Agostino Salmi 11819

SULLO STESSO SALMO 118

11819 Ps 118

DISCORSO 18

Le “mani” di Dio.

1. [v 73.] Quando Dio creò l’uomo traendolo dalla polvere e lo animò col suo alito, non è indicato nel Libro sacro che si sia servito delle mani. Non vedo pertanto quale sia il motivo per cui certuni, mentre ritengono che tutte le altre creature Dio le abbia fatte col suo Verbo, l’uomo (che è come il suo capolavoro) l’abbia fatto con le sue mani. A meno che non si voglia pensare che, essendo stato l’uomo formato, come si legge, di polvere (Cf. Gn 2,7), questo non possa essere avvenuto senza l’uso delle mani. Costoro tuttavia non riflettono a quel che è scritto nel Vangelo riguardo al Verbo di Dio, che cioè per suo mezzo tutte le cose sono state create (Jn 1,3) e che questa affermazione non sarebbe esatta se, come le altre cose, così anche il corpo umano non fosse stato fatto ad opera del Verbo. È vero che essi citano la testimonianza di questo salmo e argomentano : Ecco un testo in cui l’uomo chiarissimamente grida al Signore : Le tue mani mi hanno fatto e formato. Come se altrove non si trovi scritto con eguale chiarezza : Vedrò i cieli, opera delle lue dita (Ps 8,4). E ancora con la solita chiarezza : E i cieli sono opera delle tue mani (Ps 101,26). Anzi la chiarezza è maggiore là dove si dice : E le sue mani plasmarono la terra asciutta (Ps 94,5). Sono dunque mani di Dio la stessa potenza divina. Che se li impressiona l’uso del plurale (poiché vi si dice non “ la tua mano ” ma le tue mani), intendano per “ mani di Dio ” la potenza e la sapienza di Dio, due attributi applicati all’unica persona di Cristo (Cf. 1Co 1,24) : il quale è da intendersi anche nell’immagine di “ braccio del Signore ”, come nel passo : E il braccio del Signore a chi è stato rivelato ? (Is 53, l) In alternativa a questa spiegazione, per “ mani di Dio ” si potrebbero intendere il Figlio e lo Spirito Santo, poiché anche lo Spirito Santo collabora nelle opere del Padre e del Figlio. Ne parla l’Apostolo dove dice : Tutte queste cose le produce l’unico e medesimo Spirito (1Co 12,11). Dice : L’unico e medesimo Spirito, perché non si creda che tanti sono gli spiriti quante le opere ; non perché lo Spirito operi senza il Padre e il Figlio. È quindi libera l’interpretazione di cosa intendere per “ mani di Dio ”, a patto però che non si neghi che Dio faccia col suo Verbo ciò che fa con le mani e che quanto fa mediante il Verbo sia fatto attraverso le sue mani. Parimenti non si deve credere che, per il fatto che si menzionano le mani di Dio, egli abbia una forma corporea e che abbia una mano sinistra distinta dalla mano destra, ovvero che nel suo operare, siccome agisce mediante il Verbo, abbia emesso dei suoni attraverso la bocca o che siano in lui moti spirituali transeunti.

Anima e corpo creati da Dio.

419 2. Non è mancato chi nei due verbi : Mi hanno fatto e formato, volesse vederci una distinzione, affermando che l’azione divina del “ fare ” si riferisca all’anima, quella del “ formare ” al corpo. Riguardo all’anima ha detto infatti Dio : Io feci ogni respiro (Is 57,16), mentre nei riguardi del corpo si legge : E Dio formò l’uomo polvere della terra (Gn 2,7). Se ne concluderebbe che, siccome tutto quello che si forma si fa mentre non tutto quello che si fa si forma, dell’anima si dice che è stata fatta (e non formata) perché non è una sostanza corporea ma spirituale. Senza pensare che si trova scritto : Colui che ha formato lo spirito dell’uomo dentro di lui (Za 12,1). Comunque sia, quando in un medesimo testo si trovano usati per l’uomo tutti e due questi verbi, non è di cattivo gusto smembrare la frase nelle sue singole parti e intendere che “fatto” si riferisca all’anima, mentre del corpo si dice che è stato formato, o modellato o plasmato. A patto però che non si neghi che i due elementi di cui risulta l’uomo, cioè l’anima e il corpo, siano stati creati da Dio. Al riguardo ci sono stati interpreti che si sono rifiutati di dire : Mi hanno formato, e hanno tradotto con : Mi hanno plasmato, preferendo una traduzione meno latina e più vicina al greco anziché usare la parola “ formare ”, che in qualche caso significa anche ordire inganni.

Intelletto umano e fede soprannaturale.

3. Ci si può chiedere se tutto questo sia stato detto con riferimento ad Adamo, da cui s’è propagato tutto il genere umano. Essendo Adamo una creatura fatta [da Dio], qual uomo potrà non dire di se stesso che è stato fatto, se tiene conto della sua origine e della propagazione della specie ? O non sarà più esatto intendere le parole : Le tue mani mi hanno fatto e plasmato nel senso che ciascuno nasce, è vero, dai genitori ma non senza l’intervento di Dio, poiché, se gli uni lo generano, chi crea è solo lui ? In realtà, se alle creature viene sottratta la potenza operante di Dio, esse periscono ; e se Dio interrompesse la sua azione, non ci sarebbe assolutamente alcun essere che nasca né dagli elementi del mondo né dai propri genitori né da alcun seme. In relazione, a questo, Dio disse a Geremia : Prima che li formassi nel ventre, io ti conobbi (Jr 1,5). Ci si chiede però : Forse che era privo di intelletto l’uomo fatto da Dio - si tratti del primo uomo o di qualsiasi altro procreato dopo di lui - per cui ora gli si dica [nel salmo] : Le tue mani mi hanno fatto e plasmato ; dammi l’intelletto ? Non è forse l’intelletto così proprio della natura umana in quanto tale, che solo per esso l’uomo si distingua dal bruto ? O che la natura umana per il peccato sia stata così deformata che anche in questa prerogativa debba essere rinnovata ? Non per nulla infatti l’Apostolo dice a tutti i rigenerati : Rinnovatevi nello spirito della vostra mente (Ep 4,23), e l’intelletto ha precisamente sede nella mente. In un altro passo diceva ancora : Riformatevi rinnovando il vostro sentire (Rm 12,2). Parlando poi di coloro che non erano partecipi di questa rigenerazione, diceva : Questo vi dico, e vi scongiuro nel Signore. Non camminate più come camminano i pagani nella vanità della loro mente, ottenebrati nell’intelligenza, fatti estranei alla via di Dio per l’ignoranza che è in loro a causa della cecità del loro cuore (Ep 4,17). È in relazione a questi occhi interiori, la cui cecità consiste nel non comprendere, che ci vien data la fede : la quale purifica il cuore e fa sì che gli occhi si aprano e si rischiarino sempre di più (Cf. Ac 15,9). Se è vero infatti che nessuno senza capire almeno qualcosa può credere in Dio, è anche vero che per capire in tutta la sua ampiezza la rivelazione si deve essere sanati dalla stessa fede con cui si è cominciato a credere. Ci sono in effetti delle cose che, se non le si comprende, non le si crede ; come ce ne sono altre che, se non le si crede, non le si comprende. Fo un esempio. La fede proviene dall’ascolto e l’ascolto proviene a sua volta dall’annunzio di Cristo (Cf. Rm 10,17). Ora come potrà credere a chi gli annunzia la fede uno che, per non dire altro, non conosce la lingua del predicatore ? Viceversa, se non ci fossero verità che non possiamo capire se prima non abbiamo creduto, non direbbe il Profeta : Se non crederete, non comprenderete (Is 7,9). In conclusione, il nostro intelletto progredisce penetrando sempre meglio le verità credute ; la fede similmente progredisce riuscendo a credere meglio ciò che [in qualche modo] capiva ; la mente poi progredisce nell’atto stesso di capire, e ciò in quanto penetra ognor più le stesse cose proposte dalla fede. Tutto questo ovviamente non compie l’uomo con le sue risorse naturali ma con l’aiuto di Dio e per suo dono. Come quando un occhio guasto ricupera la vista : non lo si deve all’occhio stesso ma alla medicina. La persona quindi che, rivolgendosi a Dio, gli dice : Dammi l’intelletto, perché impari i tuoi comandamenti, non è completamente senza intelletto, quasi fosse un bruto, e nemmeno è da ritenersi come uno di coloro che, sebbene uomini, camminano nella vanità della loro mente, ottenebrati nell’intelligenza, fatti estranei alla via di Dio (Ep 4,17). Se fosse così, non potrebbe nemmeno pronunciare tali parole. Non è infatti segno d’intelletto mediocre il sapere a chi ci si debba rivolgere per avere l’intelletto stesso. E bisogna anche riflettere con quale profondità occorra penetrare i comandamenti di Dio, se è vero che uno che già li conosce e che ha detto di averli custoditi da tempo chiede che gli venga dato ancora l’intelletto per impararli.

Illuminazione della mente e ministero degli Angeli.

4. La frase dei nostri traduttori : Dammi l’intelletto è più concisa nel testo greco che ha : . Il greco cioè, con una sola parola () esprime l’intera frase : Dammi l’intelletto, cosa che in latino rimane impossibile. È come se in latino non esistesse il verbo “ sanare ” e per esprimersi bisognasse dire : Dammi la salute (come nel nostro salmo è detto : Dammi l’intelletto), ovvero : Fammi sano ; al che nel nostro salmo corrisponderebbe : Fammi intelligente. Tale opera potrebbe poi compierla anche un angelo, tanto è vero che fu un angelo a dire a Daniele : Io sono venuto per darti l’intelletto (Da 10,14), dove nel testo greco è usato lo stesso nostro termine, cioè : . In tal caso il latino, preso alla lettera, corrisponderebbe a : Per darti la salute ; mentre il greco leggerebbe : A sanarti. Il traduttore latino non sarebbe ricorso alla perifrasi che gli fa dire : A darti l’intelletto, se, come può dire “ sanarti ” (dalla radice “ sanità ”), avesse potuto dire “ intellettualizzarti ” (dalla radice “ intelletto ”). Ebbene, se anche un angelo può dare l’intelletto, per quale motivo il salmista sarà ricorso a Dio perché compisse lui stesso quell’opera ? Forse perché era stato Dio a comandare all’angelo che la compisse ? Certamente. È da intendersi infatti che Cristo aveva dato all’angelo quell’ordine, come attesta al riguardo il Profeta, il quale così afferma : Or avvenne che mentre io Daniele ero assorto in visione e ne ricevevo il significato, ecco mi si fece davanti come la sembianza d’un uomo. E udii una voce umana, fra mezzo a Ulai, e gridò e disse : fagli intendere la visione (Da 8,15-16). Nel testo greco anche in questo caso c’è il solito verbo , come nel nostro salmo. Essendo dunque Dio luce, è lui stesso che illumina le menti dei devoti affinché comprendano le realtà divine che loro vengono annunziate o mostrate (Cf. Jn 1,4 Gv Jn 1,9). Se poi a questo scopo egli si serve del ministero degli Angeli, vuol dire che anche l’angelo può in qualche modo agire nella mente umana affinché riceva la luce di Dio e mediante questa luce comprenda. Tuttavia, dell’angelo si dice che dà all’uomo l’intelletto (o, se mi è lecita la parola, lo intellettualizza) nella stessa maniera che si dice “ dar luce a una casa ” o “ illuminare una casa ” parlando di uno che vi apra una finestra. Quest’uomo evidentemente non la investe né rischiara con la sua propria luce, ma apre soltanto nelle pareti della casa uno squarcio dal quale penetra la luce che viene a illuminarla. Ma c’è di più. Il sole stesso entra, è vero, per la finestra e illumina la casa, ma non ha creato né la casa né l’uomo che nella casa ha aperto la finestra. Né è stato il sole che ha imposto a quel tale l’obbligo di costruirla né l’ha aiutato nel lavoro né ha contribuito in alcun modo all’apertura di quella finestra, attraverso la quale spande la sua luce nella casa. Ben diversamente è di Dio. Egli ha creato la mente umana e l’ha fornita di razionalità ed intelletto, affinché potesse accogliere la sua luce. Egli ha creato gli Angeli, dando loro la possibilità di compiere opere in aiuto della mente umana, al fine di renderla capace di ricevere la luce di Dio. Egli aiuta poi la stessa mente umana nel ricevere l’azione degli Angeli, e quindi, con intervento suo personale la illumina affinché possa comprendere non solamente le cose che le vengono mostrate dalla Verità ma, a forza di progredire, riesca a penetrare la Verità stessa. Abbiamo così esposto cose, penso, necessarie ; ma l’esposizione è andata per le lunghe. Chiudiamo quindi con questo il presente discorso, rimandando al prossimo la trattazione degli altri versi del salmo.

SULLO STESSO SALMO 118

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DISCORSO 19

1. [v 73.] In questo salmo per bocca del Profeta parla il Signore Gesù e chiede per il suo corpo, cioè per la Chiesa, come per un altro se stesso, che Dio gli doni l’intelletto con cui apprendere i comandamenti del Signore. La vita del suo corpo, cioè del suo popolo, è infatti nascosta [con Cristo] in Dio (Cf. Col 3,3), mentre è nel medesimo suo corpo che Cristo si trova nel bisogno e chiede ciò che è necessario alle sue membra. Dice : Le tue mani mi hanno fatto e plasmato : dammi l’intelletto affinché impari i tuoi comandamenti. Intende dire : Siccome tu mi hai formato, tu trasformami [in nuova creatura], affinché nel corpo di Cristo s’adempiano le parole dell’Apostolo : Riformatevi nella novità del vostro sentire (Rm 12,2).

Promesse divine e speranze del popolo eletto.

2. [v 74.] Prosegue : Coloro che ti temono mi vedranno e gioiranno (o, come leggono altri codici : Si allieteranno), perché io ho sperato nelle tue parole. Ho sperato cioè nelle tue promesse, secondo le quali quanti ti temono sono figli della promessa e discendenza di Abramo, nel quale son benedette tutte le genti (Cf. Gn 13,3 Gn 26,4). Ma chi sono questi timorati di Dio ? Chi vedranno e in che senso si allieteranno perché egli ha sperato nelle parole di Dio ? Se è il corpo di Cristo, cioè la Chiesa, di chi sono questi accenti posti in bocca a Cristo ? Sono certamente di chi è nella Chiesa e fa parte di essa ; sono come una voce di Cristo che parla di se stesso. Ma, se è così, come mai non sono anch’essi del numero di coloro che temono Dio ? Chi è, poi, la persona vedendo la quale si allietano ? Non sarà per caso lo stesso popolo [di Dio] che vedendo se stesso se ne allieta ? Per cui le parole : Coloro che ti temono mi vedranno e gioiranno, perché io ho sperato nelle tue parole, (o, come altri hanno tradotto con maggiore efficacia : arcisperato) equivarrebbero alle altre : Coloro che ti temono vedranno la tua Chiesa e se ne allieteranno, perché ho arcisperato nelle tue parole. E questo sarebbe il senso : quelli che vedono la Chiesa e se ne allietano altri non sono se non la Chiesa. Ma allora perché non ha detto : “Coloro che ti temono, mi vedono e se ne allietano”, ma : Ti temono (tempo presente) e poi : Vedranno e si allieteranno, che sono tempi del futuro ? Non sarà forse perché il timore è cosa del tempo presente, finché cioè si protrae la vita umana qui in terra in mezzo alle tentazioni (Cf. Jb 7,1), mentre la gioia a cui allude qui il salmo è da attendersi per quando i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre (Cf. Mt 13,43) ? Al riguardo in un altro salmo si legge : Quant’è grande l’abbondanza della tua dolcezza, o Signore, che hai nascosto a coloro che ti temono ! (Ps 30,20) Al tempo presente dunque, cioè finché temono, non vedono, ma verrà il tempo in cui vedranno e gioiranno. Riferendosi a questa dolcezza occulta, così proseguiva il testo citato : L’hai elargita con pienezza a quanti sperano in te ; e qui : Perché io ho sperato nelle tue parole, o : Vi ho arcisperato. Questo verbo composto, scelto con cura dal traduttore meticoloso, è molto espressivo per farci comprendere che Dio è potente e può compiere cose superiori a quanto noi possiamo chiedere e capire (Ep 3,20). Essendo al di sopra di quel che possiamo chiedere e capire, non basta che le speriamo, ma occorre arcisperarle.

Dio consolatore. Misericordia e verità di Dio.

3. [vv 75.76.] Nelle persone che ancora vivono in terra la Chiesa teme, non vedendosi giunta al regno dove il gaudio sarà assoluto ma dovendo ancora stentare fra i pericoli e le difficoltà del mondo presente, conforme le è stato detto : Chi crede d’essere saldo badi a non cadere (1Co 10,12). Si rende conto della miseria dei mortali ; sa che un giogo pesante grava sui figli di Adamo dal giorno che nascono dal grembo della madre e poi su su per tutti i giorni, finché non vengano ad essere sepolti nelle viscere della [terra] loro madre comune (Cf. Si 40, l). Né le sfugge che, sebbene rigenerati, han da gemere ugualmente sotto il peso della mortalità a motivo della carne che nutre brame contrastanti con quelle dello spirito (Cf. Ga 5,17). Considerando tutto questo dice : Ho conosciuto, Signore, che giustizia sono i tuoi giudizi e nella tua verità tu mi hai umiliato. Venga la tua misericordia a consolarmi, secondo la tua parola rivolta al tuo servo. La misericordia e la verità sono inculcate spessissimo nel Libro divino. Le si incontrano in frequenti passi, specie dei salmi ; anzi una volta si legge proprio questo : Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità (Ps 24,10). Nel nostro salmo è posta per prima la verità, perché noi siamo stati umiliati con il castigo della morte inflittoci da quel giudice i cui giudizi sono giustizia. Subito dopo però si menziona la misericordia, per la quale siamo risollevati e riacquistiamo la vita in forza della promessa di colui che ci benefica accordandoci la grazia. Per questo dice : Secondo la tua parola rivolta al tuo servo, cioè secondo quanto promettesti al tuo servo. Che se dice : Venga la tua misericordia a consolarmi, può dirlo o della rigenerazione con cui siamo adottati a figli di Dio, o della fede speranza e carità, le tre virtù che costituiscono il nostro edificio [spirituale]. Sono infatti, tutti questi, doni della misericordia di Dio datici non a titolo di godimento, quasi fossimo beati : in effetti sono soltanto un conforto dato a chi è ancora misero e si trova nella vita presente travagliata e burrascosa.

La vita beata è premio di opere sante.

420 4. [v 77.] Dopo le traversie della vita presente, e attraverso queste, arriveranno le gioie che ci sono state promesse. Per questo continua : Vengano su di me le tue misericordie e vivrò. Difatti solo allora vivrò la vera vita, quando non avrò alcun timore di morire. In effetti quando si parla di vita senza aggiunte, si ha da intendere necessariamente la vita eterna e beata, la quale sola merita il nome di vita. A confronto con tale vita, la vita presente sarebbe da chiamarsi non vita ma morte. È questo il senso del detto evangelico : Se vuoi venire alla vita, osserva i comandamenti (Mt 19,17). Ha forse aggiunto : “ eterna ” o “ beata ” ? Similmente quando il Signore parlò della risurrezione della carne. Quanti operarono il bene - disse - risorgeranno alla vita (Jn 5,29), senza aggiungere nemmeno qui né “ eterna ” né “ beata ”. Allo stesso modo il salmo. Dice infatti : Vengano su di me le tue misericordie e vivrò, senza precisare : E io vivrò in eterno ; ovvero : Vivrò nella beatitudine. Significandoci così che non c’è altra vita se non quella che è senza fine e senza miserie. Ma con quali meriti la si consegue ? Dice : Poiché la tua legge è la mia meditazione. È questa una meditazione dettata dalla fede che opera mediante la carità (Cf. Ga 5,6), poiché se non fosse così nessuno per essa potrebbe arrivare alla vita eterna. Ci tengo a dire questo per ammonire chiunque abbia magari imparato a memoria tutta la legge e l’abbia ricordata e cantata chissà quante volte. Ebbene, se uno avrà avuto sulle labbra i precetti della legge ma non sarà vissuto in conformità dei medesimi, non pensi minimamente d’aver adempiuto le parole lette [nel salmo] : Poiché la tua legge è la mia meditazione. Né si riprometta di conseguire quanto ha chiesto antecedentemente in base al merito di questa fede, e cioè : Vengano a me le tue misericordie, e vivrò. Questa meditazione è il pensiero d’un cuore innamorato, e innamorato a tal segno che l’ardore di questa meditazione non si raffredda per quanto grande possa essere l’iniquità degli altri da cui si sente circondato (Cf. Mt 24,12).

5. [v 78.] Continua dicendo : Siano confusi i superbi, che ingiustamente hanno commesso l’iniquità ai miei danni ; io però mediterò sui tuoi comandamenti. Ecco cosa chiamava meditazione della legge di Dio, o meglio in che senso la legge di Dio era la sua meditazione.

Cristo partecipe della nostra mortalità.

6. [v 79.] Dice : Si convertano rivolgendosi a me quelli che ti temono e conoscono le tue testimonianze. In alcuni codici, greci e latini, troviamo : Si convertano a me, che, a quanto sembra, equivale a : Si convertano, rivolgendosi a me. Ma chi è che pronuncia queste parole ? Infatti non ci potrà mai essere fra gli uomini uno che osi dire parole come queste. Che se le dicesse, nessuno dovrebbe ascoltarlo. In realtà, chi parla così è colui che prima, prestando la sua voce e parlando in proprio, diceva : Io sono partecipe di tutti quelli che ti temono (Ps 118,63). Questo, poiché egli si è reso partecipe della nostra mortalità al fine di rendere noi partecipi della sua divinità : noi, divenuti partecipi di quell’Unico per conseguirne la vita ; lui, divenuto partecipe dei molti per condividerne la morte. È infatti a lui che si rivolgono coloro che temono Dio e conoscono le sue testimonianze : cioè quelle testimonianze, rese a lui, delle quali tanto tempo prima avevano parlato i Profeti e che, in tempi non molto remoti, quand’egli era fra noi, furono convalidate mediante i miracoli.

Stolto chi presume del libero arbitrio.

7. [v 80.] Dice : Divenga il mio cuore immacolato nelle vie della tua giustizia, affinché io non sia confuso. Torna a parlare con la voce del suo corpo, cioè del suo popolo santo. Chiede che divenga immacolato il suo cuore, cioè il cuore delle sue membra, nelle vie della giustizia di Dio. E questo non per le proprie forze. È infatti una cosa che chiede, non che pretende. E riguardo all’aggiunta : Affinché io non sia confuso, una cosa del genere si incontrava già nei primi versi di questo salmo, ove si diceva : Voglia il cielo che i miei passi siano diretti a custodire le vie della tua giustizia. Se guarderò a tutti i tuoi comandamenti, allora non rimarrò confuso. Là diceva : Voglia il cielo, che è un’espressione ottativa ; qui si esprime in termini più espliciti, come chi sta pregando, e dice : Divenga il mio cuore immacolato. Comunque, né nella frase di prima né in questa (che poi sono un tutt’uno) si incontrano tracce di uno che audacemente confida nel libero arbitrio incurante della grazia. Riguardo poi alle altre parole dette là, cioè : Allora non rimarrò confuso, son le stesse di qui, ove si dice : Affinché io non sia confuso. Concludendo : il cuore delle membra di Cristo, cioè del suo corpo, diventa immacolato per la grazia di Dio, e questo ad opera del Capo dello stesso corpo, il nostro Signore Gesù Cristo, mediante il lavacro della rigenerazione (Cf. Tt 3,5) dove tutti i nostri peccati antecedenti vengono cancellati. Vi interviene anche con il suo aiuto lo Spirito, per dono del quale noi cominciamo a nutrire desideri opposti a quelli della carne (Cf. Ga 5,17) e riusciamo a non esser vinti nella nostra battaglia [interiore]. È inoltre un effetto dell’orazione insegnataci dal Signore, ove diciamo : Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12). Il nostro cuore insomma diviene immacolato con la rigenerazione che ci viene donata, con gli aiuti che ci sostengono nella lotta e con la preghiera che eleviamo [a Dio]. E in tal modo non siamo confusi. Infatti anche questo rientra nell’ambito delle vie della giustizia di Dio, il quale ci ha dato, fra gli altri, anche questo precetto : Perdonate e vi sarà perdonato ; date e vi sarà dato (Lc 6,37-38).

SULLO STESSO SALMO 118

11821 Ps 118

DISCORSO 20

In continua tensione verso la salvezza definitiva.

1. [v 81.] Con l’aiuto del Signore intraprendiamo l’esame e l’esposizione di quella parte di questo grande salmo dove si dice : La mia anima è calata verso la tua salute e io ho sperato nella tua parola. Non ogni calo [spirituale] è da attribuirsi a colpa o a pena ; c’è anche un calo encomiabile e desiderabile. È vero che, essendo diametralmente opposti il crescere e il calare, in via ordinaria parlandosi di crescita la si intende nel bene, il calo invece nel male. Questo però quando non si aggiunge né si lascia sottintendere la cosa verso la quale si cresce o si cala. Se al contrario questa viene specificata, può esserci una crescita cattiva e un calo buono. Evidenti al riguardo le parole dell’Apostolo : Evita le novità di discorsi fatui poiché [quanti le seguono] avanzeranno sempre più nell’empietà (2Tm 2,16) ; e le altre, dette a proposito di certuni : Essi avanzeranno verso il peggio (2Tm 3,13). Lo stesso è del calo spirituale. Se dal bene si regredisce verso il male, è cattivo ; se dal male si avanza verso il bene, è buono. Ad esempio, era buono quel calo di cui fu detto : La mia anima anela e si strugge verso gli atri del Signore (Ps 83,3). E così nel nostro salmo. Non si dice : “ È calata allontanandosi dalla tua salute ”, ma : La mia anima è calata verso la tua salute, cioè dirigendosi verso la tua salute. È quindi un calo benefico, e chi l’esperimenta palesa un desiderio di bene non ancora raggiunto ma bramato con intensissima passione. Chi è, poi, che parla così, se non la stirpe eletta, il sacerdozio regale, il popolo santo che il Signore s’è conquistato (Cf. 1P 2,9) ? Lo dice nella persona di quanti desiderano Cristo, siano essi vissuti nel passato o vivano adesso o vivranno in avvenire : dalle origini dell’umanità, quindi, sino alla fine del mondo. Ne è testimone il santo vecchio Simeone, quando, tenendo in mano il Dio bambino, esclamò : Ora, Signore, lascia pure che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno veduto la tua salute (Lc 2,29). Aveva ottenuto da Dio il responso che non avrebbe assaporato la morte senza aver prima visto l’Unto del Signore (Lc 30,26) ; ed è da supporsi che il medesimo desiderio, come quel vecchio, così l’abbiano avuto tutti i santi dei tempi antecedenti. Lo conferma nostro Signore, quando parlando con i discepoli disse : Molti profeti e re hanno voluto vedere le cose che voi vedete e non l’hanno vedute, udire ciò che voi udite e non l’hanno udito (Mt 13,17). In effetti, è proprio la loro voce che dobbiamo riconoscere in questo passo che suona : La mia anima è calata verso la tua salute. Non s’appagò infatti allora questo desiderio dei santi, né è pago attualmente nel corpo di Cristo che è la Chiesa, finché non si giunga alla fine dei tempi quando verrà il Desiderato da tutte le genti, secondo la promessa del Profeta (Ag 2,8). In vista di ciò scrive l’Apostolo : Mi attende alla fine la corona della giustizia, che darà a me in quel giorno il Signore, giusto giudice ; e non solo a me ma a tutti quelli che amano la sua manifestazione (2Tm 4,8). Il desiderio di cui stiamo trattando nasce quindi dall’amore per la manifestazione di Cristo, della quale dice ancora l’Apostolo : Quando Cristo, vostra vita, si sarà manifestato, allora anche voi apparirete insieme con lui nella gloria (Col 3,4). Ciò significa che nei tempi della Chiesa decorsi prima che la Vergine partorisse ci furono santi che desiderarono la venuta del Cristo incarnato, mentre nei nostri tempi, a cominciare dalla sua ascensione al cielo, ci sono santi che desiderano la sua manifestazione in cui verrà a giudicare i vivi e i morti. Questo desiderio della Chiesa, dagli inizi del mondo sino alla fine, è senza interruzione, se si voglia escludere il periodo che il Signore incarnato trascorse con i discepoli. Per cui molto a proposito si applica all’intero corpo di Cristo, gemente in questa vita, la voce : La mia anima è calata verso la tua salute, e io ho sperato nella tua parola. Ho sperato cioè nella tua promessa, ed è questa speranza che fa aspettare con pazienza quel che, finché dura il tempo della fede, è impossibile vedere (Cf. Rm 8,25). Anche in questo verso il testo greco reca quella parola ormai nota che i nostri traduttori hanno preferito rendere con arcisperato, per indicare che la realtà futura supererà senza alcun dubbio quanto può dirsi a parole.

Il ritardo nell’esaudimento acuisce il desiderio dei Santi.

2. [v 82.] Prosegue : I miei occhi si son calati verso la tua parola, dicendo : quando mi consolerai ? Ecco di nuovo quel calo encomiabile e felice di cui sopra, attribuito questa volta agli occhi, evidentemente occhi interiori. Esso non deriva da debolezza d’animo ma dall’intensità del desiderio per le promesse di Dio. Lo dice espressamente : Verso la tua parola. In che senso poi questi occhi dicono : Quando mi consolerai ?, se non perché sono lo slancio [interiore] e l’attesa [di tali promesse] che c’inducono a pregare e gemere ? Infatti chi parla è la lingua, non l’occhio ; ma il desiderio che anima la preghiera è in certo qual modo voce degli occhi. Usando poi l’interrogazione : Quando mi consolerai ?, ci indica indirettamente che lo si fa aspettare. Come in quell’altro salmo ove si diceva : Ma tu, Signore, fino a quando ? (Ps 6,4) Il rinvio mira a rendere più dolce la gioia dilazionata ; o forse si tratta di una impressione della persona che nutre il desiderio, alla quale, come a ogni innamorato, è lungo il tempo dell’attesa, anche quando al soccorritore sembra breve. Ora, il Signore sa certamente non solo quel che deve fare ma anche il momento giusto per farlo, lui che dispone ogni cosa secondo misura, numero e peso (Cf. Sg 1,21).

3. [v 83.] Crescendo l’ardore dei desideri spirituali, ovviamente si smorza quello dei desideri carnali. Per questo continua [il salmo] : Infatti io son divenuto come un otre esposto alla brina ; pertanto non ho dimenticato le vie della tua giustizia. Non v’è dubbio che nell’“otre” ci invita a intendere la nostra carne mortale, mentre nella “brina” il dono celeste per il quale, come per un freddo che congela, vengono sopite le passioni carnali. Ne consegue che le vie della giustizia di Dio non sfuggono più alla memoria, poiché non sì hanno in cuore altri pensieri ma si avvera quanto suggerito dall’Apostolo : Non abbiate cura della carne sì da destarne le concupiscenze (Rm 13,14). Per questo, dopo aver detto : Infatti io son divenuto come un otre esposto alla brina, aggiunge : Non ho dimenticato le vie della tua giustizia. Cioè : Non me ne sono dimenticato perché son divenuto proprio così. L’ardore della passione s’è calmato, permettendo che ardesse il ricordo dell’amore.

421 Perpetuità della Chiesa.

4. [v 84.] Quanti sono i giorni del tuo servo ? Quando farai il giudizio dei miei persecutori ? Nell’Apocalisse si ode questa voce dei martiri, e in risposta si impone loro di pazientare finché non si completi il numero dei loro fratelli (Cf.
Ap 6,10). È dunque il corpo di Cristo che domanda quanti saranno i giorni che ancora gli restano da trascorrere in questo mondo. Nella risposta si vuol escludere l’opinione di chi pensasse che la Chiesa scomparirà dal mondo prima della fine dei tempi o che ci sarà quaggiù un certo periodo di tempo senza che vi sia la Chiesa. Al riguardo il salmista, dopo aver chiesto dei suoi giorni, aggiunge la menzione del giudizio : evidentemente per dimostrare che la Chiesa durerà sulla terra fino al giorno del giudizio, in cui si farà vendetta dei persecutori. A questo punto ci potrebbe essere anche qualcuno che si stupisca perché il salmo si ponga una domanda alla quale il Maestro, quando gliela posero i discepoli, rispose : Non tocca a voi sapere i tempi, che il Padre ha serbato in suo potere (Ac 1,7). Ma perché non credere, piuttosto, che in questo verso del nostro salmo viene profetizzato il fatto stesso che i discepoli avrebbero posto esattamente una tale domanda e che nella loro domanda si adempie proprio questa voce della Chiesa risuonata tanto tempo prima ?

Minacce e lusinghe dei nemici della verità.

5. [v 85.] Seguita : Gli iniqui mi hanno narrato di certe delizie, ma non erano come la tua legge, Signore. Con la parola delizie i nostri interpreti hanno voluto rendere ciò che i greci chiamano ; parola, questa, che è impossibile tradurre in latino con un unico termine, tanto è vero che alcuni hanno preferito delizie, altri favole. Per cui non è errato intendervi le esercitazioni di cui sopra, ma qui con la sfumatura d’un gusto particolare nel raccontarle. Cose di questa genere, in più campi e in più materie, hanno anche le letterature profane, come le hanno pure i Giudei (che le chiamano Deuterosis) ; e vi si contengono, oltre al canone delle Scritture, migliaia di racconti favolosi. Le hanno anche gli eretici, noti per la loro loquacità vana e ingannatrice. Il salmo allude a tutti questi iniqui, e da loro dice che gli sono narrate delle , cioè “ esercitazioni ” formulate con parole allettanti. Ma non erano - dice - come la tua legge, o Signore, nella quale il gusto non mi viene dalle parole ma dalla verità.

6. [v 86.] Continua : Tutti i tuoi comandamenti sono verità ; mi hanno perseguitato ingiustamente : aiutami. Il senso dipende totalmente dalle parole antecedenti : Quanti sono i giorni del tuo servo ? Quando farai il giudizio dei miei persecutori ? (Ps 118,84) Per perseguitarmi essi mi hanno raccontato delle “ delizie ” che altro non erano se non parole ; ma io ho preferito ad esse la tua legge, nella quale ho provato maggiore delizia, perché tutti i tuoi comandamenti sono verità, e non come i loro discorsi dove abbonda la vanità. Comportandomi così, essi mi hanno perseguitato, ma ingiustamente perché in me essi non perseguitavano altro che la verità. Aiutami quindi, affinché io combatta fino alla morte per la verità. Anche questo infatti è tuo comando, e quindi è verità.

7. [v 87.] Mentre la Chiesa si comportava così, subiva le angherie di cui subito dopo : Per poco non mi hanno finito [qui] sulla terra. In effetti grande fu la strage dei martiri mentre loro confessavano e predicavano la verità. Ma siccome non era stata pronunziata invano l’invocazione : Aiutami, per questo può ora dire : Io però non ho abbandonato i tuoi comandamenti.

Ammirevole la costanza dei Martiri.

8. [v 88.] Per potei perseverare sino alla fine dice : Secondo la tua misericordia rimettimi in vita, e osserverò le testimonianze della tua bocca, dove il testo greco legge : , parola da non passarsi sotto silenzio perché richiama il dolcissimo nome di martire. Quando infieriva la crudeltà incontenibile dei persecutori (al segno che la Chiesa stava per essere cancellata dalla faccia della terra), i santi non avrebbero certamente custodito i  di Dio se non si fosse adempiuta in essi la preghiera di questo salmo : Secondo la tua misericordia rimettimi in vita. E in realtà essi furono vivificati : non rinnegarono la Vita per amore di questa vita, né persero la vita per aver rinnegato la Vita. In tal modo, rifiutandosi di tradire la verità per amore della vita, conseguirono la vita morendo per la verità.


Agostino Salmi 11819