Agostino Salmi 138

SUL SALMO 138

138 Ps 138

ESPOSIZIONE

DISCORSO AL POPOLO

La parola di Dio è pane spirituale.

1. Ci eravamo preparati per l'esposizione di un salmo breve, comandando anche al lettore che ce lo cantasse. Improvvisamente però, a quanto sembra, dev'essersi confuso e ne ha letto uno invece di un altro. In questo sbaglio del lettore abbiamo intravisto la volontà di Dio, e questa abbiamo preferito seguire anziché la nostra decisione. Sarà un salmo abbastanza esteso, e se dovremo intrattenervi a lungo, non imputatelo a noi ma ritenete che Dio ci ha voluto imporre il presente lavoro, non certo senza vostro vantaggio. Come pena del nostro primo peccato non ci fu infatti imposta [solo] per scherzo la pena di guadagnarci il pane col sudore della fronte (Gn 3,19). Badate solo che sia pane. E sarà pane se sarà Cristo, il quale disse : Io sono il pane vivo disceso dal Cielo (Jn 6,41). Questo stesso Cristo, rivelato ora nel Vangelo, dobbiamo ricercare anche nei profeti. Se ci sono alcuni (come fu detto ieri alla vostra Carità) che non ve lo sanno vedere, è perché sopra il loro cuore è ancora steso il velo (Cf. Mt 27,51) ; ma, per quanto riguarda noi, quel velo fu squarciato durante il sacrificio vespertino offerto dal Signore in croce. I segreti del tempio ci sono svelati : Cristo ci viene annunziato. Ebbene, anche a prezzo di fatica e di sudore, mangiamo di quel pane.

Cristo capo e corpo.

2. Nei profeti parla il Signore nostro Gesù Cristo, e qualche volta parla proprio lui personalmente : parla cioè il nostro Capo, Cristo salvatore, che siede alla destra del Padre (Cf. Mc 16,19). Per amor nostro egli nacque dalla Vergine e sotto Ponzio Pilato subì i tormenti che voi conoscete (Cf. Lc 2,7 Lc 21,1 ss) : sparse il sangue innocente e con questo prezzo riscattò noi colpevoli dalla prigionia del diavolo a cui eravamo asserviti. Ci condonò le colpe commesse e, sempre con quel prezzo che fu il suo sangue, distrusse il documento che ci costituiva debitori (Cf. Col 2,13-14). Egli, il nostro Capo, è il sostegno della Chiesa, come ne è anche lo sposo e il redentore. Se poi è capo, è ovvio che abbia un corpo. Ora, questo suo corpo è la santa Chiesa : la quale è anche la sua sposa, come le dice l'Apostolo : Di Cristo voi siete il corpo e le membra (1Co 12,27). Ebbene, questo Cristo totale, capo e corpo, forma come un uomo completo, nel senso che anche la donna, come fu tratta dall'uomo, così fa parte dell'uomo, e di quella prima coppia fu detto : I due saranno una sola carne (Gn 2,24). L'Apostolo in queste parole scopre un mistero : esse non furono dette di quella coppia di persone esclusivamente, ma in quanto in esse erano rappresentati Cristo e la Chiesa. Così espone l'Apostolo la sua interpretazione : I due - dice - saranno una sola carne. Grande è questo sacramento ; io [lo] dico riguardo a Cristo e alla Chiesa (Ep 5,31-32). Quanto ad Adamo in particolare dice che era il simbolo di colui che sarebbe venuto, ed esattamente : Egli è il tipo di quello che ha da venire (Rm 5,14). Adamo, dunque, rappresenta [Cristo] venturo ; e come dal fianco di Adamo addormentato fu tratta Eva (Gn 2,21-22), così fu del Signore addormentato, cioè morto dopo la sua passione : dal suo fianco, squarciato dalla lancia mentr'egli era ancora sulla croce, scaturirono i sacramenti, attraverso i quali vien formata la Chiesa (Cf. Jn 19,34). Parlando infatti della passione di Cristo, in un altro salmo si dice cosi : Mi coricai e dormii ed [ecco] mi son levato, perché il Signore mi sostiene (Ps 3,6). Nel sonno quindi è da vederci la passione. Eva nacque dal fianco [di Adamo] addormentato, la Chiesa dal fianco [di Cristo] sofferente. Orbene, quando si leggono i profeti, in essi qualche volta ci parla il nostro Signore Gesù Cristo con accenti suoi propri, qualche altra volta invece con accenti nostri, poiché egli si degna farsi una sola realtà con noi, come fu detto : I due saranno una sola carne (Gn 2,24). Ne parla lo stesso Signore nostro nel Vangelo quando, a proposito di matrimonio, ebbe a dire : Essi pertanto non sono più due ma un'unica carne (Mt 19,6). Un'unica carne, in quanto lui assunse la nostra carne mortale, non però identica la divinità, perché egli [rimase] creatore e noi creature. Sta comunque di fatto che quando parla il Signore nella carne che ha assunta lo si può applicare e al Capo che salì al cielo e alle membra che ancora s'affaticano tra gli stenti di questo esilio terreno. Dico di quelle membra, tartassate da Saulo persecutore, in favore delle quali egli dal cielo gridò : Saulo, Saulo, perché mi perseguiti ? (Ac 9,4) Ascoltiamo quindi, in questa profezia, la parola del Signore Gesù Cristo. È vero infatti che i salmi furono composti molto tempo prima che il Signore nascesse da Maria, ma non prima che egli fosse nella sua dignità di Signore. Egli infatti, come creatore di tutto, è da sempre, anche se solo più tardi nacque nel tempo da una sua creatura. Facciamo un atto di fede nella sua divinità e, per quanto ci è consentito, cerchiamo d'intendere come sia uguale al Padre ; e ricordiamo che quella divinità, uguale al Padre, divenne [un giorno] partecipe della nostra condizione mortale, non crescendo in sé ma prendendo del nostro, affinché noi diventassimo partecipi della divinità di lui, non per delle nostre risorse ma per dono suo.

Cristo figlio di Dio e figlio dell'uomo.

3. [v 1.] Signore, mi hai messo alla prova e conosciuto. Dica questo lo stesso Signore Gesù Cristo. Sì, proprio lui dica al Padre : Signore. Suo Padre infatti gli è Signore, ma solo in quanto egli si è degnato nascere secondo la carne. Della sua divinità Dio è padre, della sua umanità invece è signore. Vuoi sapere come gli sia padre ? Per l'uguaglianza che con lui ha il Figlio. Lo dice l'Apostolo : Egli, essendo di natura divina, non considerò questa sua uguaglianza con Dio come una rapina (Ph 2,6). Nei riguardi di questa natura Dio è padre, essendo una natura identica alla sua, in quanto il Figlio unigenito è nato dalla stessa sostanza divina. Egli però, per amor nostro, si è fatto partecipe della nostra condizione mortale. Lo dicevo già prima : tale si è reso per risanarci, poiché partecipassimo della sua divinità e fossimo riammessi alla vita eterna. Così afferma di lui l'Apostolo nello stesso testo dove aveva cominciato col dire che egli, essendo di natura divina, non considerò questa sua uguaglianza con Dio come una rapina ; ma svuotò se stesso - dice - assumendo la natura di schiavo e facendosi simile all'uomo e nelle sembianze riconosciuto come uomo (Ph 2,7). Dunque, nella natura divina era uguale al Padre, ma assunse la natura dello schiavo, per la quale è inferiore al Padre. Per questo motivo nel Vangelo può affermare indistintamente : Io e il Padre siamo una stessa cosa (Jn 10,30), e : Il Padre è più grande di me. Io e il Padre siamo una stessa cosa (Jn 14,28), [lo dice] riferendosi alla natura divina ; Il Padre è più grande di me, riferendosi alla natura del servo. Siccome dunque Iddio gli è padre e signore, padre lo è rispetto alla natura divina, signore rispetto alla natura di servo. Lasciamo quindi parlare Cristo, e non stupiamoci né scandalizziamoci se, pur essendo l'unico Figlio di Dio, dice : Signore, mi hai messo alla prova e mi hai conosciuto. Mi hai messo alla prova e conosciuto, non nel senso che prima non lo conoscesse ma nel senso che l'ha fatto conoscere agli altri. Dice : Mi hai messo alla prova e mi hai conosciuto.

L'umiliazione e l'esaltazione di Cristo e dei fedeli.

4. [v 2.] Tu mi hai conosciuto quando siedo e quando sorgo. Cos'è nel nostro contesto il sedersi e il sorgere ? Chi si mette seduto s'umilia. Così il Signore si assise nella passione, si alzò nella resurrezione. Dice : Tu hai conosciuto questo, cioè tu l'hai voluto, l'hai approvato : è accaduto in conformità col tuo volere. Che se vorrai intendere la voce del Capo come applicata al corpo, diciamo anche noi : Tu mi hai conosciuto quando siedo e quando sorgo. L'uomo si mette seduto quando si umilia nella penitenza ; sorge quando, rimessi i peccati, si solleva alla speranza della vita eterna. Per questo anche in un altro salmo è detto : Alzatevi dopo d'essere stati seduti, voi che mangiate il pane del dolore (Ps 126,2). Mangiano il pane del dolore i penitenti, coloro che cantando in un altro salmo dicono : Le mie lacrime sono a me pane giorno e notte (Ps 41,4). Che significa allora : Alzatevi dopo d'essere stati seduti ? Non tentate d'elevarvi se prima non vi siete umiliati. Ci sono infatti molti che vogliono sollevarsi prima d'essersi posti a sedere ; vogliono apparire giusti, prima di confessare che sono peccatori. In conclusione, se le parole : Tu mi hai conosciuto quando siedo e quando sorgo le riferisci al nostro Capo, intendi che tu hai conosciuto la mia passione e la mia resurrezione. Se le parole : Tu mi hai conosciuto quando siedo e quando sorgo le riferisci al complesso del corpo significano che io ho confessato i miei peccati dinanzi ai tuoi occhi e sono stato giustificato per la tua grazia.

Riflessioni sul " Figliol prodigo ".

5. [vv 3.4.] Intendi i miei pensieri da lontano ; il mio cammino e il mio giacere tu scruti, e tutte le mie vie ti son note. Che significa : Da lontano ? Tu hai conosciuto il mio pensiero mentre io mi trovo ancora nell'esilio, prima che raggiunga quella patria. Ripensa a quel figlio più giovane. Anche lui divenne corpo di Cristo : è la Chiesa proveniente dal mondo pagano. E veramente era andato lontano quel figlio più giovane ! Ecco un padre di famiglia che ha due figli : il più grande non si allontana ma resta a lavorare nel campo. Rappresenta i santi che vivono nella legge e della legge compiono le opere e osservano i precetti (Cf. Lc 15,11-20). In opposta direzione era andata quella porzione dell'umanità che s'era abbandonata all'idolatria : s'era inoltrata per un lungo tratto nella strada dell'esilio. Cosa c'è infatti tanto lontano dal tuo Creatore quanto un idolo che tu stesso ti sei costruito ? Ecco dunque il figlio minore. È partito per una terra lontana recando con sé la porzione del suo patrimonio, che, come sappiamo dal Vangelo, consumò rapidamente conducendo una vita spendereccia insieme con le prostitute. Ridotto alla fame, si pose alle dipendenze di un notabile di quel paese, il quale lo incaricò di pascere i porci. Come quei porci egli voleva saziarsi di ghiande ma non gli era consentito. Soffrì gli stenti, fu nella tribolazione e nell'indigenza, e in quello stato gli tornò in mente il padre : ebbe voglia di tornare a casa. Disse : Mi alzerò e andrò dal padre mio. Disse : Mi alzerò, poiché stava seduto, sicché nelle parole di lui puoi riconoscere le parole di colui che nel nostro salmo dice : Tu mi hai conosciuto quando siedo e quando sorgo. Mi sono assiso cadendo in miseria, sono risorto desiderando il tuo pane. Intendi i miei pensieri da lontano. Ero partito per un luogo lontano, ma c'è forse un luogo dove non si trovi colui che avevo abbandonato ? Intendi i miei pensieri da lontano. Per questo dice il Signore nel Vangelo che il padre gli andò incontro mentre l'altro tornava (Lc 15,20). Certo ! quand'era ancora lontano ne aveva penetrato i pensieri. La mia via e il mio confine tu hai scandagliato. Dice : La mia via. Qual via, se non la via cattiva che egli aveva battuta abbandonando il padre, quasi che potesse nascondersi all'occhio di colui che l'avrebbe castigato ? Ovvero : gli sarebbe forse capitata quella miseria che lo annientò al segno di ridurlo a pascolare i porci, se non l'avesse voluto il Padre, il quale fino a tanto sferzò chi s'era allontanato finché non l'ebbe recuperato vicino ? Si tratta dunque di un fuggitivo scoperto e perseguitato dal giusto castigo di Dio. Dio infatti si prende la rivalsa su tutti i moti del nostro cuore, in qualsiasi direzione ci muoviamo allontanandoci [da lui]. Ecco ora questo fuggiasco, in un certo qual modo scoperto, parlare e dire : Tu hai scandagliato la mia via e il mio confine. Cos'è la mia via ? La direzione in cui mi ero avviato. Cos'è il mio confine ? Il punto dov'ero arrivato. Tu hai scandagliato la mia via e il mio confine. Il confine da me raggiunto, per quanto avanzato, non era lontano ai tuoi occhi : avevo fatto molta strada ma [là dov'ero arrivato] tu c'eri ancora. Tu hai scandagliato la mia via e il mio confine.

484 6. Tu hai preveduto tutte le mie vie. Non dice : Tu hai veduto, ma : Tu hai preveduto. Tu le hai previste prima che io le percorressi, prima che ci camminassi ; e hai permesso che io mi inoltrassi fra gli stenti per quelle mie vie, suggerendomi insieme, però, che, se mi fosse piaciuto essere esente da fatica, tornassi a percorrere le vie tue. Poiché non vi è inganno nella mia lingua. Qual è il motivo di queste parole ? È una confessione che ti faccio : percorrendo la mia via io mi sono allontanato da te ; ti ho abbandonato mentre sarebbe stata mia felicità restare con te. Per fortuna però ho avvertito quale sventura sia stata la mia lontananza da te. Se infatti mi fossi trovato bene senza di te, forse avrei ricusato di tornare a te. Chi pertanto confessa in questa maniera i suoi peccati, chi parla [così] è il corpo di Cristo dopo che ha conseguito la giustizia, non per le proprie risorse ma per la grazia di lui. Eccolo [quindi] dire : Non vi è inganno nella mia lingua.

La condizione dell'uomo mortale.

7. [v 5.] Ecco, o Signore, tu sai [già] tutto, le cose più recenti e le più antiche. Tu conoscesti la mia condizione finale, quando stavo pascendo i porci ; avevi anche conosciuto la mia condizione di prima, quando venni a chiederti la porzione della mia eredità. Le vicende iniziali furono l'origine dei mali successivi. Vicenda iniziale fu il peccato che ci fece decadere ; sorte conclusiva è la pena, per la quale ci troviamo nel presente stato di mortalità penosa e pericolosa. E volesse il cielo che sia questa la nostra condizione estrema ! Lo sarà se noi, da questo stato di miseria, ci decidiamo a tornare sui nostri passi. Altrimenti ci sarà un'altra meta ancor più remota : quella estrema miseria riservata agli empi ai quali sarà detto : Andate nel fuoco eterno che è preparato per il diavolo e i suoi angeli (
Mt 25,41). Quanto a noi, fratelli, è vero che fino ad un certo limite abbiamo abbandonato Dio. Ci bastino però gli stenti che soffriamo per la mortalità della nostra vita. Ricordiamoci del pane [che abbonda] presso il Padre nostro ; ripensiamo alla felicità che regna nella casa del nostro Padre. Non ci deliziamo delle ghiande dei porci, delle dottrine dei demoni. Ecco, o Signore, tu sai tutto, le cose più recenti e le più antiche. Le condizioni finali in cui mi son ridotto ; le condizioni iniziali, cioè del tempo in cui ti offesi. Tu mi hai modellato e hai posto su di me la tua mano. Quando mi hai modellato ? Quando mi collocasti nella presente condizione mortale destinandomi agli stenti tra i quali tutti nasciamo. È vero infatti che nessun uomo nasce senza che Dio lo plasmi nel grembo di sua madre e che non c'è alcuna creatura di cui egli non sia l'artefice. Tuttavia [qui] Mi hai modellato [si riferisce] al presente affanno, e hai posato su di me la tua mano [è detto del] la mano punitrice che grava sui superbi. Dio infatti ha voluto in questa maniera abbattere l'orgoglioso per sollevare l'umile. Tu mi hai modellato e hai posto su di me la tua mano.

Ciechi durante la Passione, illuminati a Pentecoste.

8. [v 6.] È diventata sorprendente nei miei riguardi la tua sapienza ; è troppo forte : non riuscirò a raggiungerla. Ecco ora una cosa in se stessa alquanto oscura ma che, quando la si è compresa, reca non poca dolcezza. Aprite la mente e ascoltatemi. Mosè fu un santo servo di Dio e Dio parlava con lui dalla nube ; poiché, per esprimersi in un linguaggio creato, doveva necessariamente parlare col suo servo assumendo una creatura (Cf. Ex 33,9 Ex 34,5). Non poteva parlare, cioè, direttamente con la sua sostanza ma doveva assumere un qualche essere corporale attraverso il quale emettere quelle voci ed indirizzarle ad orecchi umani e mortali. In questa maniera Dio parlava a quei tempi : non parlava comunicandosi attraverso la sua sostanza. In che senso si dice che Dio parla mediante la sua propria sostanza ? Parola di Dio è il Verbo di Dio, e Verbo di Dio è Cristo. Ora questo Verbo non risuona un istante e poi passa ; al contrario, rimane sempre e immutabilmente Verbo : quel Verbo mediante il quale tutte le cose sono state create (Cf. Jn 1,3). A questo Verbo (che poi è la stessa Sapienza di Dio) viene detto : Tu le muterai ed esse saranno mutate ; tu viceversa sei sempre lo stesso (Ps 101,27). E in un altro passo scritturale, riferito ancora alla Sapienza, si dice : Restando immobile in se stessa, rinnova tutte le cose (Sg 7,27). C'è dunque una Sapienza stabile (se pure è ben detto questo " stabile "), intendendo il termine nel senso di immutabile, non nel senso di immobile. È una Sapienza che rimane sempre la stessa, che non cambia per variare né di luogo né di tempo : mai si presenta in un modo qui e in un modo là, mai in un modo adesso, in un altro modo in passato. Questa è la [vera] Parola di Dio. Quanto alla parola indirizzata a Mosè, era una parola destinata a un uomo, e risultava di sillabe, di suoni transeunti : cosa impossibile se Dio non avesse assunto un essere creato capace di emettere tali accenti e così parlare. Mosè, uomo santo, conosceva che il linguaggio rivoltogli da Dio avveniva con la mediazione di creature corporee assunte da Dio ; per questo, desideroso, anzi smanioso, di vedere Dio di persona, rivolgendosi allo stesso Dio che gli parlava, disse : Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrami te stesso (Ex 33,13). Il suo desiderio era acuto. Facendo leva su quella specie di intimità familiare - se è lecito così esprimersi - di cui era stato favorito, voleva strappare a Dio [la grazia] di vedere la maestà del suo volto, se di volto di Dio può parlarsi. Ma Dio gli rispose : Non puoi vedere il mio volto, perché nessun uomo mi vedrà e poi rimarrà vivo. Quando passerà la mia gloria, ti metterò in una spaccatura della roccia e ti proteggerò con la mia destra ; quando invece sarò passato tu vedrai il mio dorso (Ex 33,20-23). Da queste parole sorge [per noi] un altro " enigma ", cioè una designazione di cose figurata e oscura. Dio gli dice : Quando sarò passato vedrai il mio dorso, quasi che Dio abbia da una parte la faccia, dall'altra il dorso. Lungi da noi un simile concetto della maestà divina ! Chi pensasse in questa maniera, cosa gli gioverebbe l'essere i templi ormai chiusi ? Si costruirebbe in cuore un idolo. In quelle parole, dunque, si racchiudono profondi misteri. L'ho già detto : Dio parlava col suo servo servendosi d'una creatura, secondo un piano della sua volontà, e in quel caso specifico poteva ben comprendersi [che si trattava] della persona del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. In effetti, è vero che Cristo nella natura divina nella quale è uguale al Padre (Cf. Ph 2,6) è, allo stesso modo del Padre, invisibile all'occhio umano. Difatti, se sfugge all'occhio carnale la sapienza dell'uomo, potrà quello stesso occhio carnale vedere la Potenza e la Sapienza di Dio ? A suo tempo, però ; il Signore avrebbe assunto la carne e sarebbe apparso visibile anche agli occhi del corpo, al fine di guarire e portare a salute l'interno dell'uomo, cioè l'anima, cosa che esigeva appunto anche la manifestazione esterna. Ebbene, predicendo a Mosé questo evento, gli disse : Non ti è lecito vedere il mio volto ; vedrai il mio dorso, ma quando sarò passato (Ex 33,22). Affinché poi tu non vegga il mio volto, ti coprirò con la mia mano. Per il Signore, in che cosa è consistito il suo " passare " ? Lo precisa l'Evangelista : Gesù sapendo giunta l'ora sua, di passare da questo mondo al Padre (Jn 13,1). E la parola " Pasqua " significa appunto passaggio : ciò che con parola ebraica si dice Pasqua in latino si deve tradurre " passaggio ". Ebbene, cosa significa : Non vedrai il mio volto, ma vedrai il mio dorso ? Chi rappresentava in quell'occasione Mosè, quando gli fu detto : Non vedrai il mio volto, ma vedrai il mio dorso, e questo quando sarò passato ?, e inoltre : Affinché poi tu non vegga il mio volto porrò sopra di te la mia mano ? Chiama suo volto le sue gesta iniziali e, per così dire, suo dorso il passaggio da questo mondo avvenuto nella sua passione. Apparve ai giudei, ma essi non lo riconobbero. E proprio costoro rappresentava Mosè quando gli si diceva : Tu non sei in grado di vedere il mio volto. Ma perché non videro Dio nascosto nella carne ? Perché la mano del Signore si era appesantita su di loro, come appunto aveva detto Isaia : Acceca il cuore a questo popolo e chiudigli gli occhi (Is 6,10), e come essi stessi con loro accenti dicono in quell'altro salmo : S'aggravò su me la tua mano (Ps 31,4). Sta di fatto che essi non riconobbero, allora, la divinità di Cristo ; se infatti l'avessero riconosciuta, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1Co 2,8 Cf. Jn 20 Jn 21), e, se non l'avessero crocifisso, il suo sangue non avrebbe redento l'universo. Cosa fece, pertanto, Iddio se non ricorrere (come dice l'Apostolo) alla profondità della ricchezza della sua sapienza e scienza ? Esclama infatti l'Apostolo : O profondità della ricchezza della sapienza e della scienza di Dio ! Come imperscrutabili sono i suoi giudizi, e non rintracciabili le sue vie ! Chi ha conosciuto il pensiero del Signore ? O chi gli fu consigliere ? O chi diede a lui per primo, sì da averne il contraccambio ? Poiché da lui e per lui e a lui ogni cosa ; a lui la gloria nei secoli dei secoli (Rm 11,33-36). Così parla l'Apostolo, che poco sopra ha detto : È avvenuto un accecamento in una parte d'Israele, e ciò fino a che non sia entrata la totalità dei gentili ; allora tutto Israele si salverà (Rm 11,25-26). In realtà un parziale accecamento s'è avverato nei giudei per colpa della loro superbia. Si ritenevano giusti e, accecati, crocifissero il Signore. Il Signore poi aveva posto sopra di loro la sua mano affinché non lo vedessero mentre passava, mentre cioè se ne andava da questo mondo al Padre. Osserviamo ora se essi, una volta avvenuto il passaggio, riuscirono a vedere il dorso di lui. Il Signore risorse e apparve ai discepoli e a tutti quelli che avevano creduto in lui. Non apparve, allora, a coloro che l'avevano crocifisso, perché su di loro aveva posto la sua mano finché non fosse passato. Trascorsi quaranta giorni con i discepoli, ascese al cielo, e, compiuto il tempo della Pentecoste, mandò loro lo Spirito Santo. Questo Spirito Santo riempì quegli uomini, che, sebbene nati dove unica era la lingua e sebbene educati a parlare un'unica lingua, cominciarono a parlare la lingua di tutti [i presenti] (Cf. Ac 1,3 Ac 2,1 ss). Quelli che avevano crocifisso il Signore, lì presenti a migliaia, rimasero sbigottiti e spaventati di fronte a un così strepitoso miracolo. Lo stesso miracolo li compunse nel cuore, sicché ricorsero agli Apostoli chiedendo qual decisione dovessero prendere, quale cosa dovessero fare. Questo fecero quegli uomini, dopo che fu loro predicato il Cristo, ancora sbalorditi di come persone ignoranti avessero potuto parlare tutte le lingue. Per bocca dell'apostolo Pietro fu loro annunziato quel Cristo che essi, mentr'era crocifisso, avevano disprezzato e schernito come un uomo mortale. Gli rinfacciavano perché non scendesse dalla croce, mentre fu molto più grande l'opera da lui compiuta risorgendo dal sepolcro che non quella, di scendere dalla croce. Ascoltato l'annunzio di Cristo, chiesero : Cosa dobbiamo fare ? (Ac 2,37) Sono gli stessi che poc'anzi s'erano accaniti contro il Signore presente davanti ai loro occhi. Ora chiedono un parere sul come salvarsi e si sentono rispondere : Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, a remissione dei vostri peccati (Ac 2,38). Ecco come essi non avevano veduto il volto di lui, ma ne videro il dorso. Sopra i loro occhi s'era prima stesa la mano di lui, ma non doveva durare per sempre : era solo finché lui non fosse passato. Difatti, una volta passato, egli scansò la sua mano dai loro occhi, ed essi, scansata appunto questa mano da dinanzi ai loro occhi, dicono ai discepoli : Cosa dobbiamo fare ? Avevano infierito, ora son pii ; erano stati pieni di rabbia, ora hanno paura ; erano stati ostinati, ora si piegano ; erano stati ciechi, ora ricevono la luce.

Le vie di Dio impervie all'uomo mortale.

9. Espressioni di questo genere dobbiamo riscontrare, a quanto sembra, anche nel nostro salmo : appartengono di preferenza ai pagani, memori della loro lontananza dalla fede. Dio infatti racchiuse tutti nell'incredulità per usare misericordia con tutti (Rm 11,32). Tu m'hai fatto e tieni su me la tua mano. [Troppo] meravigliosa è la tua scienza per me ; è troppo forte e io non posso [giungere] ad essa. Hai, in certo qual modo, posato la tua mano su di me e mi sei diventato mirabile. Finché ero con te, io non ti comprendevo : mi era così a portata di mano vedere il padre quando [ti] dissi : Dammi la porzione di beni che mi spetta (Lc 35,12). Partii allora per una regione lontana e fui sfinito dalla fame. È stato troppo per me ; mi si para dinnanzi una difficoltà enorme : non riesco a valutare a dovere quello che ho perduto. Dice : [Troppo] meravigliosa è la tua scienza per me. Per il mio peccato mi si è reso evidente quanto fosse meravigliosa e incomprensibile. Mi era infatti facile contemplarti finché per superbia non ti abbandonai. Meravigliosa è la tua scienza per me ; è troppo forte e io non posso [giungere] ad essa, ma, sottintendi, da me. Non riuscirò a raggiungerla da me. Se dunque ci riuscirò, sarà solo per mezzo tuo.

Lo schiavo fuggitivo e il fuggitivo di Dio.

10. [v 7.] Ecco, ora t'accorgi come colui che era scappato lontano non sfuggiva allo sguardo di colui che aveva abbandonato. E in qual parte del mondo si sarebbe potuto recare, se tutte le estremità [della terra] sono a lui note ? Osservate cosa dice : Dove andrò per sottrarmi al tuo spirito ? Lo Spirito del Signore riempie infatti tutta la terra (Cf. Sg 1,7), e chi, nel mondo, può fuggire lontano da quello Spirito che riempie il mondo ? Dove andrò per sottrarmi al tuo spirito ? E dove per sfuggire alla tua faccia ? Cerca un posto dove rifugiarsi per sfuggire all'ira di Dio. Ma ci sarà un luogo capace di ospitare uno che fugge lontano da Dio ? Quando gli uomini si dispongono ad ospitare dei fuggiaschi, domandano loro chi sia la persona dalla cui presenza son fuggiti ; e se risulta trattarsi d'uno schiavo fuggito a un padrone non troppo potente, lo ospitano più o meno senza paura e in cuor loro ragionano : Il padrone di costui non è tale che possa rintracciarlo. Se invece sentono che si tratta di un padrone potente, o non lo ospitano affatto o lo fanno con grande paura, sperando comunque che un uomo, per quanto potente, possa essere tratto in inganno. Quanto a Dio, invece, qual è il posto dove egli non è ? Ovvero ci sarà qualcuno in grado d'ingannare Dio ? o qualcuno che Dio non vede ? o qualcuno dal quale Dio non pretende la restituzione del suo servo fuggiasco ? Dove scapperà dunque questo fuggitivo che vuol sottrarsi allo sguardo di Dio ? Si volta da ogni parte, come cercando un luogo dove fuggire.

11. [v 8.] Dice : Se salirò in cielo, là tu sei ; se scenderò nell'inferno, là pure tu sei. Ti sei accorto finalmente, o perfido fuggiasco, che in nessuna maniera puoi allontanarti da colui che volevi abbandonare. Guarda ! egli è dappertutto ; e tu dove andrai ? Ha risolto ; e la risoluzione gliel'ha ispirata colui che per sua degnazione ormai lo sta richiamando. Se salirò in cielo, là tu sei ; se scenderò nell'inferno, là pure tu sei. Se vorrò innalzarmi, mi imbatterò in te che mi abbassi ; se vorrò nascondermi, mi imbatterò in te che mi cerchi, e non soltanto mi cerchi ma mi scopri. Se monterò in superbia a causa della mia giustizia, ivi sei tu, autore della vera giustizia. Se mi abbandonerò al peccato scendendo fino al fondo del male e trascurerò di confessare le mie colpe (Cf. Pr 18,3) (dicendo : Ma chi mi vede ? (Si 23,25) e : Nell'inferno c'è forse qualcuno che confessa a te ? (Ps 6,6)), anche laggiù mi sei vicino per castigarmi. Dove dunque me ne andrò, per sfuggire il tuo volto, cioè per non sentirti adirato [con me] ?

Fuggire sulle ali della carità.

485 12. [v 9.] Gli è balenata alla mente una idea. Dice : Così fuggirò lontano dal tuo volto ; così fuggirò lontano dal tuo Spirito. Dal tuo Spirito vendicatore, dal tuo volto minacciante castighi fuggirò così. Come ? Se riprenderò le mie penne per [andare] diritto e abiterò negli estremi confini del mare, allora potrò fuggire e sottrarmi al tuo volto. Se per sottrarsi al volto di Dio vuol fuggire fino agli estremi confini del mare, sarà, questo, segno che laggiù non c'è colui dal quale fugge e del quale or ora diceva : Se scenderò nell'inferno, là pure tu sei ? Strano che non sia agli estremi confini del mare colui che si trova presente anche negli inferi. Ma, dice, ora ho capito in che modo possa fuggire lontano dalla tua ira. Debbo riprendere le mie penne, non però per orientarmi in direzioni sbagliate ma giuste, senza cioè inorgoglirmi per superba presunzione e senza deprimermi in fatale disperazione. E quali sono le penne che vuol riprendere, se non quelle due ali che sono i due precetti della carità, quei precetti in cui si compendiano tutta la legge e i profeti (Cf Mt 22,40) ? Dice : Basta che recuperi queste ali, queste penne, e le usi in questa maniera, andando con esse ad abitare presso gli estremi confini del mare. Facendo così potrò insieme fuggire lontano dal tuo volto e dirigermi verso il tuo volto : potrò fuggire il tuo volto adirato e contemplare il tuo volto placato. In effetti, cos'è l'estremo confine del mare se non la fine del mondo ? Voliamo a quella meta con la speranza e il desiderio, avendo come ali i due precetti della carità. Non permettiamoci soste se non quando avremo raggiunto l'estremo confine del mare. Se infatti pretenderemo fermarci altrove, precipiteremo in mare. Voliamo fino al punto dove il mare finisce, sospesi con le penne del duplice amore. Nel frattempo voliamo a Dio con la speranza, e contempliamo anticipatamente con religiosa fiducia quella meta [lusinghiera] in cui termina il mare.

Cristo ci conduce al porto della felicità.

13. [v 10.] Notate ancora chi ci conduce [a quella meta]. Quello stesso dal cui volto adirato noi volevamo fuggire. Cosa aggiunge infatti ? Se scenderò nell'inferno, là pure tu sei. Se riprenderò le mie ali e m'indirizzerò per la via diritta. Dice : Riprenderò, significando che le aveva perse. Se riprenderò le mie ali e m'indirizzerò per la via diritta e giungerò ad abitare negli estremi confini del mare. Anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Meditiamo queste parole, fratelli carissimi ! Costituiscano esse la nostra speranza e la nostra consolazione. Mediante la carità riprendiamo quelle ali che avevamo perdute per colpa della cupidigia. Era diventata come un visco per le nostre ali e ci aveva strappati dalla libertà che godevamo nell'aria, quando cioè eravamo sospinti dal soffio liberante dello Spirito di Dio. Sottratti a quell'ambiente, perdemmo le ali e in certo qual modo diventammo prigionieri, in balia del razziatore. Da tale condizione però ci ha redenti col suo sangue colui che noi avevamo fuggito quando ci lasciammo imprigionare. Egli con i suoi precetti ci fa crescere le penne e, liberatele dal visco, siamo ormai in grado d'estenderle verso l'alto. Non amiamo il mare ma voliamo agli estremi confini del mare ! Nessuno abbia timore, ma d'altra parte nessuno riponga la fiducia nelle sue proprie penne ! Anche se forniti di penne, infatti, noi abbiamo bisogno d'essere da lui sorretti e accompagnati in porto. Altrimenti, se cioè riporremo la nostra fiducia nelle nostre forze, stanchi e sfiniti precipiteremo negli abissi del mare. È necessario quindi che noi abbiamo le ali ma è necessario ancora che lui ci conduca alla meta : egli infatti è il nostro soccorso. Siamo, è vero, forniti di libero arbitrio, ma se non ci aiuta colui che ci impone la legge, cosa possiamo noi con il nostro [tanto decantato] libero arbitrio ? Anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.

Cristo luce che ci allieta nelle nostre tenebre.

14. [v 11.] Considerando la lunghezza della via, cosa dice dentro di sé ? E dissi : Almeno le tenebre mi coprano ! Ecco, io ormai ho creduto in Cristo e volo verso l'alto sulle due ali del duplice precetto della carità. Tuttavia vedo abbondare l'iniquità del mondo e [so che], abbondando l'iniquità, la carità di molti si raffredderà. Son parole del Signore : Poiché abbonderà l'iniquità, si raffredderà la carità di molti (Mt 24,12). La mia vita in questo mondo scorre fra scandali tutt'altro che piccoli, fra una quantità enorme di peccati, fra una moltitudine spaventosa di tentazioni e di richiami al male (sono all'ordine del giorno). Ora in tal situazione - dice - cosa dovrò fare ? come arriverò agli estremi confini del mare ? Mi atterriscono le parole che ascolto dal Signore : Poiché abbonderà l'iniquità, si raffredderà la carità di molti ; e anche le altre che aggiunge : Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo (Mt 24,13). Pertanto, in vista della via così lunga [da percorrere], dicevo fra me : Almeno le tenebre mi coprano. E la notte [sia] luce nelle mie delizie. La notte mi si è cambiata in luce, poiché era proprio notte quando disperavo di poter traversare un mare così immenso, di percorrere una via così lunga e, perseverando sino alla fine, raggiungere il traguardo. Siano pertanto rese grazie a colui che mi ha cercato mentre ero fuggiasco, che mi ha sferzato col suo flagello piagandomi le spalle, che chiamandomi mi ha sottratto alla rovina e ha illuminato la mia notte. Finché infatti dura la vita presente è notte ; e come si è rischiarata questa notte ? Con la discesa di Cristo. Cristo assunse una carne terrena e così illuminò la nostra notte. Ripensiamo a quella donna che aveva perso la dramma (Cf. Lc 15,8). Accese la lucerna. Anche la sapienza di Dio aveva perso la [sua] dramma. Cos'è una dramma ? Una moneta ; in essa però era scolpita l'immagine del nostro stesso Imperatore. L'uomo infatti era stato creato a immagine di Dio (Gn 1,27), ma era andato perduto. Ora cosa fece quella donna saggia ? Accese la lucerna. La lucerna è fatta di terra, ma fa una luce che permette di ritrovare la dramma. Lucerna della sapienza è dunque la carne di Cristo, nata dalla terra ma rilucente del suo Verbo. Fu lei che ritrovò quanti si erano perduti. E la notte [sia] luce nelle mie delizie. La notte mi si è trasformata in gaudio. Nostro gaudio è infatti Cristo, e notate come già al presente godiamo di lui. Le vostre grida, codesta vostra gioia da che cosa proviene se non dalla delizia del vostro cuore ? E cos'è che vi dà tanta dolcezza, se non il sapere che la vostra notte è diventata piena luce, che anche a voi è annunziata la buona novella di Cristo Signore ? che egli vi ha cercati prima ancora che voi cercaste lui e vi ha trovati permettendo che anche voi a vostra volta trovaste lui ? E la notte [sia] luce nelle mie delizie.

Dio ci aiuta a uscire dalle tenebre del male.

15. [v 12.] Poiché le tenebre non sono oscure per te. È compito tuo quindi non accrescere le tue tenebre ; quanto a Dio infatti, non te le aumenta ma viceversa le rischiara. Così gli si dice in un altro salmo : Tu illuminerai la mia lucerna, Signore ; Dio mio, rischiarerai le mie tenebre (Ps 17,29). Ma chi sono coloro che, in contrasto con l'azione di Dio, rendono più dense le proprie tenebre ? Ovviamente si tratterà di uomini cattivi, perversi : i quali peccando diventano tenebre e poi, ricusandosi di confessare il peccato commesso, volendolo anzi difendere intensificano le proprie tenebre. Pertanto, se hai peccato sei nelle tenebre, ma meriterai di veder illuminate le tue tenebre se le confessi ; se al contrario vuoi difenderle, le rendi ancora più fitte. E come potrai uscire da tenebre raddoppiate tu che stentavi tanto a liberarti da una sola tenebrosità ? Riguardo invece a Dio, perché [dire che] non accresce le nostre tenebre ? Perché non tollera che i nostri peccati restino impuniti. Egli ci flagella con le presenti tribolazioni e così ci sottopone a disciplina. Sapete bene, infatti, che tutte le miserie che sopporta l'umanità e che fanno gemere il mondo sono un dolore medicinale, non una punizione vendicativa. Davanti al vostro sguardo si presenta ovunque il dolore, ovunque il timore, il bisogno, gli stenti. Vedete aumentare l'avarizia, ovviamente nei cattivi. Se dunque Dio con tali flagelli vuol renderci saggi e impedire che le nostre tenebre crescano di spessore, riconosciamo il nostro stato di persone sottoposte al flagello [divino] e benediciamo Dio che alle dolcezze della vita terrena mescola dell'amaro, affinché non ci accechi l'attrattiva delle gioie mondane e per esse smettiamo di desiderare le gioie eterne. In altre parole, non deve accadere che noi desideriamo un mare che non finisca mai, e cessiamo di interessarci di raggiungerne gli estremi confini. Siano pur furibondi i marosi : quanto più infuriano, tanto più quella colomba si librerà in aria con le sue ali. Dio dunque non accresce le nostre tenebre, tutte le volte che colpisce col flagello i nostri peccati e mischia dell'amaro alle nostre dolcezze disordinate. Che non succeda però che siamo noi ad aumentare le nostre tenebre, volendoci scolpare dei nostri peccati. Con tali precauzioni, la notte si illuminerà con [grande] nostra gioia. Poiché le tenebre non sono oscure per te.

Prosperità e avversità.

16. E la notte è chiara come il giorno. La notte come il giorno. Riteniamo nostro giorno la prosperità mondana e nostra notte l'avversità. Se però riconosceremo che le avversità c'incolgono a causa dei nostri peccati e se considereremo dolci i flagelli con cui il Padre ci colpisce per risparmiarci le amarezze della sua sentenza di giudice, allora non faremo differenza fra le tenebre della presente notte e la luce della stessa notte. Se è notte, come potrà esservi luce ? È notte in quanto, finché dura, il genere umano si caccia per vie sbagliate ; è notte perché non abbiamo ancora raggiunto quel giorno che non è coartato dall'ieri né dal domani ma è giorno perpetuo, senza aurora e senza tramonto. È dunque notte adesso, ma è una notte che, insieme con le sue tenebre ha anche una certa sua luce. Abbiamo spiegato in che senso, designata con termine generico, sia notte ; quanto poi alla luce di questa notte in che cosa consisterà ? Potremmo chiamare luce di una tal notte la prosperità e la felicità temporale, le gioie o gli onori del secolo ; mentre potremmo chiamare tenebre di questa notte le avversità e le amarezze, le tribolazioni o la mancanza di onori. In questa notte, in questa vita umana soggetta alla mortalità, gli uomini hanno una luce e hanno delle tenebre : ritengono cioè come luce la prosperità, come tenebre l'avversità. Ma ecco viene Cristo Signore e mediante la fede prende dimora in un'anima. Egli promette un'altra luce, e mentre ispira e dona la pazienza, ammonisce l'uomo a non riporre la sua felicità nelle prosperità materiali, se non vuol essere abbattuto dalle avversità. Ecco allora il pio credente cominciare [un'altra vita] : si serve con indifferenza delle cose di questo mondo ; non si inorgoglisce nelle prosperità né si abbatte nelle avversità ; al contrario, in ogni circostanza benedice il Signore. Non solo quand'è nell'abbondanza ma anche quando gli tocca perdere qualcosa ; non solo quando è sano ma anche quando è malato. Si avvera esattamente in lui quel che si canta : Benedirò il Signore in ogni tempo ; sempre la sua lode sulla mia bocca (Ps 33,2). Dunque sempre ; e sarà sempre sulla tua bocca la lode di Dio, se lo loderai quando la presente notte è luminosa e quando è tenebrosa, quando cioè ti arride la prosperità e quando arrivano afflizione e avversità. In tal modo si avvererà in te quel che abbiamo pronunziato adesso : Come le sue tenebre, così la sua luce. Le sue tenebre non mi schiacciano perché la sua luce non mi ringalluzzisce.

L'esempio di Giobbe.

17. Ecco come la sua luce splendeva in Giobbe. Egli era nell'abbondanza di tutte le cose ; e questa luce nella notte, consistente appunto nelle ricchezze, è la prima ad essere descritta. Quanti beni ! quanta abbondanza ! Gli avanzava tutto ; e questo sarebbe potuto essere la luce della sua notte. Il nemico credette che quell'uomo eminente servisse Dio per questo motivo, perché cioè gli era stata donata ogni sorta di beni, e chiese che gli venissero tolti. Divenne allora per lui densa di tenebre quella notte che prima era rischiarata dalla luce. Ma l'uomo di Dio sapeva bene che, o rischiarata dalla luce o sommersa dalle tenebre, si trovava in quella notte nella quale era pellegrino lontano dal suo Dio. E nel suo intimo aveva la luce costituita dallo stesso suo Dio, e in grazia di quella luce interiore gli erano indifferenti tanto le tenebre quanto la luce di quella notte. Egli, anche quando la notte era rischiarata dalla luce, quando cioè si trovava nell'abbondanza, serviva [unicamente] Dio ; per cui, quando gli vennero sottratte tutte le cose, quando arrivarono per lui le tenebre, cosa disse ? Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Come al Signore è piaciuto così è stato fatto : sia benedetto il nome del Signore (Jb 1,21). Quanto alla mia vita, mi trovo come in una notte ; il mio Signore però - disse - abita nel mio cuore. Un giorno lui mi illuminò la notte [della vita presente] con delle consolazioni, colmandomi di beni temporali ; ora mi ha tolto tale luce materiale e la notte si è fatta buia. Siccome però tanto valgono le sue tenebre quanto la luce, il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Come al Signore è piaciuto così è stato fatto : sia benedetto il nome del Signore. Nella notte di adesso non son triste perché, come [sono] le sue tenebre, così [è] la sua luce. Prosperità e avversità son cose transitorie, per cui chi gode ha da essere come se non godesse, e chi piange come chi è esente dal pianto (Cf. 1Co 7,30). E questo perché come [sono] le sue tenebre così [è] la sua luce.

486 Il Signore che ci ha presi per sé, manterrà le promesse.

18. [v 13.] Poiché tu hai posseduto i miei reni, o Signore. Non è senza motivo che, come [sono] le sue tenebre, così [è] anche la sua luce. Egli è uno che possiede interiormente, che occupa non soltanto il cuore ma anche i reni, non solo il pensiero ma anche il gusto. Egli possiede la facoltà di rendermi piacevole quel raggio di luce che mi illumina nella notte : egli occupa i miei reni, per cui non mi riesce di provare gusto diverso da quello che proviene dalla luce interiore della sua sapienza. E allora ? Non senti davvero alcuna gioia per le cose che ti van bene, per le stagioni favorevoli, per gli onori, le ricchezze, la famiglia ? Risponde : No, nessuna. Ma come mai ? Perché come [sono] le sue tenebre così [è] anche la sua luce. Ma dove hai acquistato codesta indifferenza per cui ti siano lo stesso e le sue tenebre e la sua luce ? dove ? Perché tu hai posseduto i miei reni, o Signore ; mi hai raccolto dal grembo di mia madre. Finché rimasi nel grembo di mia madre, non consideravo indifferenti le tenebre e la luce di quella notte. Chiamo qui " grembo di mia madre " le costumanze della mia città. E qual è questa città ? Quella in cui siamo tutti venuti alla luce e, per di più, in condizione di schiavitù. È Babilonia, città a noi ben nota e della quale abbiamo parlato ieri. Da questa città si staccano tutti coloro che aderiscono alla fede e sospirano alla luce ineffabile della Gerusalemme celeste. Dicevo dunque : Fin dal grembo di mia madre io fui raccolto dal Signore. Per questo fatto le tenebre di quella notte e la luce di quella notte mi son diventate indifferenti. Il rovescio è per chi rimane chiuso nel grembo di sua madre Babilonia : gode per le prosperità mondane e si abbatte per le medesime avversità ; non sa godere se non quando gli sopraggiunge qualche fortuna di tipo secolaresco, né sa rattristarsi se non quando gli capitano avversità dello stesso tipo. Esci una buona volta dal grembo di Babilonia e comincia a cantare l'inno al Signore ! Esci e vieni alla luce ! Uscito dal grembo di tua madre ti accoglierà Dio. Quale Dio ? Il Dio dell'apostolo Paolo, che poteva dire : Ma quando piacque a Dio, che mi aveva scelto fin dal seno di mia madre, di rivelare in me suo Figlio (
Ga 1,15-16). In effetti, chi era sua madre ? La sinagoga. E finché rimase in essa cosa imparò se non quel che, per averlo imparato, ritenevano i giudei, la stessa sua gente ? Della lode di Dio, in mezzo a loro, era rimasto il nome ma non la realtà : c'erano le parole della lode di Dio, come su di un albero le foglie ma non i frutti. Rassomigliavano a quel fico che, come ricordate, un giorno il Signore incontrò e maledisse facendolo seccare (Cf. Mt 21,19). Vi trovò infatti delle foglie ma niente frutti : e tutto questo per offrire a noi la figura di un'altra pianta. Per quanto infatti riguarda i frutti di quel fico, non ne era la stagione. Era una cosa risaputa da tutti, e il solo a non saperla sarebbe mai stato il Creatore del cielo e della terra (Cf. Mc 2,13) ? Orbene, colui che separò per sé Paolo fin dal grembo di sua madre, per sé ha separato anche noi fin dal seno di nostra madre. E qual è questa nostra madre ? Babilonia. Accolti da Dio fin dal seno materno, decidiamoci a sperare altre cose. Egli ci ha promesso, fratelli, dei [veri] godimenti. Ebbene se la vostra speranza è riposta in beni diversi [da quelli che promette il mondo], producetene i frutti. Per noi ormai non esiste altro male se non offendere Dio ed essere esclusi dalle sue promesse, né altro bene se non raggiungere quel premio che è Dio e conseguire le sue promesse. E riguardo ai beni e ai mali di questo mondo ? Manteniamoci nell'indifferenza : e questo perché raccolti da quello che fu il grembo di nostra madre, li consideriamo davvero indifferenti quando diciamo : Come [sono] le sue tenebre, così [è] la sua luce. Come non è la felicità mondana a renderci beati, così non sono le avversità mondane a renderci miseri. Quel che conta è conservare la giustizia, amare la fede, sperare in Dio, amare Dio e amare anche il prossimo. Terminati, allora, gli stenti della vita presente, godremo della piena luce, raggiungeremo il giorno che non tramonta. Viceversa, ciò che fa parte della presente notte, sia esso lucente sia esso tenebroso, passa : poiché tu Signore, hai posseduto i miei reni ; mi hai raccolto dal grembo di mia madre.

19. [v 14.] Confesserò a te, Signore, perché ti sei dimostrato terribilmente mirabile. Terribilmente mirabile. Tu sei terribile nell'atto stesso che noi ti ammiriamo, per cui il nostro godimento è misto a timore. Temiamo infatti che, montando noi in superbia per i tuoi doni, perdiamo meritatamente quanto avevamo conseguito con l'umiltà. Confesserò a te, Signore, perché ti sei dimostrato terribilmente mirabile : meravigliose sono le tue opere, e l'anima mia le conosce perfettamente. Adesso l'anima conosce perfettamente che tu mi hai raccolto dal grembo di mia madre ; antecedentemente la tua scienza era per me cosa sorprendente. Era eccessiva né io potevo far nulla per comprenderla. Sì, era eccessiva per me né io potevo comprenderla. Ma allora, come fa adesso l'anima mia a conoscerla appieno, se non perché quella notte si è illuminata riempiendomi di gaudio ? se non perché m'ha investito la tua grazia e ha illuminato le mie tenebre ? se non perché tu hai preso possesso dei miei reni ? se non perché tu mi hai raccolto dal grembo di mia madre ?

Un'ossatura cristiana.

20. [v 15.] Non è nascosto a te il mio osso, che hai creato nel segreto. Menziona il suo osso. Ciò che nel linguaggio popolare si chiama ossatura nel latino classico si chiama osso. Così troviamo in greco. In effetti, nel nostro caso potremmo supporre trattarsi di os (= bocca), da cui deriva il plurale ora (= bocche), e non (almeno correttamente) di quell'os, nominativo da cui deriva il plurale ossa.Dice dunque : Non è nascosto a te il mio osso, che hai creato nel segreto. Ho nell'intimo una certa ossatura. Chiamiamola pure così, poiché è meglio che ci rimproverino i puristi della grammatica anziché non ci capisca la gente. Ebbene - dice - dentro, nel mio intimo, c'è un'ossatura : è un'ossatura, questa che ho dentro dove nessuno vede, che tu mi hai formato e che non sfugge ai tuoi occhi. L'hai formata, è vero, in un posto occulto, ma forse che l'hai occultata anche a te stesso ? Questa ossatura, formata da te e collocata in posto occulto, gli uomini non possono vederla, non ce la sanno ; ma ben la sai tu, che l'hai formata. Cosa sarà mai quella che chiama ossatura, fratelli ? Cerchiamola, poiché è situata in luogo nascosto. Ma, poiché siamo cristiani che nel nome di Cristo parliamo a dei cristiani, scopriremo presto cosa sia quest'ossatura. È una robustezza interiore, poiché ben si raffigurano nelle ossa la robustezza e la forza. Sì, è una robustezza interiore dell'anima che le impedisce d'andare in frantumi. Ci si accaniscano contro i più svariati tormenti, le tribolazioni, le avversità che da ogni parte solleva il mondo. Ciò che nel nostro intimo Dio ha formato e reso stabile non può spezzarsi, non cede. Ora il Signore stesso ha posto in noi una robustezza, consistente nella nostra pazienza, della quale in un altro salmo è detto : Tuttavia a Dio resterà soggetta la mia anima, poiché da lui deriva la mia pazienza (Ps 61,6). E osserva come abbia nel suo interno questo genere di stabilità l'apostolo Paolo quando dice : Come coloro che son tristi, sempre però pieni di gioia (2Co 6,10). Perché : Come coloro che son tristi ? Per le offese, i vituperi, le persecuzioni, i flagelli, le ferite, le lapidazioni, le carceri, le catene. Chi non li avrebbe creduti miseri in simili condizioni ? Gli stessi persecutori avrebbero desistito dall'infierire contro di loro, se non avessero creduto che perseguitandoli li avrebbero ridotti in una condizione miserabile. Così li ritenevano i persecutori, arguendo ciò dalla propria miseria, non avendo nel proprio interno alcuna ossatura nascosta. I perseguitati viceversa, muniti di tale ossatura, al di fuori, cioè dinanzi agli uomini, apparivano tristi ma internamente essi godevano in Dio, al quale non era celata la loro ossatura, che lui stesso aveva formato là dove nessuno vede. L'apostolo Paolo palesa una tale ossatura, formata da Dio nel segreto, quando dice : Non solo, ma ci gloriamo pure delle tribolazioni (Rm 5,3). Ma come ? Non ti basta non essere triste, che anzi te ne vanti ? Accontentati di non essere triste. Risponde : Certo per il cristiano ciò sarebbe troppo poco. Tale infatti è l'ossatura che [Dio] ha formato nel mio intimo che sarebbe insufficiente non lasciarmi spezzare ma debbo anche vantarmene. Ma vantarti di che cosa ? Delle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce la pazienza. Osserva come si sia formata dentro al suo cuore quella robustezza. Sappiamo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la virtù provata, la virtù provata la speranza ; or la speranza non inganna : poiché la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo, che ci è stato dato (Rm 5,4-5). Così nell'intimo si forma e irrobustisce quell'ossatura che ci fa gloriare perfino delle tribolazioni. Tuttavia, dinanzi alla gente, essendo loro celato quel che abbiamo nell'intimo, facciamo la figura di miseri. Non è nascosto a te il mio osso, che hai creato nel segreto, e la mia natura nelle parti più basse della terra. Ecco, la mia natura è impastata di carne e si muove nelle parti più basse della terra ; tuttavia nel mio interno ho un'ossatura, formata da te, che non mi fa cedere dinanzi ad alcuna persecuzione che mi muove questo basso mondo. Lì è anche la mia consistenza. Cosa c'è infatti di straordinario se è forte un angelo ? Cosa straordinaria invece è che sia forte la carne. Ma come sarà forte la carne, come sarà forte questo vaso di creta se non perché in essa, occultata nel suo interno, vi è stata formata un'ossatura ? E la mia natura nelle parti più basse della terra.

La fortezza cristiana e l'esempio di Pietro.

21. [v 16.] E di coloro che son meno robusti cosa accadrà ? Ricordare, come già sopra esponevo, che chi parla è Cristo. Tuttavia, se molte cose son dette in riferimento al corpo, alcune devi ascoltarne riferite al Capo : non che il salmista introduca delle distinzioni, o presenti due persone, ora quella del Capo e ora quella del corpo, poiché, se introducesse tali distinzioni, farebbe come degli smembramenti e i due non sarebbero una sola carne (Cf. Ep 5,31-32). Se viceversa sono una sola carne, non stupirti se sono anche una sola voce. Quando il nostro Signore Gesù Cristo affrontò la passione, i discepoli non avevano quell'ossatura interiore di cui dicevamo sopra. Non aveva ottenuto sufficiente robustezza il vigore della loro pazienza : si nascondevano, non conoscendo qual forza possedessero. Pietro osò promettere che avrebbe condiviso la morte del Signore sofferente, ma non sapeva quanto fosse malato, mentre invece ben lo sapeva il suo medico. E allora cosa accadde ? Disse [Pietro] : Ti seguirò fino alla morte. Ti dico in verità : Prima che il gallo canti, mi negherai tre volte (Mt 26, 34-35, Lc 22,33-34). E i fatti comprovarono che la risposta del medico era più esatta che non la presunzione del malato. Quanto dunque dice il salmo, e cioè : Non è nascosto a te il mio osso, che hai creato nel segreto, va applicato a coloro nell'intimo dei quali l'ossatura è realmente salda, e soprattutto è da vedervisi la fortezza che nell'affrontare la passione ebbe il nostro Signore e Salvatore Gesù, il quale quando volle si pose a sedere e quando volle si alzò [in piedi], quando volle si addormentò e quando volle si ridestò. Diceva infatti : Ho il potere di dare la mia vita e ho il potere di prenderla di nuovo (Jn 10,18). Quanto agli altri, a coloro cioè nei quali non c'è una fortezza così perfetta e solida, cosa dice ? Nota le parole che al riguardo rivolge a Dio Padre : I tuoi occhi videro quanto in me c'è d'imperfetto. Quanto in me c'è d'imperfetto : il mio Pietro, ad esempio, prometteva e poi negava, presumeva e poi cedeva. Ma i tuoi occhi lo videro. E in ciò rientra lo stesso fatto che il Signore lo guardò, come sta scritto nel Vangelo, sicché, dopo la terza negazione, ripensando alla predizione del Signore, uscì fuori e pianse amaramente (Cf. Lc 22,61-62). Quel pianto derivò dall'essersi Dio rivolto a lui, nel senso che qui è detto : I tuoi occhi videro quanto in me c'è d'imperfetto. Pietro imperfetto e titubante [durante] la passione del Signore, sarebbe certamente andato perduto ; ma i tuoi occhi lo videro e videro non solo lui ma tutti gli altri [suoi compagni], ancora imperfetti finché non venne la resurrezione di Cristo a renderli robusti. Allora apparve ai loro occhi che la carne del Signore, già morta, non era perita per sempre, e nel loro intimo si formò quell'osso che escluse anche da loro il timore della morte. I tuoi occhi videro quanto in me c'è d'imperfetto ; e nel tuo libro tutti saranno scritti. Non solo i perfetti ma anche gli imperfetti. Non tema quindi chi è imperfetto ; cerchi solo di avanzare. Non che, per aver io detto di non temere, essi amino la loro imperfezione e s'arrestino nel punto dove sono stati incontrati [dal buon Pastore]. Avanzino quanto possono. Ogni giorno crescano [nel bene] e si avvicinino [a Cristo]. Soprattutto però non si stacchino dal corpo del Signore, ma, uniti con le altre membra, possano meritare che anche per loro sia stata pronunziata quella voce : I tuoi occhi videro quanto in me c'è d'imperfetto ; e nel tuo libro tutti saranno scritti.

Gli Apostoli durante e dopo la Passione.

22. Di giorno andranno errando e tra loro [non c'è] nessuno. Il giorno di cui qui [si parla] è ancora il nostro Signore Gesù Cristo : tant'è vero che poteva dire : Camminate finché è giorno (Jn 12,35). Ma di giorno andranno errando coloro che, di lui, sono la porzione imperfetta. Essi credevano che il nostro Signore Gesù Cristo fosse soltanto uomo e non nascondesse la divinità, che occulto [agli occhi umani] non fosse Dio ma fosse solamente ciò che appariva all'esterno. Credettero così anche loro. Credette così anche Pietro. Piace parlare più dettagliatamente di lui, nel quale ci si offre un esempio per cui mai è da disperare della propria debolezza. Questo Pietro, dunque, allorché il Signore si mise a interrogare i discepoli sulle opinioni della gente nei suoi riguardi, aveva risposto : Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo. E il Signore a lui : Beato te, Simone figlio di Giona, perché non la carne né il sangue tè l'hanno rivelato, ma il Padre mio, che è nei cieli (Mt 16,16-17). Perché ? Perché l'aveva proclamato Figlio di Dio. Andiamo un poco avanti. Nella stessa pagina [del Vangelo], nel contesto che segue immediatamente il precedente, cominciò il Signore a parlare della sua futura passione. E Pietro, quel Pietro che poc'anzi l'aveva proclamato Figlio di Dio, ebbe timore che come figlio dell'uomo morisse. Era infatti, Gesù, e Figlio di Dio e figlio dell'uomo : Figlio di Dio, uguale al Padre, per la natura divina ; figlio dell'uomo, e quindi inferiore al Padre, per la natura dello schiavo (Cf. Ph 2,6-7). Avrebbe affrontato certo la passione, ma con la natura del servo (Jn 14,28) : quindi cosa aveva Pietro da temere ? che, insieme con la natura del servo, perisse anche la natura divina ? Perché piuttosto non aver fiducia che ad opera della natura divina sarebbe tornata in vita la stessa natura di servo ? Gli disse : Non sia mai, Signore ! Dio te ne guardi ! (Mt 16,22) E il Signore, che con le altre parole lo aveva detto beato, gli replicò : Va' lontano da me, satana, perché non ragioni secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mt 16,23). Or ora, quando aveva detto : Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo, si era sentito rispondere : Non te l'hanno rivelato né la carne né il sangue, ma il Padre mio, che è nei cieli. Per questo pietra ; per questo beato. Adesso però non risponde più attingendo a una rivelazione del Padre ma conformandosi alla fralezza della carne e quindi è chiamato satana. Gli disse : Non ragioni secondo Dio ma secondo gli uomini (Cf. Mt 8,24). Anche quello era Cristo, fratelli. Aveva camminato con loro, aveva comandato ai venti ; dinanzi al loro sguardo aveva calcato i flutti (Cf. Mt 14,25) e, sempre dinanzi al loro sguardo, aveva risuscitato quel tale morto da quattro giorni e compiuto tanti altri miracoli (Cf. Jn 11,39-44). Eppure, durante la sua passione, essi ebbero paura : sembrò loro d'averlo perduto é d'aver riposto invano in lui le proprie speranze. Veramente durante il giorno andranno errando e fra loro [non c'è] nessuno. Proprio nessuno ; nemmeno colui che aveva protestato : Sarò con te fino alla morte (Lc 22,33). Rivolgendosi infatti a loro [il Signore] aveva detto : Verrà il giorno in cui mi lascerete solo e ciascuno se ne andrà per la propria strada. Ma non sono solo perché il Padre è con me (Jn 16,32). Con lui c'era il Padre e lui era col Padre, anzi il Padre era in lui e lui nel Padre. Poiché lui e il Padre sono una cosa sola. Tuttavia, quando moriva, i discepoli ebbero paura. Perché mai ? Non forse perché, quando fu il giorno, andarono errando e nessuno di loro era presente ? Di giorno andranno errando e tra loro [non c'è] nessuno.

23. [v 17.] Ma cosa significa : Di giorno andranno errando ? Forse che andranno in rovina ? Come allora resterebbe valida l'altra parola : I tuoi occhi videro quanto in me c'è d'imperfetto e nel tuo libro tutti saranno scritti ? Quando dunque errarono di giorno ? Quando non compresero il Signore dimorante quaggiù. E che seguì ? Dice : Sono stati da me molto onorati i tuoi amici, o Dio. Quegli stessi che errarono di giorno e fra loro non ci fu nessuno, divennero tuoi amici e, visti da me, ottennero grandissimi onori. Dopo la resurrezione del Signore si formò in loro, là dove nessuno vede, quel misterioso osso, sicché, mentre durante la sua passione erano stati timorosi, poi loro stessi affrontarono la morte per il nome di lui. Sono stati da me molto onorati i tuoi amici, o Dio ; sono stati resi ben saldi i loro principati. Divenuti Apostoli, divenuti capi delle chiese, divenuti quegli arieti che fanno strada alle greggi, sono stati resi ben saldi i loro principati.

L'incremento strepitoso della Chiesa.

487 24. [v 18.] Li conterò e diventeranno numerosi più della rena. Ad opera di coloro che di giorno erano andati errando e fra loro non c'era nessuno, ecco è nata tutta questa sterminata moltitudine che, simile alla rena, nessuno all'infuori di Dio riesce a numerare. Così infatti diceva : Diventeranno numerosi più della rena. Eppure poco prima aveva detto : Li conterò. Diventeranno numerosi più della rena quelli stessi che vengono contati. Se infatti a Dio è noto il numero dei capelli della nostra testa, dev'essergli noto anche il numero dei granelli di rena (Cf. Mt 10,30). Li conterò e diventeranno numerosi più della rena.

25. Sono risorto e tuttora sono con te. Che vuol dire : Sono risorto e tuttora sono con te ? Dice : Ho terminato la mia passione e sono stato sepolto ; ecco son risorto ma essi non si rendono conto che io sono con loro. Sono tuttora con te ; non sono, cioè, ancora con essi, in quanto essi non mi hanno ancora riconosciuto. Lo si legge nel Vangelo : il Signore nostro Gesù Cristo, dopo la sua resurrezione, apparve loro ma essi non subito lo riconobbero (Cf. Mt 28,17). Ma potrebbe avanzarsi un'altra interpretazione. Son risorto e tuttora sono con te sarebbe, cioè, da riferirsi al tempo presente quando il Figlio è occulto alla destra del Padre, prima che si manifesti in quello splendore di gloria con cui verrà a giudicare i vivi e i morti.

Le incongruenze e la rovina degli eretici.

26. [vv 19.20.] Continua poi a descriverci cosa accada in questo frattempo, nel periodo cioè che segue la sua resurrezione, mentre lui è presso il Padre. Ci narra dei patimenti che qui in terra soffre nel suo corpo che è la Chiesa per la mescolanza dei peccatori e per le lacerazioni operate dagli eretici. Continuando infatti dice : Se avessi ucciso, o Dio, i peccatori ; uomini sanguinari, allontanatevi da me, poiché dirai nel pensiero : conquisteranno nella vanità le loro città. La disposizione delle parole sembra essere questa : Se tu, o Dio, ucciderai i peccatori, essi conquisteranno nella vanità le loro città. Dicendoli " uccisi ", ce li lascia intendere uccisi dalla superbia di cui son gonfi e che li priva della grazia per cui sono in vita. Infatti il Santo Spirito della disciplina fugge l'ipocrita, e si allontana dai pensieri privi di senno (Sg 1,5). E questo è il modo in cui vengono uccisi i peccatori : la loro intelligenza si oscura e si estraniano alla vita di Dio (Cf. Ep 4,18). A causa dell'orgoglio non riescono a confessare [il proprio peccato] e quindi in loro, uccisi, si avvera il detto scritturale : Il morto, che non è più, ha perduto la possibilità di confessare (Qo 17,26). In questa maniera essi nella vanità conquistano le loro città, cioè le popolazioni loro soggette, vane e imitatrici della loro vanità. Gonfi [di superbia] e con sulla bocca il nome di giustizia, persuadono la gente cieca e ignorante a infrangere il vincolo dell'unità e a seguire loro che si presentano come campioni di giustizia. Il più delle volte, per staccarsi dall'unità [del corpo] di Cristo, trovano occasione nei cattivi contro i quali lanciano accuse e con i quali strombazzano di non voler essere in comunione. E siccome può darsi che davvero non si tratti di calunnie lanciate contro gente innocente, che essi reputano cattiva e fingono di voler fuggire, ma di critiche fondate, mosse a certi cattivi cristiani molto somiglianti agli eretici (son quei tali che non rompono il vincolo dell'unità ma fan gemere il frumento di Cristo (Cf Mt 3,12)), per questo motivo nel mezzo della frase pose le parole : Uomini sanguinari, via da me !, poiché dirai nel pensiero : conquisteranno nella vanità le loro città. E vorrebbe dire : Se riescono a sedurre le loro folle inducendole a separarsi [dalla Chiesa] e le corrompono con la loro propria vanità [è] perché tu nel pensiero dirai : Uomini sanguinari, via da me ! E questo ancora più chiaramente : Ci son peccatori spiritualmente morti a causa della loro superbia. Ebbene, costoro conquistino pure alla vanità le loro città, cioè le popolazioni loro favorevoli e, separandole [dall'unità], le sospingano nella vanità dell'errore ; anzi, come indispettiti per la mescolanza della paglia rompano pure l'unità e abbandonino il frumento. Quanto al frumento stesso, cioè i buoni fedeli, egli lì esorta a non volersi isolare apertamente dai cattivi prima che venga la vagliatura che dovrà esserci alla fine. Così facendo, infatti, potrebbero mandar dispersi anche i buoni che sono fra loro. Viceversa, esortandoli in certo qual modo a perseverare nella vita buona, e quindi differente [da quella degli altri], tacitamente fa loro dire [dal corpo di Cristo] : Uomini sanguinari, via da me ! Queste parole vengono loro dette da Dio, la cui voce è racchiusa nell'interno del pensiero, quasi che fosse Dio ad emetterla servendosi del pensiero del suo popolo santo. Quanto agli uomini sanguinari, chi sono se non coloro che odiano i propri fratelli ? Lo asserisce Giovanni : Chi odia suo fratello, è omicida (1Jn 3,15). Tali cose non comprendono i peccatori uccisi [dalle loro colpe], come cioè Dio servendosi del pensiero dei buoni possa dire ai cattivi : Uomini sanguinari, via da me ! Per questa ragione accusano i buoni perché seguitano a comunicare con i cattivi e, quanto a loro, separandosi sulla base di calunnie [dalla società dei buoni] conquistano mediante la vanità le loro città. È questa la parola che adesso vien detta ai cattivi nell'interno del pensiero dei buoni e che si udrà manifestamente quel giorno, quando dalla bocca stessa del nostro Capo verrà detto loro : Mai vi ho conosciuto : via da me voi tutti operatori d'iniquità (Mt 7,23).

Zelare l'unità della Chiesa.

27. [v 21.] Ecco ora come replica il corpo di Cristo, cioè la Chiesa : Cos'hanno da rinfacciarmi i superbi con le loro calunnie ? Come possono i peccati degli altri costituire per me una macchia per la quale si vedono costretti a separarsi [da me] e a conquistarsi nella vanità le loro città ? Non ho forse io odiato coloro che odiavano te, Signore ? Come fanno essi, che sono peggiori [degli altri], a pretendere che io mi separi anche esternamente dai cattivi ? Consentirò che, intervenendo prima della mietitura, venga sradicato insieme con la zizzania anche il [buon] grano (Cf. Mt 13,29) ? Rinuncerò, prima che giunga il tempo della vagliatura (Cf. Mt 3,12), a quella costanza che mi fa sopportare la [presenza anche della] pula ? Lascerò squarciarsi le reti della pace e dell'unità, prima che ogni specie di pesci venga tratta alla spiaggia perché siano separati gli uni dagli altri (Cf. Mt 13,47), come avverrà alla fine del mondo ? O che son forse proprietà dei cattivi i sacramenti che ricevo ? o son forse io in comunione con loro consentendo alla loro vita [perversa] e alle loro azioni [malvage] ? Non ho forse odiato coloro che odiavano te, Signore ; e mi struggevo [di sdegno] nei confronti dei tuoi nemici ? Non è forse vero piuttosto che, consumato dallo zelo per la tua casa, vedevo quegli insensati e me ne struggevo (Cf. Ps 68,10) ? Non è forse vero che, di fronte ai peccatori che abbandonavano la tua legge (Cf. Ps 118,53), mi sentivo pieno di disappunto ? Chi sono infatti i tuoi nemici se non coloro che dalla vita che conducono lasciano intravedere quanto odiano la tua legge ? Ebbene, se io odiavo tutta questa gente malvagia, come fanno i nemici (che son poi coloro che nella vanità conquistano le loro città), come fanno - dico - ad imputare a me i peccati di coloro che io odiavo e di fronte ai quali mi sentivo struggere di zelo per la casa di Dio ? Stando però così le cose, come la mettiamo con quell'Amate i vostri nemici (Mt 5,44) ? Forse che, avendo detto : I vostri, avrà escluso quelli di Dio ? Dice ancora : Fate del bene a quelli che vi odiano. Non dice : Coloro che odiano Dio. Per questo motivo avrà il salmista potuto dire : Non ho forse io odiato coloro che odiavano te, Signore ? Non dice infatti : Coloro che odiano me. E mi struggevo [di sdegno] nei confronti dei tuoi nemici. Dice : Tuoi, non miei. Tuttavia quanti ci odiano e ci son nemici per il fatto che serviamo Dio, cos'altro fanno se non odiare Dio stesso e diventare suoi nemici ? E allora ? Saremo forse dispensati dall'amare questi nostri nemici ? O non sarà vero che soffrono persecuzioni per la causa di Dio coloro a cui si dice : Pregate per coloro che vi perseguitano ? Nota bene, dunque, che cosa aggiunge.

Amare il peccatore e odiare il peccato.

28. [v 22.] Li odiavo con un odio perfetto. Che significa : Con un odio perfetto ? In loro io odiavo le colpe da loro commesse, ma amavo la creatura tua. Ecco come si odia con odio perfetto : non odiando la persona a causa dei suoi vizi e non amando i vizi in vista della persona. Ed ora osserva come continua : Mi son diventati nemici. Nemici non soltanto di Dio ma suoi nemici personali. Lo dichiara espressamente. Come, allora, metterà in pratica nei loro riguardi le parole che sopra diceva e cioè : Non ho forse odiato coloro che odiavano te ? e insieme quelle del Signore che comanda : Amate i vostri nemici ? Come adempirà il suo dovere, se non ricorrendo a quell'odio perfetto, per il quale nei cattivi si odia il fatto che sono cattivi e si ama la loro condizione di uomini ? C'è un esempio che risale ai tempi del Vecchio Testamento quando a quel popolo carnale venivano applicate sanzioni e pene esterne : si tratta di un uomo, che per l'intelligenza [del mistero] apparteneva al Nuovo Testamento, dico di Mosè, servo di Dio. Come poteva egli odiare quanti erano caduti in peccato, se nello stesso tempo pregava per loro ? e come non li odiava se li condannava a morte ? Li odiava con odio perfetto. E per la perfezione del suo odio, pur odiando le colpe che puniva, amava l'uomo per il quale pregava.

L'unità della Chiesa bene sommo ma minacciato.

29. [v 23.] Torniamo ora al corpo di Cristo. Alla fine sarà separato anche fisicamente dagli empi e dai malvagi, adesso però deve gemere in mezzo a loro. E ci sono peccatori come già messi a morte : son coloro che lanciano contro i buoni la calunnia di essere in comunione con i cattivi e, prendendo l'occasione - per così dire - dalla presenza di questi cattivi, si staccano totalmente dai buoni e dagli innocenti. In tal modo essi si conquistano nella vanità le loro città. Molti altri cattivi, viceversa, non se la sentono di seguirli nella loro separazione ma restano ancora [fra noi]. Restando mescolati ai buoni, questi buoni debbono sopportarli sino alla fine. Ebbene in tale situazione come si comporterà il corpo di Cristo che attraverso la pazienza si ripromette di produrre il suo frutto, sia del cento, sia del sessanta, sia del trenta per uno (Cf. Mt 13,23 Lc 8,15) ? Cosa farà l'amica di Cristo, situata in mezzo a figli [stranieri] come un giglio fra le spine (Cf. Ct 2,2) ? Quali sono i suoi accenti ? Quale la sua coscienza ? Quale la bellezza interiore di questa figlia del re (Cf. Ps 44,14) ? Eccotelo ! Ascolta le sue parole : Mettimi alla prova, o Dio, e conoscerai il mio cuore. Sì, tu, o Dio. Tu mi metterai alla prova ; tu mi conoscerai. Non l'uomo, non l'eretico, il quale non saprebbe né mettermi alla prova né conoscere il mio cuore. Se al contrario sei tu che mi provi, riscontrerai subito che io non consento alle opere dei cattivi, per quanto essi ritengano che io sia macchiato dai peccati altrui. In realtà mentre si prolunga il mio peregrinare sulla terra, faccio quel che gemendo affermo in quell'altro salmo : sono pacifico con coloro che odiano la pace (Cf. Ps 119,7), finché non giunga a quella visione di pace che corrisponde a Gerusalemme, la madre di tutti noi, la città eterna che ci attende nel cielo. Quanto a loro, invece, continuino pure a contestare, a calunniare e a separarsi [dall'unità] ; conquistino pure, non nell'eternità certo, ma nella vanità le loro città. Dunque, mettimi alla prova, o Dio, e conoscerai il mio cuore ; scrutami e conoscerai le mie strade. Ma perché questo ? Ascolta quel che segue.

Cristo via e vita eterna.

488 30. [v 24.] Dice : E vedi se in me c'è la via dell'iniquità e conducimi nella via eterna. Dice : Scruta le mie strade, cioè i miei propositi e i miei pensieri, e vedi se in me c'è la via dell'iniquità, da me commessa o accettata col consenso e conducimi nella via eterna. Cos'altro dice [con queste parole] se non : Conducimi in Cristo ? Chi è infatti la via eterna se non colui che è la vita eterna ? Eterno è colui che diceva : Io sono la via, la verità e la vita (Jn 14,6). Se pertanto nella mia via trovi qualcosa che non è gradito ai tuoi occhi, poiché la mia via è mortale, intervieni e conducimi nella via eterna, dove non c'è ombra di male, poiché, qualora ci fosse capitato di peccare, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto. Egli è l'espiazione per i nostri peccati (1Jn 2,1). È lui la via eterna dove non c'è peccato, come anche la vita eterna esente da castigo.

Conclusione.

31. Grandi meraviglie, fratelli ! In che maniera ci parla lo Spirito di Dio ! Come ci procura godimenti mentre si protrae ancora la presente notte ! Cos'è mai tutto questo, fratelli ? Ditecelo per favore ! Perché mai queste cose sono tanto più dolci quanto più misteriose ? Egli ha dei metodi impensati per prepararci delle bevande che ci inducano ad amarlo. Riveste di magnificenza i suoi stessi detti ; e quando noi, pur ripetendo cose a voi note, riuscivamo a trarre da tali passi conosciuti degli insegnamenti che potevano apparire oscuri, vi è sembrato d'acquisire cognizioni totalmente nuove. Non è vero infatti, o fratelli, che voi sapevate benissimo che nella Chiesa ci son cattivi da sopportare e che ogni sorta di scisma è da evitarsi ? E non sapevate ancora che occorre armarsi di pazienza e rimanere, finché non si arrivi alla spiaggia, dentro quella rete che raccoglie pesci buoni e pesci cattivi e che sarebbe un errore il volerla squarciare (Cf. Mt 13,47) ? Sarà infatti sulla spiaggia che avverrà la separazione, e i pesci buoni saranno riposti negli [appositi] recipienti mentre i cattivi saranno buttati via. Sono, tutte queste, delle cose che già conoscevate, pur non comprendendo a fondo i vari versetti del presente salmo. Ora che vi è stato spiegato quello che non capivate, si è come rinnovata la cognizione di quello che già prima sapevate.


Agostino Salmi 138