Agostino Salmi 1186

SULLO STESSO SALMO 118

1186 Ps 118

DISCORSO 5

La parola di Dio va ricordata e vissuta.

1. [v 9.] Carissimi, del salmo 118 consideriamo i seguenti versetti, scrutando con l’aiuto del Signore le sacre Lettere da lui inviateci. In base a che raddrizzerà il giovanetto la propria via ? Osservando le tue parole. Si pone un interrogativo e se ne dà la risposta. In base a che raddrizzerà il giovanetto la propria via ? È la domanda. Segue poi la risposta : Osservando le tue parole. Ove per “ osservanza delle parole di Dio ” è da intendersi la pratica dei comandamenti. Sarebbe infatti inutile avere nella mente le parole di Dio se non le si attuassero nella vita. Questo per alcuni che, mentre tengono a mente le parole di Dio e s’industriano di noli dimenticarle, non s’industriano poi di correggersi vivendo in conformità con esse. Ebbene il salmista non dice : “ In base a che il giovanetto eserciterà la sua memoria ? ” ; ma : In base a che il giovanetto raddrizzerà la propria via ? Alla quale domanda risponde : Osservando le tue parole. Ora una via non potrà mai dirsi diritta finché la vita sarà disordinata.

Chi sia il giovane descritto dal salmo.

407 2. Ma che c’entra qui il giovanetto ? Avrebbe potuto dire benissimo : “ In base a che l’uomo raddrizzerà la sua via ? ” ovvero : “ In base a che una persona raddrizzerà la propria via ? ” usando cioè una locuzione frequente nella Scrittura per la quale, nominandosi la parte per il tutto, si indica l’intera umanità menzionando solamente colui che per il sesso ne è la parte più ragguardevole. Non si deve infatti pensare che dalla beatitudine sia esclusa la donna che evita di scendere in mezzo all’assemblea degli empi ; eppure si dice : Beato l’uomo ! (Ps 1, l) Nel nostro salmo però non si parla né di uomo né di maschio ma di giovanetto. Dovrà quindi disperarsi della sorte dei vecchi ? O ci sarà, forse, qualcos’altro, diverso dal custodire le parole di Dio, e in base a questo qualcosa raddrizzerà il vecchio la sua via ? O sarà, forse, un richiamo concernente l’età nella quale soprattutto occorre raddrizzare la propria via secondo quel che altrove insegna la Scrittura : Figlio, comincia dalla tua giovinezza ad accogliere la dottrina e fino alla canizie scoprirai la sapienza (Si 6,18) ? C’è ancora un’altra spiegazione. Ci si potrebbe cioè riferire a quel figlio minore di cui parla il Vangelo : a quel figlio che, abbandonando il padre, fuggì in una lontana regione e sperperò i suoi averi vivendo dissolutamente con delle prostitute ; costui, dopo aver pascolato i porci e sofferto fame e stenti, tornò in sé e disse : Mi alzerò e tornerò da mio padre (Lc 15,18). In base a che questo giovane raddrizzò la sua via se non osservando la parole di Dio, di cui fu desideroso tanto quanto era affamato del pane paterno ? Né sembra che avesse raddrizzato altrettanto la propria via quell’altro fratello, il più anziano, che diceva : Ecco, ti servo da tanti anni e non ho trasgredito nemmeno una volta i tuoi ordini (Lc 15,29). Sì, veramente il figlio minore raddrizzò la sua via quando riconobbe d’averla sbagliata e resa tortuosa, quando cioè dinanzi al padre disse : Ormai non sono più degno di essere chiamato tuo figlio (Lc 15,21). Mi viene in mente anche una terza interpretazione che a me, per quanto posso capire con le mie risorse limitate, sembra preferibile alle due precedenti. Nell’uomo avanzato negli anni io vedrei l’uomo vecchio (Cf. 1Co 15,49), mentre nel giovanetto l’uomo nuovo. Col primo identificherei quanti portano l’effige dell’uomo terreno, con l’altro coloro che portano l’immagine dell’uomo celeste. E questo perché non è prima lo spirituale ma l’animale ; lo spirituale è posteriore (1Co 15,46). Per quanto dunque l’uomo sarà decrepito a causa degli anni e della vecchiaia per quel che concerne il suo corpo, egli sarà giovane dinanzi a Dio se si converte e riceve il rinnovamento, opera della grazia. In tal modo egli raddrizza le sue vie osservando le parole del Signore, vale a dire la parola della fede che noi predichiamo (Cf. Rm 10,8). La quale fede poi si traduce in opere mediante la carità (Cf. Ga 5,6).

La misericordia di Dio e la nostra miseria.

3. [v 10.] Ecco chi è il popolo giovane : il figlio della grazia l’uomo nuovo che canta il nuovo cantico, l’erede del Nuovo Testamento. Ecco il giovanetto. Non Caino ma Abele, non Ismaele ma Isacco, non Esaù ma Israele, non Manasse ma Efraim, non Eli ma Samuele, non Saul ma David. E ora state attenti alle parole che aggiunge. Dice : Con tutto il mio cuore ti ho cercato ; non allontanarmi dai tuoi comandamenti. Egli prega per essere aiutato ad osservare le parole di Dio, poiché, a quanto aveva detto, è in tal maniera che il giovane raddrizza la sua via. In realtà proprio a questo equivalgono le parole : Non allontanarmi dai tuoi comandamenti. Che significa infatti essere scacciati da Dio se non venire privati del suo aiuto ? La fragilità umana infatti non potrà adeguarsi ai comandamenti di Dio, che sono giusti ma difficili, se non le venga incontro l’aiuto del suo amore preveniente. E dell’uomo privato dell’aiuto divino si dice [nel salmo] che Dio giustamente lo allontana, quasi riprendendo l’immagine della spada fiammeggiante che, a chi se ne è reso indegno, impedisce di stendere la mano all’albero della vita (Cf. Gn 3,24). Ma chi ne sarà degno, dopo che per la colpa di quel solo uomo è entrato nel mondo il peccato e, tramite il peccato, anche la morte, la quale è così dilagata in tutti gli uomini per colpa di colui nel quale tutti hanno peccato (Cf. Rm 5,12) ? Ma la misericordia di Dio, senza nostri meriti, sana la nostra miseria e condona il nostro debito ; e a questo si riferisce colui che nel salmo pronunzia le parole : Io ti ho ricercato con tutto il cuore. Come avrebbe potuto far ciò se, quando era rivolto in tutt’altra direzione, non l’avesse richiamato colui al quale è detto : O Dio, tu ci convertirai e ci darai la vita (Ps 84,7) ? Come l’avrebbe potuto, se quand’era smarrito non l’avesse ricercato ? e quand’era fuori strada non l’avesse richiamato, colui che dice : Io cercherò chi s’è smarrito e richiamerò chi ha perso la strada (Ez 34,16) ?

Necessità dell’aiuto divino per conoscere ed osservare la Legge.

4. [vv 11.12.] Ecco come l’uomo riesce a raddrizzare la propria via osservando le parole del Signore. Ci riesce perché Dio lo sorregge e opera in lui. L’uomo da solo non ne sarebbe capace, conforme attesta il profeta Geremia quando dice : O Signore, so che non è in potere dell’uomo [scegliere.] la sua via, né è l’uomo a muoversi e a rettificare la propria via (Jr 10,23). È quel che poc’anzi desiderava ottenere dal Signore anche il salmista quando esclamava : Oh, siano dirette le mie vie ! (Ps 118,5) Né altrimenti suonano le parole che qui aggiunge : Ho nascosto nel mio cuore le tue parole per non peccare contro di te. Invoca subito l’aiuto divino, affinché le parole di Dio non abbiano a restare nascoste e infruttuose in fondo al suo cuore : cosa che sarebbe successa se non fossero seguite le opere della giustizia. Detto questo, soggiunge : Tu sei benedetto, o Signore ! Insegnami le vie della tua giustizia. Dice : Insegnamele, come l’han comprese coloro che le mettono in pratica, non coloro che le tengono a mente solo per aver qualcosa di cui parlare. Veramente, già prima aveva detto : Ho nascosto nel mio cuore le tue parole per non peccare contro di te. Che senso ha quindi ricercare e voler apprendere delle cose, quando queste stesse cose sono già custodite nel segreto del cuore ? Se non le avesse imparate, non potrebbe far nulla del genere. Aggiungendo quindi : Insegnami le vie della tua giustizia, che altro vuol dire se non che vuole impararle nell’attuazione pratica, e non soltanto ritenerle a parole o col ricordo della memoria ? Egli si conforma con quell’altro salmo, ove si dice : Chi ha dato la legge darà la benedizione (Ps 83,8) ; e per questo esclama : Tu sei benedetto, o Signore ! Insegnami le vie della tua giustizia. Quando io nascondevo nel mio cuore le tue parole per non peccare contro di te, dimostravo che tu mi avevi dato la legge. Dammi anche la benedizione della grazia, affinché impari nella pratica ciò che mi avevi comandato con la legge. Basta per ora ! in modo che le vostre menti si nutrano senza esserne appesantite. Le parole che vengono appresso esigono un altro discorso.

SULLO STESSO SALMO 118

1187 Ps 118

DISCORSO 6

I giudizi e le iustificationes di Dio.

1. [v 13] Il presente discorso ha come tema iniziale il versetto del salmo che stiamo trattando ove si dice : Con le mie labbra ho proclamato tutti i giudizi della tua bocca. Che significa questo, o carissimi ? Che significa ? Chi sarà in grado di proclamare tutti i giudizi di Dio, quando non si è in grado nemmeno di penetrarli ? Dovremmo forse mettere in dubbio l’esclamazione dell’Apostolo : O profondità delle ricchezze della sapienza e scienza di Dio ! Come imperscrutabili sono i suoi giudizi e inesplorabili le sue vie (Rm 11,33) ? E lo stesso nostro Signore affermava : Ho da dirvi ancora molte cose, ma per il momento non siete capaci di riceverle (Jn 16,12). È vero che subito dopo assicurò ad essi, mediante l’opera dello Spirito Santo, la pienezza della verità ; però, nonostante questo, l’apostolo Paolo è perentorio nel dire che la nostra conoscenza è parziale (1Co 13,9 1Co 13,12). Sicché dobbiamo concludere che, sebbene mediante lo Spirito Santo, di cui abbiamo ricevuto il pegno, noi siamo introdotti nella conoscenza di tutta la verità, questa pienezza si realizzerà quando saremo passati all’altra vita : quando cioè, terminata la conoscenza speculare ed enigmatica della vita presente, vedremo Dio faccia a faccia. Come fa allora il salmista ad asserire : Con le mie labbra ho proclamato tutti i giudizi della tua bocca ? Tanto più che a dire così è colui che poco prima, anzi nel versetto immediatamente precedente, invocava : Insegnami le vie della tua giustizia (Ps 118,12). Come potrà mai proclamare tutti i decreti della bocca di Dio uno che sente ancora il desiderio di imparare le vie della sua giustizia ? Conosceva forse al completo i decreti divini, mentre riguardo alle vie di, sua giustizia sentiva ancora il desiderio di impararle meglio ? Ma questo è ancora più sorprendente : conoscere ciò che in Dio è insondabile e ignorare ciò che egli ha ordinato agli uomini di fare ! Infatti per “ vie di giustizia ” s’intendono non le parole indicanti giustizia ma le azioni giuste, cioè le opere compiute dai giusti in conformità con i comandamenti di Dio. Le quali opere, se vengono dette “ di Dio ”, pur essendo compiute da noi, è perché, se egli non ci desse la capacità di farle, noi non le compiremmo. Quanto invece ai giudizi di Dio, di per sé sono le norme secondo le quali egli giudica il mondo adesso e alla fine dei tempi ; tuttavia, siccome nell’ambito del termine “parola di Dio” sono contenute tutt’e due le cose (cioè le ingiunzioni e i decreti), rimane aperta la questione come mai egli possa desiderare di conoscere le vie della giustificazione divina mentre afferma di possedere nell’intimo del proprio cuore le parole del Signore. Così infatti diceva : Ho nascosto nel mio cuore le tue parole per non peccare contro di te (Ps 118,11) ; e continuava : Sei benedetto, o Signore ! Insegnami le vie della tua giustizia (Ps 118,12). E immediatamente dopo : Con le mie labbra ho proclamato tutti i giudizi della tua bocca. In realtà, le due affermazioni non sono fra loro contrastanti ma piuttosto affini e omogenee. Chi infatti si cela in cuore le parole del Signore, ovviamente con le labbra ne proclama i giudizi come è scritto : Con il cuore si crede, conseguendone la giustizia ; con la bocca si professa la fede e si ottiene la salvezza (Rm 10,10). Tuttavia tra queste due espressioni c’è in mezzo l’altra che suona : Sei benedetto, o Signore ! Insegnami le vie della tua giustizia (Ps 118,12). Ora non si vede come ad un uomo che ha in cuore le parole del Signore e che con le labbra proclama tutti i suoi giudizi possa adattarsi il desiderio di voler conoscere le vie della giustizia divina. Occorrerà forse intendere la frase nel senso che egli in tanto le vuole imparare in quanto vuole praticarle, e non soltanto tenerle a mente e parlarne : mostrandoci in tal modo che anche noi dobbiamo chiedere a Dio la stessa cosa, sapendo che senza di lui non possiamo far nulla. Son problemi che abbiamo trattati in uno dei precedenti discorsi, mentre adesso ci siamo assunti il compito di spiegare, con l’aiuto di Dio, in che senso abbia potuto affermare che egli proclama con le proprie labbra tutti i giudizi della bocca di Dio, mentre la Scrittura li definisce inscrutabili e così profondi che in un altro passo delle Scritture è detto : I tuoi giudizi sono un abisso sconfinato (Ps 35,7).

Impossibile conoscere i segreti di Dio senza una sua rivelazione.

2. Vogliate por mente al significato che diamo a questo versetto. Forse che la Chiesa non conosce i giudizi di Dio ? Li conosce certamente : e ciò per il fatto che conosce quali saranno le persone alle quali il Giudice dei vivi e dei morti dirà : Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il Regno (Mt 25,34), e quali quelle cui verrà detto : Andate al fuoco eterno (Mt 25,34). La Chiesa cioè sa che dal regno di Dio saranno esclusi i fornicatori, gli idolatri e tutti gli altri che in quel capitolo elenca l’apostolo Paolo (Cf. 1Co 6,9 ss). Sa che ira e vendetta, afflizione e angoscia si riverseranno sull’anima di chiunque abbia compiuto il male, prima sui Giudei e poi sui Greci ; mentre per chi ha operato il bene, prima per i Giudei e poi per i Greci, ci saranno gloria, onore e pace (Cf. Rm 2,8-10). Questi giudizi di Dio, come pure molti altri simili a questi contenuti esplicitamente nella rivelazione, sono certo noti alla Chiesa ; tuttavia questo non è tutto. Ci sono diversi giudizi divini che rimangono imperscrutabili e, come abisso sconfinato, sono profondi e celati [a menti umane]. Ma non sarà il caso di pensare che anche questi giudizi sono conosciuti dalle membra più insigni di quell’uomo che, insieme col suo Capo e Salvatore, costituisce il Cristo totale ? Essi sarebbero quindi detti imperscrutabili probabilmente perché l’uomo non è in grado di penetrarli con le sole sue forze. Ma perché dirli imperscrutabili dall’uomo cui il Signore si degna di conferire lo Spirito Santo e i suoi doni ? Analogamente in un passo scritturale si dice : Dia abita in una luce inaccessibile (1Tm 6,16) ; eppure altrove ci si rivolge l’invito : Avvicinatevi a lui e sarete illuminati (Ps 33,5). È una antinomia che si risolve avvertendo che Dio è inaccessibile alle nostre sole forze, mentre lo si può raggiungere mediante i suoi doni. Peraltro, a nessuno dei santi [individualmente presi.], finché il corpo mortale appesantisce l’anima (Cf. Sg 9,15), è dato conoscere al completo i giudizi di Dio, che effettivamente superano di molto le capacità dell’uomo. Di fatti, tanto per fare un esempio da cui si può arguire la infinita portata dei disegni divini, non c’è persona deficiente nell’anima o minorata nel corpo che non sia tale per un giudizio di Dio. Tuttavia la Chiesa, cioè il popolo che Dio s’è conquistato, può dire (e dirlo con verità) : Nelle mie labbra ho proclamato tutti i giudizi della tua bocca. Vuol dire : Non ho taciuto alcuno dei tuoi giudizi che tu hai voluto mi fossero manifestati mediante la tua rivelazione ; anzi io li ho predicati tutti, proprio tutti, con la mia bocca. Questo infatti mi sembra che abbia voluto indicare il salmista quando non ha detto : Tutti i tuoi giudizi ; ma : tutti i giudizi della tua bocca, cioè quei giudizi che tu mi hai rivelato. Per “ bocca di lui ” insomma dobbiamo intendere la sua parola, cioè la rivelazione divina comunicata a noi ad opera dei molti santi dei due Testamenti, che la Chiesa non cessa di proclamare con le sue labbra al completo e in ogni luogo.

Cristo testimonianza suprema dell’amore di Dio salvatore.

3. [v 14] Andando avanti soggiunge : Nella via delle tue testimonianze io mi sono rallegrato, quasi possedessi tutti i tesori. Per “ via delle testimonianze di Dio ” non intendiamo se non il Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza divina (Cf. Col 2,3). È l’interpretazione più ovvia, più assodata, più semplice e più esauriente. Infatti non per nulla anche il Salmista si dice rallegrato - o deliziato - in tale via quasi possedesse tutti i tesori. In realtà sono testimonianze di Dio tutte le prove mediante le quali egli si degna dimostrarci quanto ci ami. Ora, l’amore di Dio per noi è documentato dal fatto che, mentre noi si era peccatori, Cristo è morto per noi (Cf. Rm 5,8). Parlando di se stesso il Signore diceva : Io sono la via (Jn 14,6) ; e praticamente l’umiltà che accompagna la sua nascita nella carne e la sua passione attestano con estrema evidenza la grandezza dell’amore che Dio ha per noi. Sicché la via delle testimonianze di Dio è senza alcun dubbio il Cristo. In virtù delle testimonianze divine che vediamo già adempiute in lui, attendiamo con fiducia che si adempiano anche quelle che riguardano il nostro avvenire, cioè le promesse eterne. Se infatti Dio non risparmiò il suo Figlio diletto ma lo immolò per il bene di noi tutti, come non ci avrà donato insieme con lui tutte le altre cose ? (Cf. Rm 8,32)

408 La Chiesa instancabile nel polemizzare con gli increduli.

4. [vv 15.16.] Prosegue : Nei tuoi comandamenti profonderò parole e considererò le tue vie. Il testo greco reca ; termine che i traduttori latini hanno reso alcuni con “ profonderò parole ”, altri con “ mi eserciterò ”. Sono due termini, a quanto pare, assai lontani l’uno dall’altro ; ma se per “ esercitarsi ” si intende una esercitazione d’ingegno in cui dalla disputa non sia escluso un certo godimento, allora i due termini vengono a coincidere, in quanto i due comportamenti si contemperano l’un l’altro in modo che dall’esercizio non viene esclusa una certa loquacità. Ai loquaci infatti si dà anche il nome di parolai. Ora la Chiesa, quando nella persona dei suoi dottori polemizza con abbondanza d’argomenti contro i nemici della fede cristiana e cattolica, si esercita nei comandamenti del Signore al segno di divenire loquace ; ma perché tali dispute siano fruttuose a chi le intraprende, non si deve aver di mira altro fuorché le vie del Signore, le quali, come sta scritto, sono misericordia e verità (
Ps 24,10) : quella misericordia e verità la cui pienezza si trova in Cristo. Mediante questo gustoso esercizio si realizza ancora quanto si dice nel verso che segue : Io mediterò nelle vie della tua giustizia né dimenticherò le tue parole. Le mediterò al fine di non dimenticarle. Come si dice nel primo salmo, che è beato colui che giorno e notte medita sulla legge del Signore (Cf. Ps 1,2).

Parola di Dio e impegno di opere buone

5. Da tutto quello che, secondo le nostre possibilità, abbiamo esposto, o carissimi, rimanga impressa nella nostra mente la figura di un uomo che nasconde nel proprio cuore le parole del Signore, che con le sue labbra proclama tutte le disposizioni della sua bocca, che camminando sulla via delle testimonianze divine si allieta come chi possiede tutti i tesori. Profondendosi in parole - o esercitandosi - nei precetti di Dio, egli ne considera le vie e medita sul come egli ci giustifica, non volendo dimenticare le sue parole. Da tutto l’insieme si presenta come un uomo addentro nella legge e nella scienza di Dio ; eppure egli prega e dice : Sei benedetto, o Signore ! Insegnami le vie della tua giustizia. Si ricava da ciò che egli non intende chiedere altro se non il soccorso della grazia mediante la quale sappia esprimere con le opere le verità conosciute a parole.

SULLO STESSO SALMO 118

1188 Ps 118

DISCORSO 7

Quattro specie di ricompensa.

1. [v 17.] Se ricordate, o carissimi, quanto in precedenza ha detto il salmo, questo ricordo ci faciliterà la comprensione del testo seguente. Chi parla si esprime come un solo uomo, ma a parlare sono le membra di Cristo : quel corpo che costituisce una unità ed appartiene all’unico Capo. Ebbene, prima aveva detto : In base a che il giovanetto raddrizzerà la sua via ? Osservando le tue parole (Ps 118,9) ; ora, parlando con maggiore chiarezza, chiede aiuto per tradurre in pratica il suo proposito. Dice : Ricompensa il tuo servo ; vivrò e osserverò le tue parole. Se chiedesse a Dio la ricompensa per un bene compiuto, significherebbe che ha già osservato le parole del Signore. Ma il testo non dice : “ Dammi la ricompensa perché io ho osservato le tue parole ”, esigendo (per così dire) la ricompensa d’un bene compiuto obbedendo. Al contrario dice : Ricompensa il tuo servo ; vivrò e osserverò le tue parole. E questo cos’altro è se non riconoscere che chi è morto non le può osservare ? Che cioè non le possono osservare gli infedeli, dei quali sta scritto : Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,22). Per “morti” intendiamo dunque gli infedeli, mentre per “vivi” intendiamo i credenti, poiché il giusto vive mediante la fede (Cf. Rm 1,17), né c’è altra risorsa per osservare le parole di Dio all’infuori della fede, che opera attraverso l’amore (Ga 5,6). È proprio questa fede che domanda colui che pronunzia le parole : Ricompensa il tuo servo ; io vivrò e osserverò le tue parole. Inoltre, siccome prima dell’avvento della fede all’uomo non è dovuto se non il castigo per il male [di cui è reo], mentre Dio con una grazia indebita l’ha beneficato accordandogli dei doni invece che dei castighi, per questo l’orante del nostro salmo può invocare da Dio anche la ricompensa e dire : Ricompensa il tuo servo, e io vivrò e osserverò le tue parole. Ci sono infatti quattro specie di ricompensa : la ricompensa per la quale si infliggono castighi quale pena del male, come quando Iddio castiga gli empi col fuoco eterno ; la ricompensa per la quale si accordano beni in compenso del bene, come quando Iddio darà ai giusti il Regno dei cieli ; la ricompensa per la quale si accordano beni in luogo dei castighi, come quando Cristo con la sua grazia giustifica l’empio (Cf. Rm 4,5) ; e finalmente la ricompensa di chi ripaga col male il bene, come quando Giuda e il popolo ebraico nella loro malizia perseguitarono il Cristo. Di queste quattro specie di ricompensa, le due prime rientrano nell’ambito della giustizia, quando cioè si ripaga il male col male e il bene col bene ; la terza, cioè quando si rende il bene invece del male, è una ricompensa di misericordia, mentre l’ultima non si riscontra in Dio, in quanto egli non dà ad alcuno il male in compenso del bene. La più necessaria, fra le categorie di ricompensa qui elencate, è la terza, poiché se Dio non avesse accordato il bene invece del male [che noi si meritava] non ci sarebbe stato alcuno al quale concedere il premio per il bene compiuto.

Dio aiuta con la grazia e ricompensa secondo giustizia.

2. Considera il caso di quel Saulo che poi divenne Paolo. Dice : Dio ci ha salvati non in vista di opere di giustizia da noi compiute ma in base alla sua misericordia attraverso il lavacro della rigenerazione (Tt 3,5). E ancora : Un tempo io fui bestemmiatore e persecutore e violento, ma ottenni misericordia perché agii per ignoranza nella mia incredulità (1Tm 1,13). E ancora : Vi do però questo consiglio come uno che dal Signore ha ricevuto la misericordia sì da essere fedele (1Co 7,25), da ottenere cioè la vita, poiché il giusto vive di fede (Cf. Rm 1,17). Dunque, per la sua iniquità, prima che egli vivesse per la grazia di Dio, egli era morto ; e di questa sua morte parla apertamente quando dice : Sopraggiungendo il precetto, il peccato prese vita, e io morii ; e così risultò per me che il precetto, che mi doveva condurre alla vita, mi fu causa di morte (Rm 7,9-10). Ebbene, a Paolo Dio accordò un bene invece di un male : la vita invece della morte. Gli diede, cioè, una ricompensa quale invoca il salmista con le parole : Ricompensa il tuo servo, e io vivrò e osserverò le tue parole. Eccolo infatti vivere e osservare le parole del Signore ed entrare in quell’altra categoria di ricompensati, dove si accordano beni in sostituzione di beni. Ne parla lui stesso : Ho combattuto la buona battaglia, ho compiuto la corsa, ho conservato la fede ; quanto al resto, è pronta per me la corona della giustizia, che darà a me in quel giorno il Signore, giusto giudice (2Tm 4,7-8). Precisamente ! Giusto, in quanto accorda beni in premio di beni ; ma prima misericordioso, quando gli aveva accordato i beni al posto dei mali. Anzi, la stessa giustizia per la quale si rendono beni in compenso di altri beni non esclude la misericordia, come sta scritto : Egli ti corona per la sua compassione e misericordia (Ps 102,4). Difatti è vero che Paolo afferma : Io ho combattuto la buona battaglia (2Tm 4,7), ma come l’avrebbe vinta se non fosse intervenuto col suo dono colui al quale rivolgeva le parole : Siano rese grazie a Dio, che dà a noi la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (1Co 15,57) ? Egli portò a termine la sua corsa, è vero ; ma come avrebbe corso o raggiunto il traguardo se non l’avesse aiutato colui che gli faceva dire : Veramente il successo non è di chi vuole né di chi corre, ma di Dio che usa misericordia (Rm 9,16). E se poté conservare la fede, come vi riuscì se non perché (come lui si esprime) ottenne misericordia per cui divenne fedele (Cf. 1Co 7,25) ?

Fede iniziale e fede adulta..

3. Non si inorgoglisca quindi in alcuna maniera l’uomo nella sua superbia ! Quando Dio premia, ricompensa i suoi stessi doni. Quanto a colui che nella preghiera esclama : Ricompensa il tuo servo e io vivrò, se fosse totalmente morto non potrebbe pregare. In effetti egli ha ricevuto, almeno allo stadio iniziale, un desiderio di bene, e l’ha ricevuto da colui al quale egli domanda la vita nella obbedienza. In tal senso possedevano una certa qual fede quei tali che dicevano : Signore, accresci la nostra fede (Lc 17,5). E quel tale che, interrogato se credesse, rispose : Credo, Signore ; soccorri la mia incredulità (Mc 9,23), mentre riconosce la sua mancanza di fede non ne esclude totalmente la presenza. Concludendo : colui che, avendo la fede, implora la grazia di attuarla nell’obbedienza, ha già cominciato a vivere ma chiede la vita piena : non esige il premio per averla conservata ma implora aiuto per conservarla. Chi infatti si rinnova [spiritualmente.] giorno per giorno (2Co 4,16), attraverso una tale crescita di vita giungerà a vivere nel giorno che mai si interrompe.

4. [vv 18.19.] Il salmista sa poi che la parola di Dio non può essere osservata docilmente nella vita pratica se prima non viene percepita con la mente. Per questo nella sua preghiera aggiunge le parole : Togli il velo ai miei occhi e considererò le meraviglie della tua legge. Alla stessa esigenza si riferiscono le parole che seguono : Ospite io sono sulla terra, o - come riportano alcuni codici - forestiero io sono sulla terra : non nascondere a me i tuoi precetti. Quanto prima aveva detto con le parole : Togli il velo ai miei occhi, ora lo ripete dicendo : Non nascondere a me ; e dove prima aveva detto : Le meraviglie della tua legge, ora in termini alquanto diversi dice : I tuoi precetti. Nei comandamenti di Dio non c’è prescrizione più splendida di quella che suona : Amate i vostri nemici (Mt 5,44), che è lo stesso di rendere il bene invece del male. Però il discorso intorno al soggiorno (o dimora) di cui parla il salmo, non può essere condensato in poche parole ; perciò non bastando all’esposizione di questo argomento il presente discorso, se ne dovrà attendere un altro, che terremo in seguito con l’aiuto del Signore.

SULLO STESSO SALMO 118

1189 Ps 118

DISCORSO 8

409 Il popolo di Dio peregrinante sulla terra.

1. [v 19.] In base alle nostre promesse la vostra Carità si attende un discorso sul seguito del vastissimo salmo che stiamo spiegando. Manterremo la promessa soffermandoci sul verso che suona : Forestiero son io sulla terra ; non celarmi i tuoi comandamenti ; ovvero, come leggono alcuni codici, ospite son io sulla terra. L’identico termine greco ; è stato tradotto da alcuni interpreti latini con ospite, da altri con forestiero, da altri ancora con straniero. Ospiti sono coloro che, mancando di una propria residenza, abitano in casa d’altri ; al contrario sono forestieri o stranieri coloro che provengono da altri paesi. Sorge pertanto una questione assai complicata riguardo all’anima. Non si può infatti pensare che siano dette del corpo le parole : Forestiero - o straniero o ospite - son io sulla terra, poiché il corpo trae origine proprio dalla terra. È una questione veramente profonda, sulla quale non voglio azzardare conclusioni definitive. In effetti le parole : Forestiero - o straniero o ospite - son io sulla terra, si potrebbero con ragione riferire all’anima, che nessuno mi auguro voglia pensare derivi dalla terra. Ma si potrebbero applicare anche all’uomo tutto intero, in quanto per un certo tempo ebbe dimora nel paradiso, mentre non vi era più quando il Salmista pronunziava le sue parole. Per evitare ogni controversia voglio, però, supporre che le parole del salmo non possano essere pronunziate da tutti gli uomini ma solo da coloro che hanno ricevuto la promessa d’una patria eterna nei cieli. Comunque stiano le cose, un fatto mi consta e cioè che la vita dell’uomo sulla terra è una prova (Cf.
Jb 7, l), e che i figli di Adamo sono gravati da un giogo pesante (Cf. Si 40,1). Sicché, a volgere il discorso nel senso che più mi soddisfa, io darei la preferenza all’interpretazione secondo la quale noi ci diciamo ospiti, o stranieri, sulla terra perché ci è stata mostrata la patria celeste di cui abbiamo ricevuto la garanzia e dalla quale, una volta che ci siamo arrivati, non dovremo mai emigrare. Tu un altro salmo un tale afferma : Ospite e pellegrino son io presso di te, come [lo furono] tutti i miei padri (Ps 38,13). Non dice : “ Come tutti gli uomini ”, ma : Come tutti i miei padri, alludendo senz’altro ai giusti che l’avevano preceduto nel tempo e che durante il loro esilio con pio gemito avevano sospirato la patria celeste. In riferimento a questi santi è scritto nella Lettera agli Ebrei : Nella fede morirono tutti costoro senza aver ottenuto la realizzazione delle promesse, ma vedendole e salutandole da lontano, e confessando di essere forestieri e di passaggio sulla terra. Chi dice così mostra chiaramente che è in cerca di una patria. Che se avessero avuto in mente quella da cui erano usciti, avrebbero avuto il tempo di ritornarvi ; invece aspirano, a una migliore, vale a dire a quella celeste. Tanto è vero che Dio non si vergogna di essere chiamato il Dio loro, avendo preparato loro una Città (He 11,13-16). E altrove leggiamo ancora : Finché siamo nel corpo, siamo pellegrini lontani dal Signore (2Co 5,6-7). Le quali parole possono ben riferirsi non a tutti gli uomini ma solo ai fedeli, dal momento che non di tutti è la fede (2Th 3,2). Difatti ci è noto come continui l’Apostolo nel brano citato. Dopo aver detto che, finché siamo nel corpo siamo pellegrini lontani dal Signore, aggiunge : Camminiamo infatti nella fede, non nella visione (2Co 5,7). Dal che si arguisce che il peregrinare di cui parla riguarda quanti camminano nella fede. Quanto agli infedeli, al contrario, Dio non li ha notati nella sua prescienza né li ha predestinati a conformarsi all’immagine del suo Figlio (Cf. Rm 8,29) : per cui essi non possono chiamarsi pellegrini sulla terra, in quanto si trovano esattamente là dove in corrispondenza alla loro carnalità dovevano nascere [e vivere]. Essi non hanno altrove la loro città ; quindi sulla terra essi non sono deportati ma aborigeni. Ne parla in un altro passo la Scrittura, allorché di un tizio afferma che fissò la sua dimora in prossimità della morte e negli inferi insieme con i nati dalla terra le travi della sua abitazione (Pr 2,18). Anche gli infedeli sono, è vero, pellegrini e ospiti, ma non nei riguardi della terra. Lo sono nei riguardi del popolo di Dio, da cui sono estranei. Viceversa, ai credenti, che godono sia pur inizialmente del diritto di cittadinanza in quella santa città che non è di questo mondo, l’Apostolo poteva dire : Voi non siete né pellegrini né ospiti, ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio (Ep 2,19). In conclusione, sono cittadini della terra coloro che sono estranei al popolo di Dio, mentre coloro che sono cittadini in seno al popolo di Dio sono pellegrini qui in terra ; anzi, tutto il popolo di Dio finché vive nel corpo è pellegrino lontano dal Signore. Dica dunque : Forestiero sono io sulla terra ; non celarmi i tuoi comandamenti.

La conoscenza requisito dell’amore.

2. Ma c’è davvero una categoria di persone a cui Dio cela i suoi comandamenti ? Non ha egli forse voluto che fossero predicati ovunque ? Oh, volesse il cielo che da tutti coloro a cui sono manifesti fossero altrettanto apprezzati ! Cosa c’è infatti di più noto del precetto che dice : Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ? e dell’altro : Amerai il prossimo tuo come te stesso ? Sono i due precetti nei quali si compendiano tutta la Legge e i Profeti (Mt 22,37). E c’è forse qualcuno che non li conosca ? Li conoscono tutti i fedeli, anzi fra gli stessi infedeli c’è moltissima gente che li conosce. In che senso allora può un fedele chiedere a Dio che non gli vengano nascosti quei precetti che, come ben gli risulta, son noti anche agli infedeli ? Non sarà forse perché, essendo la conoscenza di Dio una cosa difficile, anche il precetto di amarlo lo si giudica difficile, standoci il pericolo di amare qualche altra cosa in vece sua ? Viceversa, nei riguardi del prossimo la conoscenza appare più facile : difatti ogni uomo è prossimo al suo simile, né si debbono esagerare le distanze fra stirpe e stirpe quando si ha in comune la stessa natura. Peraltro anche nei confronti dei prossimo è da dirsi che non lo conosceva quel tale che domandò : Ma chi è il mio prossimo ? (Lc 10,29) Gli fu allora narrata la vicenda di quell’uomo che scendendo da Gerusalemme a Gerico incappò nei briganti. Al termine del racconto lo stesso dottore che aveva posto la domanda sentenziò che prossimo di quel malcapitato fu solamente colui che gli aveva usato compassione. Chiarissimo pertanto ne risulta l’insegnamento che chi ama il prossimo non ha da escludere nessuno in fatto di opere di misericordia. C’è però molta gente che non conosce nemmeno se stessa, perché non è di tutti conoscere se stesso come effettivamente ci si dovrebbe conoscere. E allora, uno che non conosce se stesso come farà ad amare il prossimo come se stesso ? Non è senza significato il particolare che si racconta a proposito di quel figlio minore che partì per una terra lontana e vi dissipò i suoi averi vivendo da scialacquatore. Prima di concludere : Mi leverò e andrò da mio padre (Lc 15,18), egli rientrò in se stesso ; e questo indica che nel suo vagabondare s’era spinto tanto oltre da abbandonare anche se stesso. Tuttavia non gli sarebbe stato possibile tornare in se stesso se avesse perduto di sé ogni nozione ; come non avrebbe potuto dire : Mi leverò e andrò da mio padre, se fosse stato completamente all’oscuro di Dio. È vero, quindi, che di queste realtà noi conosciamo qualcosa, ma non facciamo male a chiederne ulteriore conoscenza, al fine di conoscerle sempre più profondamente. Pertanto occorre conoscere Dio per saperlo amare ; e per saper amare il prossimo come noi stessi prima occorre saper amare noi stessi nell’amore di Dio. Ma come riuscire in questo se non si conosce né Dio né noi stessi ? Giustamente quindi si dice a Dio : Forestiero son io sulla terra ; non celarmi i tuoi comandamenti. È logico infatti che questi comandamenti siano nascosti a quanti in terra non si sentono pellegrini. Costoro, anche se ascoltano i precetti divini, non ne posseggono la sapienza poiché hanno il gusto per le [sole] cose terrene. Viceversa, quando uno vive nei cieli (Cf. Ph 3,20), il fatto stesso di dover vivere sulla terra costituisce per lui un esilio. Chiedano dunque, costoro, che non vengano loro celati i comandamenti di Dio per i quali si è liberati dall’esilio. Infatti, amando Dio saranno con lui per l’eternità, e amando il prossimo faranno sì che anch’esso giunga là dove saranno loro.

Concupiscenza cattiva e concupiscenza buona.

3. [v 20.] Che cosa mai sarà possibile amare se non si ama l’amore ? Ecco pertanto questo forestiero sulla terra, dopo aver pregato Dio che non gli nasconda i suoi comandamenti (nei quali si prescrive, o esclusivamente o soprattutto, l’amore) dichiarare apertamente che egli vuole l’amore verso l’amore stesso. Dice : In ogni tempo la mia anima ha bramato avere il desiderio delle vie della tua giustizia. Passione encomiabile, questa, non riprovevole. Non è di lei che sta scritto : Non desiderare (Ex 20,17), divieto che riguarda le passioni con cui la carne si solleva contro lo spirito (Cf. Rm 7,7). Questa invece è una brama per la quale lo spirito si leva contro la carne (Cf. Ga 5,17) ; e, se tu volessi trovare qualche passo scritturale nei suoi riguardi, troveresti : La brama della sapienza conduce al regno (Sg 6,21). E molte altre sono le testimonianze che riguardano questa concupiscenza in senso buono. È molto interessante notare che, quando si tratta di brama in senso buono, è sempre espresso l’oggetto che si desidera ; al contrarlo, se si parla soltanto di concupiscenza, senza additarne l’oggetto, ha da intendersi in senso cattivo. Così nel passo che ho citato si dice : La brama della sapienza conduce al regno, Se non avesse specificato : Della sapienza, non avrebbe certamente affermato : “ La concupiscenza conduce al regno ”. Viceversa l’Apostolo scrive : Io non conoscevo la concupiscenza, se la legge non avesse detto : Tu non desidererai (Rm 7,7). Non specifica quale sia l’oggetto di quel desiderio né ciò che è proibito desiderare, eppure è certo che, esprimendosi in tal modo, egli si riferisce a una brama disordinata. Orbene, cosa desidera l’anima del nostro salmista ? Dice : In ogni tempo la mia anima ha bramato avere il desiderio delle vie della tua giustizia. Ritengo che non ancora le desiderava quando bramava averne il desiderio. Per “ vie della giustizia ” infatti noi intendiamo le azioni giuste, cioè le opere di giustizia. Ora, se tali risultati non hanno raggiunto coloro che ne hanno il desiderio, quanto doveva distarne uno che in quel momento sentiva solo il desiderio del desiderio ? E quanto debbono esserne distanti coloro che non provano nemmeno un tal desiderio del desiderio ?

Amare l’amore, desiderare d’avere il desiderio.

4. Sorprende come mai di un desiderio possa aversi la brama e come non sia in noi il desiderio quando del desiderio è in noi la brama. Non è infatti, il desiderio, una realtà corporea dotata di bellezza, come ad esempio l’oro o la carnagione d’una persona avvenente, che essendo al di fuori dell’uomo la si può bramare senza esserne in possesso. Chi non sa al contrario che la brama, come anche il desiderio, sono all’interno dell’uomo ? Da cui il problema : come si fa a bramare un desiderio, quasi che sia una cosa importata dal di fuor ? O anche : come può aversi la brama di un desiderio senza che si abbia lo stesso desiderio ? Poiché il desiderio, in effetti, non è altro che una brama. Difatti desiderare equivale a bramare. Come descrivere una tale insoddisfazione, così sorprendente e insieme così misteriosa ? Eppure si tratta di una realtà. Immaginatevi un malato che provi della nausea e si proponga di superarla. Mentre brama essere esente dal suo disturbo, brama certo contemporaneamente provare desiderio del cibo. E per quanto la nausea che prova il malato sia di ordine fisico, tuttavia la brama che lo porta a desiderare il cibo, cioè a superare la nausea, è una realtà che si situa nell’animo, non nel corpo. A determinarla non sono né la gola né il palato, il cui piacere è minimizzato dalla nausea ; ma è un fatto razionale di chi vuol ricuperare la salute, ottenuta la quale prevede abbia a scomparire anche l’intolleranza del cibo. Nulla di strano quindi che l’animo desìderi perché siano suscitati nel corpo certi desideri, se è vero che si hanno casi in cui desidera l’animo senza che desideri il corpo. Quanto però al desiderio delle vie della giustizia di Dio, come farò a bramarlo se brama e desiderio sono, in tal caso, tutt’e due nell’anima e sono tutt’e due nell’ordine del bramare ? Come fo ad avere nell’unico e identico animo la brama di un tale desiderio senza avere insieme il desiderio stesso ? O non si dovrà per caso asserire che si tratta di due e non di una sola realtà ? Perché mai dovrei io bramare il desiderio delle vie della giustizia e non bramare le stesse vie piuttosto che il loro desiderio ? Anzi, come mi sarà possibile bramare il desiderio di queste vie senza bramare le vie in se stesse, se è vero che io in tanto ne bramo il desiderio in quanto bramo la loro stessa realtà ? In effetti, se ciò corrisponde a verità, la brama che io sento è per le vie della giustizia in se stesse. Ma allora, se le ho nella realtà e sento di averle, che bisogno ho di bramarne il desiderio ? Questo dico in quanto io non potrei bramare d’aver un desiderio per la giustizia se non bramassi la giustizia [in se stessa]. Non sarà quindi, questo, un caso in cui vale ciò che dicevo sopra, e cioè che occorre amare l’amore con cui si amano le cose che si debbono amare ? Come, per converso, si deve odiare l’amore con cui si amano le cose che non si debbono amare. Infatti noi [cristiani] odiamo quella concupiscenza per la quale la carne nutre desideri contrari a quelli dello spirito : e cos’è questa concupiscenza se non un amore disordinato (Cf. Ga 5,17) ? Amiamo invece quella concupiscenza per la quale lo spirito nutre desideri contrari a quelli della carne ; e cos’è questa concupiscenza se non un amore santo ? E quando diciamo che una tale concupiscenza è da amarsi, cos’altro diciamo se non che è da bramarsi ? Per cui, se è bene desiderare le vie della giustizia di Dio, è bene anche avere desiderio di un tale desiderio. Con altre parole si potrebbe dire : se è bene amare le vie della giustizia di Dio, è bene anche amare l’amore per le medesime vie di Dio. O dovremmo, forse, trovare una qualche differenza fra “ bramare ” e “ desiderare ” ? Non nel senso che la brama non sia desiderio, ma nel senso che non tutte le brame sono desideri. Si bramano infatti sia le cose che si Posseggono sia le cose che non si posseggono, poiché è la brama a far godere all’uomo le cose che possiede, mentre col desiderio si bramano solo le cose di cui si è privi. Cos’è dunque il desiderio se non la brama di cose assenti ? Ma quand’è che le vie della giustizia di Dio sono a noi assenti se non quando non le conosciamo ? Ovvero, dovremo considerarle come assenti quando, pur conoscendole, non le pratichiamo ? Cosa sono infatti le vie di giustizia di Dio se non le opere di giustizia che compiamo e non le sole parole che diciamo ? Intese in questo modo, esse potrebbero anche non essere desiderate in se stesse, data la debolezza dell’anima umana, mentre con la ragione speculativa (la quale ne vede l’utilità salutare) si potrebbe desiderare d’averne almeno il desiderio. Capita infatti spesso che noi vediamo il da farsi ma non passiamo all’azione, e questo proprio perché non è in noi il gusto di agire, anche se proviamo il desiderio che un tal gusto ci venga. L’intelligenza si muove più celermente, mentre l’inclinazione della volontà è nell’uomo più debole, sicché segue con lentezza e talora non segue per niente. Il salmista pertanto bramava possedere il desiderio di certe cose che vedeva buone, nel senso che desiderava provare il gusto di quelle cose di cui vedeva la ragionevolezza.

Nella vie della giustizia si procede a tappe.

5. Notiamo ancora come non dica : L’anima mia brama avere il desiderio delle vie della tua giustizia, ma : Ha bramato. Infatti può darsi che questo forestiero sulla terra già si trovasse nella condizione di chi ha ottenuto l’oggetto del suo desiderio e che già desiderasse in se stesse le cose di cui, a quanto ricorda, un tempo aveva bramato provare il desiderio. Ma, se le desiderava, perché non le possedeva ? Non c’è infatti ostacolo che impedisca il possesso d’elle vie della giustizia divina all’infuori della mancanza del desiderio. Non le si possiede, cioè, quando, pur avendone chiarissima la notizia, non se ne prova amore. O forse già le possedeva e le praticava (infatti poco dopo afferma : Il tuo servo si esercitava nelle vie della tua giustizia (Ps 118,23)), ma vuol mostrarci per quali tappe si arrivi alla meta ? In effetti, il primo momento è vedere quanto siano utili e oneste, successivamente occorre la brama di averne il desiderio, finalmente si richiede che questo lume cresca e che, raggiunta la [perfetta] salute, si provi gusto nel praticarle come prima se ne gustava la ragionevolezza. Ormai però il presente discorso è divenuto lungo, sicché il seguito del salmo occorrerà trattarlo con maggior agio in un altro, con l’aiuto del Signore.


Agostino Salmi 1186