Agostino Salmi 11822

SULLO STESSO SALMO 118

11822 Ps 118

DISCORSO 21

1. [v 89.] La persona che parla in questo salmo appare angosciata per la mutabilità umana, che rende la vita presente piena di tentazioni. Immerso nelle afflizioni che poc’anzi lo avevano costretto a dire : Gli iniqui mi hanno perseguitato, e ancora : Per poco non mi hanno finito [qui] sulla terra (Ps 118), eccolo ora infiammato di desiderio per la Gerusalemme celeste. Dice : O Signore, la tua parola perdura in eterno nel cielo, cioè negli angeli che son rimasti nel loro rango in cielo senza disertare.

Cristo fondamento dell’edificio di Dio.

2. [v 90.] Il verso seguente, posto dopo menzionato il cielo, logicamente si riferisce alla terra. È un verso che fa parte degli otto elencati sotto l’identica lettera. Sotto ogni lettera ebraica infatti si succedono otto versi, sino alla conclusione del salmo veramente lungo. La tua verità di generazione in generazione ; hai fondato la terra e sta salda. Egli ha mirato il cielo : dopo di che, guardando alla terra con l’occhio della mente illuminato dalla fede, trova in essa delle generazioni che non erano in cielo. E dice : La tua verità di generazione in generazione. Con tale ripetizione vuol significare tutte le generazioni, durante le quali mai è venuta meno la verità di Dio nei suoi santi, fioriti in numero ora più ora meno elevato, quanti ne ha dati o ne darà il succedersi dei vari tempi [della Chiesa]. O forse ha voluto significare due tipi di generazione : una svoltasi al tempo della Legge e dei Profeti, l’altra al tempo del Vangelo. Per indicare in certo qual modo la causa per cui mai in queste generazioni manchi la verità, dice : Tu hai fondato la terra e sta salda, chiamando “ terra ” coloro ché popolano la terra. Ebbene, riguardo al fondamento (di questa “ terra ”] nessuno può porne altro al di fuori di quello che è stato posto, e cioè Cristo Gesù (Cf. 1Co 3,11). Difatti anche per la generazione vissuta al tempo della Legge e dei Profeti il fondamento era Cristo, che dalla Legge e dai Profeti riceve testimonianza (Cf. Rm 3,21). Oppure dovremmo per caso dire che Mosè e i Profeti sono da considerarsi figli della schiava che genera per la servitù, e non figli della donna libera, qual è la nostra madre (Cf. Ga 4,24), alla quale l’uomo dice : Madre Sion ; e l’uomo è nato in essa, ed egli stesso, l’Altissimo, l’ha fondata (Ps 86,5) ? Egli infatti è allo stesso tempo e l’altissimo che sta presso il Padre e l’umilissimo che s’è reso tale per noi [rientrando come noi] nell’ambito di questa madre. Difatti colui che era Dio, e quindi al di sopra di lei, si è fatto uomo in lei. Su questo fondamento, Signore, tu hai fondato la terra che rimane salda poiché poggiando su tale fondamento non si inclinerà mai in eterno (Cf. Ps 103,5) : rimarrà cioè ferma in coloro che da te avranno la vita eterna. Gli altri invece, cioè i nati dalla serva, gli eredi del Vecchio Testamento (nelle figure del quale tuttavia era nascosto il Nuovo), non seppero gustare altro se non le promesse terrene, e quindi non rimarranno per sempre. Il servo infatti non rimane eternamente nella casa, mentre il figlio vi rimane in eterno (Cf. Jn 8,35).

422 3. [v 91.] Per tuo ordine dura il giorno. Tutte queste cose sono il giorno : il giorno che il Signore ha fatto. Esultiamo e rallegriamoci finché dura (Cf. Ps 117,24), e camminiamo nell’onestà, come chi è nel giorno (Cf. Rm 13,13). Tutte le cose infatti sono al tuo servizio. Tutte le cose, cioè le cose di cui ha parlato, tutte queste cose, riferentisi al giorno, sono al tuo servizio. Non ti servono invece gli empi, di cui è detto : Ho paragonato la vostra madre alla notte (Os 4,5).

La legge della fede.

4. [v 92.] Guarda poi al modo come viene liberata questa “ terra ” e dove poggia il fondamento che la rende stabile, e soggiunge : Se la tua legge non fosse la mia meditazione, già forse sarei perito nella mia miseria. È questa la legge della fede : non della fede vuota ma operante per mezzo della carità (Cf. Ga 5,6). Per essa si impetra la grazia che rende forti nella tribolazione temporale e impedisce di soccombere nella miseria della mortalità.

5. [v 93.] Dice : In eterno non mi dimenticherò delle vie della tua giustizia, perché per esse mi hai rimesso in vita. Ecco come è riuscito a non soccombere nella miseria della sua mortalità. Se infatti Dio non vivificasse, cosa sarebbe dell’uomo ? Egli ha potuto darsi la morte, ma non può ridonarsi la vita.

Autosufficienza perniciosa.

6. [v 94.] Continuando dice : Tuo io sono, salvami, perché io ho cercato le vie della tua giustizia. Non è da sorvolarsi sul significato di quanto qui è affermato, e cioè : lo sono tuo. Chi infatti non è di Dio ? O dovremmo pensare che, per essere Dio (come si dice) in cielo, ci sia qualcosa sulla terra che non appartenga a lui ? Ma c’è un salmo che proclama : Del Signore è la terra e quanto la riempie, il mondo e tutti i suoi abitanti (Ps 23,1). Cosa mai, quindi, avrà voluto inculcare il nostro salmo quando, riferendosi ad una particolare famigliarità con Dio, ha detto : Io sono tuo, salvami ? Non avrà per caso voluto indicarci che fu per sua colpa se ambì d’essere autonomo, cosa che della disobbedienza è il male primo e più radicale ? È come se avesse detto : Volli essere mio e mi rovinai. Per questo dice ora : Io sono tuo ; salvami, perché io ho cercato le vie della tua giustizia. Non le mie voglie, con le quali pretesi di essere mio ma le vie della tua giustizia, per essere sempre tuo.

7. [v 95.] Dice : Mi hanno aspettato i peccatori per rovinarmi ; ma io ho compreso le tue testimonianze. Cosa vorrà dire con quel : Mi hanno aspettato per rovinarmi ? Che gli abbiano forse sbarrato la via tendendogli insidie, aspettando di ucciderlo quando fosse passato ? Temeva quindi di perire ucciso nel corpo ? Certo no ! Cosa vuol dire dunque : Mi hanno aspettato, se non che hanno aspettato che io consentissi al male ? Con questo infatti l’avrebbero veramente ucciso. Come però egli sia sfuggito alla rovina lo manifesta dicendo : Ho compreso le tue testimonianze. Il testo greco lo esprime con termine più noto alle orecchie della Chiesa, poiché dice : Ho compreso i tuoi . Io non consentivo loro - dice - anche quando volevano uccidermi ; così, confessando i tuoi , io non perivo. Essi però aspettavano che io finalmente consentissi perché volevano mandarmi in rovina, e per questo mi torturavano quando io confessavo [la mia fede]. Nonostante tutto, però, egli si manteneva fedele a quanto aveva compreso ; e fissando lo sguardo alla fine che non ha fine, egli perseverava sino alla fine.

Tendere al fine sorretti dalla divina carità.

8. [v 96.] Prosegue e dice : Di tutte le conclusioni ho visto un fine ; larghissimo è il tuo comandamento. Era entrato nel santuario di Dio e aveva compreso gli eventi della fine (Cf. Ps 72,17). Per “ tutte le conclusioni ” mi sembra che in questo verso si debbano intendere e il combattere fino alla morte in difesa della verità (Cf. Si 4,33) e il sopportare ogni sorta di mali per il bene vero e sommo. Tratto finale di una tale conclusione è la esaltazione nel regno di Cristo, che sarà senza fine, dove si godrà una vita esente da morte e da dolori, colma anzi dei più grandi onori. Vie per raggiungere questa vita sono la morte i dolori e le umiliazioni della vita presente. Quanto alle altre parole : Larghissimo è il tuo comandamento, non vi intendo se non la carità. Cosa infatti sarebbe valso aver confessato i  del Signore, esponendosi a ogni genere di morte e affrontando qualsiasi tormento, se in tale “ confessione ” non ci fosse stata la carità ? Ascolta l’Apostolo ! Dice : Anche se dessi il mio corpo per essere arso, ma non avessi la carità, non ne avrei alcun giovamento (1Co 13,3). Ora la carità è diffusa nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci è stato donato (Cf. Rm 5,5). Nell’aver in noi diffuso lo, Spirito è la nostra larghezza : quella larghezza per la quale senza compressioni si cammina per la via stretta, perché questo ci dona esattamente Colui al quale vien detto : Larghi rendesti i miei passi sotto di me, e non vacillarono i miei piedi (Ps 17,37). Largo è dunque il precetto della carità : quel duplice precetto con cui ci si comanda di amare Dio e il prossimo. Cosa infatti ci può essere di più ampio, se in esso si contengono tutta la Legge e i Profeti (Cf. Mt 22,40) ?

SULLO STESSO SALMO 118

11823 Ps 118

DISCORSO 22

La carità debella la concupiscenza.

1. [v 97.] A più riprese abbiamo ricordato che, quando si menziona quella dilatazione encomiabile per la quale non si incontrano strettezze nella pratica dei comandamenti di Dio, è da intendersi la carità. Lo comprova anche il presente lungo salmo. Infatti, dopo che ha detto : Larghissimo è il tuo comandamento, nel verso successivo, cioè nel presente, per mostrare in che senso sia largo dice : Quanto ho amato la tua legge, o Signore ! È dunque l’amore l’ampiezza del precetto. Ma come sarebbe possibile amare quanto Dio comanda di amare e non amare insieme lo stesso precetto ? Ora precetto e legge sono la stessa cosa. Dice : Tutto il giorno è la mia meditazione. Ecco come l’ho amato : meditandolo tutto il giorno, o più esattamente (come legge il testo greco) per tutto il giorno, ove meglio si sottolinea la continuità del meditare. Con tale espressione, poi, si indica la totalità del tempo e cioè : sempre. Quanto all’amore di cui il nostro salmo, è con esso che si debella la passione sregolata che di frequente ostacola l’adempimento dei precetti della legge, in quanto la carne ha desideri contrari a quelli dello spirito. Lo spirito, a sua volta, nutre desideri opposti a quelli della carne (Cf. Ga 5,17) e [per superarli] deve amare la legge di Dio, facendone la sua meditazione tutto il giorno. Dice al riguardo l’Apostolo : Dov’è allora il tuo vanto ? È escluso. Per quale legge ? quella delle opere ? No, ma per la legge della fede (Cf. Rm 3,27). È questa la fede che opera mediante l’amore (Cf. Ga 5,6). È lei che, cercando, chiedendo e picchiando, impetra io Spirito buono (Cf. Mt 7,7) per il quale si diffonde l’amore nei nostri cuori (Cf. Rm 5,5). Quanti poi sono mossi da questo Spirito sono figli di Dio (Cf. Rm 8,14) e vengono [da lui] accolti per assidersi con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli (Cf. Mt 8,11). Al contrario il servo, cioè l’Israele secondo la carne, non resta per sempre nella casa (Cf. Jn 8,35), come è stato detto : Vedrete Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, mentre voi sarete cacciati fuori. E da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno ne verranno a porsi a mensa nel regno di Dio. Ed ecco vi sono dei primi che saranno ultimi e degli ultimi che saranno primi (Lc 13,28). Riguardo alle genti [pagane] dice il Vaso di elezione : Le genti le quali non andavano dietro alla giustizia hanno conseguito la giustizia, dico la giustizia che nasce dalla fede. E Israele che cercava la legge della giustizia, a tale legge non pervenne. Perché ? Perché [la cercò] non dalla fede ma dalle opere, urtando nella pietra d’inciampo (Rm 9,30-32). In tal modo son divenuti nemici di colui che profeticamente parla nel presente salmo.

423 Il gusto del bene è dono di Dio.

2. [v 98.] Collegandosi al precedente aggiunge : Più dei miei nemici tu mi hai fatto gustare il tuo precetto, perché in eterno esso mi appartiene. Loro hanno certamente lo zelo di Dio, ma non secondo scienza. Non conoscendo infatti la giustizia di Dio e volendo affermare la propria, non soggiacciono alla giustizia di Dio (Cf.
Rm 10,2-3). Il salmista, a differenza di questi suoi nemici, è in grado di gustare la legge di Dio e, a somiglianza dell’Apostolo, vuol trovarsi sprovvisto di giustizia personale, derivatagli dall’osservanza della legge, per possedere la giustizia dono di Dio, che si acquista mediante la fede in Cristo (Cf. Ph 3,9). Non che la legge a cui si rifanno i suoi nemici non sia da Dio, ma essi non hanno, di tal legge, quella sapienza che ha costui, il quale la gusta più dei suoi nemici in quanto è continuamente congiunto a quella pietra nella quale gli altri hanno inciampato. Infatti fine della legge è Cristo (Cf. Rm 9,32), a salute di ogni uomo che creda (Cf. Rm 10,4) per essere gratuitamente giustificato attraverso la grazia divina (Cf. Rm 3,24). Non come quei tali che ritengono di poter osservare la legge con le loro sole forze e quindi presumono di affermare una giustizia che, per quanto derivata dalla legge di Dio, è una loro giustizia. Da figlio della promessa, il salmista ha, viceversa, fame e sete della giustizia divina (Cf. Mt 5,6) e va, per così dire, a mendicarla dal Padre chiedendo, cercando e picchiando (Cf. Mt 7,7). Divenuto in tal modo figlio adottivo, la ottiene per l’intervento del Figlio unigenito. Ma come avrebbe potuto conseguire un tal gusto per la legge di Dio se non glielo avesse concesso colui al quale ora dice : Più dei miei nemici tu mi hai fatto gustare il tuo precetto ? Difatti i suoi nemici, quasi fossero discendenti di Agar e fossero nati per condurre una vita da schiavi (Cf. Ga 4,24), dall’osservanza di quella stessa legge si ripromisero premi d’ordine temporale ; perciò la loro durata non fu eterna, come invece lo è per l’orante [di questo salmo]. A questo riguardo notiamo che son più vicini al vero quanti hanno tradotto : In eterno, che non coloro che hanno tradotto : Nel secolo, quasi che, terminato il secolo presente, non possa esserci alcun precetto della legge. In realtà, è vero che non ci saranno più precetti, se ci si riferisce a precetti scritti in tavole e libri visibili. Se invece ci si riferisce a quei precetti scritti nelle tavole del cuore, cioè all’amore di Dio e del prossimo, che è quel precetto duplice che comprende tutta la Legge e i Profeti (Cf. Mt 22,37-40), esso resterà in eterno e sarà lo stesso legislatore il premio dell’osservanza di tale precetto, come sarà premio del nostro amore lo stesso Diletto, quando Dio sarà tutto in tutti (Cf. 1Co 15,28).

Gli infiniti tesori della scienza di Cristo.

3. [v 99.] Ma cosa vorrà dire il testo che vien dopo, cioè : Ho compreso più di tutti coloro che mi istruivano ? Chi sarà mai questo uomo che ha compreso più di tutti i suoi maestri ? Chi sarà, dico, l’uomo che in fatto di capire osa anteporsi ai Profeti (tutti i Profeti), i quali non solo istruirono con la parola i propri coetanei ma con gli scritti divennero anche per i posteri maestri dotati di incomparabile autorità ? Consideriamo Salomone. A lui fu data una sapienza tale che, a quanto sembra, lo si debba ritenere superiore a tutti i suoi antecessori (Cf. , 12). Tuttavia, non è da pensarsi che in questo passo David, suo padre, profetizzi di lui, tanto più che sulla bocca di Salomone non potrebbero stare le parole che qui si leggono : Ho tenuto i miei piedi lontani da ogni via del male. È quindi più ovvio ritenere che il profeta autore del salmo si riferisca a Cristo, descrivendo con le sue parole profetiche ora la persona del Capo, cioè il nostro Salvatore, ora invece il suo corpo, cioè la Chiesa. Prende i due e li fa parlare come se fossero uno solo, in forza di quel gran sacramento di cui è detto : Saranno due in una sola carne (Ep 5,31). In lui veramente scopro uno che comprende più che tutti i suoi maestri. Così quando, ragazzo dodicenne, Gesù rimase a Gerusalemme e fu ritrovato dai genitori dopo tre giorni. Stava lì nel tempio, sedeva fra i dottori e li ascoltava e l’interrogava, e quanti lo ascoltavano rimanevano incantati dalla saggezza delle sue risposte (Cf. Lc 2,42). E si capisce ! Se tanto tempo prima parlando profeticamente aveva detto lui stesso : Ho compreso più. di tutti coloro che mi istruivano. Dicendo “ tutti ”, si debbono ovviamente intendere gli uomini (che egli supera tutti), non però Dio Padre, a proposito del quale il Figlio diceva : Parlo in conformità a quanto mi ha insegnato il Padre (Jn 8,28). Riguardo a questa espressione, molto difficilmente può essere messa in bocca al Verbo, a meno che qualcuno non voglia intendere (potendolo in qualche modo fare) che il Figlio in tanto è istruito dal Padre in quanto è da lui generato. Infatti nel Figlio non sono due cose diverse l’essere e l’essere istruito, ma sono la stessa cosa : per cui, se egli ha da qualcuno l’essere, ha dal medesimo insieme anche l’essere istruito. Che se al, contrario egli parla come uomo, in quanto cioè ha preso la natura dello schiavo (Cf. Ph 2,7), è più facile intendere come egli abbia appreso dal Padre le cose che ci ha comunicate. Di lui, comparso nelle sembianze d’uno schiavo, gli uomini più anziani di lui poterono pensare d’aver qualcosa da insegnargli, specie quand’era fanciullo ; ma lui, ammaestrato dal Padre, comprendeva più di tutti i suoi maestri. Dice : Perché le tue testimonianze sono la mia meditazione. Comprendeva più di tutti i suoi maestri perché meditava le testimonianze di Dio, che da se stesso conosceva meglio di loro. Tanto è vero che poteva dire : Avete mandato ad interrogare Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. Io però non ricevo la testimonianza da un uomo, e vi dico questo per la vostra salute. Egli è stato una lampada che arde e brilla, e voi vi siete compiaciuti di godere per un po’ della sua luce. Io però ho una testimonianza maggiore di Giovanni (Jn 5,33). Ecco le testimonianze che meditava e per le quali aveva un’intelligenza maggiore di quella di tutti i suoi maestri.

Le membra di Cristo partecipano della sua sapienza.

4. [v 100.] Non è assurdo identificare tali maestri con gli anziani di cui subito dopo afferma : Ho compreso più degli anziani. La ripetizione - a quanto mi sembra - mira a richiamare l’attenzione di noi che leggiamo sull’età del fanciullo, riferitaci dal Vangelo. Egli era in tenera età e sedeva fra gente adulta. Cioè : sebbene giovanetto, egli sedeva fra gli anziani e comprendeva più di tutti i suoi maestri. In effetti, giovane e anziano usualmente significano rispettivamente minore e maggiore in età, anche se non si tratti di persone giunte alla vecchiaia o ad essa vicine. Che se poi vogliamo indagare nel Vangelo dove si trovi espressamente il termine anziani (quegli “ anziani ” al di sopra dei quali egli si dice di capire), lo troviamo quando gli scribi e i farisei dissero a Gesù : Per qual motivo i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli anziani ? Infatti essi non si lavano le mani quando mangiano il pane (Cf. Lc 2,46). Ecco, egli viene rimproverato di trasgredire le tradizioni degli anziani. Ascoltiamo cosa rispondeva colui che comprendeva più degli anziani. Dice : Perché anche voi trasgredite il comandamento di Dio per amore delle vostre tradizioni ? (Mt 15,2) Successivamente, dopo cioè che ha mostrato come fosse superiore l’intelligenza nel Capo del corpo, vuole che anche il corpo, cioè le sue membra, superi in intelligenza quegli anziani di cui gli si ricordava la tradizione di lavarsi le mani. A tal fine chiamò le turbe e disse loro : Ascoltate e comprendete ! (Mt 15,10) Come per dire : Vedete di capire anche voi più di quegli anziani, affinché risulti evidente che l’antica profezia : Io ho compreso più degli anziani si riferisce anche a voi. Deve pertanto essere esatta non solo se la si applica al Capo ma anche applicata al corpo, e quindi valere per il Cristo tutto intero. Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo, ma quello che esce dalla bocca, questo contamina l’uomo (Mt 15,11). Tali affermazioni non comprendevano quegli anziani che avevano tramandato come fondamentali i precetti di lavarsi le mani. Né le compresero, quand’egli le annunziava, le stesse membra di quel Capo la cui intelligenza è superiore a quella degli anziani. Tanto è vero che, dopo un po’, Pietro rispondendo gli disse : Spiegaci questa parabola (Mt 15,15). Credeva che fosse parabola quel che il Signore aveva invece detto con linguaggio proprio, non figurato. Riprese Gesù : Anche voi siete senza intelligenza ? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca passa nel ventre e viene espulso nel cesso ? Invece quello che esce dalla bocca viene dal cuore ed è quello che contamina l’uomo (Mt 15,16). Anche voi siete a tutt’oggi privi d’intelletto e non comprendete più di quegli anziani ? Adesso però, dopo che abbiamo ascoltato un maestro così sapiente qual è il nostro Capo, ciascuno di noi può senz’altro affermare : Io ho compreso più degli anziani. Infatti si adatta bene anche al corpo ciò che il salmo continuando soggiunge : Poiché ho ricercato i tuoi comandamenti. I comandamenti tuoi, non quelli degli uomini ; i comandamenti tuoi, non quelli degli anziani, i quali, volendo essere dottori della legge, non capiscono né le cose che dicono né a proposito di che le dicano (Cf. 1Tm 1,7). Infatti non per nulla a quei tali che preferivano l’autorità degli anziani alla verità, a proposito dei comandamenti di Dio (che debbono essere ricercati perché li si comprenda meglio di quanto non facessero gli anziani del giudaismo), fu risposto con le parole : Perché anche voi trasgredite il comandamento di Dio per amore delle vostre tradizioni ? (Mt 15,3)

5. [v 101.] Quanto viene asserito dopo, e cioè : Da ogni cattivo sentiero ho sottratto i miei piedi per custodire le tue parole, non sembra convenire al nostro Capo ma deve applicarsi al corpo. Infatti non può il nostro Capo, il salvatore del corpo, essere condotto da passioni disordinate a battere le vie del male, per cui debba trattenere i suoi piedi già in qualche modo incamminati verso quella direzione. È però questo quel che facciamo noi tutte le volte che freniamo i nostri desideri disordinati (di cui Egli era esente) affinché non calchino le vie del male. Infatti in tanto riusciamo ad osservare la parola di Dio in quanto rifiutiamo di seguire le nostre voglie disordinate (Cf. Qo 18,30), impedendo loro di compiere il male a cui aspirano ; al contrario, le teniamo a freno in virtù dello Spirito che ha desideri contrari a quelli della carne (Cf. Ga 5,17), e in questo modo riusciamo a non farci trascinare per le vie del male, rapiti e travolti dal loro impeto.

Dio è a noi più intimo di noi stessi.

6. [v 102.] Dice : Non mi sono allontanato dai tuoi giudizi, perché tu mi hai imposto la legge. Manifesta quale sia il timore che gli impedisce di far scivolare i suoi piedi nelle vie del male. Cosa significa infatti : Non mi sono allontanato dai tuoi giudizi, se non : Ho temuto i tuoi giudizi ? Vi ho creduto con fede stabile, perché tu mi hai imposto la legge. Tu, che sei a me più intimo del mio intimo stesso, tu mi ponesti dentro, nel cuore, la tua legge, scrivendovela col tuo Spirito, come col tuo dito. In questo modo io non ho da temerla come un servo, senza avere per essa alcun amore ; piuttosto ho da amarla con timore casto, come si addice a un figlio, e insieme ho da temerla con casto amore.

7. [v 103.] Stando così le cose, vedi cosa aggiunge : Quanto dolci sono al mio palato le tue parole ! (o, come con più efficacia reca il greco : I tuoi detti). Sono alla mia bocca più gradite del miele e del favo [di miele]. Questa è la soavità che Dio dona perché la nostra terra produca il suo frutto (Ps 84,13) : perché, cioè, noi operiamo il bene veramente bene ; non quindi per paura di mali temporali ma per l’attrattiva che possiede in se stesso il bene spirituale. Alcuni codici, veramente, non leggono : Favo, ma i più lo hanno. Infatti è simile a miele la conoscenza chiara della sapienza ; al favo invece somiglia la conoscenza dei sacramenti più reconditi, paragonabili a blocchi di cera. Tale conoscenza si sprigiona dalla bocca dell’esegeta, come da uno che mastica, ed è dolce alla bocca del cuore, non a quella del corpo.

L’umile obbedienza, via alla sapienza.

424 8. [v 104.] Che significa l’espressione : Dai tuoi comandamenti ho compreso ? Una cosa infatti è : Ho compreso i tuoi comandamenti ; e un’altra : Ho compreso dai tuoi comandamenti. Indica certamente che egli dai comandamenti di Dio ha compreso una non so quale altra cosa. Per quanto posso arguire, ci lascia intendere che egli, osservando i comandamenti del Signore, è giunto a comprendere appieno le cose che desiderava conoscere. Come sta scritto : Desideri la sapienza ? Osserva i comandamenti e Dio te la concederà (Si 1,33). In tal modo nessuno che non voglia camminare all’indietro presumerà di giungere alle altezze della sapienza senza prima essersi acquistato l’umiltà dell’obbedienza. In effetti, il possesso della sapienza è impossibile se non vi si giunge procedendo secondo l’ordine [voluto da Dio]. Ecco dunque il suggerimento da ascoltare : Non cercare quel che è al di sopra di te, e non scrutare ciò che sorpassa le tue forze ; ma a ciò che ti è comandato da Dio, a quello pensa sempre (Si 3,22). In questa maniera, l’uomo attraverso la sottomissione ai comandamenti giunge alla conoscenza perfetta delle verità occulte. Che se alle parole : A ciò che ti è comandato da Dio a quello pensa, l’autore aggiunge l’avverbio sempre, lo fa per dirci che, come è necessario praticare l’obbedienza per raggiungere la sapienza, così anche quando si è raggiunta questa sapienza non si può trascurare l’obbedienza stessa. Pertanto le parole : Dai tuoi comandamenti ho compreso, sono dette dalle membra di Cristo più avanzate spiritualmente. Le pronunzia. cioè, il corpo di Cristo in coloro che non solo osservano i comandamenti ma, proprio per la loro fedeltà ai comandamenti, sono favoriti del dono d’una più completa cognizione della sapienza. Dice : Per questo io odio ogni via d’iniquità. L’amore della giustizia deve, infatti, odiare ogni sorta d’iniquità : quell’amore che è tanto più intenso quanto più l’infiamma la dolcezza d’una maggiore sapienza. Ma questa sapienza è accordata solo a chi è soggetto a Dio e comprende meglio la portata dei suoi comandamenti.

SULLO STESSO SALMO 118

11824 Ps 118

DISCORSO 23

Luce eterna e luce derivata.

1. [v 105.] Con le forze che Dio vorrà donarci ci accingiamo a indagare ed esporre alcuni versi di questo salmo, dei quali il primo suona così : Una lampada ai miei piedi è la tua parola e una luce ai miei sentieri. La parola lampada è ripetuta con luce, e quanto si dice con ai miei piedi è ripetuto con ai miei sentieri. Ma cosa sarà, in tal caso, la tua parola ? Forse quel Verbo che era in principio, Dio presso Dio, e per il quale tutte le cose furono create (Cf. 1) ? No. Difatti quel Verbo è, sì, luce ma non è lampada, in quanto la lampada non è il Creatore, ma una creatura che viene accesa attraverso una partecipazione della luce immutabile. Tale era Giovanni, a proposito del quale il Verbo-Dio diceva : Egli era una lampada accesa e rilucente (Jn 5,35). È vero che anche la lampada è un qualcosa di luminoso, ma, in confronto col Verbo del quale è detto : Il Verbo era Dio (Jn 1,8), Giovanni non era la luce ma fu inviato a rendere testimonianza alla luce. Il Verbo al contrario era la luce vera : non una luce illuminata dal di fuori, come lo è l’uomo, ma una luce che illumina ogni uomo. Comunque, se la lampada non fosse una luce, non avrebbe detto agli Apostoli il, Signore : Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). All’udire tali parole essi avrebbero potuto pensare che fossero la stessa cosa di colui che parlava e che in un altro luogo, parlando di se stesso, aveva detto : Io sono la luce del mondo (Jn 8,12). Per impedire l’equivoco precisò : Non può restare nascosta una città posta sul monte, e non si accende una lampada per metterla sotto il moggio ma sul candeliere, perché faccia luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini (Mt 5,14). In tal modo i discepoli dovevano persuadersi d’essere delle lampade accese a quella luce che splende immutabile. Non c’è infatti creatura, nemmeno fra quelle dotate di ragione e d’intelletto, che abbia da se stessa l’illuminazione, ma tutte sono illuminate per la partecipazione della verità eterna. E anche se talvolta le si chiama “ giorno ”, non sono quel giorno che è il Signore ma il giorno che il Signore ha fatto. Per questo risuona [nel salmo] : Accostatevi a lui e sarete illuminati (Ps 33,6). Per questa partecipazione lo stesso nostro Mediatore, in quanto uomo, è nel l’Apocalisse chiamato lampada (Cf. Ap 21,23). Ma questa accezione è assolutamente unica. Di nessuno dei santi poté mai affermarsi con parola divina, né può dirsi in qualsiasi modo, che il Verbo si è fatto carne (Jn 1,14), mentre lo si dice [con verità] dell’unico Mediatore fra Dio e gli uomini (Cf. 1Tm 2,5). Risulta, dunque, che il termine “luce” può dirsi del Verbo unigenito uguale al Padre e può dirsi anche dell’uomo illuminato dal Verbo : il quale uomo, inoltre, può essere chiamato anche “ lampada ”, come lo si trova detto di Giovanni e degli altri Apostoli. Li si può chiamare così, perché nessuno di loro è il Verbo ; mentre il Verbo di Dio, dal quale i santi sono illuminati, non può chiamarsi “ lampada ”. Stando così le cose, quale sarà la parola della quale si dice che è luce e insieme lampada ? Dice infatti : Una lampada ai miei piedi è la tua parola e una luce ai miei sentieri. Non dovremo forse intendervi quella parola che fu rivelata ai Profeti o che fu predicata dagli Apostoli ? Non, quindi, Cristo parola ma la parola di Cristo, della quale sta scritto : La fede [trae origine] dall’ascolto, l’ascolto dalla parola di Cristo (Rm 10,17). In tal senso, paragonando la parola profetica ad una lampada, l’apostolo Pietro diceva : Abbiamo la parola più ferma, quella profetica, alla quale fate bene a prestare attenzione come ad una lampada che risplenda in un luogo oscuro (2 Pt 2P 1,19). Quanto, dunque, è detto qui nel salmo : Una lampada ai miei piedi è la tua parola e una luce ai miei sentieri, è da riferirsi alla parola contenuta in tutte le sante Scritture.

2. [v 106.] Dice : Ilo giurato ed ho stabilito di osservare i giudizi della tua giustizia, come persona che cammina rettamente alla luce di quella lampada e si muove per strade dritte. Con le parole del secondo membro, poi, si spiegano quelle del primo. E, come se noi gli chiedessimo il senso di : Ho giurato, aggiunge : Ed ho stabilito. Chiama giuramento ciò che ha deciso in virtù del sacramento, nel senso che la nostra mente deve essere così stabile nell’osservare i decreti della giustizia divina che quanto si è proposta deve assolutamente equivalere a un giuramento.

Necessità della fede per osservare la legge.

3. [v 107.] I decreti della giustizia di Dio vengono osservati mediante la fede, per la quale si crede che dinanzi a Dio, giudice giusto, nessun’opera buona rimane infruttuosa e nessuna colpa rimane impunita. Siccome però per l’attaccamento a questa fede il corpo di Cristo ha dovuto sopportare molti e gravissimi mali, per questo si dice nel salmo : Sono stato umiliato fino all’estremo. Non dice : “ Io mi sono umiliato ”, per cui la frase debba riferirsi all’umiltà comandataci [dal Signore], ma al contrario : Io sono stato umiliato fino all’estremo. E ciò a sottolineare l’atrocissima persecuzione che [la Chiesa] ha subita per aver giurato e stabilito d’osservare i decreti della giustizia di Dio. Siccome però una tal fede non doveva venir meno, nonostante la profonda umiliazione, per questo prosegue : Signore, dammi la vita secondo la tua parola, cioè, secondo la tua promessa. È infatti l’annunzio delle promesse divine che costituisce una lampada ai piedi e una luce al sentiero. Non diversamente anche sopra, trovandosi prostrato dalla persecuzione, pregava Dio che lo rendesse alla vita, e diceva : Per poco non mi hanno finito [qui] in terra, ma io non ho abbandonato i tuoi comandamenti. Per la tua misericordia rimettimi in vita, e osserverò le testimonianze, cioè i , della tua bocca (Ps 108). Dalle quali parole si ricava che è Dio colui che vivifica col dono della pazienza, per cui fu detto : Nella vostra pazienza possederete le vostre anime (Lc 21,19) ; e ancora, vedendo le cose dalla parte di Dio : Da lui proviene la mia pazienza (Ps 61,6). Senza un tale dono, quando infuria la persecuzione, non è il corpo che muore ma l’anima, in quanto non resta fedele ai  e ai giudizi della giustizia di Dio.

4. [v 108.] O Signore, fa’ che le offerte volontarie della mia bocca incontrino il tuo beneplacito : fa’ cioè che ti piacciano. Non rigettarle ma accettale. Per offerte volontarie della bocca si intendono bene i sacrifici di lode offerti non per timore o necessità ma come spontanea attestazione d’amore, conforme al detto : Ti sacrificherò volontariamente (Ps 53,8). Ma che significato hanno le parole successive : E insegnami i tuoi giudizi ? Non ha già detto nei versi precedenti : Io non mi sono allontanato dai tuoi giudizi ? Come poteva far questo se non li conosceva ? Se invece li conosceva, come può ora chiedere : E insegnami i tuoi giudizi ? Non sarà lo stesso caso di prima, dove, dopo le parole : Tu hai usato dolcezza col tuo servo si diceva : Insegnami la dolcezza ? Caso che abbiamo risolto interpretando le parole come pronunciate da uno che progredisce e che chiede gli venga accresciuto ciò che già possiede.

Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio.

5. [v 109.] La mia anima è sempre nelle tue mani. Alcuni codici leggono : Nelle mie mani, ma la maggioranza : Nelle tue. E questo è ovvio, in quanto le anime dei giusti sono nella mano di Dio (Cf. Sg 3,1), nelle cui mani siamo noi e tutti i nostri discorsi (Cf. Sg 7,16). Prosegue : Né mi sono dimenticato della tua legge, quasi a dirci che la sua memoria, sede dell’anima, è stata aiutata dalle mani di Dio a non dimenticare la sua legge. Se al contrario si dovesse leggere : La mia anima è sempre nelle mie mani, non saprei qual senso dare alla frase. È infatti pronunziata dal giusto, non dal peccatore : dall’uomo che torna al Padre, non da chi se ne allontana. Ci si potrebbe certo vedere quel figlio minore, il quale volle avere in mano la propria anima quando disse al padre : Dammi la parte di beni che mi spetta (Lc 15,12) ; ma proprio per questo morì e si perdette. O che si debbano intendere le parole : La mia anima è nelle mie mani, come dette da uno che la offra a Dio affinché la riporti in vita ? Così infatti si dice in un altro passo : A te ho elevato la mia anima (Ps 24, l), e in questo salmo un po’ avanti era stato detto : Dammi la vita (Ps 118,107).

6. [v 110.] Dice : I peccatori mi hanno teso lacci, ma non ho deviato dai tuoi comandamenti. Perché questo, se non perché la mia anima era nelle mani di Dio, ovvero, tenendola egli nelle sue mani, la offriva a Dio perché la vivificasse ?

Il martirio è grazia insigne del Signore.

425 7. [v 111.] Ho acquistato in eredità le tue testimonianze in eterno. Qualche traduttore, per rendere con una sola parola il verbo usato dal greco, ha scritto : Ho ereditato. Ma questo, se pur lo si può dire in latino, indicherebbe la persona che ha donato l’eredità, piuttosto che non quella che l’ha ricevuta ; ho ereditato equivarrebbe, in tal caso, a “ho arricchito” [un altro !]. Il senso genuino della frase, comunque, si specifica meglio ricorrendo a due parole, dicendo cioè o : Ho posseduto in eredità, ovvero : Ho acquistato in eredità, sempre quindi : In eredità, non : La eredità. Se poi gli si domanda cosa abbia acquistato in eredità, ci dice : Le tue testimonianze. Con questa espressione ci manifesta che è stato per un dono accordatogli dal Padre se egli ha potuto essere testimone di Dio e confessare le sue testimonianze : se cioè poté diventare martire di Dio e pronunziare i  di lui come fecero i martiri. Molti infatti, pur volendo fare questo, non lo poterono, mentre nessuno di quelli che lo poterono lo poté senza averlo voluto, nel senso che mai sarebbero diventati martiri se la loro volontà avesse scelto di rinnegare le testimonianze di Dio. È però un fatto che anche la volontà dei martiri fu preparata dal Signore (Cf. Pr 8,35). Per questo il salmista proclama d’aver acquistato in eredità le testimonianze del Signore, e ciò in eterno. Infatti non si trova in esse una gloria temporale qual è quella degli uomini, di solito smaniosi di vanità, ma una gloria eterna, fatta per chi sa patire per un breve tempo al fine di regnare in eterno. Per questo continua : Esse infatti sono la gioia del mio cuore. Comportano afflizione fisica, ma per il cuore sono esultanza.

8. [v 112.] Ecco cosa aggiunge : Ho inclinato il mio cuore ad eseguire i tuoi statuti in eterno, a motivo della ricompensa. Colui che dice : Ho inclinato il mio cuore, aveva già detto : Piega il mio cuore verso le tue testimonianze (Ps 118,36). Ci si fa con ciò comprendere che la cosa è insieme dono di Dio e opera della propria volontà. Ma forse che durerà in eterno il nostro battere le vie della giustizia di Dio ? In effetti, è vero che le opere compiute per sovvenire alle necessità del prossimo non potranno essere eterne, come non lo sono nemmeno le stesse necessità ; se però a compiere tali opere non ci spinge l’amore, non ce ne proverrà alcuna giustificazione. Se invece le compiamo mossi dall’amore, quest’amore sarà certamente eterno, come eterna sarà la ricompensa ad esso dovuta. Ora, è in vista di questa ricompensa che il salmo dice d’aver chinato il suo cuore all’osservanza delle prescrizioni di Dio. In tal modo, amando in eterno, merita di avere in eterno quello che ama.


Agostino Salmi 11822