Agostino: 1a Lett. Giovanni 812

(L'amore fa abitare Dio in noi.)

812 12. Nessuno vide Dio. Ecco, dilettissimi: Se ci amiamo vicendevolmente, Dio resterà in noi, e il suo amore in noi sarà perfetto. Incomincia ad amare e giungerai alla perfezione. Hai cominciato ad amare? Dio ha iniziato ad abitare in te; ama colui che iniziò ad abitare in te affinché, abitando in te sempre più perfettamente, ti renda perfetto. In questo conosciamo che rimaniamo in lui e lui in noi: egli ci ha dato il suo Spirito (1Jn 4,12-13). Bene, sia ringraziato il Signore. Ora sappiamo che egli abita in noi. E questo fatto, cioè che egli abita in noi, da dove lo conosciamo? Da ciò che Giovanni afferma, cioè che egli ci ha dato il suo Spirito. Ed ancora, da dove conosciamo che egli ci ha dato il suo Spirito? Sì, che egli ci ha dato il suo Spirito, come lo sappiamo? Interroga il tuo cuore: se esso è pieno di carità, hai lo Spirito di Dio. Da dove sappiamo che proprio a questo segno noi conosciamo che abita in noi lo Spirito di Dio? Interroga Paolo apostolo: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che è dato a noi (Rm 5, 5).

(Cristo nostro medico.)

813 2. 13. E noi abbiamo visto e siamo testimoni che il Padre ha mandato il Figlio suo, quale Salvatore del mondo. Voi che siete ammalati, state certi: è venuto un tal medico e voi ancora disperate? I malanni erano grandi, le ferite insanabili, la malattia disperata. Esamini la gravità del tuo male e non esamini l'onnipotenza del medico? Tu sei disperato, ma egli è onnipotente; ne fanno testimonianza coloro che per primi sono stati guariti e ci hanno fatto conoscere in lui (Desidera che scompaia il male dal tuo nemico.) il medico; essi tuttavia furono salvati più nella speranza che nella realtà. Così infatti dice l'Apostolo: Nella speranza siamo salvati (Rm 8, 24). Abbiamo incominciato ad essere risanati nella fede; la nostra salvezza perciò sarà condotta al suo termine quando questo nostro corpo corruttibile rivestirà qualità incorruttibili, e questo nostro corpo mortale rivestirà l'immortalità (cf. 1 Cor 15, 53 51). Questa è speranza, non ancora realtà. Ma chi gode nella speranza, avrà un giorno anche la realtà; chi invece non ha speranza, non può arrivare alla realtà.

(Dio ci ha cercati per puro amore.)

814 14. Chiunque confesserà che Gesù è Figlio di Dio, Dio rimarrà in lui e lui stesso in Dio. Possiamo ormai commentare con poche parole. Chiunque confesserà, non con le parole ma coi fatti, non con la lingua ma con la vita. Molti infatti professano il dogma con le parole e lo negano coi fatti. Noi abbiamo conosciuto e creduto quale amore Dio ha verso di noi. Ancora ti chiedo: da dove hai questa conoscenza? Dio è amore. Già ha fatto questa affermazione e qui la ripete. Non poteva Giovanni raccomandarti la carità in modo più incisivo che chiamandola Dio. Forse avresti disprezzato il dono di Dio; ma disprezzerai anche Dio? Dio è amore. E chi resta nell'amore, resta in Dio e Dio rimane in lui (1Jn 4,15-16). Abitano l'uno nell'altro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti in Dio ma per essere contenuto da lui; Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere. Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo. Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade. Egli resta intatto, se tu lo abbandoni. Intatto egli resta, quando ritorni a lui. Se tu diventi sano, non gli offri nulla; sei tu che ti purifichi, ti ricrei e ti correggi. Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l'abbandonato una casa. Tutto dunque ti viene offerto. Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso. Dio dunque non avrà dei servi, se tu non vorrai e se nessuno vorrà? Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio; perciò un salmo dice: Dissi al Signore: tu sei il mio Dio. E' lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? Tu non hai bisogno dei miei beni (Sal 15, 2). Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo. Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare; anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici perché ti aiuti. Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo, né curare la tua cavalcatura. Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi. Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi ti è inferiore. Lui è il vero Signore che non cerca nulla da noi; e guai a noi se non cerchiamo lui. Niente egli chiede a noi; ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui. Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle (cf. Lc 15, 4-5). Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece più necessario il pastore alla pecora? Quanto più godo di parlare della carità, tanto meno vorrei terminare la spiegazione di questa Epistola. Nessuna è più calda nella raccomandazione della carità. Niente di più dolce vi può essere predicato, niente di più salubre può essere assorbito dalla vostra mente; purché però confermiate in voi il dono di Dio, vivendo bene. Non siate ingrati a questa sua grazia per cui non volle che il suo Unigenito restasse solo; perché egli avesse dei fratelli, adottò dei figli che potessero con lui possedere la vita eterna.





OMELIA 9 (1Jn 4,17-21)

900
1Jn 4,17-21

In questo il nostro amore è perfetto... La carità che ci fa rimanere in Dio, si estende ai nemici e, preparata dal timore servile, guidata da quello casto, ci rende belli agli occhi di Dio, perché la carità è Dio stesso. Con essa rimaniamo uniti a Cristo e nell'unità della Chiesa.

(Non esser pigro. Rimani in Dio, per non cadere.)

901 1. Ricorda la vostra Carità che dobbiamo esporre e commentare l'ultima parte dell'Epistola dell'apostolo Giovanni: lo facciamo con l'aiuto che il Signore vorrà concederci. Noi siamo ben consapevoli di questo nostro debito e voi d'altra parte dovete ricordarvi di esigerne il pagamento. Proprio quella carità, che tanto spesso e quasi esclusivamente viene raccomandata in questa Epistola, rende noi debitori fedelissimi e voi dolcissimi esattori. Vi ho definito esattori dolcissimi perché, se si toglie la carità, l'esattore è persona che procura amarezza. Ma dove c'è carità, allora anche un esattore può diventare persona dolce. A sua volta, pur andando il debitore incontro a qualche fatica, la carità rende lieve ed a volte annulla la sua fatica. Non vediamo forse negli stessi animali, che pure non parlano e non hanno la ragione, e nei quali non vige la carità spirituale bensì una carità carnale e naturale, con quanto affetto i piccoli chiedono il latte alle poppe materne? Eccolo il piccolo levarsi quasi con impeto verso di esse; ma la madre non ci bada, purché il suo piccolo venga a succhiare e ad esigere ciò che la carità impone di dare. Spesso osserviamo vitelli già divezzati percuotere con la testa le mammelle delle loro madri e sollevare i corpi di esse con impeto da terra, senza che esse li tengano lontani con le zampe; anzi, se non è presente il piccolo a succhiare, vanno muggendo per attirarli a sé. Se dunque c'è in noi quella spirituale carità cui accenna l'Apostolo quando dice: Mi son fatto come un bambino in mezzo a voi, come una nutrice che si prende cura dei figli (1 Ts 2, 7), noi vi amiamo proprio quando voi vi mostrate esigenti. Non amiamo i pigri, poiché per i tiepidi nutriamo apprensione. Abbiamo dovuto mettere da parte il testo di questa Epistola, perché nelle recenti festività abbiamo dovuto leggere altri importanti testi liturgici, che non si poteva tralasciare di leggere e spiegare. Ma adesso ritorniamo al programma interrotto e la vostra Santità presti tutta l'attenzione a quest'ultima parte. Non so come Giovanni avrebbe potuto farci l'elogio della carità con parole più sublimi di queste: Dio è carità (+1Jn 4, 16). Dio sia la tua casa e tu sii la casa di Dio: resta in Dio e che Dio resti in te. Dio resta in te per contenerti; tu resti in Dio per non cadere. L'apostolo Paolo dice infatti della carità: La carità non cade mai (1 Cor 13, 8). Come è possibile che cada colui che Dio contiene?

(C'è chi sopporta la morte e chi la vita.)

902 2. 2. In questo il nostro amore ha raggiunto la perfezione, che nel giorno del giudizio saremo pieni di fiducia, perché anche noi, in questo mondo, siamo così come è lui (1Jn 4,17). Ci dice qui in quale modo ciascuno può provare sin dove la carità è progredita in lui o meglio fin dove lui è progredito nella carità. Infatti, se è vero che Dio è carità, Dio né progredisce, né regredisce. Dicendo allora che in te progredisce la carità, si vuol intendere che tu progredisci in essa. Chiediti dunque quanto è il tuo progresso nella carità, ascolta che cosa può risponderti la coscienza, al fine di conoscere la misura dei tuoi progressi. Giovanni ci ha promesso di mostrarci il segno da cui possiamo avere la certezza di conoscere Dio, quando ci disse: In questo consiste la perfezione della carità. Chiedi pure: in che? Nel fatto di sentirci animati da fiducia nel giorno del giudizio. Chi appunto si sentirà animato da fiducia nel giorno del giudizio, ha raggiunto la perfezione della carità. Ma che significa avere fiducia nel giorno del giudizio? Significa non temerne l'arrivo. Alcuni non credono nel giorno del giudizio; essi non possono certo avere fiducia in quel giorno in cui non credono. Ma costoro lasciamoli pure da parte; Dio un giorno li susciterà alla vita; ma ora a che pro interessarci di morti, quali essi sono? Essi non credono che ci sarà un giorno del giudizio, non lo temono e naturalmente neppure lo desiderano. Tutto questo perché non credono. Ma se uno incomincia a credere che verrà il giorno del giudizio, da quel momento incomincerà anche a temerlo. Se però lo teme soltanto, non è ancora fiducioso nel giorno del giudizio, né la carità in lui è ancora perfetta. Che fare allora? Disperarsi? Ma perché non sperare che ci sarà la fine, allorché vedi che c'è stato l'inizio? Quale inizio? mi chiederai. Quello del timore. Senti cosa dice la Scrittura: Il timore di Dio è inizio di sapienza (Sir 1, 16). Quando si incomincia a temere il giorno del giudizio, ci si incomincia anche ad emendare ed a combattere i nemici che sono i propri peccati. Si incomincia a risuscitare interiormente e a mortificare le proprie membra terrene, secondo le parole dell'Apostolo: Mortificate le vostre membra terrene (Col 3, 5). Membra terrene sono - a detta dello stesso Apostolo - la malizia spirituale, che viene poi così specificata quando ricorda: l'avarizia, l'immondezza, ed altri vizi di cui ci dà l'enumerazione. Chi ha incominciato a temere il giorno del giudizio, quanto più mortifica le membra terrene tanto più risuscita ed irrobustisce quelle celesti. Membra celesti sono tutte le opere buone. Sviluppandosi le membra celesti, si incomincia anche a desiderare ciò che prima si temeva. Chi prima temeva il ritorno di Cristo, perché pauroso che Cristo avesse trovato in lui un empio da condannare, ora desidera che egli venga, poiché potrà trovare in lui una persona pia da premiare. Dal momento in cui un'anima casta desidera il ritorno di Cristo, desiderando l'abbraccio dello sposo, lascia gli amori adulteri; diventa, interiormente, una vergine ad opera della fede, della speranza e della carità. Essa allora si sente tutta fiduciosa nel giorno del giudizio. Quando prega e dice: Venga il tuo regno (Mt 6, 10), non ripete una frase che potrebbe volgersi a suo danno. Chi teme che venga il Regno di Dio, teme che questa preghiera venga esaudita. Come pregare, se si ha il timore di essere esauditi? Chi prega nella fiducia che nasce dalla carità, brama che il Regno di Dio venga già fin d'ora. Mosso da tale desiderio, così pregava il salmista: Tu, Signore, perché tardi? Volgiti, o Signore, e chiama a te l'anima mia (Sal 6, 4-5). Gemeva perché Dio tardava a mostrarsi. Certi uomini sopportano la morte; altri, che hanno raggiunto la perfezione, sopportano la vita. Mi spiego. Chi ama ancora questa vita mortale, quando giunge la morte, la sopporta con pazienza, lotta contro se stesso, rassegnandosi alla volontà di Dio; e così agisce più per fare la volontà di Dio che non la propria: e dal desiderio della vita presente sorge una lotta tra lui e la morte; ha bisogno di pazienza e fortezza per morire in serenità d'animo. Così chi muore con sopportazione. Ma chi è attratto dal desiderio della morte e brama, come dice l'Apostolo, di andarsene per essere insieme col Cristo, non muore con sopportazione; anzi, dopo aver sopportato la vita, muore con gioia. Ecco l'esempio dell'Apostolo, che ha vissuto sopportando la vita, non amando cioè la vita presente ma tollerandola. E' molto meglio - afferma lui stesso -partire, per stare col Cristo: ma è pur necessario, a causa di voi, restare nella carne (Fil 1, 23-24). Orsù dunque, o miei fratelli, fate che sorga dentro di voi il desiderio del giorno del giudizio. Non si dà prova di perfetta carità, se non quando si incomincia a desiderare il giorno del giudizio. Ma lo desidera questo giorno chi si sente animato da fiducia al suo pensiero; e questo avviene in coloro la cui coscienza non è agitata da timore, perché confermata dalla perfetta e sincera carità.

(Simili a Dio se preghiamo per i nemici.)

903 3. Questo è il segno che in noi l'amore di Dio ha raggiunto la perfezione: l'aver fiducia nel giorno del giudizio. Perché abbiamo fiducia? Perché come lui è, così anche noi siamo in questo mondo (1Jn 4,17). Tu hai così conosciuto il motivo della tua fiducia: che cioè noi siamo, in questo mondo, così come egli è. Non pare che qui Giovanni abbia detto qualcosa di impossibile? Può l'uomo essere come Dio? Già vi ho spiegato che questo come non sempre equivale ad uguaglianza ma corrisponde ad una certa similitudine. Sarebbe come se si dicesse: questa immagine ha orecchie, come le ho io. Evidentemente questo paragone non comporta una stretta eguaglianza e tuttavia tu lo esprimi col "come". Ma se noi siamo fatti ad immagine di Dio, perché non siamo come Dio? Siamo immagine di Dio secondo il modo umano, non nell'uguaglianza perfetta. Da dove dunque ci deriva la fiducia nel giorno del giudizio? Da questo: che noi siamo, nel mondo, così come egli è. Ma questo motivo deriva dalla carità e dobbiamo comprenderlo bene. Dice il Signore nel Vangelo: Se voi amate quelli che vi amano, quale ricompensa vi meritate? Non fanno così anche i pubblicani? (Mt 5, 46). Che cosa vuole da noi il Signore? Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 44; Lc 6, 27). Se comanda di amare i nemici, quale esempio ci dà su questo punto? Quello di Dio stesso. Dice ancora il Signore: Affinché siate figli del Padre vostro che sta nei cieli. In che modo Dio ci dà questo esempio? Egli ama quelli che gli sono nemici perché fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5, 45). Se dunque Dio ci invita alla perfezione di amare i nostri nemici così come lui ha amato quelli che lo odiano, questa appunto è la nostra fiducia nel giorno del giudizio, che cioè noi siamo, in questo mondo, così come lui è; come lui ama i propri nemici, facendo sorgere il sole su buoni e cattivi, mandando la pioggia su giusti ed ingiusti, così noi, poiché ai nostri nemici non possiamo offrire il sole e la pioggia, offriamo le nostre lacrime pregando per loro.

(Il timore via alla carità.)

904 4. Di questa fiducia, che stiamo esaminando, vedete ora quel che ha da dirci Giovanni. Quale è il segno della carità perfetta? Ci risponde negativamente: La vera carità non consiste nel timore. Che cosa diremo di colui che incomincia a temere il giorno del giudizio? Se fosse in lui una carità perfetta, non avrebbe questo timore. La perfetta carità lo renderebbe perfetto nella giustizia e gli toglierebbe perciò ogni motivo di timore: anzi lo porterebbe a desiderare che passi l'ora dell'iniquità e venga il Regno di Dio. Nella carità dunque non c'è posto per il timore. In quale carità? Non certo in quella iniziale: in quale dunque? La perfetta carità - dice Giovanni -esclude il timore (+1Jn 4, 18). Perché? Perché il timore tormenta così come la ferita aperta dal chirurgo.

(Il timore casto.)

905 5. C'è tuttavia un'altra affermazione che sembra contraria a questa, se non sarà convenientemente compresa. In un certo passo del salmo si dice: Il timore di Dio è casto, esso dura nei secoli dei secoli (Sal 18, 10). Il salmista ci mostra qui un timore eterno ma casto. Se il timore è eterno, tale affermazione non contraddice forse questa Epistola? Dice infatti l'Epistola: Nella carità non c'è timore, ma la perfetta carità scaccia il timore. Vediamo di penetrare a fondo queste due divine dichiarazioni. Si tratta del medesimo Spirito che parla, anche se la sua parola è riferita in due libri diversi, da due diverse bocche, da due diverse lingue. La prima affermazione è di Giovanni, la seconda di David; ma non bisogna credere che si tratti di ispirazione diversa dell'unico ed identico Spirito. Se avviene che un unico fiato vada a finire in due trombe, non potrà forse un unico Spirito riempire due cuori e muovere due lingue? Se due trombe ripiene di un unico identico fiato emettono insieme uno stesso suono, avverrà forse che due lingue, ripiene dello stesso Spirito, possano dissentire? Le due affermazioni che abbiamo ricordato hanno dunque una loro consonanza, una loro segreta concordanza che esige però un buon intenditore. Ecco dunque che lo Spirito ha soffiato e riempito due cuori, due bocche, ha mosso due lingue. Dalla prima lingua abbiamo udito queste parole: Nella carità non c'è timore, ma la perfetta carità espelle il timore. Dall'altra lingua abbiamo invece sentito queste parole: Casto è il timore di Dio; esso rimane per i secoli dei secoli. Sembra che le due affermazioni discordino tra loro. Ma non è così. Apri bene le tue orecchie, ascolta la melodia. Non è senza motivo che in una delle espressioni è definito casto il timore, perché evidentemente c'è anche un timore non casto. Vediamo di tener ben distinti questi due tipi di timore e capiremo che le due trombe suonano in perfetta armonia. Come capire, come discernere? Faccia attenzione la vostra Carità. Certi uomini temono Dio, perché non vogliono cadere nell'inferno e bruciare col diavolo in un fuoco eterno. Questo appunto è il timore che prepara il posto alla carità; ma è un timore transeunte. Se tu temi il Signore ancora a causa dei suoi castighi, non lo ami ancora. Non desideri il bene ma ti astieni unicamente dal male. Ma per il fatto che ti astieni dal male, ti correggi ed incominci a desiderare il bene. E quando incominci a desiderare il bene, il tuo timore diventa un casto timore. Quale timore è casto? Il timore di perdere gli stessi beni. Comprendetemi: altra cosa è temere Dio perché non ti mandi all'inferno, altra cosa temerlo perché egli non si allontani da te. Il primo timore che ti porta a scongiurare di essere condannato all'inferno insieme col diavolo, non è ancora un timore casto; non deriva infatti dall'amore di Dio, ma dal timore del castigo. Ma quando tu temi il Signore perché la sua presenza non si sottragga a te, allora tu l'abbracci e desideri godere di lui.

(Due generi di spose.)

906 2. 6. Non è possibile spiegare meglio la differenza tra questi due timori, quello che esclude la carità e quello casto che resta per sempre, se non ricorrendo all'esempio di due donne sposate di cui una è intenzionata a commettere adulterio e trovare gioia nell'iniquità, ma timorosa delle vendette del marito. Costei teme il marito, ma lo teme precisamente perché ama ciò che è disonesto. La presenza del marito le è tutt'altro che gradita e confortevole. Se per caso la sua condotta è cattiva, essa teme di essere sorpresa dal marito. Simili a questa donna sono quelli che temono la venuta del giorno del giudizio. L'altra donna, che abbiamo preso come esempio, ama il suo sposo, lo circonda di casti amplessi, non si macchia di nessun adulterio, brama la presenza del marito. Come si distinguono questi due tipi di timore? Soggetta al timore è la prima come la seconda donna. Interrogale; ti daranno quasi la stessa risposta. Interroghiamo la prima: Temi il marito? Essa risponderà: sì, lo temo. Interroga la seconda: Temi tuo marito? Ti risponderà ugualmente: Lo temo. La risposta è identica, ma diverso lo spirito. Interroghiamole ancora, domandando loro perché temono il marito. La prima risponde: Temo che torni mio marito. La seconda invece: Temo che si allontani. La prima: temo di essere castigata; e la seconda: temo di essere abbandonata. Applica queste risposte nell'anima cristiana e scoprirai il timore che esclude la carità ed il casto timore che resta per sempre.

(L'una teme la condanna.)

907 7. Ci rivolgiamo dapprima a quelli che temono Dio alla maniera della donna disonesta: essa teme che il marito la condanni. Parliamo dunque a costoro. O anima, tu temi Iddio perché Dio non ti condanni, proprio come quella donna che agisce disonestamente e teme il marito per paura di essere castigata. Come a te dispiace quella donna, così dispiaciti di te stesso. Tu non vorresti una moglie che ti teme per paura del castigo e che sarebbe ben contenta di fare il male, ma se ne astiene per la grave paura che ha di te, non perché condanna il male. La vuoi casta, perché ti ami, non già perché ti tema. Anche tu offriti così a Dio, come vorresti che sia la tua sposa. Se ancora non hai moglie ma la vuoi avere, è così che la vuoi. Che cosa stiamo dicendo, o fratelli? Quella moglie che teme il marito solo per non essere ripudiata dal marito, probabilmente non commette adulterio, perché non venga scoperto dal marito e non le tolga questa luce temporale. Il marito potrebbe anche ingannarsi; è infatti una creatura umana come colei che può ingannarlo. Orbene quella donna teme un marito, ai cui sguardi potrebbe sottrarsi, e tu non temi gli sguardi del tuo sposo sempre fissi sopra di te? La faccia del Signore è sempre rivolta sopra coloro che fanno il male (Sal 33, 17). La donna adultera approfitta dell'assenza del marito ed è sollecitata forse dal piacere dell'adulterio; essa tuttavia dice a se stessa: Non mi azzarderò: egli è assente, è vero, ma la cosa non potrà non essere risaputa da lui. Essa dunque si trattiene dal male per paura che le cose siano sapute da un uomo, soggetto all'ignoranza ed all'errore, che potrebbe giudicare buona anche la donna malvagia, ritenere casta la moglie adultera. Tu invece non temi gli occhi di Dio che nessuno può ingannare? Non temi la presenza del Signore che non può mai esserti tolta? Prega il Signore che rivolga il suo sguardo sopra di te e allontani il suo volto dai tuoi peccati. Allontana la tua faccia dai miei peccati (Sal 50, 11). Come puoi meritare che egli distolga la sua faccia dai tuoi peccati? Facendo in modo che tu non distolga l'attenzione dai tuoi peccati. Sono le parole stesse del salmo che dicono: Io riconosco la mia iniquità ed il mio peccato sta sempre davanti a me (Sal 50, 5). Tu, dunque, riconosci i tuoi peccati ed egli te li condonerà.

(L'altra teme l'abbandono.)

908 2. 8. Ci siamo rivolti all'anima che ancora nutre un timore non duraturo per l'eternità, ma quel timore che viene scacciato e bandito dalla carità. Ci rivolgiamo anche all'anima che già possiede il timore casto, duraturo nei secoli eterni. Pensiamo forse di trovarla da poterle parlare? Ritieni che ci sia in questo popolo? In questa sala? Su questa terra? Impossibile che non ci sia e tuttavia resta nascosta. Siamo d'inverno ed il verde delle foglie sta ancora tutto dentro la radice. Può darsi però che le nostre parole giungano alle sue orecchie. Dovunque si trovi quell'anima, possa io giungere a scoprirla, e sentire io la sua voce, non lei la mia. Essa mi istruirebbe piuttosto che imparare da me. Un'anima santa, un'anima di fuoco che desidera il regno di Dio; non io le rivolgo la parola ma Dio stesso, e la consola, finché sopporta la presente vita terrena, con queste parole: Tu vuoi che io già venga a te ed io lo so bene: so che sei tale da poter aspettare con serenità la mia venuta. So della tua pena, ma attendi ancora un poco, sopporta: ecco vengo, vengo presto. Questa venuta sembra un ritardo all'anima che ama. Odila cantare come fosse un giglio tra le spine; odila sospirare e dire: Io canterò e comprenderò sulla via dell'innocenza; quando verrai da me? (Sal 100, 1-2). A ragione essa non teme, stando sulla via dell'innocenza, perché la carità perfetta scaccia ogni timore. Quando quest'anima giungerà all'amplesso del Signore teme, ma nella sicurezza. Che cosa teme? Starà attenta a togliere da sé ogni macchia di peccato, per non peccare più: non per la paura di essere mandata al fuoco, ma per non essere abbandonata dal Signore. E che cosa ci sarà in lei se non il casto timore che resta per sempre? Abbiamo ascoltato dunque le due trombe suonare in perfetto accordo. La prima parla del timore come la seconda; ma la prima parla del timore che ha l'anima di essere condannata, l'altra del timore che ha l'anima di essere abbandonata. Il primo è quel timore che viene eliminato dalla carità, il secondo invece è quel timore che rimane per sempre.

(L'amore ci rende belli.)

909 9. Noi dunque amiamolo, perché egli per primo ci ha amati (1Jn 4,19). Quale fondamento avremmo per amare, se egli non ci avesse amati per primo? Amando, siamo diventati amici; ma egli ha amato noi, quando eravamo suoi nemici, per poterci rendere amici. Ci ha amati per primo e ci ha donato la capacità di amarlo. Ancora noi non lo amavamo; amandolo, diventiamo belli. Che cosa fa un uomo deforme, colla faccia sformata, quando ama una bella donna? Che cosa fa, a sua volta, una donna brutta, sciatta e nera, se amasse un uomo bello? Potrà diventare forse bella, amando quell'uomo? Potrà l'uomo a sua volta diventare bello, amando una donna bella? Ama costei e quando si guarda allo specchio, arrossisce di sollevare il suo volto verso di lei, la bella donna che ama. Che farà per essere bello? aspetta forse che sopraggiunga in lui la bellezza? Nell'attesa, al contrario, sopravviene la vecchiaia che lo rende più brutto. Non c'è dunque nulla da fare, non c'è possibilità di dargli altro consiglio che ritirarsi, perché, non essendo all'altezza, non osi amare una donna a lui superiore. Se per caso l'amasse veramente e desiderasse prenderla in moglie, dovrà amare la sua castità, non la forma del suo corpo. La nostra anima, o fratelli, è brutta per colpa del peccato: essa diviene bella amando Dio. Quale amore rende bella l'anima che ama? Dio sempre è bellezza, mai c'è in lui deformità o mutamento. Per primo ci ha amati lui che sempre è bello, e ci ha amati quando eravamo brutti e deformi. Non ci ha amati per congedarci brutti quali eravamo, ma per mutarci e renderci belli da brutti quali eravamo. In che modo saremo belli? Amando lui, che è sempre bello. Quanto cresce in te l'amore, tanto cresce la bellezza; la carità è appunto la bellezza dell'anima. Noi, dunque, amiamolo, perché lui per primo ci ha amati. Ascolta l'apostolo Paolo: Dio ha dimostrato il suo amore per noi, perché quando ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5, 8-9), lui giusto per noi ingiusti, lui bello per noi brutti. Quale fonte ci afferma che Gesù è bello? Le parole del salmo: Egli è bello tra i figli degli uomini, sulle sue labbra ride la grazia (Sal 44, 3). Dove sta il fondamento di questa asserzione? Eccolo: Egli è bello tra i figli degli uomini perché in principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio (Jn 1,1). Assumendo un corpo, egli prese sopra di sé la tua bruttezza, cioè la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per rendersi simile a te e spingerti ad amare la bellezza interiore. Ma quali fonti ci rivelano un Gesù brutto e deforme, come ce lo hanno rivelato bello e grazioso più dei figli degli uomini? Dove troviamo che è deforme? Interroga Isaia. Lo abbiamo visto: egli non aveva più bellezza né decoro (Is 53, 2). Queste affermazioni scritturistiche sono come due trombe che suonano in modo diverso ma uno stesso Spirito vi soffia dentro l'aria. La prima dice: Bello d'aspetto, più dei figli degli uomini; e la seconda, con Isaia, dice: Lo abbiamo visto: egli non aveva bellezza, non decoro. Le due trombe son suonate da un identico Spirito; esse dunque non discordano nel suono. Non devi rinunciare a sentirle, ma cercare di capirle. Interroghiamo l'apostolo Paolo per sentire come ci spiega la perfetta armonia delle due trombe. Suoni la prima: Bello più dei figli degli uomini: essendo nella forma di Dio, non credette che fosse una preda l'essere lui eguale a Dio. Ecco in che cosa egli sorpassa in bellezza i figli degli uomini. Suoni anche la seconda tromba: Lo abbiamo visto e non aveva bellezza, né decoro: questo perché egli annichilò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini, riconosciuto per la sua maniera di essere, come uomo (Fil 2, 6-7). Egli non aveva né bellezza né decoro, per dare a te bellezza e decoro Quale bellezza? Quale decoro? L'amore della carità; affinché tu possa correre amando e possa amare correndo Già sei bello: ma non guardare te stesso, per non perdere ciò che hai preso; guarda a colui dal quale sei stato reso bello. Sii bello in modo tale che egli possa amarti. Da parte tua volgi tutto il tuo pensiero a lui, a lui corri, chiedi i suoi abbracci, temi di allontanarti da lui; affinché sia in te il timore casto che resta in eterno. Noi amiamolo, perché lui stesso ci ha amati per primo.


Agostino: 1a Lett. Giovanni 812