo cuore. Siano, dunque, eccellenti quanto volete i predicatori della parola; rendano pure più persuasiva la verità con i miracoli; trattino pure con gli uomini da grandi medici! Se questi uomini sono morti, e non vengono riportati alla vita dalla tua grazia, farai, forse, miracoli per i morti; oppure i medici li risusciteranno, e - coloro che saranno risuscitati - ti loderanno? Questa lode indica che son vivi. Non sono più nella situazione di cui sta scritto: Dal morto, come da chi non è più, è impossibile che venga la confessione (Si 17,26).

11. [v 12.]Forse narrerà qualcuno la tua misericordia nel sepolcro, e la tua verità nella perdizione? Nella seconda parte di questo versetto è sottinteso il verbo della prima, come, cioè, se essa fosse così: Forse narrerà qualcuno la tua verità nella perdizione? La Scrittura ama unire la misericordia e la verità, soprattutto nei salmi. Che se dice: Nella perdizione, ripete con un’altra parola quanto aveva detto prima con: Nel sepolcro. Dicendo poi: Nel sepolcro, si riferisce a coloro che sono nel sepolcro, che già prima aveva designati col nome di morti, là dove diceva: Farai forse miracoli per i morti? Quando, infatti, un’anima è morta, il corpo ne costituisce il sepolcro. Per cui, a tali morti il Signore diceva nel Vangelo: Voi siete simili a sepolcri imbiancati, che al di fuori appaiono belli agli uomini, ma di dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni immondizia. Così anche voi dal di fuori sembrate giusti agli uomini, ma di dentro siete pieni di ipocrisia e di ingiustizia (Mt 13,1).

Nessuno va al Cristo se non attirato dal Padre.

12. [v 13.] I tuoi miracoli saranno, forse, conosciuti nelle tenebre, e la tua giustizia nella terra dimenticata? Significano la stessa cosa le parole tenebre e terra dimenticata. E con il nome di “ tenebre ” si indicano gli infedeli, come dice l’Apostolo: Un tempo voi foste tenebre (Ep 5,8). Del pari, la “ terra dimenticata ” è l’uomo che si è dimenticato di Dio. Difatti, un’anima infedele può giungere a un buio [spirituale] così fitto che, divenuta stolta, dica nel suo cuore: Dio non c’è (Ps 13,1). Il pensiero di tutta la frase, dunque, si connette e corre in questo modo: Signore, io ho gridato a te, in mezzo alle mie sofferenze; per tutto il giorno ho proteso le mie mani a te; cioè, non ho mai cessato di presentarti le mie opere al fine di glorificarti. E perché gli empi incrudeliscono contro di me, se non perché tu non farai miracoli per i morti? In altre parole: per gli empi non ci sono mezzi che li spingano alla fede, (né ci sono medici che possano risuscitarli al fine di lodarti), se in essi non opera occultamente la tua grazia che li attragga (Cf. Jn 6,44) a credere in te. Nessuno, infatti, viene a me se non colui che tu avrai attirato. Chi narrerà pertanto la tua misericordia nel sepolcro?, cioè all’anima morta, la cui morte è celata dietro l’involucro del corpo? E chi narrerà la tua verità nella perdizione? ossia a chi, essendo nella morte, è totalmente incapace di sentire e di credere queste cose? I tuoi miracoli e la tua giustizia saranno, forse, conosciuti nelle tenebre di questa morte? cioè dall’uomo che ha perduto la luce della vita dimenticando te?

Da Dio l’iniziativa della nostra salvezza.

13. [v 14.] Si presenterebbe qui un’altra questione, concernente l’impiego di questi morti: qual vantaggio, cioè, ne ricavi Iddio, a beneficio del corpo di Cristo, che è la Chiesa. Attraverso di loro, infatti, si rende evidente quale sia la grazia di Dio nei predestinati, che sono chiamati secondo il disegno divino. Per questo, il medesimo corpo di Cristo dice in un altro salmo: Il mio Dio! La sua misericordia mi preverrà. Il mio Dio nei miei nemici mi farà comprendere (Ps 58,11-12). Lo stesso, proseguendo, dice nel nostro Salmo: Anche io, Signore, ho gridato a te. In queste parole dobbiamo subito riconoscere che il Signore Gesù Cristo parla con la voce del suo corpo, cioè della Chiesa. Che significa, infatti, anche io, se non che anche noi fummo un tempo per natura figli dell’ira, come tutti gli altri (Cf. Ep 2,3)? Ma io ho gridato a te, per essere salvato. Infatti, chi mi distingue dagli altri figli dell’ira, se - a quanto ascolto - l’Apostolo rimproverava in modo terribile gli ingrati e diceva loro: Chi ti distingue? Che cosa hai tu che non l’abbia ricevuto? E, se l’hai ricevuto, perché ti glori come se non l’avessi ricevuto? (1Co 4,7) La salvezza appartiene al Signore (Ps 3,9); non si salverà il gigante, pur con tutto il suo grande vigore (Cf. Ps 32,16). Invece, come sta scritto: Chi avrà invocato il nome del Signore sarà salvo. Ma, come lo invocheranno, se non avranno creduto in lui? e in che modo crederanno se prima non l’hanno ascoltato? e come ascolteranno se nessuno lo annunzierà? e in qual modo l’annunzieranno, se non saranno mandati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che annunziano la pace, che annunziano i beni! (Rm 10,13-15 Is 52,7) Questi sono i medici che curano il viandante ferito dai predoni; ma è il Signore che lo conduce all’albergo (Cf. Lc 10,34), poiché i medici sono soltanto operai nel campo del Signore, e non è niente colui che pianta né colui che irriga, ma tutto è Dio, che fa crescere (Cf. 1Co 3,7). Per questo, anch’io ho gridato al Signore, cioè, ho invocato il Signore per salvarmi. E come avrei potuto invocarlo, se non avessi creduto in lui? E, come credere in lui se non lo avessi ascoltato? Affinché, però, io potessi credere a ciò che avevo ascoltato, è stato lui che mi ha attratto. Non è stato qualche medico che mi ha risvegliato in segreto dalla morte del cuore, ma è stato Dio stesso. Molti, infatti, hanno ascoltato - poiché la loro voce è corsa per tutta la terra e le loro parole sono giunte sino ai confini del mondo (Cf. Ps 18,5) - ma la fede non è di tutti (Cf. 2Th 3,2), e Dio conosce coloro che sono suoi (2Tm 2,19). Per questo, se non mi avesse prevenuto la misericordia di Dio, io non avrei neppure potuto credere. È lui che risuscita i morti e chiama le cose che non sono come se fossero (1Co 1,28); ed è stato lui che, chiamandomi in segreto, rianimandomi, attirandomi, mi ha tratto dalle tenebre e mi ha condotto alla luce della fede. Per questo aggiunge: E al mattino la mia preghiera presto giungerà a te. Al mattino, quando ormai son passate le tenebre e la notte dell’incredulità. Certamente mi ha prevenuto la tua misericordia, perché spuntasse per me un tale mattino, resta però da attendere quello splendore in cui saranno illuminati i segreti delle tenebre e manifestati i pensieri del cuore, quando ognuno otterrà da te la lode (Cf. 1Co 4,5). Ebbene, ora, in questa vita, in questo esilio, in questa luce della fede (che è già giorno a paragone delle tenebre degli infedeli, ma è ancora notte in confronto del giorno in cui vedremo Dio faccia a faccia) la mia preghiera giunga presto a te.

14. [v 15.] Ma, affinché questa preghiera sia fervida e continua (la qual cosa quanto sia utile, nessuno, a quanto io penso, può spiegarlo a parole), i beni eterni ci sono rinviati, mentre si moltiplicano i mali temporali. Per questo prosegue dicendo: Perché, Signore, hai rigettato la mia preghiera? Questo concetto è espresso anche nelle parole: Dio, Dio mio, guardami; perché mi hai abbandonato? (Ps 21,2) Si manifesta il desiderio di conoscere il perché, non si accusa la sapienza di Dio di aver fatto una tale cosa senza motivo. Allo stesso modo quando qui si dice: Perché, Signore, hai rigettato la mia preghiera? Se si esamina con diligenza il motivo di questa ripulsa, esso è già spiegato nelle parole precedenti. Infatti la preghiera dei santi sembra quasi respinta quando loro si ritarda la beatitudine c li si lascia fra le avversità e le tribolazioni; ma ciò avviene affinché si infiammi più ardentemente, come il fuoco quando lo si ravviva soffiandovi.

Il popolo di Dio nell’esilio e nella patria

15. [vv 15-19.] Si parla, poi, brevemente anche delle sofferenze del corpo di Cristo. Non le ha subite, infatti, soltanto il Capo, se è vero che Saulo ebbe a udire le parole: Perché mi perseguiti? (Ac 9,4) E Saulo stesso divenuto ormai Paolo e assurto in quel corpo alla dignità di membro eletto, dice: Ho da compiere nella mia carne ciò che manca delle sofferenze di Cristo (Col 1,24). Ebbene, perché, Signore, hai rigettato la mia preghiera, hai distolto la tua faccia da me? Io sono povero; e son fin dalla mia giovinezza in mezzo alle sofferenze. Dopo essere stato esaltato, sono stato umiliato e confuso. Su di me sono passate le tue ire, e i tuoi terrori mi hanno sconvolto. Mi hanno circondato come acqua per tutto il giorno; tutti insieme mi hanno circondato. Hai allontanato da me l’amico; i miei conoscenti son lungi dalla mia disgrazia. Tutte queste cose sono accadute ed accadono nelle membra del corpo di Cristo. Dio distoglie il suo volto da coloro che pregano e non li esaudisce in ciò che essi desiderano. Fa così perché essi non sanno che non giova loro quanto chiedono. E la Chiesa è povera, in quanto nell’esilio ha fame e sete di ciò che la sazierà in patria. Fin dalla sua giovinezza essa è in mezzo alle sofferenze. Lo dice in un altro salmo lo stesso corpo di Cristo: Spesso mi hanno assalito, fin dalla mia giovinezza (Ps 128,1). Che se alcune sue membra sono esaltate in questo mondo, è perché più grande ne sia l’umiltà. Sopra questo stesso corpo, cioè sopra l’unità dei santi e dei fedeli il cui capo è Cristo, passano le ire di Dio; vi passano, ma non vi restano. Le parole: L’ira di Dio resta su di lui (Jn 3,36), infatti, si riferiscono all’infedele, non al credente. Le minacce di Dio sconvolgono la debolezza dei fedeli: perché saggiamente si teme tutto ciò che può accadere, anche se non accade. Talvolta queste minacce sconvolgono profondamente l’animo di chi riflette sui mali che tutt’intorno lo sovrastano, sì da dargli l’impressione che siano come acque che premono da ogni lato e vogliano travolgere colui che teme. E, siccome queste prove non mancheranno mai nella Chiesa esule in questo mondo, colpendo senza tregua ora questi ora quei suoi membri, giustamente può dire: Per tutto il giorno, sottolineando con ciò la continuità nel tempo, cioè che esse continueranno finché non avrà termine questo secolo. Quanto agli amici e ai conoscenti, spesso per paura abbandonano i santi lasciandoli soli nei pericoli materiali. Ne fa fede l’Apostolo: Tutti mi hanno abbandonato; non ne siano accusati! (2Tm 4,16) Ma, perché accadono tutte queste cose? Accadono affinché al mattino giunga a Dio la preghiera di questo santo corpo. Vi giunga, cioè, nella luce della fede dopo la notte dell’infedeltà. Finché non venga poi quella salvezza già conseguita, non nella realtà ma solo nella speranza: salvezza che noi aspettiamo con fede e pazienza (Cf. Rm 8,24-25). Allora Dio non rigetterà più nessuna nostra preghiera, perché non ci sarà più nulla da chiedere, ma solo da ricevere quello che prima avevamo rettamente chiesto. Allora egli non distoglierà da noi il suo volto, perché lo vedremo qual è (Cf. Gv 1Jn 3,2). Non saremo poveri, perché la nostra ricchezza sarà Dio, presente tutto in tutti (Cf. 1Co 15,28). Non soffriremo, perché non resterà alcuna nostra miseria. Non saremo umiliati né confusi per esserci sollevati troppo in alto, né saremo molestati da avversità, poiché non ne incontreremo alcuna. Non si riverserà su di noi l’ira di Dio, neppure in modo passeggero, perché resteremo nella sua immutabile benevolenza. I suoi terrori non ci turberanno più, perché il mantenimento delle sue promesse ci renderà beati; e non si allontanerà da noi per paura né l’amico né il conoscente, là dove non ci sarà da temere alcun nemico.


Agostino Salmi 86