Sant'Agostino - La Trinità 400

LIBRO QUARTO

Proemio

Importanza della conoscenza di sé

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Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza del mondo terrestre e celeste 1; ma senza dubbio i migliori tra essi sono coloro che preferiscono la conoscenza di se stessi 2 a questa scienza e l'anima che conosce anche la sua debolezza è degna di maggior lode che non quella che, senza averla presa in considerazione, si sforza di investigare le orbite degli astri o quella che già le conosce ma ignora quale via la conduca 3 alla sua salvezza e alla sua sicurezza. Ma colui che, stimolato dal fervore dello Spirito Santo, ha già gli occhi ben aperti verso Dio e, nell'amore di lui, è divenuto conscio della propria miseria e, volendo ma non potendo giungere fino a lui, guarda in se stesso alla luce di Dio e scopre se stesso ed ha così acquistato la certezza che la sua malattia è incompatibile con la purezza di Dio, questi prova dolcezza nel piangere e nel supplicare Dio che abbia più e più volte misericordia, fino a quando si liberi di tutta la sua miseria, e nel pregarlo con confidenza, dopo aver ricevuto per grazia il pegno della salvezza nel nome di suo Figlio, unico Salvatore e illuminatore dell'uomo. Colui che è così indigente e conosce quella sofferenza, la scienza non lo gonfia, perché la carità lo edifica 4. Infatti ha preferito una scienza ad un'altra scienza, ha preferito conoscere la sua debolezza piuttosto che gli ultimi confini del mondo 5, le fondamenta della terra, le sommità dei cieli. Aggiungendo questa scienza ha accresciuto il dolore 6, il dolore del suo esilio che scaturisce dalla nostalgia della sua patria e del beato creatore di essa, il suo Dio 7. Signore, mio Dio, se gemo in mezzo a questo genere di uomini, in mezzo alla famiglia del tuo Cristo, fra i tuoi poveri, concedimi di saziare con il tuo pane gli uomini che non hanno fame e sete di giustizia 8, ma sono stati saziati e sono nell'abbondanza. Sono stati saziati però dalle loro immaginazioni, non dalla tua verità, che respingono e fuggono per cadere nella loro vanità. Certo io so per esperienza quante finzioni generi il cuore umano: e che cos'è il mio cuore se non un cuore umano? Ma questa preghiera rivolgo al Dio del mio cuore: di non proferire in questa mia opera nessuna di quelle finzioni in luogo della solida verità, ma al contrario tutto ciò che vi potrà venire da parte mia, venga, sebbene io sia cacciato via dai tuoi occhi 9, e mi sforzi di ritornare da lontano per la via che Egli ha tracciato con l'umanità della divinità del suo Figlio unico, dal luogo da cui soffia su di me la brezza della sua verità. In tanto di essa bevo, sebbene io sia mutevole, in quanto nulla di mutevole vedo in Dio, né per movimento spaziale e temporale come ne subiscono i corpi, né per movimenti puramente temporali e che hanno un qualcosa di spaziale, come nel caso dei pensieri dei nostri spiriti, né per movimenti puramente temporali senza neppure qualche immagine spaziale come nel caso di alcuni ragionamenti dei nostri spiriti. Infatti l'essenza di Dio, ragione del suo essere, non ha assolutamente nulla di mutevole sia nell'eternità sia nella verità o nella volontà: perché in Dio eterna è la verità, eterna la carità, vera è la carità, vera l'eternità; amata è l'eternità, amata la verità 10.

Occorreva persuaderci quanto e quali Dio ci avesse amato

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Dunque esiliati dalla gioia immutabile, non ne siamo tuttavia separati e gettati lontano al punto di rinunciare alla ricerca dell'eternità, della verità e della beatitudine anche in queste cose mutevoli ed effimere (infatti non desideriamo né morire, né sbagliare, né essere inquieti). Per questo Dio ci ha mandato delle apparizioni adatte alla nostra peregrinazione per ricordarci che ciò che cerchiamo non è qui, ma che da qui si deve ritornare al principio dal quale veniamo, perché se noi non trovassimo in lui il nostro centro, non cercheremmo quaggiù quelle cose 11. E prima di tutto bisognava persuaderci di quanto fosse grande l'amore di Dio per noi, perché la disperazione non ci impedisse di innalzarci verso di lui 12. Bisognava anche mostrarci in quale stato eravamo quando ci ha amato, affinché inorgogliendoci dei nostri meriti non ci allontanassimo di più da lui e non diventassimo più deboli nella nostra forza. Così Dio ha agito nei nostri riguardi in modo che progredissimo invece per la sua forza e così la forza della carità trovasse la sua pienezza nella debolezza dell'umiltà. È questo che si esprime nel Salmo in cui si dice: Una pioggia di benefici facesti cadere, o Dio, sulla tua eredità; era esausta, tu le rendesti la forza 13. Questa pioggia benefica non può significare che la grazia, la quale non è data in ricompensa ai nostri meriti ma concessa gratuitamente e per questo si chiama grazia: ce l'ha accordata infatti non perché ne fossimo degni, ma perché così gli è piaciuto. Sapendo questo noi non confideremo in noi stessi e questo significa "essere esausti". Ma Dio ci dà forza, lui che anche all'apostolo Paolo ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la forza trionfa nella debolezza 14. Bisognava dunque convincere l'uomo della grandezza dell'amore di Dio per noi e dello stato in cui eravamo quando ci ha amato; di questa grandezza perché non disperassimo, di questo stato perché non insuperbissimo. Ecco come l'Apostolo spiega questo passo così essenziale: Ma Dio dà prova del suo amore verso di noi proprio in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Molto più dunque ora che siamo giustificati dal suo sangue, saremo salvi dall'ira per mezzo di lui. Se noi infatti, pur essendo nemici, siamo stati riconciliati con Dio, mediante la morte del suo Figlio, molto più ora che siamo riconciliati saremo salvi nella sua vita 15. E in un altro passo: Che diremo dunque di tutto questo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il suo proprio Figlio ma lo ha consegnato per tutti noi, come non sarà disposto a darci ogni cosa insieme con lui? 16. Ora ciò che viene comunicato a noi come un fatto compiuto, era presentato ai giusti dell'antichità come un avvenimento futuro affinché essi pure, per mezzo della stessa fede, umiliati fossero resi deboli e resi deboli ricevessero forza.

Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto, è la luce degli spiriti

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Poiché dunque non vi è che un Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che è verità immutabile, in lui come in loro principio e senza mutamento sono tutte le cose contemporaneamente, non solo quelle che esistono ora in tutto l'universo creato ma anche quelle che sono esistite ed esisteranno. In lui non sono passate né future ma presenti, e tutte le cose sono vita e tutte non sono che una, o meglio vi è una sola cosa e una vita unica. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui in modo che tutto ciò che è stato creato in esse sia in lui vita e vita increata, perché in principio il Verbo non fu fatto, ma il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio e tutte le cose per mezzo di lui sono state fatte 17, e non sarebbero state fatte tutte le cose per mezzo di lui, se egli non fosse esistito prima di tutte le cose e non fosse increato. Fra le cose che sono state fatte per mezzo di lui anche il corpo, che non è vita, non sarebbe stato fatto per mezzo di lui, se nel Verbo, prima di essere fatto, non fosse stato vita. Infatti ciò che è stato fatto già era vita in lui e non una vita qualunque: anche l'anima è vita del corpo, ma anch'essa è vita creata, perché mutevole, e per mezzo di chi è stata fatta, se non per mezzo dell'immutabile Verbo di Dio? Infatti tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Dunque ciò che è stato fatto già era in lui vita e non una vita qualunque, ma la vita era luce degli uomini; luce evidentemente delle anime razionali, che distinguono gli uomini dagli animali 18, e che perciò li fanno uomini. Non è dunque una luce materiale che illumina i corpi sia risplendendo dal cielo sia provenendo da fuochi accesi sulla terra, luce che non è propria ai corpi umani ma che si estende anche ai corpi delle bestie, inclusi i più piccoli vermi 19. Tutti questi esseri infatti vedono questa luce. Ma quella vita era luce degli uomini, e non posta lontano da ciascuno di noi, perché in essa viviamo, ci muoviamo e siamo 20.

Per l'Incarnazione siamo resi capaci di attingere la Verità

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Ma la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno compresa 21. Queste tenebre sono le anime insensate degli uomini, accecate dalle perverse concupiscenze e dalla mancanza di fede. Per curarle e risanarle il Verbo, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, si è fatto carne ed abitò tra noi 22. La nostra illuminazione è una partecipazione del Verbo, cioè di quella vita che è luce degli uomini 23. Ma noi eravamo veramente inadatti e ben poco idonei a tale partecipazione per la immondizia dei peccati. Dovevamo dunque essere purificati. Ora la sola purificazione dei peccatori e dei superbi è il sangue del Giusto 24, e l'umiltà di Dio; affinché, per poter giungere alla contemplazione di Dio che per natura noi non siamo, venissimo purificati da Dio stesso fattosi quello che per natura siamo e quello che per il peccato non siamo. Infatti non siamo Dio per natura, siamo per natura uomini, non siamo giusti per il peccato. Dunque Dio, fattosi uomo giusto, ha propiziato Dio per l'uomo peccatore. Non c'è infatti rapporto tra peccatore e giusto, ma tra uomo e uomo. Dunque sommando a noi la sua umanità uguale alla nostra, ha sottratto a noi la disuguaglianza della nostra peccaminosità e, fattosi partecipe della nostra mortalità, ci ha reso partecipi della sua divinità 25. Giustamente la morte del peccatore, proveniente da una condanna necessaria, è stata tolta in virtù della morte del Giusto, proveniente da una libera misericordia, con il rapporto tra lui e noi di uno a due 26. Infatti questo rapporto (o, se, per dir meglio, chiamiamo concordanza, o proporzione, o accordo la relazione che c'è tra l'uno e il due) è di grandissima importanza in ogni unione o, se si preferisce, in ogni composto naturale. Mi riferisco, ora mi viene in mente la parola, all'accordo che i greci chiamano . Non è qui il luogo di dimostrare l'importanza dell'accordo tra il semplice e il doppio, accordo che si costata in noi in tutta la sua importanza e ci è così naturalmente innato (chi l'ha posto in noi se non Colui che ci ha creato?) che nemmeno gli ignoranti non possono non avvertirlo quando cantano o ascoltano gli altri cantare. È questo rapporto che fa concordare i suoni acuti e gravi e, se qualcuno se ne discosta, non offende penosamente le regole della scienza, che la maggior parte ignora, ma l'orecchio. Per provare però ciò che affermo sarebbe necessario un lungo discorso; invece può apparire manifesto allo stesso senso dell'udito ad opera di qualcuno che sappia suonare il monocordo regolare.

"Uno" in Cristo corrisponde a "due" in noi per la nostra salvezza

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Per il momento urge spiegare, per quanto Dio lo concede, come tra noi e Gesù Cristo, Signore e Salvatore nostro, esista il rapporto di due a uno e come esso contribuisca alla nostra salvezza. Noi certamente, e nessun cristiano ne dubita, siamo morti nell'anima e nel corpo: nell'anima per il peccato, nel corpo per il castigo del peccato e perciò anche nel corpo a causa del peccato 27. Queste nostre due realtà, l'anima e il corpo, necessitavano di una medicina e di una risurrezione per rinnovare in meglio ciò che era stato mutato in peggio. Ora la morte dell'anima è l'empietà, e la morte del corpo è la corruttibilità, che causa la separazione dell'anima dal corpo. Come infatti l'anima muore quando Dio l'abbandona, così il corpo muore quando l'abbandona l'anima: la prima perde così la saggezza, il secondo la vita. L'anima risuscita grazie alla penitenza e in un corpo mortale ha inizio una vita nuova ad opera della fede con la quale si crede in Colui che ha giustificato l'empio 28, vita che viene sviluppata con la virtù e fortificata di giorno in giorno 29 nella misura in cui sempre più l'uomo interiore si rinnova 30. Il corpo invece, che è come l'uomo esteriore, quanto più è lunga questa vita presente, sempre più si corrompe per l'età, per le infermità, per tante afflizioni fino a che giunge all'ultima che tutti chiamano morte. La sua risurrezione è differita fino alla fine, quando anche la nostra giustificazione sarà compiuta in maniera ineffabile 31. Allora infatti saremo simili a lui perché lo vedremo com'è 32. Ora invece, fin quando il corpo corruttibile pesa sull'anima 33, e la vita dell'uomo sulla terra è una continua lotta, nessun vivente viene giustificato davanti a lui 34, in paragone con quella giustizia che ci eguaglierà agli Angeli e con quella gloria che si manifesterà in noi 35. Ora, per distinguere la morte dell'anima dalla morte del corpo, perché dovrei ricordare troppo numerose testimonianze, dato che il Signore nel Vangelo ha dato in un solo passo un principio comodo a tutti per discernere l'una dall'altra? Egli dice: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti 36. Per morti da seppellire intendeva i corpi, ma per seppellitori morti intendeva coloro che sono morti nell'anima a causa dell'empietà della loro incredulità, come coloro cui si rivolge l'apostrofe dell'Apostolo: Svegliati, o dormiente, e sorgi dai morti e ti illuminerà Cristo 37. Una specie di morte lamenta l'Apostolo anche quando parlando della vedova dice: Quella che trascorre l'esistenza in mezzo alle delizie, pur vivendo è morta 38. Si può dire che l'anima ormai pia, dopo esser stata empia, è risuscitata dalla morte grazie alla giustizia della fede 39 e vive. Per quanto riguarda il corpo non soltanto è detto che morirà per la separazione futura dell'anima ma è anche detto morto per l'estrema debolezza della carne e del sangue, quando l'Apostolo afferma: Il corpo è morto a causa del peccato ma lo spirito è la vita in grazia della giustizia 40. Questa vita è opera della fede perché il giusto vive di fede 41. Ma qual è il seguito del passo? Che se lo spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti renderà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi 42.

Per la nostra duplice morte il Salvatore ha dato la sua unica

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Ecco dunque che per togliere le nostre due morti il Salvatore ha pagato con una sola morte da parte sua e per procurare ambedue le nostre risurrezioni ha preposto e proposto come sacramento ed esempio una sola risurrezione da parte sua. Infatti non fu né peccatore, né empio in modo da aver necessità di rinnovarsi secondo l'uomo interiore 43, come se fosse uno spirito morto, e da essere richiamato alla vita della giustizia, come ravvedendosi. Ma rivestito di carne mortale, non morendo che per essa, non risuscitando che per essa, per essa sola si mise in armonia con noi per la morte e la risurrezione, facendosi in essa sacramento dell'uomo interiore e modello di quello esteriore. Al sacramento del nostro uomo interiore si riferisce, per significare la morte della nostra anima, quel gemito di Cristo non solo nel Salmo, ma anche sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 44. A questo grido corrisponde bene la parola dell'Apostolo: Resi persuasi di questo, che l'uomo vecchio nostro è stato crocifisso con lui, affinché fosse distrutto il corpo del peccato in modo da non essere più schiavi del peccato 45. Crocifissione dell'uomo interiore sono i dolori della penitenza e le torture salutari della continenza. Una morte questa che sopprime la morte del peccato in cui Dio non ci lascia. E così questa croce distrugge il corpo del peccato, perché non offriamo più le nostre membra al peccato come strumenti di iniquità 46, poiché, se l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno 47, è evidente che prima di rinnovarsi era vecchio. È nell'interno che si realizza ciò che lo stesso Apostolo dice: Spogliatevi dell'uomo vecchio e rivestitevi del nuovo 48. E ne spiega il significato più avanti: Perciò lasciate la menzogna e ciascuno parli secondo la verità 49. Dove ci si spoglia della menzogna se non nell'interno perché abiti sul santo monte di Dio, colui che parla secondo la verità, nel profondo del suo cuore 50? Che la risurrezione del corpo del Signore interessi anche il mistero della nostra risurrezione interiore appare dal passo in cui Cristo, dopo la risurrezione, dice alla donna: Non toccarmi; io non sono ancora asceso al Padre mio 51. Con questo mistero concorda la parola dell'Apostolo: Se dunque siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell'alto dov'è il Cristo, assiso alla destra di Dio; gustate le cose dell'alto 52. Non toccare Cristo, se non dopo l'ascensione al Padre, significa non avere per Cristo un attaccamento sensibile 53. Ad esempio poi della morte del nostro uomo esteriore 54 vale la morte corporale del Signore, perché è soprattutto con una tale passione che ha incoraggiato i suoi servi a non temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima 55. Per questo dice l'Apostolo: Da parte mia completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo 56. E ad esempio della risurrezione del nostro uomo esteriore vale la risurrezione del corpo del Signore, perché egli disse ai discepoli: Palpate e vedete; uno spirito non ha ossa e carne come vedete che io ho 57. Ed uno dei suoi discepoli, inoltre, tastando le sue cicatrici esclamò: Signore mio e Dio mio 58. Nella evidente e totale integrità della sua carne apparve chiara la verità di ciò che aveva detto ai discepoli per incoraggiarli: Nemmeno un capello del vostro capo perirà 59. Perché infatti, dopo aver detto dapprima: Non toccarmi, non sono ancora asceso al Padre mio 60, si lascia poi toccare dai suoi discepoli prima di ascendere al Padre, se non per suggerire in un caso il sacramento dell'uomo interiore e per offrire nell'altro un modello di quello esteriore? O ci sarà per caso qualcuno così stolto e così nemico della verità da avere il coraggio di dire che prima dell'ascensione si lasciò toccare dagli uomini, ma dalle donne soltanto dopo l'ascensione 61? È dunque al modello della nostra futura risurrezione corporale, offerto anticipatamente nel Signore, che si riferiscono queste parole dell'Apostolo: Prima di tutti Cristo, poi quelli che sono di Cristo 62. In questo passo si tratta precisamente della risurrezione del corpo, a proposito della quale dice anche: Trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al corpo della sua gloria 63. Perciò l'unica morte del nostro Salvatore ha rimediato alle nostre due morti. L'unica sua risurrezione ha donato a noi due risurrezioni, avendo concorso il suo corpo come opportuna medicina, in ambedue le direzioni della morte e della risurrezione, come sacramento per il nostro uomo interiore e come esempio per il nostro uomo esteriore.

Il rapporto di semplice a doppio ha la sua fonte nella perfezione del numero sei

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Questo rapporto del semplice al doppio ha la sua origine nel numero tre. Uno più due fanno tre e la somma dei numeri di cui ho parlato dà come totale sei: infatti uno più due, più tre, fanno sei. Il numero sei si chiama perfetto perché si compone delle sue parti. Comprende in sé le tre frazioni seguenti: la sesta parte, la terza parte, la metà, né vi si può trovare un'altra frazione di valore determinato. Dunque la sesta parte di sei equivale a uno, la terza a due, la metà a tre. Ora uno più due, più tre, danno come totale sei. Tale perfezione è sottolineata dalla Sacra Scrittura, soprattutto per il fatto che Dio in sei giorni ha compiuto la sua opera 64, e nel sesto giorno fu fatto l'uomo ad immagine di Dio 65. Inoltre nella sesta età del genere umano il Figlio di Dio venne 66 nel mondo e si fece Figlio dell'uomo per restaurarci ad immagine di Dio 67. Noi ci troviamo ora in questa età, sia che si attribuiscano mille anni ad ogni età, sia che ci si basi sui periodi veramente storici ed insigni ricordati dalla Sacra Scrittura. La prima età va da Adamo a Noè e la seconda fino ad Abramo. Poi, secondo la cronologia dell'evangelista Matteo, da Abramo a Davide, da Davide fino alla deportazione in Babilonia 68, e da questo avvenimento al parto della Vergine. Queste ultime tre età unite alle due precedenti fanno cinque. Perciò la nascita di Cristo ha inaugurato la sesta, quella in cui ci troviamo attualmente, e che durerà fino alla fine sconosciuta dei tempi. Troviamo il numero sei con il suo simbolismo storico, anche se con distribuzione tripartita contiamo un periodo prima della Legge, un secondo sotto la Legge, un terzo sotto la grazia 69. In quest'ultimo periodo riceviamo il sacramento della rigenerazione, cosicché alla fine dei tempi, rinnovati totalmente dalla risurrezione della stessa carne, saremo guariti da ogni malattia non solo dell'anima ma anche del corpo 70. Per questo si può vedere una figura della Chiesa in quella donna guarita e raddrizzata dal Signore e che prima era stata curvata dall'infermità sotto le catene di Satana 71. Di questi nemici occulti si lamenta la voce del Salmista: Hanno curvato la mia anima 72. Ora, erano diciotto anni che questa donna era ammalata e perciò tre volte sei anni 73. D'altra parte il numero dei mesi di diciotto anni è eguale al cubo di sei, cioè a sei moltiplicato per sei, moltiplicato ancora per sei. Proprio prima di questo episodio il Vangelo parla di quell'albero di fico la cui misera sterilità datava da tre anni. Il vignaiolo pregò di lasciarlo ancora per quell'anno: se avesse dato frutto, bene, altrimenti sarebbe stato tagliato 74. Ora da una parte con i tre anni si ritrova la precedente distribuzione tripartita, e dall'altra parte il numero di mesi di tre anni è uguale al quadrato di sei, cioè sei per sei.

Importanza del numero sei nel computo dell'anno

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Basato sul numero sei è anche l'anno, in quanto si compone di dodici mesi interi di trenta giorni ciascuno (tale era il mese che seguivano gli antichi attenendosi alle fasi lunari): esso deve al numero sei la sua importanza. Infatti il valore che ha il sei nel primo ordine dei numeri, cioè in quello delle unità (dall'uno al dieci), lo ha il sessanta nel secondo ordine, quello delle decine (dal dieci al cento). Perciò sessanta giorni sono la sesta parte dell'anno. Di conseguenza se si moltiplica il numero sessanta (che nella seconda serie, quella delle decine, ha lo stesso valore del sei) per il numero sei (che fa parte della prima serie), si ha sei volte sessanta, cioè trecentosessanta giorni, che fanno dodici mesi interi. Però gli uomini mentre contano il mese secondo la rivoluzione della luna, calcolano l'anno in base all'osservazione della rivoluzione solare, per cui mancano cinque giorni e un quarto perché il sole completi il suo corso e chiuda l'anno. Infatti quattro quarti fanno un giorno, che si è obbligati a intercalare ogni quattro anni (e si ha allora l'anno bisestile) per non sconvolgere il calendario. Anche se consideriamo questi cinque giorni e un quarto, vediamo che il numero sei è di grandissima importanza. Questo per due ragioni: primo perché, come spesso succede, la parte si prende per il tutto e allora non abbiamo più cinque giorni ma sei, essendo questo quarto di giorno contato per un giorno intero; secondo perché i cinque giorni sono la sesta parte del mese e la quarta parte del giorno consta di sei ore. Infatti il giorno intero, ivi compresa la notte, si compone di ventiquattro ore, la cui quarta parte, cioè la quarta parte del giorno, è appunto di sei ore. Così nello svolgimento dell'anno il numero sei è quello che ha maggiore importanza.

Il numero sei nella formazione del corpo di Cristo

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Non senza ragione nella formazione del corpo del Signore, simboleggiato dal tempio distrutto dai Giudei e che Cristo si riprometteva di restaurare in tre giorni, il numero sei rappresenta un anno. Gli risposero infatti i Giudei: Sono stati necessari quarantasei anni per edificare il tempio 75. Ora quarantasei volte sei fa duecentosettantasei, che è il numero di giorni contenuto in nove mesi e sei giorni, tempo che si computa come se fossero dieci mesi per le donne incinte. Non che tutte le donne arrivino nella loro gravidanza a nove mesi e sei giorni, ma perché il corpo del Signore ha impiegato tale numero di giorni per giungere a termine perfettamente costituito, come risulta da una antica tradizione alla quale si attiene l'autorità della Chiesa. Si crede che sia stato concepito il venticinque marzo, che è anche il giorno della sua passione. Così il sepolcro nuovo in cui fu sepolto, nel quale nessun morto fu posto 76 né prima né dopo, rassomiglia al seno della Vergine in cui fu concepito e nel quale nessun mortale fu generato 77. D'altra parte secondo la tradizione nacque il 25 dicembre. Ora dal giorno della concezione a quello della nascita si hanno duecentosettantasei giorni, numero uguale a quarantasci volte sei. In quarantasei anni fu costruito il tempio 78, perché nel numero di giorni corrispondente a quarantasei per sei si formò completamente il corpo del Signore, distrutto dalla morte inflittagli e da lui risuscitato dopo tre giorni. Infatti diceva questo del suo corpo 79, come lo prova la testimonianza così chiara e forte del Vangelo: Come Giona stette tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra 80.

Il triduo della risurrezione in cui pure appare il rapporto di semplice a doppio

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Ora questo periodo di tre giorni non fu pieno ed intero, come testimonia la Scrittura. Il primo giorno consta della sola fine di una giornata ed il terzo dell'inizio di una giornata ed ambedue si computano come due giorni interi. Il giorno intermedio, cioè il secondo, è il solo perfettamente completo, di ventiquattro ore, dodici di giorno e dodici di notte. Infatti il Signore è stato prima condannato alla croce dai clamori dei Giudei all'ora terza e si era nel giorno sesto della settimana 81. Poi fu appeso alla croce all'ora sesta e spirò all'ora nona 82. Fu invece sepolto quando era già sera 83, secondo il tenore delle parole del Vangelo, ossia: alla fine del giorno. Comunque si consideri la questione, anche supponendo che si possa spiegare diversamente come non sia contrario al Vangelo di Giovanni porre la crocifissione all'ora terza 84, il primo giorno non lo prendi intero. Dunque per il primo giorno si considera come un giorno intero la sua ultima parte, come per il terzo giorno la sua prima parte. Infatti appartiene al terzo giorno la notte fino all'alba, quando fu resa manifesta la risurrezione del Signore, perché Dio, che ha detto che la luce brilla nelle tenebre 85, affinché la grazia del Nuovo Testamento e la partecipazione alla risurrezione di Cristo ci facciano intendere queste parole: Eravate un tempo tenebre ma ora siete luce nel Signore 86, ci suggerisce in qualche modo che il giorno incomincia dalla notte. Come infatti i primi giorni della creazione a causa della futura caduta dell'uomo si computavano dalla luce alla notte 87, così questi della risurrezione per la redenzione dell'uomo si computano dalla notte alla luce. Perciò dall'ora della morte fino al mattino della risurrezione vi sono quaranta ore, comprendendovi anche la stessa ora nona. Questo numero coincide anche con i quaranta giorni della sua vita sopra la terra dopo la risurrezione. Ed è assai frequente nella Scrittura l'uso di questo numero per significare il mistero della perfezione del mondo diviso in quattro parti. Perché il numero dieci ha una sua perfezione e moltiplicato per quattro dà quaranta. Ora dalla sera della sepoltura fino all'alba della risurrezione sono trentasei ore, numero che equivale al quadrato di sei. Questo rientra nel rapporto tra l'uno e il due, in cui si riscontra la proporzione più armoniosa. Infatti il dodici sta al ventiquattro come l'uno al due e, sommati insieme, fanno trentasei; una notte intera, un giorno intero, un'altra notte intera; e da tutto questo non è assente il simbolismo che ho sopra ricordato. Non è infatti assurdo paragonare lo spirito al giorno, il corpo alla notte. Il corpo del Signore nella sua morte e risurrezione era figura del nostro spirito e modello del nostro corpo. Anche così appare dunque il rapporto dell'uno al due in queste trentasei ore, se si pone il dodici in rapporto con il ventiquattro. Per quanto riguarda le ragioni per cui questi numeri sono ricordati nella Sacra Scrittura, forse qualcuno ne scoprirà di preferibili alle mie, o altrettanto probabili o anche più probabili di queste. In ogni caso nessuno sarà così sciocco e di cattivo gusto da sostenere che la loro presenza nella Sacra Scrittura è priva di importanza e che la loro frequenza non è caratterizzata da intenzioni mistiche. Le ragioni che da parte mia ho offerto le ho ricavate dall'autorità della Chiesa, che ci hanno tramandato gli antichi, dalla testimonianza della Scrittura, dalle leggi dei numeri e delle proporzioni. Ora contro la ragione non andrà mai il buon senso, contro le Scritture il senso cristiano, contro la Chiesa il senso della pace.

Dispersi nella moltitudine, per mezzo di un unico Mediatore siamo reintegrati nell'Unità

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Di questo sacramento, di questo sacrificio, di questo sacerdote, di questo Dio, prima che fosse mandato e fosse venuto nascendo da una donna, furono immagini sia tutte le sacre e mistiche apparizioni avute dai nostri padri per prodigi angelici sia le opere da essi stessi compiute, cosicché ogni creatura in qualche modo parlasse con i fatti di quell'uno che sarebbe stato l'unica salvezza di quanti dovevano essere strappati alla morte. Poiché infatti distaccandoci dall'unico, sommo e vero Dio per reato di empietà ed opponendoci a lui ci eravamo dispersi e vanificati in una moltitudine di cose, distratti in esse, attaccati ad esse, occorreva che al cenno ed al comando del misericordioso Dio le stesse cose nella loro moltitudine invocassero la venuta di quell'uno, che egli alla sua venuta fosse salutato dalle molte cose, che tutte le cose lo testimoniassero come già venuto; che noi, liberati dalle molte cose, ci serrassimo attorno a quell'uno; che morti nell'anima per molti peccati e destinati a morire nel corpo in pena del peccato, amassimo quest'uno, morto per noi nella carne senza peccato; che noi credendo in quell'uno risorto e con lui spiritualmente risorgendo per fede, fossimo giustificati diventando una cosa sola nell'unico Giusto 88; che noi non disperassimo di poter risuscitare anche nella carne 89, vedendoci preceduti, noi moltitudine di membra, da lui come unico capo; in cui, purificati adesso per mezzo della fede, e reintegrati in futuro per mezzo della visione, riconciliati con Dio per la sua funzione di Mediatore, dobbiamo aderire all'Uno 90, godere dell'Uno, perseverare nell'Unità.

Cristo vuole riportarci all'unità

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Così lo stesso Figlio di Dio, Verbo di Dio e nello stesso tempo Mediatore di Dio e degli uomini come Figlio dell'uomo, uguale al Padre 91 per l'unità della divinità e nostro simile per l'umanità che assunse, pregando il Padre per noi con la sua umanità, senza tacere tuttavia di essere con il Padre una sola cosa nella divinità, tra le altre cose dice: Non soltanto per questi prego ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola, affinché tutti siano una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te, affinché anche loro siano una cosa sola in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, io l'ho data a loro affinché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola 92.

Natura dell'unità in Cristo

Non


disse: "Che io e loro siamo una cosa sola", sebbene come capo della Chiesa ed essendo la Chiesa il suo corpo 93 potesse dire: "Che io e loro siamo, non una cosa sola, ma uno solo", perché il capo e il corpo è un solo Cristo 94. Ma manifestando la sua divina consustanzialità con il Padre (riferendosi a questo, in un altro passo dice: Io e il Padre siamo una sola cosa 95), consustanzialità di un genere proprio a lui, cioè uguaglianza consustanziale nella medesima natura, vuole che i suoi siano una sola cosa, ma in lui. Infatti in se stessi ne sarebbero incapaci, disuniti l'uno dall'altro dalle opposte volontà, dalle passioni, dalle immondezze dei peccati. Per questo sono purificati dal Mediatore per essere una sola cosa in lui, non solo nell'unità della natura, nella quale da uomini mortali diventano uguali agli Angeli 96, ma anche per l'identità di una volontà che cospira in pieno accordo alla medesima beatitudine, fusa in qualche modo in un solo spirito dal fuoco della carità. È questo il senso dell'espressione: Che essi siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa; come il Padre e il Figlio sono una sola cosa non solo per l'uguaglianza della sostanza, ma anche per la volontà, così questi che hanno il Figlio come Mediatore tra sé e Dio, siano una cosa sola non soltanto perché sono della stessa natura ma anche per la comunanza di uno stesso amore. Dopo il Signore ci indica che egli è il Mediatore grazie al quale siamo riconciliati con Dio, con queste parole: Io in essi e tu in me, affinché siano consumati nell'unità 97.

L'uomo schiavo del demonio

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In questo consiste la vera pace e per noi il solido legame con il Creatore, una volta purificati e riconciliati ad opera del Mediatore della vita, così come macchiati e separati ci eravamo allontanati da lui ad opera del mediatore della morte. Infatti come il diavolo superbo condusse alla morte l'uomo insuperbito, così Cristo umile ricondusse alla vita l'uomo obbediente, perché come quello cadde dall'alto del suo orgoglio e ha fatto cadere l'uomo consenziente, così questi si rialzò dalla sua umiliazione ed ha rialzato l'uomo credente 98. Il diavolo non era giunto fin dove aveva condotto l'uomo (infatti, se era morto spiritualmente nella sua empietà, non era morto corporalmente, in quanto non aveva assunto la veste del corpo), e così faceva figura agli occhi dell'uomo di principe in mezzo alla legione dei demoni attraverso i quali impone il regno delle sue imposture. In questo modo gonfia vieppiù con vampate di orgoglio l'uomo, più desideroso di potenza che di giustizia; lo gonfia con la falsa filosofia oppure seducendolo con riti sacrileghi, precipitandovi anche, ingannate e beffate, anime troppo curiose degli artifici della magia e troppo presuntuose, e così tiene l'uomo in suo potere e promette perfino la purificazione dell'anima mediante un rito chiamato , mentre si trasforma in angelo di luce 99 per mezzo di una eterogenea messa in scena con miracoli e prodigi menzogneri 100.

I prodigi dei demoni si debbono disprezzare

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Infatti è facile agli spiriti del male operare per mezzo dei corpi aerei una moltitudine di cose che suscitano ammirazione nelle anime appesantite dai corpi di materia terrestre, anche in quelle meglio disposte 101. Perché se anche i corpi di materia terrestre, ben addestrati con l'arte e il continuo esercizio, possono eseguire davanti al pubblico spettacoli teatrali ed esercizi così straordinari che a narrarli a uomini che non ne hanno mai visti sembrano quasi incredibili, che c'è di eccezionale per il diavolo e i suoi angeli nel trarre dagli elementi della materia, per mezzo di corpi aerei, prodigi di cui l'uomo si meravigli ed anche nel comporre per mezzo di segreti influssi fantasmagorie di immagini, capaci di ingannare gli uomini durante la veglia o durante il sonno, oppure di sovraeccitare i dementi? Ma come può accadere che un uomo di condotta e costumi irreprensibili guardi degli individui perversi camminare su una corda e compiere molte cose straordinarie contorcendo in mille modi il loro corpo e tuttavia non desideri fare altrettanto, né per queste cose li consideri superiori a sé, così l'anima credente e pia può non solo vederli ma anche, per la fragilità della carne, provare davanti ai prodigi dei demoni un brivido di orrore, senza tuttavia rammaricarsi di non poter fare altrettanto o credersi inferiore ad essi, tanto più che essa fa parte della società dei santi i quali, uomini o Angeli, per la forza di Dio cui tutto è sottomesso, compirono cose per nulla ingannevoli e molto più importanti 102.

Il diavolo mediatore di morte

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Non sono dunque per nulla questi simulacri sacrileghi, queste curiosità empie, queste cerimonie magiche che purificano l'anima e la riconciliano a Dio, perché il falso mediatore non trascina verso le vette ma anzi vi pone ostacolo chiudendone l'accesso con le passioni che, tanto più pericolose quanto più orgogliose, ispira ai suoi complici. Esse, incapaci di irrobustire le ali della virtù per volare, hanno come effetto di aumentare, per sommergere, il peso dei vizi dell'anima, che si inabissa tanto più in basso, quanto più in alto crede di essere giunta. Perciò come fecero i Magi, divinamente istruiti, che una stella condusse ad adorare l'umiltà del Signore, così anche noi dobbiamo ritornare alla patria non per dove siamo venuti ma per un'altra strada 103, quella che ci ha insegnato il re umile e che il re superbo, nemico del re umile, non può intercettare. Anche a noi infatti, per farci adorare il Cristo umile, i cieli hanno narrato la gloria di Dio, diffondendosi la loro voce per tutta la terra e le loro parole fino ai confini del mondo 104. In Adamo il peccato ci ha aperto un cammino di morte: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e a causa del peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato 105. Il mediatore di questa via è stato il diavolo che ci ha spinto al peccato e precipitato nella morte 106. Certo egli per perpetrare la nostra duplice morte ha avuto soltanto bisogno della sua unica morte. Egli morì a causa dell'empietà nello spirito ma non morì nel corpo; però ha spinto noi all'empietà e a causa di essa ha fatto sì che meritassimo di giungere alla morte del corpo. Una cosa abbiamo dunque desiderato per questa cattiva suggestione, l'altra ci ha perseguito per giusta condanna; ecco perché è stato scritto: Dio non ha fatto la morte 107, perché egli non fu causa della morte e tuttavia è per suo castigo che il peccatore fu condannato ad una morte legittima. Nello stesso modo il giudice condanna il reo al supplizio, tuttavia causa del supplizio non è la giustizia del giudice ma il merito del crimine. Dove dunque il mediatore della morte del corpo ci ha condotto e dove egli non è arrivato, cioè proprio alla morte del corpo, il Signore Dio nostro ha posto la medicina della nostra guarigione, che non fu concessa al diavolo per occulta e assolutamente impenetrabile disposizione dell'alta giustizia divina. Come la morte venne da un solo uomo, così pure da un solo uomo doveva venire la risurrezione dei morti 108. Poiché gli uomini si affannavano ad evitare ciò che non potevano evitare, la morte del corpo più che la morte dello spirito, ossia il castigo più che la causa del castigo (perché di non peccare non ci si preoccupa affatto o ci si preoccupa poco; di non morire invece, sebbene sia una cosa irrealizzabile, ci si preoccupa disperatamente) il Mediatore della vita, insegnandoci a non temere la morte, inevitabile nell'attuale condizione umana, ma piuttosto l'empietà da cui ci si può guardare con la fede, ci è venuto incontro verso il fine cui tendiamo, ma non per la strada per cui camminavamo. Noi infatti siamo giunti alla morte per il peccato, lui per la giustizia. Perciò mentre la nostra morte è pena del peccato, la sua morte diviene ostia per il peccato 109.

Cristo morì perché lo volle

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Per questo motivo, se l'anima si ha da anteporre al corpo, se la morte dell'anima consiste nell'essere abbandonata da Dio mentre la morte del corpo consiste nell'essere abbandonato dall'anima, e se infine nella morte del corpo la pena consiste nel fatto che lo spirito lasci forzatamente il corpo in quanto ha lasciato volontariamente Dio, sicché, avendo abbandonato Dio per sua volontà abbandoni il corpo anche contro la sua volontà e per propria volontà non possa abbandonarlo se non facendo violenza a se stesso con il suicidio, l'anima del Mediatore ha provato che non era la pena del peccato che lo conduceva alla morte del corpo, perché egli non lo ha abbandonato contro la sua volontà ma perché lo ha voluto, quando lo ha voluto, come lo ha voluto. Essendo composto in unità con il Verbo di Dio, ha potuto dire: Ho il potere di lasciare la mia vita e di riprenderla. Nessuno me la toglie ma sono io che la lascio e la riprendo 110. E di questo rimasero sommamente stupiti, come narra il Vangelo, coloro che erano presenti quando, subito dopo quel grido (che è figura del nostro peccato), spirò 111. Infatti coloro che venivano crocifissi, morivano dopo una lunga agonia, come testimoniano i due ladroni ai quali furono rotte le gambe per affrettarne la morte e poterli deporre dalla croce prima del sabato. Quanto a Cristo, parve straordinario trovarlo già morto 112. Anche Pilato, secondo il testo, ne fu meravigliato, quando gli fu chiesto il corpo del Signore per seppellirlo 113.

Vittoria di Cristo sul diavolo

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E così quell'impostore che è stato causa di morte e si oppone alla vita sotto false parvenze di purificazione in riti e sacrifici sacrileghi che seducono i superbi, escluso dal partecipare con noi alla nostra morte e alla risurrezione spirituale, poté dare per la nostra duplice morte la sua unica morte, ma non poté dare in sé un'unica risurrezione che fosse sacramento della nostra rinascita ed esempio della risurrezione finale. Al contrario, colui che vivo nello spirito ha risuscitato il suo corpo dalla morte, il vero Mediatore della vita, ha cacciato dalle anime dei suoi fedeli colui che era morto nello spirito e mediatore di morte, per non permettergli di regnare all'interno, lasciando così che attaccasse dal di fuori senza che mai potesse conseguire vittoria. Cristo stesso si è offerto alle sue tentazioni per essere nostro mediatore, nel superamento delle tentazioni di lui, non solo con il suo aiuto ma anche con il suo esempio. Il diavolo, dopo aver prima cercato di introdursi all'interno per tutte le vie di accesso ed essere stato cacciato, esauritasi nel deserto dopo il battesimo la tentazione piena di tutte le lusinghe (poiché lui che era morto nello spirito non poté trionfare su quello spirito che era vivo), avido di mandare l'uomo a morte si valse dell'attuazione di quella morte che è in suo potere, e il Mediatore di vita fu lasciato alla discrezione di lui in ciò che aveva assunto di mortale da noi. Ma proprio lì, sul campo concesso alle sue imprese, il diavolo fu battuto completamente, perché fu proprio nel ricevere il potere esteriore di uccidere il corpo mortale del Signore che il suo potere interiore con cui ci teneva schiavi fu abbattuto 114. Infatti è accaduto che le catene tra innumerevoli peccati e innumerevoli morti sono state rotte con la morte di uno solo 115, assolutamente libero dal peccato. Il Signore soffrì per noi tale morte indebita, affinché non nuocesse a noi la morte a noi dovuta. Non esisteva potere che avesse il diritto di spogliarlo del suo corpo; se n'è spogliato lui stesso. Infatti Colui che avrebbe potuto non morire, se lo avesse voluto, senza alcun dubbio morì perché lo volle, dando così una bella lezione ai principati e alle potestà che egli aveva schiacciato totalmente nella sua persona 116. Con la sua morte, l'unico sacrificio assolutamente vero offerto per noi, tutto ciò che c'era in noi di colpevole e che dava il diritto ai principati e alle potestà di costringerci a espiare con i supplizi, egli ha pulito, abolito, estinto, e con la sua risurrezione a una vita nuova ha chiamato noi, i predestinati, chiamati ci ha giustificati, giustificati ci ha glorificati 117. Ecco come la stessa morte corporale ha tolto al diavolo l'uomo, che egli dominava con pieno diritto dopo averlo sedotto con il consenso di lui, l'uomo troppo povero, troppo debole, che egli, libero perfettamente dalla corruzione della carne e del sangue, con l'aiuto della debolezza del corpo mortale schiacciava (con uno sdegno tanto più grande quanto maggiore era, per così dire, la sua fortuna e la sua forza) come un cencioso e un miserabile. Dove infatti senza seguirlo spinse l'uomo peccatore nel momento della sua caduta, ivi ridusse con le persecuzioni il Redentore nel tempo della sua discesa. Così il Figlio di Dio si degnò di farsi nostro amico condividendo con noi la morte per immunità dalla quale il nemico si stimava migliore e più grande di noi. Dice il nostro Redentore: Nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la vita propria per i suoi amici 118. Il diavolo arrivò fino al punto di ritenersi superiore al Signore stesso in quanto il Signore gli aveva ceduto nella sua passione. Così proprio del Signore si ha da intendere ciò che si legge nel Salmo: Lo hai reso un po' inferiore agli Angeli 119. Ed ecco il risultato di tutto questo: l'innocente Signore ucciso dal maligno che agiva contro di noi in forza di un diritto giustamente concessogli, trionfò del diavolo con pienissima giustizia, fece propria schiava la schiavitù prodotta dal peccato, liberò noi dalla servitù che giustamente ci spettava per il peccato, distrusse la condanna di morte 120 con il suo sangue giusto ingiustamente versato dal diavolo e redense i peccatori, che avevano bisogno di essere giustificati.

La sovreminente Sapienza divina si serve del diavolo per la salvezza dei suoi fedeli

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Per questo il diavolo si prende ancor gioco dei suoi ai quali si presenta con l'aria di volerli purificare con i suoi misteri ma in realtà per coinvolgerli e farli cadere, in quanto con grande facilità persuade il loro orgoglio a deridere e disprezzare la morte di Cristo: il diavolo è ritenuto da essi tanto più santo e divino quanto più è estraneo a questa morte. Però sono molto pochi quelli che gli sono rimasti fedeli, dopo che i pagani hanno riconosciuto e bevuto con pia umiltà il prezzo della loro redenzione e, pieni di fiducia, abbandonano il loro nemico e corrono al loro Redentore. Il diavolo infatti ignora che delle sue insidie e del suo furore si serve per la salvezza dei suoi fedeli la sovreminente Sapienza divina, che si estende con forza e dispone di tutto con soavità dall'estremo superiore, che è la prima delle creature spirituali, fino all'estremo inferiore, che è la morte del corpo, perché essa penetra dappertutto per la sua purezza e nulla di impuro penetra in lei 121. Ma per il diavolo, esente dalla morte del corpo (e per questo incede con grande superbia), è pronta una morte di altro genere nel fuoco eterno del Tartaro, dove possono essere torturati non solo gli spiriti rivestiti di materia terrena ma anche quelli rivestiti di materia eterea. Quanto agli uomini superbi che disprezzano Cristo perché è morto, mentre egli con la sua morte ci ha riscattato a così caro prezzo 122, essi anzitutto pagano con gli altri uomini il tributo della morte corporale dovuto alla condizione miserabile che la natura umana ha ereditato dal primo peccato, e poi saranno precipitati nella morte eterna con il diavolo. Essi l'hanno preferito a Cristo perché li ha precipitati in una morte in cui per la differenza di natura il diavolo non è caduto e dove, per una immensa misericordia, Cristo è disceso. Tuttavia si ritengono superiori ai demoni e non cessano di perseguitarli con ingiurie e con l'odio, pur sapendo perfettamente che sono esenti dal subire quella morte per la quale disprezzano Cristo. Così si rifiutano di considerare come il Verbo di Dio, pur rimanendo identico a se stesso e immutabile per ogni verso, tuttavia per l'assunzione di una natura inferiore possa soffrire la morte che il demonio immondo non può soffrire per mancanza di un corpo terreno. Perciò, sebbene essi siano superiori ai demoni, nondimeno sono soggetti alla morte perché hanno un corpo mortale, mentre i demoni non possono morire perché non l'hanno. Essi fanno molto conto delle vittime dei loro sacrifici, ma non sospettano di immolarle agli spiriti ingannatori e superbi o, anche se lo sanno, pensano di trarre qualche profitto dall'amicizia di esseri perfidi e gelosi che non hanno altra preoccupazione che quella di impedire il nostro ritorno a Dio.

Cristo unico Mediatore con il sacrificio della pace ci riconcilia con Dio

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Costoro non capiscono che questi spiriti orgogliosissimi non avrebbero potuto compiacersi degli onori dei sacrifici se il vero Dio, in luogo del quale pretendono di essere adorati, non avesse diritto, lui solo, al vero sacrificio e che questo sacrificio non può essere offerto legittimamente se non ad opera di un sacerdote santo e giusto e se la materia dell'offerta non è presa da coloro per i quali è offerta e se non è una materia senza difetto perché possa essere offerta per la purificazione di esseri difettosi. Questo certamente desiderano coloro che chiedono che venga offerto per loro un sacrificio a Dio. E quale sacerdote è giusto e santo come l'unico Figlio di Dio, che non aveva bisogno di purificare con un sacrificio i suoi peccati, né quello originale né altri aggiunti dall'esistenza umana? E che altro si può prendere dagli uomini e offrirlo per essi tanto convenientemente quanto la carne umana? E che cosa c'è di tanto adatto, per questa immolazione, come la carne mortale? E che cosa di tanto puro per purificare le immondezze dei mortali come una carne concepita e nata verginalmente, immune da ogni contagio della concupiscenza carnale? E che cosa è tanto offribile e tanto accettabile quanto la carne del nostro sacrificio che è il corpo del nostro sacerdote? Che se in ogni sacrificio sono quattro gli aspetti da considerare (a chi si offre, da chi si offre, che cosa si offre, per chi si offre), tutti e quattro convengono nel medesimo unico e vero Mediatore che ci riconcilia con Dio per mezzo del suo sacrificio di pace 123, rimanendo egli tutt'uno con Dio a cui si offriva, facendo tutt'uno in sé coloro per i quali l'offriva, tutt'uno essendo lui che offriva con ciò che offriva.

Errore degli orgogliosi

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Vi sono alcuni che pensano di potersi purificare con il loro proprio sforzo per contemplare Dio e unirsi a lui: questa superbia è la loro peggiore immondezza. Infatti non vi è alcun vizio cui più si oppone la legge divina e che conceda un diritto più indiscutibile a quello spirito pieno di superbia, aiuto nella discesa agli abissi, impedimento nell'ascesa alle vette, a meno che per un'altra via non si eludano le sue insidie o gli attacchi aperti che egli promuove per mezzo di un popolo vizioso, indicato in Amalec, e gli ostacoli che egli frappone all'entrata nella terra promessa non si superino per mezzo della croce del Signore, prefigurata nelle braccia aperte di Mosè 124. Il motivo della pretesa di costoro di purificarsi da se stessi è che alcuni di essi sono riusciti a sollevare la punta dello spirito al di sopra di ogni creatura e attingere, per quanto poco, la luce della immutabile verità; e poiché molti cristiani che vivono attualmente solo di fede non hanno potuto fare altrettanto, li deridono 125. Ma a chi è superbo, e per questo si vergogna di salire sulla nave, che giova intravedere da lontano la patria d'oltremare 126? Oppure che nuoce a chi è umile il non vederla per tanta distanza, se si trova dentro la nave che voga verso di essa e sulla quale il superbo rifiuta di viaggiare?

I filosofi non hanno potuto vedere nelle ragioni eterne ciò che concerne la storia

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Costoro criticano anche la nostra fede nella risurrezione della carne e pretendono che invece diamo il nostro assenso a ciò che essi affermano anche circa queste cose. Come se debbano essere consultati sul cambiamento delle cose mutevoli e sul concatenarsi dei secoli per il fatto che sono riusciti, tramite le creature, a comprendere la realtà trascendente ed immutabile. Certo, le loro spiegazioni sono pienamente esatte e i loro argomenti decisivi nel dimostrare la dipendenza assoluta di ogni cosa temporale dalle ragioni eterne, ma ne consegue per questo che siano riusciti a penetrare queste ragioni stesse e dedurne quanti generi di animali vi siano, quali furono all'origine i loro germi, quale il processo del loro sviluppo, quali numeri reggano le loro concezioni, le loro nascite, le loro età e i loro declini, quali i movimenti regolatori dei loro istinti che li portano verso ciò che è loro naturale e li allontanano da ciò che è loro nocivo? Non si sono forse informati circa queste cose, non per mezzo di quella immutabile sapienza ma sulle pagine della storia nella sua evoluzione spaziale e temporale, prestando fede a ciò che altri hanno per esperienza appreso e consegnato ai loro scritti? È dunque ancor meno degno di meraviglia che non abbiano in alcun modo potuto investigare una così larga serie di secoli né incontrare, per così dire, un termine al centro di questo scorrere dei secoli, che come un fiume trascina il genere umano, né il cambiamento di rotta che porta ciascuno al suo punto di arrivo particolare. Queste cose non hanno potuto scrivere gli storici, perché troppo lontane nell'avvenire e nessuno ne ha fatto l'esperienza e la narrazione. Né questi filosofi migliori degli altri ne hanno avuto la visione intellettuale in quelle supreme ed eterne ragioni, altrimenti non si sarebbero accontentati di indagare il passato, come possono fare gli storici, ma svelerebbero anche il futuro. Coloro che ebbero questo potere, ebbero presso di loro il nome di vati, presso di noi quello di Profeti.

Prescienza del futuro

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Ma per la verità il nome di Profeta non è del tutto estraneo alla loro letteratura. Tuttavia interessa moltissimo distinguere tra diverse possibilità. Il futuro può essere congetturato dalle esperienze del passato. I medici per esempio, che pronosticano molte cose, mettono per iscritto i risultati delle loro osservazioni, così gli agricoltori ed anche i marinai predicono molte cose (quando tali predizioni sono molto anteriori agli avvenimenti, sono ritenute divinazioni). Oppure gli eventi futuri sono già in processo di svolgimento e vengono preannunciati da chi ha la fortuna di scorgerli da lontano per una vista relativamente acuta (quando le potenze dell'aria fanno questo si ritiene che facciano delle divinazioni). È come se qualcuno dalla vetta di un monte vedesse uno che viene da lontano e annunciasse in anticipo la sua venuta a coloro che abitano lì vicino nella pianura. Oppure gli Angeli santi, ai quali Dio li rivela per mezzo del suo Verbo e Sapienza nella quale stanno immobili il futuro e il passato, rivelano ad alcuni uomini gli eventi futuri e questi poi li trasmettono ad altri. Oppure gli spiriti di alcuni uomini vengono così innalzati dallo Spirito Santo da apprendere, non per mezzo degli Angeli ma da sé, le cause degli eventi futuri, come già presenti nel supremo principio delle cose. Del resto anche le potestà dell'aria odono circa queste cose ciò che annunciano gli Angeli o gli uomini, ma odono solo nella misura che ritiene utile Colui al quale tutto è sottomesso. Infine molte predizioni hanno origine da una specie di istinto e d'impulso inconscio dello spirito: così Caifa non sapeva ciò che diceva ma fu la sua carica di pontefice che lo fece profetizzare 127.

Non si debbono consultare i filosofi sulla conoscenza del futuro e sulla risurrezione

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Dunque circa il susseguirsi dei secoli e la risurrezione dei morti non dobbiamo consultare i filosofi, nemmeno coloro che compresero, secondo le loro possibilità, l'eternità del Creatore, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo 128. Perché pur conoscendo Dio dalle sue opere non gli hanno dato gloria come Dio né gli hanno reso grazie, ma affermando di essere sapienti sono divenuti stolti 129. Essendo impotenti d'altra parte a tener fissa così fermamente la punta dello spirito nell'eternità dell'essere spirituale e immutabile così da vedere, nella sapienza del Creatore e Signore dell'universo, il volgere dei secoli, che in essa erano già e per sempre mentre quaggiù non sarebbero stati che per non essere più, e da vedervi i progressi non solo spirituali ma anche materiali degli uomini fino alla loro perfezione propria a ciascuno; essendo dunque del tutto impotenti a vedervi queste cose, non sono nemmeno stati giudicati degni di apprenderle dagli Angeli santi né esteriormente per mezzo di impressioni fisiche né interiormente per mezzo di rivelazioni rese manifeste nello spirito. In tal modo invece le appresero i nostri padri che erano animati da una vera pietà, essi a loro volta le manifestarono e, confermandole con miracoli compiuti sul momento e con predizioni realizzatesi a breve distanza di tempo, si sono acquistati una tale autorità da poter essere creduti circa quelle cose che, secondo la loro profezia, sarebbero accadute nel futuro più lontano fino alla fine dei tempi. Invece le potestà dell'aria, superbe e ingannatrici, sebbene abbiano manifestato tramite i loro indovini alcune cose apprese dai santi Profeti e dagli Angeli sulla società e città dei santi e sul vero Mediatore, lo hanno fatto per attrarre gli stessi fedeli di Dio, con verità che loro non appartengono, alle falsità che loro appartengono 130. Ma Dio si è comportato in modo che grazie anche ad essi (senza che lo sapessero) la verità risuonasse ovunque, ai fedeli come aiuto, agli empi come testimonio.

Il Figlio di Dio si è incarnato ed ha fatto convergere a sé la nostra fede per condurci alla sua verità

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Poiché dunque eravamo incapaci di attingere l'eterno e le immondezze dei peccati, contratte con l'amore delle cose temporali e quasi naturalmente radicate in noi con la propagazione della natura mortale, ci schiacciavano sotto il loro peso, ci era necessaria una purificazione. Ma noi avremmo potuto essere purificati per essere adattati alle cose eterne solo per mezzo delle cose temporali alle quali già aderivamo. Infatti tra la malattia e la salute c'è una distanza grandissima, ma tra le due il rimedio non conduce alla salute, se non conviene con la malattia. Usate male, le cose temporali ingannano gli ammalati; usate bene, procurano loro salute e li innalzano poi alle cose eterne. Da parte sua l'anima razionale per purificarsi è tenuta alla fede nei riguardi delle cose temporali così come, una volta purificata, è tenuta alla contemplazione nei riguardi delle cose eterne. Disse uno di quei personaggi che nei tempi passati furono ritenuti sapienti presso i Greci: Ciò che l'eternità è in rapporto a ciò che incomincia, la verità lo è in rapporto alla fede 131. Ed è un'affermazione certamente esatta. Ciò che noi chiamiamo "temporale", egli lo ha chiamato: ciò che incomincia. A questo genere di cose apparteniamo anche noi, non soltanto per il corpo, ma anche per la mutevolezza dell'anima. Non si può, a rigore, chiamare eterno ciò che muta per qualche aspetto. Quanto più dunque siamo mutevoli, tanto più siamo lontani dall'eternità. Tuttavia ci è promesso di arrivare alla vita eterna per mezzo della verità dalla cui evidenza, ancora una volta, la nostra fede è tanto lontana, quanto dall'eternità la nostra mortalità. Ora dunque accordiamo fede alle cose compiute per noi nel tempo per essere purificati per mezzo di essa, perché quando giungeremo alla visione, come alla fede subentra la verità, così alla mortalità subentri l'eternità. Ne consegue che la nostra fede diverrà verità quando giungeremo a ciò che è promesso a noi che crediamo, ma ci è promessa la vita eterna. Ora la Verità ha detto (non la verità che diverrà tale un giorno, come lo diverrà la nostra fede, ma quella che è sempre verità perché in essa c'è l'eternità), dunque la Verità ha detto: Questa è la vita eterna: che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo 132; quando dunque nella visione la nostra fede diverrà verità, allora l'eternità possederà la nostra mortalità trasfigurata 133. In attesa che ciò accada ed affinché accada, poiché accordiamo alle cose che nascono l'adesione della nostra fede, come nelle eterne speriamo la verità della contemplazione, affinché non vi fosse discordanza tra la fede della vita mortale e la verità di quella eterna, la stessa Verità coeterna al Padre è nata sulla terra 134, quando il Figlio di Dio venne per diventare Figlio dell'uomo e per ricevere lui stesso in sé la nostra fede che ci conducesse alla verità di lui, che ha assunto la nostra mortalità in modo da non perdere la sua eternità. C'è infatti tra le cose che cominciano e l'eternità lo stesso rapporto che c'è tra la fede e la verità 135. Così ci era necessaria una purificazione che permettesse a lui di nascere per noi, pur rimanendo eterno, affinché non lo possedessimo in un modo nella fede e in un altro nella verità. Noi certo abbiamo avuto origine ma non per questo avremmo potuto passare all'eterno, se l'Eterno, partecipando alla nostra sorte col nascere come noi, non ci avesse trasportati all'eternità. Ora perciò la nostra fede se ne è andata in qualche modo là dove è salito Cristo, oggetto della nostra fede per la quale lo crediamo nato, morto, risorto e asceso. Di queste quattro tappe conoscevamo personalmente le prime due; sappiamo infatti che gli uomini nascono e muoiono. Quanto alle altre due, la risurrezione e l'ascensione, abbiamo il diritto di sperare che si realizzeranno in noi perché crediamo che già si sono realizzate in lui. Quindi, dato che in lui anche ciò che ha avuto origine è passato all'eterno, passerà all'eterno anche in noi quando la fede sarà giunta alla verità. Ecco ciò che disse ai credenti perché perseverassero nella parola della fede e da ciò condotti alla verità e per essa all'eternità, fossero liberati dalla morte: Se persevererete nei miei insegnamenti, siete veramente miei discepoli 136. E, come se avessero chiesto: "Con quale vantaggio?", proseguendo disse: E conoscerete la verità 137. Quasi poi insistessero di nuovo: "Che vantaggio porta ai mortali la verità?", continuò: E la verità vi farà liberi 138. Da che cosa se non dalla morte, dalla corruzione, dalla mutevolezza? Sì, la verità resta immortale, incorrotta, immutabile. Ora la vera immortalità, la vera incorruttibilità, la vera immutabilità è l'eternità stessa 139.

Annunci della missione del Figlio

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Ecco per qual fine il Figlio di Dio è stato mandato o meglio che cos'è la missione del Figlio di Dio. Tutti i fatti compiuti nel corso del tempo in seno alle cose che hanno avuto inizio e che nell'eternità hanno avuto la loro origine ed hanno il loro termine, per costituire la nostra fede, dalla quale siamo purificati per contemplare la verità, costituiscono o delle testimonianze di questa missione o la stessa missione del Figlio di Dio. Ma alcune testimonianze annunciavano la sua venuta futura, altre attestavano la sua venuta passata. Era conveniente che fattosi creatura Colui per mezzo del quale è stata fatta ogni creatura, avesse come testimonio ogni creatura. Se infatti molti inviati non avessero annunciato l'inviato unico, non si sarebbe tenuto l'unico dopo aver rimandato i molti. E se non ci fossero stati dei testimoni così considerevoli da sembrar grandi ai piccoli, non lo si sarebbe ritenuto abbastanza grande da poter fare grandi gli altri, lui che, piccolo, è stato mandato ai piccoli. Ora il cielo, la terra e tutto ciò che contengono sono opere del Figlio di Dio 140, dato che per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte 141, incomparabilmente più importanti che i miracoli e i portenti profusi per testimoniarlo. Tuttavia gli uomini sono condotti a credere, loro piccoli, a queste sue opere veramente grandi dal timore di queste dimostrazioni giudicate grandi ma in realtà piccole.

Cristo conosciuto nella sua inferiorità rispetto al Padre, sconosciuto nella sua uguaglianza al Padre

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Dunque, quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, fatto da donna, fatto sotto la Legge 142; fatto e perciò piccolo, e mandato appunto perché fatto. Se dunque è il superiore che invia l'inferiore, riconosciamo anche noi che colui che è fatto è inferiore in quanto fatto, e che in tanto è fatto in quanto è mandato. Infatti ha mandato il suo Figlio fatto da donna; ma poiché tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, non solo prima che fosse mandato come fatto ma prima dell'esistenza di tutte le cose, noi ammettiamo l'uguaglianza fra chi lo inviò e lui stesso del quale dichiariamo l'inferiorità in quanto mandato. Come mai allora prima di questa pienezza dei tempi, quando conveniva che fosse mandato, prima della sua missione, ha potuto mostrarsi ai Patriarchi in alcune visioni angeliche di cui essi erano favoriti 143, se nemmeno quando fu mandato poté essere visto nella sua uguaglianza con il Padre? Per quale motivo infatti dice a Filippo che lo vedeva di certo nella sua carne (come del resto gli altri, inclusi quelli stessi che lo crocifissero): Da così tanto tempo sono con voi e non mi conoscete ancora? Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre 144, se non perché lo si vedeva e non lo si vedeva? Era visibile in quanto come mandato era stato fatto, invisibile in quanto Creatore che tutto aveva fatto. E perché disse anche: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, egli mi ama; e chi ama me, sarà amato dal Padre. Ed io lo amerò e manifesterò me stesso a lui 145, mentre era manifesto agli occhi degli uomini, se non intendeva porgere come oggetto alla nostra fede la carne assunta dal Verbo nella pienezza dei tempi e riservare il Verbo stesso, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, come oggetto di contemplazione nell'eternità al nostro spirito, dopo che sarà stato purificato dalla fede?

Il Figlio consustanziale al Padre e mandato da lui

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Se dunque il Figlio si dice mandato dal Padre perché questi è Padre e quello è Figlio, niente ci impedisce di credere che il Figlio sia uguale e consustanziale al Padre e che tuttavia il Figlio sia stato mandato dal Padre. Non perché l'uno sia superiore e l'altro inferiore, ma perché l'uno è Padre e l'altro è Figlio, l'uno genitore e l'altro generato, l'uno dal quale è colui che viene mandato, l'altro che è da colui che manda. Infatti è il Figlio che ha origine dal Padre, non il Padre dal Figlio. Conseguentemente possiamo capire che la missione del Figlio non si identifica semplicemente con l'incarnazione del Verbo 146, ma è il principio che ha determinato l'incarnazione del Verbo e il compimento da parte di lui, personalmente presente, degli eventi che sono stati registrati. In altre parole la missione non è solo dell'uomo assunto dal Verbo, ma altresì del Verbo che è stato mandato a farsi uomo. Perché la sua missione non presuppone una differenza di potere o di sostanza o di altro nei riguardi del Padre ma presuppone l'origine del Figlio dal Padre, non del Padre dal Figlio. Infatti il Verbo è il Figlio del Padre ed è detto anche Sapienza del Padre. Che meraviglia dunque se il Figlio è mandato non perché è ineguale al Padre ma perché è una emanazione pura della luce di Dio onnipotente 147? Qui ciò che emana e ciò da cui emana sono di una sola ed identica sostanza. Non è un'emanazione come quella dell'acqua che scaturisce dalle aperture naturali della terra o della roccia, ma come quella della luce dalla luce. Quando si dice: Splendore della luce eterna 148, che altro si intende significare se non che è luce della luce eterna? Lo splendore della luce che altro è se non luce? È di conseguenza coeterno alla luce dalla quale è luce. Tuttavia la Scrittura ha preferito l'espressione: Splendore della luce all'altra: "Luce della luce", affinché nessuno credesse più oscura la luce che emana di quella da cui emana. Invece sentendola chiamare suo splendore è più facile pensare che l'una deve all'altra il suo chiarore, piuttosto che credere che questa brilla meno dell'altra. Ma poiché non v'era da temere che qualcuno ritenesse inferiore la luce generatrice (nessun eretico ha mai osato affermare questo né è da credere che qualcuno oserà farlo), la Scrittura previene l'idea che la luce emanata sia più oscura della luce generatrice; ha eliminato tale congettura dicendo: è lo splendore di essa, cioè della luce eterna, e così dimostra la sua uguaglianza. Infatti, inferiore, ne sarebbe l'ombra, non lo splendore; se fosse invece maggiore, non ne emanerebbe perché non potrebbe superare la luce dalla quale è generata. Dunque, poiché da essa emana, non le è superiore, ma poiché non ne è l'ombra, ma lo splendore, non le è inferiore: perciò è uguale. Né deve metterci in imbarazzo l'espressione: una emanazione pura della luce di Dio onnipotente, come se essa non fosse onnipotente, ma emanazione dell'Onnipotente. Infatti il testo aggiunge subito: Essendo unica essa può tutto 149. Ora chi è onnipotente, se non Colui che può tutto? Essa è dunque mandata da Colui dalla quale emana. Sotto questa forma infatti anche la implora colui che l'amava e la desiderava: Mandala, dice, dai santi cieli, mandala dal trono della tua gloria, perché mi assista e condivida le mie fatiche 150. Cioè: mi insegni a lavorare per evitarmi le pene del lavoro, perché i suoi lavori sono le virtù. Ma in una maniera è inviata perché sia con l'uomo, in un'altra perché sia essa stessa uomo. Infatti: Essa si trasfonde nelle anime sante e ne fa degli amici di Dio e Profeti 151, alla maniera in cui riempie anche gli Angeli santi e per mezzo di essi opera tutto ciò che armonizza con questa specie di funzioni. Ma quando venne la pienezza dei tempi fu mandata 152, non per riempire gli Angeli, né perché fosse un Angelo (eccetto nella misura in cui annunciava le intenzioni del Padre, che erano anche le sue), non perché fosse con gli uomini o negli uomini, come era anche prima nei Patriarchi e nei Profeti, ma perché il Verbo stesso si facesse carne, cioè diventasse uomo. In questo sacramento posteriormente rivelato c'era la salvezza anche dei sapienti e dei santi che nacquero dalla donna, prima che egli nascesse dalla Vergine. Nel suo compimento e nel suo annuncio c'è la salvezza di tutti coloro che credono, che sperano, che amano. Ecco: Il grande mistero della pietà, che fu manifestato nella carne, giustificato nello spirito, apparve agli Angeli, fu predicato alle genti, fu creduto nel mondo, fu elevato nella gloria 153.

La missione del Figlio consiste nella sua venuta nel mondo e nella sua presenza nelle anime

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Dunque il Verbo di Dio è mandato da Colui del quale è Verbo; è mandato da Colui dal quale è nato; manda colui che genera, è mandato colui che è generato. Ed egli è mandato a qualcuno nel momento in cui lo si conosce e lo si comprende, per quanto permette di conoscerlo e comprenderlo la forza penetrativa di un'anima razionale che progredisce verso Dio o che in Dio è già perfetta. Dunque il Figlio non è detto mandato per il fatto stesso che è nato dal Padre, ma quando o si manifesta in questo mondo il Verbo fatto carne 154, per cui egli dice: Sono nato dal Padre e sono venuto in questo mondo 155, o nel corso del tempo è percepito dallo spirito di qualcuno, nel senso in cui è detto: Mandala, affinché mi assista e condivida il mio lavoro 156. Ora ciò che è nato dall'Eterno esiste in eterno: È lo splendore della luce eterna 157, mentre ciò che è mandato nel corso del tempo è conosciuto da qualcuno. Ma quando il Figlio di Dio si è manifestato nella carne, è in questo mondo che egli è stato mandato, nella pienezza dei tempi, per la sua nascita da donna: Perché, siccome nella Sapienza di Dio il mondo con la propria sapienza non ha potuto conoscere Dio, dato che la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa 158, piacque a Dio di salvare con la stoltezza della predicazione coloro che credono fermamente 159. Gli piacque cioè che il Verbo si facesse carne ed abitasse tra noi. Invece quando nel corso del tempo qualcuno prende coscienza del suo progresso si dice giustamente che il Verbo è mandato, ma non in questo mondo 160, perché evidentemente non appare in maniera sensibile, cioè non cade sotto i sensi del corpo. Perché anche noi, in quanto secondo le nostre possibilità attingiamo con lo spirito qualcosa di eterno, non siamo in questo mondo, come anche gli spiriti dei giusti, anche quelli che vivono in questo corpo, in quanto esperimentano la dolcezza delle cose divine, non sono in questo mondo. Ma il Padre, anche quando lo si conosce temporalmente, non si dice mandato, perché non ha alcuno dal quale ricevere l'essere o dal quale procedere. La Sapienza esclama: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo 161, e dello Spirito Santo è detto: Egli procede dal Padre 162, ma il Padre da nessuno.

La missione dello Spirito Santo consiste nella conoscenza che abbiamo della sua processione dal Padre

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Dunque come il Padre ha generato, il Figlio è stato generato, così il Padre ha mandato, il Figlio è stato mandato. Ma come nel caso di colui che ha generato e di colui che è stato generato, colui che ha mandato e colui che è stato mandato sono una sola cosa, perché il Padre e il Figlio sono una sola cosa. Così pure lo Spirito Santo è una cosa sola con essi, perché i Tre sono una sola cosa 163. Come infatti per il Figlio nascere è essere dal Padre, così per il Figlio essere mandato è essere conosciuto nella sua origine dal Padre. Alla stessa maniera come per lo Spirito Santo essere il dono di Dio è procedere dal Padre, così per lui essere mandato è venir conosciuto nella sua processione dal Padre, e non possiamo dire che lo Spirito Santo non proceda anche dal Figlio. Non per nulla infatti il medesimo Spirito Santo è detto Spirito del Padre e del Figlio 164. Né vedo che altro abbia voluto dire Cristo quando, soffiando sul volto dei discepoli ha dichiarato: Ricevete lo Spirito Santo 165, perché quel soffio corporeo, che procede dal corpo con una sensazione di contatto fisico non era la sostanza dello Spirito Santo, ma la rappresentazione, attraverso un simbolo adatto, che lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal Figlio. In verità chi sarà così insensato da affermare che c'è uno Spirito che egli ha dato con il suo soffio e un altro che ha mandato dopo la sua ascensione 166? Un unico spirito infatti è lo Spirito di Dio, Spirito del Padre e del Figlio, lo Spirito Santo, che opera tutto in tutti 167. Ora il fatto che egli sia stato mandato due volte è cosa che concerne certo l'economia del simbolismo. Ne discuteremo a suo luogo, per quanto il Signore ce lo concederà. Quando dunque il Signore parla di colui che vi manderò da presso il Padre 168, rivela lo Spirito del Padre e del Figlio. D'altra parte, dopo aver parlato di colui che il Padre manderà, ha aggiunto: in nome mio 169, ma non ha affatto detto: "Colui che il Padre manderà da presso me", come ha detto: Colui che io manderò da presso il Padre, mostrando così che il Padre è il Principio di tutta la Divinità, o, con espressione più esatta, di tutta la deità. Di conseguenza colui che procede dal Padre e dal Figlio si riferisce a colui dal quale è nato il Figlio. Quanto a questa espressione dell'Evangelista: Lo Spirito non era ancora stato dato, perché egli non era ancora stato glorificato 170, che senso attribuirle, se non che dopo la glorificazione di Cristo doveva esserci una tale donazione o missione dello Spirito Santo quale non c'era mai stata antecedentemente? Prima infatti non era mancata, ma non era stata uguale. Se prima lo Spirito Santo non veniva dato, di che spirito erano pieni i Profeti quando parlarono? La Scrittura dichiara in modo netto ed in molti passi che essi hanno parlato mossi dallo Spirito Santo. Così di Giovanni il Battista è detto: E sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 171; e vediamo suo padre Zaccaria, pieno di Spirito Santo 172, nel profetizzare le grandezze del Figlio e così pure vediamo Maria piena di Spirito Santo nel magnificare le opere del Signore che portava nel suo seno 173, come anche Anna e Simeone nel riconoscere la grandezza di Cristo bambino 174. Come dunque lo Spirito Santo non era stato ancora dato perché Cristo non era stato ancora glorificato 175, se non nel senso che quella dispensazione, o quella donazione, o quella missione dello Spirito Santo avrebbe avuto nel suo compimento una particolare caratteristica mai riscontrata prima di allora? In nessun luogo infatti noi leggiamo di uomini che parlano lingue loro sconosciute, per la discesa in loro dello Spirito Santo, come è accaduto quando c'era necessità di provare la sua venuta con segni sensibili, i quali rivelassero che tutta la terra e tutte le nazioni fondate sulla diversità delle lingue, avrebbero creduto in Cristo per il dono dello Spirito Santo, in modo che si adempisse ciò che si canta nel Salmo: Non ci sono linguaggi, non ci sono parole di cui non si intenda la voce. Il loro suono si espande per tutta la terra e i loro accenti fino ai confini del mondo 176.

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Così al Verbo di Dio l'uomo si unì e, in qualche modo, si mescolò nell'unità della persona quando, giungendo la pienezza dei tempi, il Figlio di Dio fu mandato in questo mondo, nato da donna per essere anche Figlio dell'uomo, a beneficio dei figli degli uomini 177. Antecedentemente gli Angeli avevano potuto rappresentare questa unione personale allo scopo di preannunciarla, non l'avevano potuta realizzare in se stessi.

Inseparabilità delle tre Persone nell'azione, separabilità nella manifestazione

Per


quanto riguarda la manifestazione sensibile dello Spirito Santo sotto forma di colomba 178 o di lingue di fuoco 179, poiché una creatura sottoposta e docile 180, con mutazioni e forme transitorie, manifestava la sua sostanza coeterna al Padre e al Figlio e altrettanto immutabile senza venir assunta da lui in unità di persona come la carne del Verbo incarnato 181 non oso affermare che prima di allora non sia accaduto nulla di simile. Al contrario affermo con piena sicurezza che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, di una sola e identica sostanza, Dio creatore, Trinità onnipotente, operarono inseparabilmente, ma non possono invece essere indicati inseparabilmente da una creatura tanto inferiore, specialmente se è corporea 182. Per esempio, con le nostre parole, che hanno certamente un suono sensibile, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo non possono essere nominati se non successivamente e distintamente secondo i tempi corrispondenti alle sillabe di ciascun vocabolo. Evidentemente nella sostanza in cui sussistono, i Tre sono una cosa sola 183: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, identica realtà senza alcun movimento temporale, al di sopra di ogni creatura, senza alcuna separazione nel tempo e nello spazio, una sola identica cosa, simultaneamente dall'eternità all'eternità, come l'eternità stessa che non esiste senza verità e senza amore. Ma nelle parole "Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo" sono stati separati, non hanno potuto essere detti simultaneamente e hanno occupato spazi distinti nelle lettere visibili con i quali li ho scritti. E come quando nomino la mia memoria, la mia intelligenza e la mia volontà, i singoli vocaboli si riferiscono a cose distinte, ma tuttavia li pronuncio con il concorso di tutte e tre le facoltà insieme, non venendo detto nessuno dei tre vocaboli senza la cooperazione tra la mia memoria, la mia intelligenza e la mia volontà, così la Trinità inseparabilmente ha operato la voce del Padre, la carne del Figlio e la colomba dello Spirito Santo, sebbene queste tre singole cose si riferiscano alle singole persone. Questo esempio vale in qualche modo a far capire che i Tre, inseparabili tra loro, si mostrano separatamente attraverso le creature visibili, e che l'operazione dei Tre rimane inseparabile anche nelle singole cose che stanno ad indicare propriamente il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.

Differenza tra l'Incarnazione e le altre missioni

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Di conseguenza, se mi si chiede come sono state realizzate le voci, le forme, le apparizioni sensibili anteriori all'incarnazione del Verbo di Dio e che ne prefiguravano la venuta, rispondo che Dio le ha realizzate per mezzo degli Angeli, cosa che mi sembra d'altra parte di aver sufficientemente dimostrato con i testi della Sacra Scrittura 184. Se mi si domanda poi come si realizzò l'incarnazione, dico che il Verbo di Dio si è fatto carne, cioè uomo, senza essere tuttavia convertito e trasformato 185 in ciò che si è fatto, e si è fatto esattamente in tal modo che in lui si trova non solo il Verbo di Dio e la carne dell'uomo, ma anche l'anima razionale e che questo tutto si dica Dio a causa della natura divina, e uomo a causa della natura umana. Se è difficile intenderlo, l'anima si purifichi con la fede, astenendosi ogni giorno di più dal peccato, operando il bene e pregando con il gemito dei santi desideri, perché, progredendo con l'aiuto divino, comprenda ed ami. Se si chiede come, dopo l'incarnazione del Verbo, si è realizzata la voce del Padre o la forma corporea sotto la quale lo Spirito Santo si è manifestato, ciò è avvenuto per mezzo della creatura non ne dubito. Ma se sia stata operata per mezzo di una creatura soltanto corporea e sensibile, o se Dio si sia servito di una creatura razionale o intellettiva (è il vocabolo che alcuni preferiscono per designare ciò che i Greci chiamano ), creatura che non è stata congiunta nell'unità della persona (chi oserà dire che è Dio Padre la creatura, qualsiasi essa fosse, per mezzo della quale risuonò la sua voce o dire che è lo Spirito Santo la creatura, qualsiasi essa fosse, nella quale lo Spirito Santo si è rivelato in forma di colomba 186 e di lingue di fuoco 187, come è veramente Figlio di Dio l'uomo nato dalla Vergine?), ma usata semplicemente come strumento di un simbolismo da realizzare come Dio lo riteneva necessario, o se si debba intendere tutto questo in maniera diversa è molto difficile sapere e non conviene avanzare delle soluzioni alla leggera. Tuttavia non vedo come questi fenomeni abbiano potuto realizzarsi senza il concorso di una creatura razionale e intellettiva. E non è ancora il momento che io spieghi questa mia convinzione con tutte le forze che il Signore mi concederà. Prima bisogna discutere e confutare gli argomenti degli eretici, argomenti che essi non traggono dalla Sacra Scrittura, ma dai loro ragionamenti e che, ritengono essi, permettono loro di costringerci ad interpretare i testi della Scrittura concernenti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nel senso che loro ad essi attribuiscono.

La missione non implica inferiorità

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Ora è stato sufficientemente stabilito, a mio parere, come il Figlio non è inferiore perché è stato mandato dal Padre, come non lo è lo Spirito Santo perché è stato mandato dal Padre e dal Figlio. Queste cose vengono dette dalle Scritture per riferimento alla creatura visibile o piuttosto per sottolineare il ruolo di principio in Dio, non per disuguaglianza, disparità o differenza di sostanza. Perché anche se Dio Padre avesse voluto manifestarsi visibilmente per mezzo della creatura docile sarebbe completamente assurdo affermare che è stato mandato dal Figlio che egli ha generato o dallo Spirito Santo che da lui procede 188. Con questo terminiamo dunque questo libro; più tardi, nei seguenti, vedremo, con l'aiuto di Dio, quali siano le argomentazioni tanto artificiose degli eretici e quale la loro confutazione.





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Sant'Agostino - La Trinità 400