Agostino: 1a Lett. Giovanni 505

(Imitare la carità di Cristo.)

5055. Per far sapere che questa è la perfetta carità che l'uomo nato da Dio non viola e contro la quale non pecca, il Signore disse a Pietro: Pietro, mi ami tu? Rispose: Ti amo (Jn 21,17). Egli non gli disse: Se mi ami, obbediscimi. Il Signore, quando era in questa nostra carne mortale, sentiva la fame e la sete e in quel tempo egli accettò l'ospitalità: quelli che ne avevano la possibilità gli offrirono le loro cose, come leggiamo nel Vangelo (cf. Lc 8, 3). Zaccheo lo ricevette in casa e fu dal medico, che aveva accolto, guarito dalla malattia. Quale malattia? Quella dell'avarizia. Era una persona ricchissima, un capo dei pubblicani. Ma vedetelo risanato dalla malattia dell'avarizia. Disse: Io do ai poveri la metà dei miei beni; e se a qualcuno rubai qualcosa, gli restituisco il quadruplo (Lc 19, 8). Conservò per sé l'altra metà, non per godersela ma per pagarsi i debiti. Egli accolse il medico in casa: infatti anche il Signore era soggetto alla fragile condizione carnale, cosicché gli uomini potessero prestargli tale ossequio; e questo perché voleva il Signore ricambiare coloro che lo ossequiavano: fu lui, infatti, a giovare loro, e non loro a lui. Non è egli il Signore al quale gli Angeli prestano servizio? Aveva forse bisogno di essere assistito dagli uomini? Elia stesso, che era suo servitore, poté a volte fare a meno di una assistenza del genere, poiché Dio gli mandava pane e carne attraverso un corvo. Ma in altra occasione, per portare a una pia vedova la divina benedizione, questo servo di Dio viene mandato da lei e si fa rifocillare, lui che era nutrito segretamente dal Signore stesso (cf. 1 Sam 17, 4-9). E' vero che i soccorritori dei servi di Dio che prendono a cuore i loro bisogni, fanno il proprio interesse, perché hanno in mente il premio che il Signore promette loro nel Vangelo con chiarissime parole: Chi accoglie un giusto, perché tale, riceverà la ricompensa del giusto; e chi riceve un profeta, perché profeta, riceverà la ricompensa di un profeta; e chi darà un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché sono miei discepoli, vi assicuro, non perderà la ricompensa (Mt 10, 41-42). E' vero dunque che si diportano in questo modo per il proprio interesse, ma, se il Signore doveva ascendere in cielo, essi non potevano più rendergli neppure questi servizi. Pietro che lo amava che cosa poteva rendergli in cambio? Questo: Pasci le mie pecore (Jn 21,15); cerca cioè di fare per i fratelli ciò che io feci per te. Io li ho redenti tutti col mio sangue; non esitate allora a morire per confessare la verità, e gli altri vi imiteranno.

(La carità è il distintivo del cristiano.)

506 6. Questa, o fratelli, come abbiamo detto, è la carità perfetta; la possiede chi è nato da Dio. Cerchi la vostra carità di capire il mio pensiero. Il battezzato ha ricevuto il sacramento della sua nascita spirituale; egli riceve un sacramento, e grande, divino, santo, ineffabile. Esso è tanto grande che fa sorgere un uomo nuovo, condonandogli tutti i peccati. Ma il battezzato deve esaminare se il rito del suo battesimo eseguito sul suo corpo sia perfetto anche nella sua anima; esamini se possiede la carità e allora dica: Io sono nato da Dio. Se non la possiede, egli porta soltanto il carattere di cristiano, ma è un disertore che scappa. Gli occorre la carità perché diversamente non può definirsi nato da Dio. Il battezzato obietta: ho o non ho ricevuto il sacramento? Ascolta l'Apostolo: Se io sapessi tutti i misteri, se avessi tutta la fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sono nulla (1 Cor 13, 2).

(La carità criterio di distinzione.)

507 7. Se ricordate, noi già abbiamo affermato, proprio all'inizio della lettura di questa Epistola, che nulla vi è tanto raccomandato quanto la carità. Anche se Giovanni tratta ora questo, ora quest'altro argomento, sempre poi ritorna su questo punto, volendo ricondurre al dovere della carità tutto quello che ha esposto. Vediamo se, anche qui, fa così. Fa attenzione a queste parole: Chi è nato da Dio, non pecca. Ci domandiamo di quale peccato si tratta; non certo di qualunque peccato, perché saremmo in contraddizione con l'altro passo che dice: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. Voglia allora dirci quale peccato intende, ci istruisca, perché io non venga giudicato temerario nell'asserire che esso è la violazione della carità, come si può ricavare dalle sue stesse parole precedenti: Chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre accecano i suoi occhi (+1Jn 3, 10). E' ormai certo chiaro perché dice: Chi non ama il proprio fratello. Solo l'amore dunque distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. Se tutti si segnassero con la croce, se rispondessero amen e cantassero tutti l'Alleluja; se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo. Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l'hanno non sono nati da Dio. E' questo il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest'unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la legge. Chi infatti ama il prossimo - dice l'Apostolo -, ha adempiuto la Legge; e il compimento della Legge è la carità (Rm 13, 8 10). La carità è, a mio parere, la pietra preziosa, scoperta e comperata da quel mercante del Vangelo, il quale per far questo, vendette tutto ciò che aveva (cf. Mt 13, 46). La carità è quella pietra preziosa, non avendo la quale nessun giovamento verrà da qualunque cosa tu possegga; se invece possiedi soltanto la carità, ti basterebbe essa sola. Adesso vedi nella fede ma un giorno vedrai direttamente. Se noi amiamo fin da adesso il Signore che non vediamo, come l'ameremo quando lo vedremo direttamente? Ma in quale campo dobbiamo esercitare questo amore? In quello della carità fraterna. Potresti dirmi che non hai mai visto Dio; non potrai mai dirmi che non hai visto gli uomini. Ama dunque il tuo fratello. Se amerai il fratello che tu vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità.

(La carità non è invidiosa.)

508 8. Chi non è giusto, non viene da Dio, così chi non ama il fratello: perché questo è il messaggio. Vedi come insiste: questo è il messaggio che abbiamo udito fin dall'inizio: di amarci scambievolmente (+1Jn 3, 12). Se c'è invidia, non può esserci amore fraterno. Comprenda la vostra Carità. Chi è dominato dall'invidia, non è uno che ama. C'è in lui il peccato del diavolo, che fece cadere l'uomo, perché ne aveva invidia. Egli era caduto ed aveva invidia di quelli che rimanevano in piedi. Non fece cadere per potersi lui rialzare, ma per non cadere lui solo. Tenete bene in mente, conforme alle precisazioni dell'Apostolo, che nella carità non può esserci invidia. Egli te lo dice chiaramente quando fa l'elogio della carità: La carità non vive di emulazione (1 Cor 13, 4). Caino non aveva carità, e, se Abele non l'avesse avuta, Dio non avrebbe gradito il suo sacrificio. Ambedue offersero un sacrificio: il primo coi frutti della terra, il secondo coi capi del gregge; ma non dovete pensare che Dio non abbia tenuto in nessun conto i frutti della terra per preferire i capi di bestiame. Dio non badò alle mani che offrivano, ma vide nel cuore e guardò benevolo colui che volle offrirgli il sacrificio con un cuore pieno di amore; distolse invece gli occhi da chi vide offrirgli sacrifici con cuore invidioso. Dunque le opere buone di Abele non sono altro, secondo Giovanni, che la sua carità; le opere cattive di Caino altro non sono che il suo odio contro il fratello. Non è sufficiente dire che egli odiò il fratello ed ebbe invidia delle sue opere: non volle imitarlo e per questo lo uccise. Da qui apparve figlio del diavolo, mentre l'altro apparve in quella occasione il giusto di Dio. Dalla carità, o fratelli, deriva la distinzione tra gli uomini. Nessuno si soffermi sulle parole, ma badi ai fatti ed ai sentimenti del cuore. Se non si diporta bene verso i suoi fratelli, egli fa vedere che cosa porta dentro di sé. Gli uomini sono messi alla prova dalla tentazione.

(Amatori del mondo e i fedeli.)

509 2. 9. Non vogliate meravigliarvi, o fratelli, se il mondo ci odia (1Jn 3,13). Bisogna forse ripetervi di continuo che cosa è il mondo? Non è il cielo, né la terra, né le opere fatte da Dio; sono invece gli amatori del mondo. A qualcuno sembrerò pesante nel ripetere queste cose di continuo; ma finora sono così poco inutili che se domandassi ad alcuni ciò che ho già detto, non saprebbero rispondermi. Dunque voglio che qualcosa resti, a furia di ripeterlo, nel cuore degli ascoltatori. Che cosa è il mondo? Il mondo, preso nel suo significato cattivo, sono gli amatori del mondo; nel suo significato buono esso è il cielo e la terra, sono le opere che vi si trovano; perciò si dice: Il mondo è stato fatto per mezzo di lui (Jn 1,10). Così il mondo è tutta la terra, come lo stesso Giovanni ebbe a dire: Egli non solo è propiziatore dei nostri peccati, ma di quelli di tutto il mondo (1Jn 2,2), cioè, di tutti i fedeli sparsi sulla terra. Ma il mondo, nel suo significato cattivo sono gli amatori del mondo. Coloro che amano il mondo, non possono amare i fratelli.


(Chi ha la carità passa dalla morte alla vita.)

510 10. Se il mondo ci odia: lo sappiamo. Che cosa sappiamo? Che siamo passati dalla morte alla vita. Da che cosa lo sappiamo? Perché amiamo i fratelli (1Jn 3,14). Nessuno interroghi l'altro; ciascuno invece rientri in se stesso: se vi troverà la carità fraterna, stia sicuro: non badi se per il momento la sua gloria è ancora nascosta; quando verrà il Signore, allora apparirà nella gloria. Egli vive e cresce ma ancora nell'inverno; viva è la radice ma i rami sembrano aridi; dentro c'è il midollo vivo, dentro sono le foglie degli alberi, dentro ancora i frutti; essi attendono l'estate. Dunque noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama, rimane nella morte. Perché non pensiate, o fratelli, che sia cosa lieve odiare o non amare, ascoltate ciò che segue: Chiunque odia suo fratello, è omicida. Se uno già non dava peso all'odio fraterno, potrà ora dar poco peso nella sua coscienza ad un omicidio? Chi ancora non ha mosso le mani per uccidere, è già dal Signore considerato un omicida; la sua vittima vive ancora ed egli ne è già considerato l'uccisore. Chiunque odia suo fratello è omicida. E voi sapete che ogni omicida non ha in se stesso la vita eterna (1Jn 3,15).

511 11. Noi conosciamo il suo amore a questo segno. Qui vuole intendere la perfezione dell'amore, quella perfezione che vi abbiamo raccomandato. Noi conosciamo il suo amore a questo segno, che cioè egli ha dato la sua vita per noi: anche noi dobbiamo dar la vita per i nostri fratelli (1Jn 3,16). Ecco da dove veniva quella domanda: Pietro, mi ami? pasci le mie pecore (Jn 21,15). Perché sappiate che egli voleva che Pietro pascesse le sue pecore fino a dare per esse la vita, subito gli disse: Quando eri giovane, ti cingevi e andavi dove volevi; quando invece sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorrai. Questo disse -aggiunge l'evangelista -per indicare la morte con cui avrebbe glorificato il Signore Dio (Jn 21,18-19); così egli insegnava a dare la vita per le pecore a colui al quale aveva detto: Pasci le mie pecore.

(Soccorrere il fratello è l'inizio della carità.)

512 12. Come inizia la carità, o fratelli? Prestate un poco di attenzione: voi avete sentito come si raggiunge la sua perfezione; il Signore nel Vangelo ci ha presentato il suo fine ed i suoi modi: Nessuno ha una carità maggiore di colui che dà la vita per i suoi amici (Jn 15,13). Egli dunque mostrò nel Vangelo la sua perfezione ed anche qui ci viene richiamata la sua perfezione; ma interrogate voi stessi e ditevi: Quando possiamo avere questa carità? Non voler disperare troppo presto di te stesso: la carità in te forse è appena nata, non ancora perfezionata; nutrila, perché non abbia a venir meno. Forse potrai dirmi: da dove traggo la conoscenza di ciò? Abbiamo sentito con quali mezzi essa giunge alla perfezione; sentiamo da dove trae inizio. Giovanni prosegue e dice: Chi avrà beni di questo mondo e vedesse suo fratello affamato e gli negasse la sua compassione, come l'amore di Dio potrebbe essere in lui? (1 Gv 3, 17). Ecco da dove prende avvio la carità. Se ancora non sei disposto a morire per il fratello, (sii disposto) a dare al fratello un poco dei tuoi beni. La carità scuota il tuo cuore così che tu non rechi il soccorso con iattanza d'animo ma con interiore abbondanza di misericordia; allora la tua attenzione si volgerà sopra chi si trova nel bisogno. Se non riesci infatti a dare il superfluo al fratello, come potrai dare per lui la tua vita? Hai addosso del denaro che i ladri ti possono sottrarre e, se non te lo toglieranno i ladri, lo lascerai alla tua morte, quand'anche non sia lui ad abbandonarti, quando sei ancora in vita. Che ne farai poi? Tuo fratello ha fame, vive nel bisogno, forse attende con ansietà, forse è assalito da un creditore; lui non ha nulla, tu hai: è tuo fratello, insieme redenti, unico il prezzo del vostro riscatto, ambedue redenti dal sangue di Cristo: vedi dunque di aver misericordia di lui, se possiedi beni di questo mondo. Ma forse dirai: che me ne importa? Dovrei io dare il mio denaro perché quello non soffra molestie? Se la tua coscienza ti suggerisce queste domande, l'amore del Padre non abita in te. Ma se non abita in te l'amore del Padre, tu non sei nato da Dio. Come potrai gloriarti di essere cristiano? Ne porti il nome, ma non ne possiedi i fatti. Se invece le opere avranno fatto seguito al nome, ti chiamino pure pagano: da parte tua dimostra di essere cristiano coi fatti. Se non ti mostri cristiano coi fatti, ti chiamino pure tutti cristiano; che giovamento ti reca un nome, quando ad esso non corrisponde nulla? Chi pertanto possiede beni di questo mondo, e vede suo fratello nell'indigenza ma chiude il cuore alla compassione, come manterrà in sé l'amore di Dio? E segue: Figlioli, non amiamo con le parole soltanto e con la lingua, ma con le opere e la verità (1Jn 3,18).

513 13. Credo che sia stato manifestato a voi, o miei fratelli, un grande e indispensabile e misterioso sacramento. Ogni passo della Scrittura insegna quanto vale la carità; ma non so se vi è al riguardo un insegnamento più ampio di quello che ci dà qui l'Epistola. Vi preghiamo e vi scongiuriamo nel Signore, affinché conserviate nella memoria le cose che avete udito; vi preghiamo di ritornare con volontà attenta per udire ciò che ancora resta da dire a commento di tutta l'Epistola. Aprite il vostro cuore alla buona semente: estirpate le spine, affinché quanto viene seminato non abbia ad essere soffocato, ma cresca piuttosto in messe buona; ne goda l'agricoltore e vi prepari il granaio, come si fa per il frumento, non il fuoco come si fa per la paglia.






OMELIA 6 (1Jn 3,18-24 4,1-3)

600
1Jn 3,18-24 1Jn 4,1-3

Figlioli, non amiamo... La carità risiede innanzitutto nel cuore: è qui che scruta quel Signore che ora ci esaudisce in vista della salvezza e poi ci coronerà nella gloria. Chi è nella carità vive sicuro, ha in sé lo Spirito per la comprensione delle verità, è unito alla compagine della Chiesa; mentre l'eretico, che non ha carità, spezza la sua unità.

(Carità incipiente e carità perfetta.)

601 1. Ricordate, o fratelli, che ieri abbiamo chiuso la nostra predica con il seguente passo dell'Epistola, che indubbiamente deve essere rimasto e rimanere ancora nel nostro cuore, perché fu proprio l'ultimo che avete sentito: Figlioli, non amiamo soltanto con le parole e con la lingua, ma con le opere e la verità. Poi prosegue: A questo segno noi conosciamo che siamo nella verità e davanti a lui metteremo in pace il nostro cuore: poiché, se la nostra coscienza ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce (1Jn 3,18-20). L'Apostolo aveva detto: Non amiamo con le parole soltanto e con la lingua, ma con le opere e la verità. Ci domandiamo perciò attraverso quali opere ed attraverso quali verità si riconosca colui che ama Dio ed il proprio fratello. Già in precedenza aveva detto attraverso quali atti la carità raggiunge la perfezione; è ciò che anche il Signore dice nel Vangelo: Nessuno ha maggior amore di colui che dà la propria vita per i suoi amici (Jn 15,13). Anche Giovanni aveva detto questa stessa cosa: Come egli diede la propria vita per noi, anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli (1Jn 3,16). Questa è veramente la perfezione della carità; e non può essercene una maggiore. Ma poiché la carità non è perfetta in tutti, colui che ancora non l'ha portata a perfezione, non deve disperare, se essa, destinata poi ad essere perfezionata, già sia nata in lui; e se è nata, va nutrita e portata alla sua perfezione con gli alimenti che le sono adatti. Ci siamo domandati da dove trae origine la carità e subito nell'Epistola abbiamo trovato questa risposta: Se uno ha dei beni in questo mondo e vedesse suo fratello nell'indigenza e chiudesse il suo cuore verso di lui, è mai possibile che resti in lui l'amore del Padre? (1Jn 3,17). Da qui incomincia dunque questa carità: dare all'indigente i beni superflui, quando costui si trova stretto dalle angustie; liberare il fratello dalle tribolazioni temporali, usando quei beni temporali che possiede in abbondanza. Da qui prende le mosse la carità. Se così iniziata, la nutrirai con la parola di Dio e colla speranza della vita futura, raggiungerai quella perfezione che ti renderà pronto a dare la tua vita per i fratelli.

(Testimonianza interiore.)

602 2. 2. Ma considerando che tali atti sono compiuti anche da chi ha tutt'altre aspirazioni e non ama i fratelli, richiamiamoci alla testimonianza della coscienza. Come possiamo provare che molte di queste azioni vengono compiute da coloro che non amano i fratelli? Quanto numerosi sono quelli che, pur essendo tra gli eretici e gli scismatici, si dicono martiri! Sembra loro di dare la vita per i fratelli. Ma se dessero la vita per i fratelli, non si staccherebbero dalla universale comunità dei fratelli. Inoltre come sono numerosi coloro che distribuiscono in dono molti loro beni per ostentazione; essi non cercano altro che la lode degli uomini e il plauso popolare, fatto di vento, estremamente instabile! Dove sarà il banco di prova della carità fraterna, dato che esistono persone simili? Giovanni vuole che la carità sia sottoposta alla prova e perciò ammonisce: Figlioli, non amiamo soltanto con la parola e con la lingua, ma con opere sincere e verità. Noi ci domandiamo quali sono queste opere, in che consiste questa verità. Può esserci un'opera più evidentemente caritatevole del soccorrere i poveri? Molti lo fanno per essere ammirati, non per amore. Può esserci maggiore amore del morire per i fratelli? Molti vogliono far apparire che fanno questo, per l'ambizione di farsi un nome, non per viscere d'amore. Non resta che questa conclusione: ama il fratello colui che, davanti a Dio, là dove egli solo vede, rassicura il suo cuore e si chiede nell'intimo se veramente agisce così per l'amore del fratello; e quell'occhio che penetra nel cuore là dove l'uomo non può giungere, gli rende testimonianza. Così Paolo apostolo, poiché era pronto a morire per i fratelli, poteva dire: Io mi darò tutto per le vostre anime (2 Cor 12, 15), ma poiché Dio vedeva queste disposizioni del suo cuore, non già gli uomini a cui si rivolgeva, egli dice loro: Per me conta assai poco essere giudicato da voi o da un tribunale umano (1 Cor 4, 3). Egli ancora in un altro passo dimostra che queste disposizioni sogliono verificarsi a volte per vanagloria, non sul fondamento della carità: quando infatti fa l'elogio della carità afferma: Se distribuirò ai poveri tutte le mie cose e darò il mio corpo alle fiamme, ma non avessi la carità, nulla mi gioverebbe (1 Cor 13, 3). Può qualcuno fare queste cose, senza avere la carità? Sì, lo può. Quelli infatti che non hanno la carità, hanno rotto l'unità. Cercate fra essi e vedrete che molti danno tanti dei loro beni ai poveri: vedrete altri pronti ad accettare la morte così che, venendo a mancare chi li perseguita, essi stessi vi si abbandonano. E' fuori dubbio che costoro fanno questo senza carità. Ritorniamo dunque alla coscienza, della quale dice l'Apostolo: La nostra gloria è questa: la testimonianza della nostra coscienza (2 Cor 1, 12). Ritorniamo alla coscienza, della quale egli dice ancora: Ciascuno metta dunque alla prova le sue opere ed allora avrà la gloria in se stesso e non in un altro (Gal 6, 4). Ognuno di noi dunque metta alla prova le sue opere, se provengono dalla sorgente della carità, se i rami delle buone opere fioriscono dalla radice dell'amore. Ognuno metta alla prova le sue opere ed allora avrà in se stesso occasione di gloriarsi e non in altri: non quando la lingua di altri dà testimonianza, ma quando la offre la propria coscienza.

(Agire per Iddio.)

603 3. In questo luogo dunque Giovanni ci raccomanda queste cose. A questo segno conosciamo che siamo nati dalla verità, quando noi amiamo non soltanto con parole e con la lingua ma con le opere e nella verità: se davanti a lui noi rassicureremo il nostro cuore (+1Jn 3, 20). Tu nascondi il tuo cuore agli uomini: nascondilo a Dio, se puoi. Come potrai nasconderlo a lui, a cui un certo peccatore, timoroso, confessò: Dove troverò rifugio lontano dal tuo spirito, lontano dal tuo volto? Costui cercava un luogo ove fuggire e sottrarsi al giudizio di Dio ma non lo trovava. Dove infatti non è Dio? Se salirò fino al cielo, là tu sei; se scenderò negli abissi, tu sei presente (Sal 138, 7-8). Dove andrai, dove fuggirai? Se vuoi un consiglio, rifugiati presso di lui, quando vuoi da lui fuggire. Rifugiati presso di lui con fiducia, e non già sottrarti al suo sguardo: non lo potresti fare, mentre puoi a lui aprire con fiducia il tuo cuore. Digli dunque: Tu sei il mio rifugio (Sal 31, 7); troverà allora alimento in te quell'amore che solo porta alla vita. Sia la tua coscienza a darti la buona testimonianza che esso viene da Dio. Se viene da Dio non sbandierarlo con vanto davanti agli uomini: perché non sono le lodi degli uomini che ti portano in cielo e non sono i loro biasimi che ti fanno escludere dal cielo. Ti veda invece colui che ti darà la corona del premio; ti sia testimone quel giudice che ti darà la palma della vittoria. Dio è più grande del nostro cuore e tutto conosce.

(Esaudimento della preghiera.)

604 1. 4. Carissimi, se la coscienza non ci rimorde, noi abbiamo piena fiducia in Dio (+1Jn 3, 22). Questo facciamo noi non davanti agli uomini ma là dove Dio ci vede, cioè nel cuore. Noi abbiamo piena fiducia in Dio e qualunque cosa domanderemo, l'avremo da lui; e questo perché noi osserviamo i suoi comandamenti. Quali sono i suoi comandamenti? Bisogna sempre ripeterlo? Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate l'un l'altro (Jn 13,34). E' la carità questo comandamento di cui si parla e che tanto è raccomandata. Chi dunque avrà la carità fraterna e ciò davanti a Dio, là dove la vede il Signore, potrà interrogare la sua coscienza e scrutarla con diligenza per sentirsi rispondere che la vera radice della carità fraterna è in lui, perché da essa escono frutti di bontà; costui ha fiducia in Dio e Dio gli accorderà tutto ciò che gli domanderà, perché osserva i suoi comandamenti.

605 2. 5. Si presenta qui un problema, che non riguarda questa o quella persona, né io, né tu, perché nel caso che io chiedessi qualcosa al Signore Dio nostro e non ricevessi nulla, sarebbe facile dire di me: non fu ascoltato, perché non possiede la carità; cosa che può ripetersi di qualsiasi persona del nostro tempo. In questo caso ciascuno può pensare ciò che vuole dell'altro. Ma il problema si presenta, quando ci riferiamo a quelle persone indubbiamente sante, allorché scrivevano e che ora si trovano nella pace di Dio. Chi mai può avere la carità se pensassimo che neppure Paolo l'avesse avuta, lui che affermava: Parliamo apertamente davanti a voi, o Corinti: il nostro cuore si è allargato, non abbiate angustie per noi (2 Cor 6, 11-12); lo stesso Paolo che diceva ancora: Io mi darò tutto per le vostre anime (2 Cor 12, 15), e nel quale era tanta grazia divina da dimostrare chiaramente ch'egli aveva la carità? Abbiamo tuttavia scoperto che egli aveva chiesto e non ricevuto. Che cosa dobbiamo dire, fratelli? Qui nasce un problema. Prestate attenzione a Dio. Si tratta anche qui di un grosso problema. Come quando, parlando del peccato, incontrandoci con le parole: Chi è nato da Dio, non pecca (1Jn 3,9), trovammo che peccato era violare la carità e che in quelle parole era appunto designato questo peccato; così anche adesso ci chiediamo che cosa abbia voluto significare. Se fai attenzione alle parole, tutto è chiaro; ma se porti la tua attenzione sugli esempi, la cosa è oscura. Niente di più facile di queste parole: Qualunque cosa noi avremo chiesto, la riceveremo da lui; poiché noi osserviamo i suoi comandamenti e davanti a lui facciamo ciò che a lui piace (1Jn 3,22). Qualunque cosa chiederemo - dice -la riceveremo da lui. Queste parole ci mettono in gravi angustie. Ci avrebbe dato difficoltà anche il testo precedente, se avesse inteso parlare di qualsiasi peccato in genere: ma abbiamo trovato una spiegazione per cui sappiamo che egli ha inteso non ogni peccato in generale, ma un peccato ben definito: quel peccato che non commette chiunque da Dio è nato; ed abbiamo trovato che quel peccato appunto è la violazione della carità. Abbiamo nel Vangelo una chiara testimonianza, quando il Signore dice: Se non fossi venuto, essi non avrebbero peccato (Jn 15,22). Che cosa vuol dire dunque? Egli era forse venuto, visto che parla così, presso Ebrei innocenti? Dunque se egli non fosse venuto, essi non avrebbero peccato? Allora la presenza del medico ha ottenuto che si divenisse malati, e non ha tolto la febbre? Neppure un demente potrebbe asserire ciò. Egli non è venuto se non per curare e sanare i malati. Perché allora disse: Se non fossi venuto, non avrebbero peccato, se non avesse voluto intendere un certo peccato definito? E' quel peccato che in realtà i Giudei non avrebbero commesso. Quale peccato? Quello per cui essi non credettero in lui, e per il quale lo trattarono con disprezzo quando era tra loro. Come dunque nell'altro passo parlò di peccato e non necessariamente dobbiamo intendere che abbia parlato di tutti i peccati, ma di un peccato ben definito; così anche in questo passo non dobbiamo pensare a qualsiasi peccato, perché non ci sia contraddizione con quel passo in cui dice: Se diremo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi e non c'è in noi la verità (1Jn 1,8); dobbiamo invece pensare ad un peccato ben definito che è la violazione della carità. Ma qui ci ha posto una condizione più precisa: se domanderemo, se il nostro cuore non ci accuserà e ci testimonierà davanti a Dio che in noi c'è la vera carità, qualunque cosa domanderemo a lui, la riceveremo.

606 1. 6. Vi ho già detto, o fratelli carissimi, che nessuno deve fare attenzione a noi. Che cosa siamo noi? E che cosa siete voi? Che cosa, se non la Chiesa di Dio, a tutti nota? A lui piacendo noi ne siamo membri; e noi che vi siamo, sorretti dalla carità, continuiamo a restarvi con perseveranza se vogliamo mostrare quella carità che abbiamo. Che cosa di male potremmo pensare dell'apostolo Paolo? Forse che non amava i fratelli? Non aveva egli la testimonianza della coscienza davanti a Dio? Non c'era in Paolo quella radice della carità da cui provengono tutti i buoni frutti? Chi potrebbe negarlo, se non è pazzo? Dove allora troviamo che l'Apostolo ha chiesto e non ha ottenuto? Lui stesso ci dice: Perché non mi glorii nella grandezza delle rivelazioni avute, mi fu dato un pungolo nella mia carne, un ministro di satana, che mi schiaffeggia; per questo ho pregato tre volte il Signore perché me lo togliesse; ed egli mi disse; ti basta la mia grazia; la mia forza infatti si rivela nella debolezza (2 Cor 12, 7-9). Così egli non fu esaudito e non gli fu tolto l'angelo di Satana. Ma perché? Perché quella richiesta non gli era di vantaggio. Fu dunque esaudito in vista della salvezza, colui che non fu esaudito secondo la propria volontà. Comprenda la vostra Carità questo grande mistero, che vi chiediamo di non perdere di vista nelle vostre prove. I santi sono esauditi in ogni cosa quando si tratta della salute dell'anima, cioè della salvezza eterna; essa desiderano; e in quest'ordine sono sempre esauditi.

607 2. 7. Ma passiamo in rassegna i vari modi con cui Dio ci esaudisce. Troviamo infatti alcuni che non sono esauditi secondo la propria volontà, ma sono esauditi secondo la propria salvezza; d'altra parte troviamo alcuni esauditi nella loro volontà e non esauditi in vista della salvezza. Considerate e tenete presente questo esempio di chi è esaudito non secondo la sua volontà ma per la sua salvezza. Ascolta l'apostolo Paolo; Dio infatti gli mostrò appunto che lo esaudiva in vista della sua salvezza, dicendogli: Ti basta la mia grazia; perché nella debolezza si mostra tutta intera la mia forza. Hai chiesto, hai gridato, tre volte hai ripetuto la tua preghiera: ho udito ciò che hai chiesto la prima volta, e non ho distolto da te le mie orecchie; so che cosa devo fare: tu vuoi tolto quel medicamento da cui ti senti bruciare: ed io conosco l'infermità che ti fa soffrire. Questi dunque fu esaudito in vista della salvezza, non secondo la sua volontà. Chi sono quelli che troviamo esauditi secondo la propria volontà ma non in vista della loro salvezza? Forse crediamo di trovare qualche malvagio, qualche empio esaudito da Dio in conformità alla sua volontà, e non invece in vista della sua salvezza? Se portassi l'esempio di qualche uomo, forse tu potresti dirmi: Per te costui è uomo malvagio ed invece era un giusto; se non fosse un giusto, non sarebbe esaudito da Dio. Ma io ti porterò l'esempio di un tale della cui iniquità ed empietà nessuno potrebbe dubitare. Il diavolo in persona chiese di tentare Giobbe e ne ebbe il permesso (cf. Gb 1, 11-12). E voi non avete udito proprio qui a proposito del diavolo che chi fa il peccato, viene dal diavolo (1Jn 3,8)? Non già perché lo abbia creato il diavolo, ma perché costui lo imita. Non è stato detto forse del diavolo che non rimase nella verità (Jn 8,44)? Non è lui appunto quell'antico serpente che servendosi della donna, propinò il veleno al primo uomo (cf. Gn 3, 1-6)? Fu lui che lasciò in vita la moglie di Giobbe, perché fosse non di conforto al marito, ma causa di tentazione (cf. Gb 2, 9). Ancora lo stesso diavolo chiese di tentare quel santo uomo, e ne ebbe il permesso; l'Apostolo chiese invece che gli fosse tolto il pungolo della carne, e non l'ottenne. Eppure fu esaudito più che non il diavolo. L'Apostolo infatti fu esaudito in vista della salvezza, anche se non secondo la sua volontà: il diavolo fu esaudito secondo la sua volontà, ma in vista della sua dannazione. Se Giobbe fu lasciato in balia delle tentazioni di costui, ciò avvenne perché il diavolo si sentisse tormentato dalla costanza di quello nella prova. Noi troviamo queste realtà, o fratelli, non solo nei libri del Vecchio Testamento ma anche nel Vangelo. I demoni chiesero al Signore, quando egli li scacciò da un uomo, di poter entrare nel corpo dei porci (cf. Lc 8, 32). Il Signore non avrebbe forse potuto dir loro di non avvicinarsi a quegli animali? Se egli non avesse voluto, essi non si sarebbero ribellati contro il re del cielo e della terra. Ma egli, in forza di un mistero a lui ben noto e per positiva volontà sua, lasciò che i demoni entrassero nei porci, per mostrare che il diavolo domina su coloro che conducono una vita simile a quella dei porci. I demoni furono dunque esauditi, e non fu esaudito l'Apostolo? Diciamo piuttosto con maggior verità: l'Apostolo fu esaudito ed i demoni non furono esauditi. La volontà dei demoni si è realizzata, ma nell'Apostolo si è compiuta la salvezza.


Agostino: 1a Lett. Giovanni 505