Agostino: 1a Lett. Giovanni 313


OMELIA 4 (1Jn 2,27-29 3,1-9)

400
1Jn 2,27-29 1Jn 3,4-8

Ed è verace. Potremo vincere il diavolo solo se, ascoltando Dio che parla in noi e conservata intatta la nostra fede, sapremo riconoscere i nostri peccati. E saremo figli di Dio se, vivendo la nostra fede e con la grazia di Cristo divenendo imitatori di Dio, aspetteremo con pazienza la vita eterna.

(Far posto nel cuore al Signore, affinché ci possa parlare.)

401 1. Ben ricordate, o fratelli, che la lettura di ieri è terminata alle parole: Non c'è bisogno che alcuno vi istruisca, perché la sua unzione vi istruirà su tutto (1Jn 2,27). Sono certo che vi ricordate di quanto vi ho spiegato: che cioè noi vi parliamo dal di fuori e siamo come agricoltori che curano l'albero dall'esterno, ma siamo incapaci di dare incremento e formare i frutti; colui invece che vi ha creato e redento, che vi ha chiamato ed abita in voi per mezzo della fede e dello Spirito Santo, vi parla nell'intimo; altrimenti invano moltiplicheremmo le nostre parole. Da che cosa risulta questa constatazione? Dal fatto che gli ascoltatori, pur essendo molti, non tutti si persuadono di quanto vien detto; ne sono persuasi soltanto quelli ai quali Dio stesso parla nell'intimo. Ma Dio parla nell'intimo a quelli che gli fanno posto; ora fanno posto a Dio quelli che non lasciano posto dentro di sé al diavolo. Il diavolo vuole abitare nel cuore degli uomini e suggerisce loro parole capaci di sedurre. Ma sentite che cosa dice il Signore Gesù: Il principe di questo mondo è stato cacciato fuori (Jn 12,31). Da dove? Dal cielo o dalla terra? fuori dal mondo creato? No! E' stato cacciato dal cuore dei credenti. Una volta estromesso l'invasore, è il Redentore che abita nei cuori; quello stesso che vi ha creati, vi ha anche redenti. Il diavolo deve limitarsi ormai a combattere dal di fuori e non può vincere colui che regna nell'intimo. Egli combatte dal di fuori, insinuando tentazioni varie: ma colui al quale Dio parla nell'intimo e possiede quell'unzione di cui vi ho parlato, non lo ascolta.

(Fedele è il Signore.)

402 2. 2. La sua unzione - dice Giovanni -è vera. Queste parole significano che lo Spirito non può mentire, quando istruisce gli uomini. Essa non è mendace. Rimanete nell'insegnamento che essa vi ha dato. O figlioli, rimanete in lui, affinché quando egli si manifesterà, possiamo avere fiducia di fronte a lui e non abbiamo a restare confusi nel giorno del suo ritorno (1Jn 2,27-28). Ecco, fratelli miei: noi crediamo in quel Gesù che non hanno veduto i nostri occhi. A noi Gesù lo hanno annunciato coloro che lo hanno veduto, l'hanno stretto colle loro mani, hanno udito le parole uscite dalla sua bocca. Essi, perché tutti gli uomini accettassero le sue parole, furono inviati da lui; non osarono infatti andare di loro iniziativa. Dove furono mandati? L'avete sentito dalla lettura del Vangelo: Andate, predicate il Vangelo ad ogni creatura che è sotto il cielo (Mc 16, 15). I discepoli furono dunque inviati in ogni parte del mondo, con la testimonianza di prodigi e segni miracolosi perché gli uomini credessero che essi riferivano cose da loro stessi viste. Noi abbiamo creduto in colui che non abbiamo visto coi nostri occhi, e ne aspettiamo il ritorno. Chiunque lo aspetta con fede, sarà ripieno di gioia, quando ritornerà; ma quelli che saranno senza fede, resteranno pieni di vergogna, quando ritornerà colui che essi ora non vogliono vedere. La loro vergogna non durerà un giorno solo e subito finirà, come solitamente capita quando uno prova vergogna per essere stato sorpreso in qualche colpa ed è investito dal disprezzo degli altri. Quella vergogna invece caccerà alla sinistra del giudice quelli che ne saranno colpiti, per sentire le parole: Andate al fuoco eterno, che fu preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25, 41). Restiamo dunque fedeli alla sua parola, affinché non abbiamo a provare confusione quando ritornerà. Egli infatti nel Vangelo a quelli che avevano creduto in lui dice: Se rimarrete nelle mie parole, sarete veramente i miei discepoli (Jn 8,31). E quasi gli chiedessero: Con quale vantaggio? Voi conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Jn 8,32). Attualmente la nostra salvezza è oggetto di speranza, perché ancora non si è realizzata; ancora non possediamo ciò che è stato promesso e tuttavia ne speriamo la futura realizzazione. Colui che ha fatto questa promessa è fedele; egli non ti inganna: tocca a te unicamente non mancargli di fiducia, ma attendere la realizzazione delle sue promesse. La verità non conosce inganni. Non voler essere tu il bugiardo, altra cosa professando ed altra facendo; conserva la fede e lui manterrà fede alla sua promessa. Se non avrai conservato la fede, sarai stato tu a defraudarti, non certo chi ti ha fatto la promessa.

(Confessare il peccato e lottare con la grazia di Dio.)

403 3. Se voi sapete che egli è giusto, sappiate che chiunque si diporta giustamente, è nato da lui (1Jn 2,29). Attualmente la nostra giustizia deriva dalla fede. La giustizia perfetta si trova solo negli angeli, ma se li mettiamo a confronto con Dio, dovremo dire che a mala pena essi sono nella giustizia. Ma se esiste una giustizia relativamente perfetta nelle anime e negli spiriti creati da Dio, questa si trova negli angeli buoni santi e giusti, che non hanno abbandonato Dio con nessun peccato, non sono caduti in atti di superbia, ma sono sempre rimasti fedeli nella contemplazione del Verbo di Dio, nulla avendo di più dolce se non la visione di colui dal quale sono stati creati. Orbene in questi angeli noi troviamo la perfetta giustizia, mentre in noi si trova quella giustizia che ha avuto inizio dalla fede secondo lo Spirito. Allorché leggevamo il salmo, avete sentito queste parole: Incominciate a lodare il Signore con la confessione (Sal 146, 7). Il salmista dunque ci dice di incominciare: ora l'inizio della nostra giustizia è la confessione dei nostri peccati. Se hai incominciato a non scusare il tuo peccato, già hai dato inizio alla tua giustificazione: essa diventerà poi perfetta, quando il tuo unico diletto sarà la giustizia, e la morte sarà assorbita nella vittoria (cf. 1 Cor 15, 54), né più ti attirerà la concupiscenza, non si avrà più in te la lotta contro la carne ed il sangue e tu avrai la corona della vittoria, il trionfo sul nemico: allora ci sarà anche in te la perfetta giustizia. Per il momento dobbiamo ancora combattere e se combattiamo significa che ancora ci troviamo nello stadio; possiamo infliggere ferite ma anche essere feriti, ed aspettiamo di vedere chi sarà il vincitore. Ora vincitore sarà colui che riesce a ferire, non facendo affidamento sulle sue forze, ma sulla spinta di Dio. Il diavolo è solo nel combatterci. Noi vinciamo il diavolo se stiamo vicini a Dio. Se pretendi di opporti da solo al diavolo, sarai sconfitto. Egli è un avversario avveduto ed esperto. Quante vittorie ha al suo attivo! Guardate da quale altezza ci ha precipitato: per farci nascere mortali, riuscì a scacciare dal paradiso i nostri progenitori. Che cosa fare dunque, dal momento che egli è tanto esperto? Si invochi l'Onnipotente contro il diavolo che è un nemico agguerrito. Abiti dentro di te colui che non può essere vinto, ed allora certamente vincerai colui che è solito vincere. Chi però il diavolo riesce sempre a vincere? Colui nel quale non abita il Signore. Adamo, infatti, mentre era nel paradiso disprezzò, come sapete, il comando del Signore e divenne superbo, desiderando essere indipendente, non più soggetto alla volontà di Dio; e così cadde dalla sua condizione di immortalità e di beatitudine (cf. Gn 3, 6). Ci fu un tempo un uomo agguerrito anche se mortale, che, sedendo nello sterco tra putridi vermi, vinse il diavolo: fu Adamo stesso che lo vinse nella persona di Giobbe, essendo questi un suo discendente; Adamo, quando era nel paradiso, subì la sconfitta; quando invece si trovò nello sterco, conseguì la vittoria. Quando era nel paradiso diede ascolto alle parole suasive della donna, che le aveva sentite suggerire dal diavolo; ma quando si trovò in mezzo allo sterco, egli disse ad Eva: Hai parlato da donnetta stolta (Gb 2, 10). Là, nel paradiso, si lasciò suggestionare, ma qui sa rispondere a tono; quando era in condizioni di felicità, si lasciò convincere; ma quando si trovò in mezzo alla disgrazia, ottenne la vittoria. Fate perciò attenzione, o fratelli, alle parole successive di questa Epistola: ci viene raccomandato di vincere il diavolo, ma non da soli. Se sapete che egli è giusto - ci dice l'apostolo Giovanni -sappiate che chi agisce con giustizia è nato da lui, cioè da Dio, da Cristo. Parlando di chi è nato da lui è a noi che si rivolge. Dunque per il fatto di essere nati da lui già siamo perfetti.

(Cristiani di nome, non di fatto.)

404 4. Ascoltate: Ecco quale amore ci mostrò il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà (+1Jn 3, 1). Il mondo è tutto cristiano e in pari tempo è tutto empio; gli empi infatti sono sparsi in tutto il mondo e lo stesso si verifica per le persone pie: gli uni non conoscono gli altri. Come sappiamo che non si conoscono a vicenda? Da questo: che gli empi lanciano insulti contro coloro che vivono bene. Fate bene attenzione perché costoro si trovano forse anche in mezzo a voi. Ciascuno di voi già vive religiosamente, già disprezza le cose del secolo, non va agli spettacoli, non si ubriaca come si trattasse di un rito, non si rende impuro (e la cosa è molto importante) nelle feste dei santi, col pretesto di ottenere il loro patrocinio. Perché mai, dunque, chi non compie tali azioni viene insultato da chi le compie? Ma come potrebbe essere oggetto di insulto, se fosse conosciuto? Perché allora non sono conosciuti? Perché il mondo non conosce il Padre. Chi sono coloro che formano il mondo? Evidentemente quelli che abitano il mondo, così come, dicendo casa, si intende parlare dei suoi abitatori. Queste cose già le abbiamo dette e ripetute, né ci stanchiamo di ripeterle. Quando sentite parlare del mondo in senso cattivo, dovete intendere solo gli amatori del mondo. Essi abitano nel mondo in quanto lo amano; e poiché lo abitano, hanno anche meritato di assumerne il nome. Il mondo perciò non ci conosce, perché non conosce il Padre. Gesù stesso camminava per le strade del mondo ed era Dio in carne umana, Dio nascosto nella debolezza della carne. Perché mai non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio: amando ciò che la febbre suggeriva loro, facevano ingiuria al medico.

(Cristo è venuto per essere giudicato, tornerà per giudicare.)

405 2. 5. Ma noi che faremo? Già siamo nati da lui, ma poiché restiamo ancora nella speranza, l'Apostolo ha aggiunto: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio. Lo siamo già fin d'ora? Che cosa allora dobbiamo aspettare, se già siamo figli di Dio? Non ancora ci è stato rivelato ciò che saremo. Saremo qualcosa di diverso da ciò che sono i figli di Dio? Ascoltate le parole che seguono: Sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3, 2). Comprenda la vostra Carità questa grande cosa: sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è. Fate attenzione e vedete chi è qui indicato con la parola: è. Già voi sapete chi viene così chiamato. Viene detto è non soltanto chi è di nome ma chi è anche di fatto; chi ha un essere immutabile, eterno, incorruttibile; un essere che non migliora, perché già perfetto, né diminuisce perché eterno. Che cosa significa questo? In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Jn 1,1). Che cosa significano queste altre parole? Egli pur sussistendo in forma divina non giudicò un'usurpazione essere uguale a Dio (Fil 2, 6). I cattivi non possono vedere Cristo nella sua forma divina, come il Verbo di Dio, l'Unigenito del Padre, uguale al Padre. Anche i cattivi invece potevano vederlo come Verbo fatto carne: nel giorno del giudizio lo vedranno anche i cattivi; egli verrà a giudicare, così come era venuto per essere giudicato. Egli è, nella medesima forma, uomo e Dio. Dice la Scrittura: Sia maledetto l'uomo che mette la sua speranza nell'uomo (Ger 17, 5). Egli venne come uomo, per essere giudicato, e come uomo verrà a giudicare. Se fosse impossibile vederlo, perché mai è stato scritto: Guarderanno a colui che hanno trafitto (Jn 19,37)? Degli empi infatti è detto che lo vedranno e saranno confusi. In che senso allora non potranno vederlo, quando il Signore metterà alcuni alla sua destra ed altri alla sua sinistra? A quelli che metterà alla destra dirà: Venite, benedetti del Padre mio, possedete il Regno (Mt 25, 34). A quelli di sinistra dirà invece: Andate al fuoco eterno (Mt 25,.41). Essi vedranno in Cristo solo l'aspetto di servo, non vedranno la sua forma di Dio. Perché? Perché sono empi ed il Signore stesso dice: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Godremo dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia (cf. 1 Cor 2, 9): una visione che supererà tutte le bellezze terrene, quella dell'oro, dell'argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza.

(Il desiderio amplia le nostre capacità recettive.)

406 6. Che cosa saremo dunque, allorché potremo godere questa visione? Che cosa ci è stato promesso? Saremo simili a lui, perché lo vedremo come è. La lingua non è riuscita ad esprimersi meglio, ma il resto immaginatelo colla mente. Che cosa sono le rivelazioni di Giovanni messe a confronto con Colui che è? Che cosa possiamo esprimere noi che siamo creature assolutamente impari alla sua grandezza? Torniamo adesso a parlare della sua unzione, di quell'unzione che insegna interiormente ciò che a parole non possiamo esprimere. Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla. La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l'otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l'attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l'animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l'apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che avverrà. Egli dice infatti: Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli (Fil 3, 12-13). Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? Una sola cosa, inseguire con tutta l'anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti (Fil 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò. In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall'amore del mondo. Già l'abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino. Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com'è.

(L'attesa paziente rafforza il desiderio.)

407 7. Ed ognuno che ha questa speranza in lui (+1Jn 3, 3). Vedete come Dio non distrugge il libero arbitrio; dice infatti si rende puro. Chi ci rende puri se non Dio? Ma Dio non ti purifica, se tu non lo vuoi. Per il fatto che insieme alla volontà di Dio metti anche la tua, tu rendi puro te stesso. Questo non si verifica in forza delle tue capacità, ma per merito di Colui che viene ad abitare dentro di te. Siccome però in questi atti c'è la parte della tua volontà, anche a te ne è attribuito il merito. Ma in tal modo che tu debba dire col salmo: Sii tu il mio aiuto, non abbandonarmi (Sal 26, 9). Se dici: sii tu il mio aiuto, significa che qualche cosa stai facendo; perché se nulla fai, in che cosa Dio dovrebbe aiutarti?

(Giustificazione e fede.)

(Divenire simili a Dio.)

409 2. 9. Figlioli, nessuno vi seduca. Chi fa la giustizia è giusto, proprio come lui è giusto (1Jn 3,7). Sentendo dire che noi siamo giusti come lui, ci riterremo forse uguali a Dio? Dovete capire bene il significato di quel come. Giovanni aveva detto poco prima: chi crede in lui, si rende puro, così come egli è puro. La nostra purezza viene messa alla pari con la purezza di Dio, la nostra giustizia con la giustizia di Dio? Chi potrebbe asserire ciò? In realtà non sempre il come implica una eguaglianza. Poniamo il caso che qualcuno, dopo aver ammirato questa grande basilica, volesse costruirne una più piccola e tuttavia proporzionata alle misure di questa, in modo che se la lunghezza di questa è doppia della larghezza, anche l'altra rispetti le medesime proporzioni: noi possiamo dire che egli ha inteso innalzare la seconda basilica come la prima. La prima tuttavia misura cento cubiti mentre la seconda soltanto trenta; questa, nei confronti dell'altra, è dunque uguale e disuguale ad un tempo. Vedete allora che un come non sempre implica parità ed uguaglianza. Eccovi un altro esempio. Notate anche voi quanta differenza passa tra la faccia di un uomo e la sua immagine vista nello specchio: una faccia rappresentata in immagine ed una che appartiene al corpo reale, l'immagine che è una realtà di imitazione e il corpo che è una vera sostanza. Che dire dunque? Qui come lì gli occhi, qui come lì gli orecchi. Eppure siamo di fronte a due realtà diverse e il come viene usato per indicare una similitudine. Anche noi dunque portiamo l'immagine di Dio; non è quella che possiede il Figlio, uguale al Padre, e tuttavia in nessun modo potremmo essere dichiarati a lui simili, se in qualche modo a noi proprio non gli fossimo simili. Egli ci rende puri, come lui è puro; ma egli è puro fin dall'eternità, noi lo siamo per mezzo della fede. Siamo giusti come è giusto lui: ma egli lo è nella immutabilità e perpetuità della sua natura, noi lo siamo attraverso la fede in lui che non vediamo, affinché un giorno possiamo vederlo. Quando sarà perfetta la nostra giustizia, allorché saremo diventati simili agli angeli, neppure allora questa giustizia sarà uguale alla sua. Quanto dunque sarà ora lontana dalla sua perfezione, se neppure allora potrà equipararla?

(I figli del diavolo.)

(Adamo e Cristo.)

(Difficoltà intorno al peccato.)

412 2. 12. Affido alla vostra Carità le parti che rimangono da spiegare, perché non voglio esservi di peso. Perché ci diciamo peccatori? Ecco la questione che ci interessa e per risolvere la quale ci stiamo affaticando. Se uno dice di essere senza peccato, è menzognero. In questa stessa Epistola di Giovanni abbiamo trovato queste parole: Se diciamo di non aver peccato, ci inganniamo. Ricordatele bene queste parole, dette dianzi: Se diremo che non abbiamo peccato, ci inganniamo e verità non è in noi (+1Jn 3, 8-9). Il peccato non viene da Dio. Di nuovo, una questione che ci turba. Come è possibile che noi, essendo nati da Dio, ci confessiamo peccatori? Dovremmo dire che non siamo nati da Dio? Che cosa producono questi sacramenti nei bambini? Giovanni non ci ha forse detto che chi nasce da Dio, non pecca? Ma in altra occasione egli ci ha ammonito: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. La questione è grave e difficile. Vi ho attirato l'attenzione di vostra Carità, perché v'impegnaste a risolverla. La discuteremo domani in nome del Signore e secondo i lumi che egli ci darà.






OMELIA 5 (1Jn 3,9-17)

500
1Jn 3,9-18

Chi è nato da Dio... Chi è nato da Dio non offende la carità. E' perfetta se dispone a donare la propria vita; è agli inizi, se spinge a soccorrere i propri fratelli. E' il segno distintivo del vero cristiano.

(Apparente contraddizione.)

501 1. Vi prego di ascoltarmi attentamente, perché dobbiamo trattare un problema di non poca importanza. Dato che ieri vi siete mostrati attenti, non dubito che siate venuti anche oggi intenzionati a prestare la massima attenzione. Questo è il nostro problema non piccolo: come conciliare due dichiarazioni contenute nella nostra Epistola. La prima è: Chi è nato da Dio, non pecca (1Jn 3,9); la seconda, precedente a quella: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi (1Jn 1,8). Che farà colui che si troverà impigliato in testi così opposti della stessa Epistola? Se uno si confesserà peccatore, deve temere che gli si dica: E' segno che non sei nato da Dio, perché sta scritto: Chi è nato da Dio, non pecca. Se uno si dichiara giusto e senza peccato, viene colpito da un'altra parte della stessa Epistola: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. L'uomo è dunque messo in mezzo a due realtà contrarie per cui non sa che dire, né che cosa dichiararsi, né come definirsi. E' cosa pericolosa ed anche menzognera dichiararsi senza peccato. Inganniamo noi stessi - dice l'Epistola -e la verità non è in noi, se diremo che non abbiamo peccato. Volesse il cielo che di peccati non ne avessi, e che potessi confessarlo! Saresti nella verità, e, dicendo ciò che è vero, non commetteresti la più piccola iniquità! Ma appunto fai male a dire che non hai peccati, perché dici una menzogna: Se diremo di non aver peccato, la verità non è in noi. Non dice il testo: non abbiamo avuto peccati, per non farci credere che parli solo della nostra vita passata. Si potrebbe infatti pensare che questa persona abbia commesso peccati, ma da quando è nata da Dio, non ne ha più commessi. Se le cose stessero così, sarebbe eliminato ogni problema. Potremmo dire: siamo stati peccatori, ma ora siamo stati giustificati; abbiamo avuto il peccato, ma ora non più. Giovanni non si è espresso in questi termini. Che cosa ha detto? Se diremo che non abbiamo peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. Un poco più oltre afferma: Chi è nato da Dio, non pecca. Giovanni stesso, non si può dubitarlo, era nato da Dio. Se si dicesse che non era nato da Dio colui che posò il suo capo sul petto del Signore, chi mai potrà attendersi quel rinnovamento interiore di se stesso, che neppure riuscì a meritare chi posò il suo capo sul petto del Signore? E' mai possibile che il Signore non aveva rigenerato, per mezzo dello Spirito Santo, solo colui che più degli altri amava (cf. Jn 13,23)?

(Chi è da Dio non offende la carità.)

502 2. 2. Prestate ora attenzione a queste parole; vi ripeto ancora le mie difficoltà, perché il Signore per merito appunto della vostra attenzione, che è preghiera per noi e per voi, voglia allargarci la via e condurci all'uscita. Questo anche perché non capiti che qualcuno prenda occasione di perdersi proprio da quella parola di Dio, che viene predicata e scritta per la nostra guarigione e salvezza. Dice dunque Giovanni: Chiunque fa il peccato, commette una iniquità (1Jn 3,4). Non devi separare: l'iniquità è peccato. Non devi dire: io sono peccatore ma non sono iniquo. Il peccato è una iniquità. Voi sapete che egli si è manifestato per togliere il peccato e che in lui non c'è peccato (1Jn 3,5). Che egli sia venuto senza aver peccati sopra di sé è un vantaggio per noi? Ecco: Chi non pecca, rimane in lui; chiunque pecca, non lo vede né lo conosce. Figlioli, nessuno vi inganni. Chi fa la giustizia è giusto, al pari di lui (+1Jn 3, 8). Abbiamo anche detto che il diavolo non ha creato, né generato nessuno. Ma i suoi imitatori sono come figli che nascono da lui. Per questo si è manifestato il Figlio di Dio, per distruggere le opere del diavolo (+1Jn 3, 9). Queste parole non pecca, ci legano strettamente e ci fanno sorgere il dubbio che egli abbia voluto riferirsi ad un peccato particolare e non al peccato in genere. Quando egli disse: Chi è nato da Dio, non pecca, volle forse significare un determinato e preciso peccato, che l'uomo nato da Dio non può commettere: un peccato di tale natura che, commettendolo, riconferma anche tutti gli altri; non commettendolo, vengono distrutti ed eliminati anche tutti gli altri. Quale peccato dunque? Quello di agire contro il comandamento? Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro (Jn 13,34). Comprendetemi: questo comandamento di Cristo si chiama amore ed in virtù di questo amore vengono eliminati i peccati. Non attuare questo amore è grave peccato e costituisce la radice di tutti gli altri peccati.

503 3. Comprendetemi, o fratelli; vi abbiamo proposto, se vi sforzate di capirla, la soluzione del nostro problema iniziale. Ma vogliamo forse percorrere la via soltanto con i più veloci? Non vogliamo abbandonare neppure quelli di voi che vanno più lenti. Perciò mi soffermerò su questo problema meglio che potrò, perché la sua soluzione sia intesa da tutti. Sono certo, fratelli, che ogni uomo pensa agli interessi della sua anima e, quando si aggrega alla Chiesa, lo fa per uno scopo ben preciso: non per ricercare le cose temporali e neppure perché vuole dedicarsi agli affari di questo mondo ma perché possa trovare la strada per giungere a possedere quel bene eterno, che gli è stato promesso. Bisogna che ognuno osservi come cammina sulla via, se si arresta, se torna indietro, se sbaglia strada, se corre il rischio di non arrivare a causa del suo passo claudicante. L'uomo sollecito del proprio bene, sia che procede lentamente, sia che corra, badi a non abbandonare la giusta via. Ho detto dunque che le parole: Chi è nato da Dio, non pecca, vanno riferite ad un determinato peccato, perché diversamente sarebbe in contraddizione con questa altra dichiarazione: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. La soluzione del problema può essere questa. C'è un peccato che non può essere commesso da chi è nato da Dio; astenendosene, sono tolti anche tutti gli altri peccati; ma quando lo si commette, anche tutti gli altri peccati vengono confermati. Quale peccato? Agire contro il comandamento di Cristo, contro il testamento nuovo. Ma qual è questo comandamento nuovo? Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate vicendevolmente. Non osi gloriarsi e neppure dirsi nato da Dio, chi agisce contro la carità e l'amore fraterno: chi invece è costante nell'amore fraterno, certi peccati non li può commettere e particolarmente non commetterà il peccato di odiare il proprio fratello. Che ne sarà allora degli altri peccati, dei quali fu detto: Se diremo che non abbiamo peccato ci inganniamo ed in noi non c'è verità? Ebbene c'è una rassicurazione al riguardo, contenuta in un altro passo della Scrittura: La carità copre molti peccati (1 Pt 4, 8).

(La carità perfetta.)

504 2. 4. Vi raccomandiamo dunque la carità; essa costituisce la raccomandazione fondamentale di questa Epistola. Che cosa chiese il Signore, dopo la sua resurrezione, a Pietro, se non: mi ami tu? Né si limitò a chiederglielo una sola volta; ripeté l'identica richiesta una seconda e una terza volta. Anche se Pietro alla terza identica domanda si mostrò rattristato, quasi incredulo che il Signore ignorasse i suoi sentimenti, egli non pensò di mutare la sua richiesta, dopo la prima e la seconda volta. La paura aveva spinto Pietro a rinnegare tre volte, e tre volte il suo amore doveva dare testimonianza a Gesù (cf. Gv 21, 15-17). Pietro dunque ama il Signore. Che cosa dovrà dare al Signore? Non avrà anch'egli sentito il suo animo in pena, leggendo queste parole del salmo: Che cosa renderò al Signore per tutto quello che mi ha dato? (Sal 115, 12). L'autore di queste parole del salmo sentiva quanto fossero grandi i doni ricevuti da Dio; cercava che cosa restituire a Dio e non lo trovava. Qualunque cosa si scelga per ripagarlo, lo si è ricevuto da lui. Che cosa trovò il salmista per ripagare il Signore? L'abbiamo già detto: proprio ciò che aveva ricevuto da Dio stesso e perciò disse: Io prenderò il calice della salvezza ed invocherò il nome del Signore (Sal 115, 13). E chi gli aveva dato questo calice della salvezza se non lo stesso Signore a cui voleva restituirlo? Prendere il calice della salvezza ed invocare il nome del Signore significa essere ricolmi di carità in tale pienezza che si sia pronti non solo a non odiare il fratello ma a morire per lui. Sta qui la perfezione della carità: essere pronti a morire per il fratello. Il Signore ha dato l'esempio di questa carità, morendo per tutti e pregando per quelli che lo crocifiggevano col dire: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Se lui solo avesse agito così, senza avere dei discepoli che lo imitassero, non sarebbe stato un vero maestro. I suoi discepoli invece, seguendo il suo esempio, fecero appunto la stessa cosa. Quando Stefano veniva lapidato, stando in ginocchio, disse: O Signore, non imputare a loro questo peccato (At 7, 60). Egli esercitava l'amore verso quelli che lo uccidevano, e per essi moriva. Hai l'esempio anche dell'apostolo Paolo, che dice: Io mi sacrificherò interamente per le vostre anime (2 Cor 12, 15). Egli era tra coloro per i quali Stefano pregava, nel momento in cui essi lo facevano morire. Questa dunque è la carità perfetta. Chi avesse una carità tanto grande da essere pronto a morire per i fratelli avrebbe raggiunto la carità perfetta. Questa carità è forse già perfetta al momento stesso in cui nasce? Essa incomincia ad esistere ma le occorre un perfezionamento; viene perciò nutrita, irrobustita e dopo di ciò raggiunge la sua perfezione. E' allora che essa esclama: Per me vivere è Cristo e la morte è un guadagno. Desideravo morire per essere con Cristo: è di gran lunga la cosa migliore: tuttavia è necessario per vostro bene che io rimanga nella carne (Fil 1, 21-24). Egli voleva vivere per quelli in favore dei quali era pronto a morire.


Agostino: 1a Lett. Giovanni 313